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.Bomarzo
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ed il suo bosco sacro
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di Gabriella Belisario e Maurizio Calò
Dai monti Cimini scende un altopiano boscoso,
ricco di acque e di improvvisi valloni chesi
arresta in vista del Tevere. Nella seconda metà del '500, in questo
territorio, nasce unacostellazione di “meraviglie”:
Soriano [1], Caprarola [2],
Bagnaia [3],
Bomarzo. Sono feudatari o ecclesiastici illuminati che voglionotestimoniare
le sapienze neoplatoniche ed ermetiche attraverso misure pitagoriche di
cortili
e palazzi, simbologie alchemiche di altorilievi, misteriosi oroscopi, dipinti
enigmatici,
giardini “stupefacenti”. È la fine del Rinascimento dove natura
e arte, letteratura, filosofia, magia,
astrologia e religione raggiungono una sintesi epocale.
Questo
il contesto culturale in cui dobbiamo immergerci per diradare un
mistero fitto e intrigante, così vicino
geograficamente e così lontano nel tempo da meritare uno speciale
approfondimento: “Bomarzo e il parco dei mostri”, recitano le guide, ma
noidiremo, “Bomarzo ed il suo Bosco Sacro”.
l
percorso che vi proponiamo non sarà descrittivo, perché il
parco è ampiamente visitabile, ma intessuto di tutti i riferimenti
per tentarne una diversa conoscenza affinché: “Ognuno vidi ciò
che cerca e tutti vi si smarriscono”. Per antica legge, i segreti sono
più nascosti là dove sono più manifesti. E l'architetto
Giuseppe Maiorano sembra proprio incarnare la figura dello studioso che,
al di là degli schemi palesi, è in grado di formulare una
diversa ipotesi di lettura là dove agli altri tutto sembra solare
ed evidente.
Insomma lui ipotizza, e in questa intervista
esplicita la sua tesi, che Bomarzo non sia solo il costoso capriccio di
un nobile, il Duca Vicino Orsini, da ritenere stravagante, immerso
in dottrine ermetico-esoteriche, vero uomo del Rinascimento, ma sia la
parte monumentale di un antico sito etrusco, il Fanum Voltumnae. Dunque
i "mostri" di pietra sarebbero le poche, residue statue epigee etrusche,
lascito prezioso di una civiltà ormai scomparsa e riassorbita in
quella romana.
L'architetto Maiorano, più che un uomo
del 2000, sembra uscito da un dagherrotipo del primo Novecento, campano
di nascita, veneziano di adozione, colto e cosmopolita, assomiglia alla
figura dello studioso alla Warburg [4],
un erudito che si confronta con archeologi, storici e colleghi architetti.
Un libero pensatore che riesce ad estendere le sue conoscenze tecniche
e ad arricchirle di note filologiche, etimologiche, letterarie e che persegue
la ricerca puntigliosa in biblioteca senza disdegnare il sopralluogo nei
territori più accidentati.
Un piacere per noi incontrare questo pacato signore,
taccuini alla mano, disegni, rilievi e tomi sotto il braccio, che
con calma ci illustra tesi così ardite ed eversive. L'architetto
Maiorano "porta" comunque i suoi risultati alla collettività e si
prodiga in ogni modo per instillare dubbi e proporre tesi alternative.
Architetto
qual è stata la scintilla che ha fatto muovere i primi passi alla
sua ricerca?
"È stato un bò, un grande bò.
Mio zio sapeva che in quel momento stavo lavorando su alcuni toponimi che
contengono il “Bo…” : “Biel Bo” in Svezia, “Monte Bo” nel biellese, “Bo-ario”
in Valcamonica. Tutti luoghi con rocce riccamente graffite, ricche
di testimonianze di arte rupestre protostorica. Così venne fuori
anche “Bo-marzo”. Scoprii che, nel territorio circostante il parco, esisteva
una vasta area sacrale non solo con presenza di necropoli, ma anche con
molti massi-altari e con pietre che presentavano tracce di scanalature,
canaline e fossette circolari destinate, probabilmente, a pratiche sacrificali.
Misi in relazione i misteriosi massi graffiti
sparsi nel bosco con le mostruose creature di pietra attribuite al Duca
Vicino Orsini e cominciai la mia ricerca.
