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Marzia Balzano
1.
Presupposti, in particolare il fallimento delle associazioni titolari di
imprese commerciali secondarie.
Nonostante la permanenza di autorevoli voci di dissenso[1], corrisponde all'orientamento senza dubbio dominante la conclusione che anche i soggetti disciplinati nel libro I del Codice Civile, e quindi anche le associazioni in senso stretto, possano gestire imprese commerciali[2] e pertanto, essere sottoposti alle regole che conseguono all'assunzione di questo tipo di iniziativa economica, ivi compresa, in caso di insolvenza, la sottoposizione alla procedura fallimentare. Benché il codice civile non consideri le associazioni quali soggetti tipicamente preposti all'esercizio di attività economiche, l'impresa si configura parimenti come attività accessibile a qualunque forma associativa[3], non risultando riservata a modelli specifici dell'iniziativa collettiva, quale in particolare il modello societario; nel contempo, un limite alla assunzione di iniziative imprenditoriali da parte delle associazioni non pare rinvenirsi nel carattere non lucrativo degli scopi dalle stesse perseguiti. Come infatti si è sottolineato, il carattere imprenditoriale di un'attività economica non dipende dallo scopo ultimo in vista del quale la stessa viene assunta, ma piuttosto dalle modalità con cui è condotto il ciclo produttivo[4], che come tali, possono essere rispettate anche da un'associazione. Nonostante questa preliminare uniformità di vedute, deve peraltro segnalarsi che gli orientamenti si diversificano significativamente nell'identificazione dei presupposti che giustificano l'applicazione del c.d. statuto dell’imprenditore commerciale nei confronti di un'associazione. Non si discute, in particolare, che questa soluzione debba riferirsi all'ipotesi in cui l'esercizio di un'impresa commerciale costituisca l'attività esclusiva o quanto meno prevalente dell’ente, mentre non unanimemente condivisa è l'estensione della stessa conclusione anche nell'ipotesi in cui l'attività economica acquisti un ruolo c.d. secondario[5]. Secondo un primo orientamento, infatti, in queste ultime ipotesi l'associazione dovrebbe risultare sottoposta alle regole che in generale si indirizzano all'imprenditore, come ad esempio, la disciplina della concorrenza sleale, mentre rimarrebbe esonerata dalle disposizioni che si riferiscono all’imprenditore commerciale, ivi compresa anche la sottoposizione al fallimento[6]. Questa conclusione viene argomentata alla luce della disciplina dettata per gli enti pubblici impegnati nell'esercizio di attività economiche, che, in particolare, sottopone espressamente all'obbligo di iscrizione nel registro delle imprese i soli enti per i quali l’esercizio di un'attività commerciale abbia carattere esclusivo o principale (art. 2202 cod. civ.), soluzione questa che, secondo l’orientamento segnalato, evidenzierebbe implicitamente la sottrazione all'obbligo di iscrizione degli enti per i quali l'attività commerciale assuma un ruolo secondario. Si osserva, infatti, che la portata della previsione dovrebbe estendersi oltre la definizione dei doveri pubblicitari incombenti sugli enti pubblici e che inoltre questi ultimi non sarebbero i soli destinatari delle indicazioni da essa fornite. Da un lato, poiché la nozione di imprenditore commerciale dovrebbe ritenersi coincidente con quella di imprenditore soggetto a registrazione, la sottrazione dei c.d. enti pubblici economici all'obbligo di iscrizione nel registro delle imprese dovrebbe implicare la conseguente sottrazione di questi soggetti anche dall'obbligo di tenuta della contabilità e dalle procedure concorsuali. Dall'altro, le soluzioni dettate con riferimento agli enti pubblici sarebbero suscettibili di estensione a tutti i soggetti giuridici diversi dalle società, ivi comprese le associazioni, in cui, come nei primi, l'esercizio di un'attività di impresa può costituire l'attività principale o secondaria dell'ente[7]. Va poi rilevato che le soluzioni cui conduce l'orientamento esposto si prospettano particolarmente incisive là dove sottolineano che il carattere secondario dell'iniziativa economica rispetto all'oggetto dell'associazione non dovrebbe valutarsi in termini quantitativi, ma piuttosto qualitativi venendo a dipendere in particolare dal rapporto nel quale l'attività economica si pone rispetto ai fini dell'associazione. Una