Mi chiesi se fosse stato possibile che un uomo,
anche se vitale e geniale, un solo uomo e, tra l'altro, isolato e provato
come Vicino Orsini, potesse aver concepito e realizzato, per costi, mezzi
e impiego di manodopera, una simile e monumentale opera.
Ma
chi era Vicino Orsini?
I dati ufficiali raccontano che Vicino Orsini
era un nobile dal piglio aristocratico ed anticonformista, estimatore del
gentil sesso che peraltro lo ricambiava. Dopo aver ereditato il feudo di
Bomarzo, partecipò a varie campagne nelle milizie papali, non sempre
con grande fortuna. Al suo rientro in Italia, dopo un periodo di prigionia,
seguì un volontario ritiro in campagna che assunse, nel tempo, quasi
il significato di una scelta filosofica. Per quasi trent'anni egli si dedicò
al lavoro nel suo diletto “boschetto”, l’attuale “Parco dei Mostri”, perché,
stando alle sue parole: “Io amo più starmene in questi boschi che
immerso nella fallace et ambizione delle corti, et massima in quella di
Roma”. Insomma, dalle fonti ufficiali, sembra lui l'indiscusso ideatore
e realizzatore del giardino, tanto che le sue lettere parlano solo di scalpellini
o di marmorari come Simone Moschino e Mastro Bernardino, figure, tutto
sommato, secondarie che egli, tuttavia, si affrettava a raccomandare ai
suoi amici.
Mi si affacciò l'idea che, forse, in questa
fase così riservata della sua vita, egli avesse fatto un inventario
delle sue proprietà ed anche accurati sopralluoghi, nel corso dei
quali poteva aver trovato, con le statue in peperino nel bosco di Bomarzo,
qualcosa di straordinario, il suo più grande tesoro, scegliendo
per esso la via del silenzio secondo la regola della tradizione ermetica
alla cui dottrina egli si ispirava. Infatti egli siglò alcune opere
con una rosa dai cinque petali che è anche, guarda caso, lo stemma
della famiglia e l'anagramma di orsa. In tal modo egli cercò di
confondere le tracce di questi ritrovamenti nella maniera più sicura,
cioè mostrandoli a tutti quale eccentrico giardino di un altrettanto
stravagante padrone. In definitiva ritengo che Vicino Orsini fece rielaborare
e ripulire le statue che io sostengo siano di origine più antica,
probabilmente etrusca e, in tale intento, in alcuni casi, addirittura,
le colorò.
Riadattando i gradoni discendenti delle balze
tufacee, egli creò un percorso definibile “ameno e curioso” per
tanti, ma in realtà iniziatico per pochi, seminando frasi ed enigmi,
nascondendo prove, evidenziandone altre, coltivando stranezze e meraviglie
per un giardino segreto e particolare, inventato in modo da sfuggire agli
insulti del tempo e capace di costituire luogo di sicuro rifugio dove trovare
se stessi.
Così, tra vero e falso, si innesta un
gioco perverso in cui la mente debole si perde e quella più sottile
e speculativa si affina. Infatti: “Tu ch'entri qua, pon mente parte a parte,
et dimmi poi se tante meraviglie sien fatte per inganno o pur per arte”
recitano le sfingi all'ingresso della balza inferiore. Riguardate globalmente,
tutte le iscrizioni presenti nel Parco costituiscono come una seconda lettura
del giardino e del bosco, ma Vicino Orsini, altro dato fondamentale, nei
suoi scritti e nelle sue lettere, non parla mai di giardino ma sempre di
“boschetto” e lui si definisce: “Cittadin de boschi come son io”.
A conferma della mia tesi sull’origine probabilmente
etrusca delle statue, posso precisare che alcuni caratteri alfabetici etruschi
sono ancora visibili incisi sugli elementi scultorei del parco come, per
esempio, sulla zampa dell'elefante punico da guerra e sulla statua del
Nettuno.
Perché
si può presupporre che quel luogo fosse particolarmente importante
per gli Etruschi?
Ribadisco che tutto il territorio di Bomarzo
presenta tracce di culti addirittura antichissimi. È ipotizzabile,
dunque, che quel luogo avesse una destinazione sacrale già all'alba
della nostra civiltà. Anche gli Etruschi rispettavano, onoravano
e praticavano il lucus, cioè il bosco sacro. Sappiamo che esisteva
questo Fanum Voltumnae, massimo santuario della civiltà degli àuguri,
che era centro di riunioni delle genti di nazionalità etrusca sparse
in Italia e, una volta l'anno, vi si teneva un concilio dei rappresentati
delle città-stato. Queste assemblee erano anche occasioni di giochi,
feste religiose nonché di atti politici e amministrativi di fondamentale
importanza come l'elezione del re dei Lucumoni: lo Zilath, massima carica
politica e religiosa etrusca. Nel 285 a. C. il Fanum venne distrutto e
tutte le statue gigantesche di bronzo [5]
furono smontate e deportate a Roma. Quale atto di suprema profanazione,
con quel bronzo sacro si coniò vile moneta (aeris rude). Di questo
sacro bosco rimase la natura nascosta, i corsi d'acqua, le cascate, le
grotte e la foresta di castagni, querce, lecci e roverelle. Forse le statue
vennero ripristinate, sgrossandole nella pietra locale, affinché
non potesse più verificarsi il sacrilegio del loro asporto.
Certo stiamo facendo dei grandi salti temporali,
ma d'altronde tutta la storia, dove non esistono documenti, è paziente
rinvenimento di labili tracce e ricomposizione di un mosaico dalle tessere
sparse. Comunque Virgilio riferisce, nell'VIII libro dell'Eneide, che l'eroe
troiano, giunto sull'italico suolo, venne ricevuto dal re etrusco Evandro
e l'incontro dei due leader avvenne presso l'antico altare eretto nel bosco
sacro, a ricordo della vittoria di Ercole su Caco [6].
E questo episodio, come sappiamo, è ben commemorato tra i “mostri”
di Bomarzo.
Procedendo anche con l'aiuto delle testimonianze
letterarie, che comunque fotografano la realtà del tempo,
eccoci con un altro balzo in avanti a Dante che ha, a mio avviso, ambientato
i primi canti dell'Inferno proprio nel luogo etrusco di Bomarzo, il che
consente di avere ulteriori prove dell'esistenza di un complesso monumentale,
celebre sia per il terribile aspetto che per i significati, prima dell’intervento
di Vicino Orsini.
Lei
ci sta dicendo che la selva oscura di Dante [7]
potrebbe essere il bosco sacro di Bomarzo visitato o almeno conosciuto
dal sommo poeta?
Certo. Iniziamo a vedere il perché. Nel
poema si potrebbero ravvisare alcune descrizioni identificabili con il
teatro romano di Ferento, prossimo a Bomarzo (la città di Dite),
le tombe rupestri (gli avelli), il torrente dell'Acqua Rossa che costeggia
il parco, citato nella opera dantesca [8],
le sponde rocciose di una valle che per lunghezza e larghezza potrebbe
corrispondere alla Valle del Vezze, in cui sorge il giardino. È
possibile che Dante abbia composto i primi sette canti dell'Inferno prima
dell'esilio, e cioè dal 1300 al 1302, ed è anche probabile
che egli abbia descritto, con il realismo che contraddistingue la prima
cantica, un suo viaggio reale verso la Roma del Giubileo di Bonifacio VIII°.
Inoltre alcune descrizioni e rappresentazioni
del mondo degli inferi sono da considerarsi punti di avvio per un originale
raffronto tra le creazioni di Bomarzo e l'inferno dantesco. Tra il “bosco
sacro” e la “selva oscura” troviamo un impressionate corrispondenza. Altrettanto
può dirsi di alcuni personaggi danteschi come quelli dei due giganti
Nembrot e Fialte [9], collocati nel
XXXI canto dell'Inferno, nei quali potrebbero riconoscersi, rispettivamente,
la scultura del Nettuno e quella dell'Ercole del “Parco dei Mostri”, sia
per il loro aspetto, che per le misure riportate nel testo. Anche le indicazione
topografiche, astronomiche e i dettagli naturalistici assumono nuovi significati
alla luce di questa ipotesi che non è meramente suggestiva, ma,
se adeguatamente approfondita, consentirebbe di recuperare alla realtà
elementi trasfigurati dall'allegoria poetica e generalmente sottovalutati
nella esegesi del poema dantesco.