qualifica in termini di attività secondaria dovrebbe essere pertanto riferita a tutte le attività che non siano da sole capaci di realizzare lo scopo per il quale l'associazione si è costituita e quindi, non solo alle ipotesi di attività economiche effettivamente marginali ed accessorie, ma anche alle imprese c.d. strumentali, ovvero finalizzate a finanziare altre iniziative dell'associazione, imprese che, come tali, possono invero assumere un peso quantitativamente consistente nell'ambito delle iniziative associative[8]. Questo orientamento ha trovato largo accoglimento presso la giurisprudenza, come si evince anche dal fatto che i soli casi nei quali è stato dichiarato il fallimento di una associazione corrispondevano ad ipotesi nelle quali l'esercizio di un'impresa commerciale ne integrava l'attività prevalente[9]. In senso critico si esprime invece la dottrina maggioritaria, ad avviso della quale, anche dando per assodata la possibilità di estendere ad operatori privati, come le associazioni, le previsioni che la legge ha espressamente indirizzato agli enti pubblici, le soluzioni applicative cui si dovrebbe pervenire sarebbero diverse, ed in ogni caso più circoscritte, rispetto a quelle prospettate dall'orientamento sopra esposto. Il senso della previsione contenuta nell'art. 2201 non potrebbe essere infatti quello di esonerare gli enti pubblici non economici esercenti un'impresa commerciale secondaria dall'intero “statuto dell'imprenditore commerciale”, ma solo, eventualmente, dall'obbligo di iscrizione nel registro delle imprese; come si evince dal fatto che la stessa legge non pare attribuire una portata generale all'art. 2201, là dove per escludere gli enti pubblici, sia economici che non economici, dalla procedura fallimentare introduce una previsione esplicita (art. 2221 cod. civ.)[10]. La possibilità di applicare analogicamente alle associazioni l'art. 2201 non dovrebbe avere quindi come conseguenza quella di esonerare queste ultime dalla procedura fallimentare e dalla tenuta delle scritture contabili quando risultino titolari di un'impresa commerciale, ancorché secondaria, rispetto alle altre attività comuni, mentre potrebbe al più incidere solo in relazione agli obblighi di iscrizione nel registro delle imprese. In ogni caso, la stessa sussistenza dei presupposti dell'analogia viene messa in discussione, rilevandosi, in particolare, come la prospettata esenzione degli enti pubblici non economici dalle regole della pubblicità commerciale, piuttosto che trovare la propria giustificazione nel carattere secondario che l'attività di impresa assume rispetto all'oggetto dell'ente, dovrebbe spiegarsi nella specifica natura degli enti c.d. non economici e nelle peculiari disposizioni concernenti la pubblicità dei loro dati organizzativi. D'altro canto l'attività commerciale potrebbe essere secondaria rispetto all'oggetto di qualunque forma organizzativa di un'iniziativa economica e pertanto, ove la legge avesse inteso dare rilievo a questa circostanza non lo avrebbe fatto nell’ambito di una previsione concernente un modello specifico come quello dell'ente pubblico. La previsione contenuta all'art. 2201 cod. civ., piuttosto che configurarsi come espressione di una regola generale, si profilerebbe pertanto, semmai, come una deroga al sistema, non suscettibile di estensione a soggetti diversi dagli enti pubblici[11]. L'accoglimento di quest'ultima conclusione non cambia peraltro le conseguenze applicative concernenti la posizione delle associazioni rispetto alla procedura fallimentare, che, come si è visto, secondo la più corretta ricostruzione, non dovrebbe comunque risultare condizionata dalla possibilità di estendere agli operatori privati la disciplina degli enti pubblici, mentre incide in ordine ad un altro e non secondario profilo, ovvero quello della pubblicità commerciale[12]. I rilievi critici espressi dalla dottrina maggioritaria non sembrano avere peraltro influenzato la giurisprudenza, specie in sede di legittimità, che, nel dichiarare la sottoposizione di una associazione alla procedura fallimentare, si preoccupa di accertare non solo uno stato di insolvenza connesso all'esercizio di un'impresa commerciale, ma altresì il carattere esclusivo o prevalente che detta attività viene ad assumere nell'ambito delle iniziative associative. 2.
Fallimento dell’associazione e responsabilità dei soggetti che hanno
agito per essa.