Dunque
arriviamo al Duca Vicino Orsini [10]
che probabilmente rielaborò le preesistenze archeologiche.
Tutto questo conferma la permanenza della sacralità
del sito su cui sorge Bomarzo.
Certo abbiamo ribaltato la questione e il punto
di arrivo è diventato punto di partenza. È chiaro che il
nostro Duca è affezionatissimo al suo sito e non fa che: “…far racconciare
le fontane del mio boschetto” (1563) al quale ha dedicato più
di trent'anni della sua vita, destando meraviglia nei contemporanei e nei
posteri. Ma che non sia tutta opera sua lo si può rilevare anche
da un altro dato: la difformità di stili nelle sculture di pietra.
Pensiamo solo che all’epoca di Vicino Orsini si va verso il Manierismo,
mentre i mostri sono sbozzati, semplicemente primitivi, fuori scala e con
rese grossolane, assolutamente diversi dai canoni estetici del tempo.
Si è sempre creduto che il giardino delle
meraviglie abbia influenzato la creazione dei giardini della stessa epoca,
ma non è così. Il boschetto è unico, secondo
me, perché è unico il posto dove sorge e nessuna finzione
riesce a rievocare la particolare atmosfera che si respira a Bomarzo. D'altronde
una certa aura, il luogo la emana, se pensiamo che il prof. Arnaldo
Bruschi così scriveva nel 1955: “Raramente le caratteristiche di
un popolo e quelle della terra in cui questo vive sono così intimamente
legate come nella Tuscia... il paesaggio, le rocce, gli alberi e la campagna,
l'aria stessa ne sono impregnati. Una porta sembra essere aperta con l'aldilà.”
Dunque
secondo Lei il Parco dei Mostri non è stato un modello?
Si e no. Bomarzo è stato un modello di
riferimento ma lo è ancora prima dell'inizio dei lavori di ristrutturazione
ispirati da Vicino Orsini, tant'è vero che in una lettera dello
stesso Orsini, indirizzata al cardinale Alessandro Farnese e datata 22
aprile 1561, egli denuncia il morboso interesse di molti curiosi che vengono
a visitare le "meraviglie" del bosco[11]
in un'epoca in cui, secondo la ricostruzione cronologica di molti studiosi,
dei lavori nel bosco e nelle balze sottostanti la dimora di Vicino, non
era stato ancora realizzato quasi nulla che potesse essere definito “meraviglioso”
o “curioso”, cioè il progetto orsiniano era appena agli inizi.
Il
Parco sarebbe quindi un libro di pietra ancora aperto, che riesce a comunicare
qualcosa di nuovo al mondo di oggi?
Le mie ipotesi, in realtà, vogliono sollecitare
ulteriori approfondimenti, studi ed anche una tutela artistica più
adatta. Bomarzo è proprietà privata. La sua popolarità
è grande e da tutto il mondo arrivano comitive, turisti, visitatori.
Oltre ai normali rischi legati al depauperamento dei beni artistici e monumentali,
qui c'è il rischio di perdere per sempre la possibilità di
scoprire la vera origine dei Mostri di Bomarzo. Occorrerebbe, a mio parere,
aprire una campagna di studio specificamente dedicata a verificare l’epoca
di creazione delle statue e la loro capacità di ispirare la vita
artistica successiva alla loro scultura, ma il tempo che passa e la fruizione
turistica rischiano di cancellare le tracce della loro origine... lo spessore
della verità è sottile come la polvere che lo ricopre.
Note
[1] Soriano: nel palazzo vescovile
il cardinale Cristoforo Mondruzzo fece scolpire enigmatiche interpretazioni
bibliche. [torna
al testo]
[2] Caprarola: Alessandro
Farnese commisionò al Vignola la celebre residenza a pianta pentagonale
che contiene un cortile circolare. [torna
al testo]
[3] Bagnaia: prima il cardinal
Riario e poi il cardinal Giovan Francesco Gambara, sempre ad opera del
Vignola, costruirono Villa Lante, il capolavoro dei giardini all'italiana.
[torna
al testo]
[4] Warburg: oggi riconosciuto
storico della cultura e interprete della mitografia rinascimentale. Nato
ad Amburgo il 13 giugno del 1886 e morto nel 1929 a Londra. Era figlio
di un ricco banchiere e vendette la sua primogenitura al fratello in cambio
di una rendita che gli permettesse di acquistare libri, incunaboli, dipinti,
litografie e di seguire i sui diletti studi che sviluppò nella più
assoluta autonomia. Tutte le sue collezioni sono oggi archiviate al Warburg
Institute di Londra. É famoso per l’interpretazione dell’iconografia
mitologica rinascimentale particolarmente nel Palazzo Schifanoia di Ferrara.
[torna
al testo]
[5] Esiste in Vaticano
una pigna gigantesca in bronzo, realizzata in una lega arcaica ricca di
rame. La grandezza del reperto poi adattato a fontana e la sua tecnica
di fusione a moduli, fanno pensare che potesse appartenere ad un complesso
etrusco scomparso. [torna
al testo]
[6] Virgilio, Eneide, canto
VIII da 151 a seguire. Quel giorno / l'arcade re solenne onor rendeva
/ ai Numi e al grande Anfitrioniade eroe / nel sacro bosco fuori dalle
mura. / Era con lui Pallante, il figlio, e tutti / i giovani guerrieri
ed il senato, / e offriano incensi.
Tiepido fumava / sull'ara il sangue... Questo
solenne rito queste mense, / e il sacro altare eretto a si gran Nume, /
non l'imposero a noi vane credenze, / né l'oblìo dei paterni
antichi Dei; / ma il merito e l'onore tutti gli anni / rendiamo e rinnoviamo
il culto, memori / dei fieri rischi onde ci trasse un dio. / Vedi là
quella roccia dirupata, / e intorno sparsi quei divelti massi / e il vuoto
speco di quel monte donde / trasse, franando, immenso crollo il fianco.
/ Là s'addentrava enorme una spelonca, / tenebrosa dimora al sol
negata / di Caco, mostro di bestiale aspetto. [torna
al testo]
[7]Dante, Divina Commedia, Inferno
canto VIII 67/76. Lo buon maestro disse: Ormai, figliuolo, / s'appressa
la città [torna
al testo]
[8]Dante, Divina Commedia, Inferno
canto XIV da 134 a 140. …rispuose, “ma ‘l bollor de l’acqua rossa / dovea
ben solver l’una che tu faci. / Letè vedrai, ma fuor a di questa
fossa, / là dove vanno l’anime a lavarsi / quando la colpa pertuta
è rimossa.” / Poi disse: “Omai è tempo da scostarsi / dal
bosco, fa che di retro a me vegne:/ [torna
al testo]
[9] Dante, Inferno canto XXXI
da 43 a 96. Torreggiavan di mezza la persona / li orribili giganti, cui
minaccia / Giove del cielo ancora quando tona. / E io scorgeva già
d'alcun la faccia, / le spalle e 'l petto e del ventre gran parte, / e
per le coste giù ambo le braccia. / Natura certo, quando lasciò
l'arte / di sì fatti animali, assai fe' bene / per tòrre
tali essecutori a Marte... Poi disse a me:" Elli stesso s'accusa;
/ questi è Nembrot per lo cui mal coto / pur un
linguaggio nel mondo non s'usa... Fialte ha nome, e fece le gran prove
/ quando i giganti fer paura a' dei: /
le braccia ch'el menò, già mai non move." [torna
al testo]
[10] Vicino Orsini si fregiava
di derivare dagli antichi popoli " Ursentini " (avevano portato gli orsi
dall'Asia minore) di origine etrusca. E tutta una corrente letteraria ed
artistica del tempo, Vasari incluso rivalorizzava l'apporto toscano e quindi
etrusco quale " Principio delle arti ". [torna
al testo]
[11] Anche Annibal Caro scrive
a Vicino Orsini nel Dicembre del 1564: " Io mi sono veramente infrascato
in questo mio luoghetto e forse non meno ch'ella nelle sue meraviglie di
Bomarzo... dove sono tant'altre cose stravaganti e soprannaturali... [torna
al testo]
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