Note [1] BIANCA, Diritto civile. I La norma giuridica e i soggetti, Milano, 1978, p. 333 ss. [torna al testo] [2] Cfr., tra gli altri, ASCARELLI, Lezioni di diritto commerciale, Milano, 1954, pp. 134-135; BIGIAVI, La professionalità dell'imprenditore, Padova, 1948, p. 53 ss.; CAMPOBASSO, Associazioni e attività d'impresa, in Riv. dir. civ., 1994, II, p. 583; COSTI, Fondazione e impresa, in Riv. dir. civ, 1968, I, p. 19; COLUSSI, voce Impresa collettiva, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989, p. 2; FARENGA, Enti di diritto privato e impresa commerciale, in Dir. fall., 1980, II, p. 279 ss.; FOSCHINI, Gruppi associativi esercenti un'impresa commerciale e fallimento, in Dir. fall., 1972, I, p. 197 ss.; GALGANO, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, nel Commentario al codice civile a cura di Scialoja e Branca, (artt. 36-42), Bologna-Roma, 1966, p. 73 ss.; GATTI, L'impresa collettiva non societaria e la sua disciplina fallimentare, in Riv. dir. comm., 1980, I, p. 89 ss.; MARASA', Attività imprenditoriali e scopi mutualistici nelle associazioni, in Contratti associativi e impresa, Padova, 1995, p. 145 ss.; MASI, Articolazioni dell'iniziativa economica e unità dell'imputazione giuridica, Napoli, 1985, p. 131 ss. MINERVINI, L'imprenditore. Fattispecie e statuti, Napoli, 1996, p. 117; OPPO, voce Impresa e imprenditore, in Enc. giur. Treccani, XVI, Roma, 1989, p. 11, ora anche in Scritti giuridici, I, Padova, 1992, p. 263 ss.; ROMAGNOLI, Associazione non riconosciuta e attività di impresa, in Società, 1996, p. 1372; RUBINO, Le associazioni non riconosciute, Milano, 1952, p. 84 ss.; SPADA, voce Impresa, in Digesto IV, Disc. priv., Sez. comm., Torino, 1992, p. 69 ss.; TIDU, Associazione e impresa, in Riv. dir. civ., 1986, II, p. 500 ss., ove anche ulteriori riferimenti. In giurisprudenza, tra le altre, Cass., 14 ottobre 1958, n. 3251, in Foro it. 1958, I, c. 1617; App. Brescia, 15 dicembre 1965, in Temi, 1966, p. 15; App. Firenze, 17 maggio 1974, in Dir. fall., 1974, II, p. 1145; Cass. 5 novembre 1979, n. 5770, in Giust. civ., 1980, I, con nota di Spada e in Dir. fall., 1980, II, p. 279, con nota di Farenga; Cass., 9 febbraio 1989, n. 819, in Riv. it. dir. lav., 1989, II, p. 519 ss.; Cass. 18 settembre 1993, n. 9589, in Nuova giur. civ. comm., 1995, p. 309 ss.; Trib. Milano, 17 giugno 1994, in Giur. it., 1995, 1, II, c.290; Trib. Firenze, 10 maggio 1995. in Riv. dir. sport., 1995, p. 796, con nota di Formica; Cons. Stato, IV Sez., 14 ottobre 1997, n. 1176, in Foro amm., 1997, p. 2678 e in Cons. Stato, 1997, I, p. 1354 [torna al testo] [3] MARASA', Forme organizzative dell'attività d'impresa e destinazione dei risultati, in Contratti associativi e impresa, Padova, 1995, p. 162; SPADA, voce Impresa, cit., p. 69. [torna al testo] [4] Cfr, ad esempio, BUONOCORE,
L'imprenditore, nel Manuale di diritto commerciale, a cura di Buonocore,
Torino, 1997, p. 51; BUTTARO, Diritto commerciale, Lezioni introduttive,
Bari, 1995, p. 9 ss; CAMPOBASSO, Diritto commerciale.1 Diritto dell'impresa,
Torino, 1997, p. 32; CASANOVA, Impresa e azienda, nel Tratt. di dir. civ.
fondato da Vassalli, Torino 1974, p. 29 SS.; CORSI, Lezioni di diritto
dell'impresa, Milano, 1992, p. 32 ss.; COTTINO, Diritto commerciale, I,
t.1, Padova, 1993, p. 93; GALGANO, L'impresa, nel Tratt. di dir. comm.
e dir. pubbl. dell'econ. diretto da Galgano, II, Padova, 1978, p. 55; GENOVESE,
La nozione, giuridica dell'imprenditore, Padova, 1990, p. 39 ss.; FERRARA
Jr.-CORSI, Gli imprenditori e le società, Milano, 1997, p. 41; MINERVINI,
L'imprenditore, cit., p. 28 ss.; OPPO, Impresa e imprenditore, cit., p.
280 ss.; In giurisprudenza, tra le altre, App. Torino, 23 gennaio 1952,
in Giur. it., 1952, I, 2, 1981; Trib. Savona, 18 gennaio 1982, cit.; Cass.
6 agosto 1979, n. 4558, in Giust. civ., 1980, con nota di Spada; Trib.
Salerno, 14 aprile 1977, in Giur. merito, 1977, I, 1015; Trib. Napoli,
20 febbraio 1974, in Riv. dir. sport., 1974, 30; Cass. 5 novembre 1979,
n. 5770, cit.; Cass., 2 marzo 1982, n. 1282, in Foro it., 1982, I, c. 1596;
Trib. Venezia, 4 giungo 1984, in Giur. comm., 1986, II, p. 362 ss., con
nota di Marasà; Cass., 9 febbraio 1989, n. 819, cit.; Trib. Milano,
17 giugno 1994, in Foro it., 1994, I, c. 3544; contra, Trib. Milano, 14
ottobre 1985, in Giur. dir. ind., 1985, p. 780; App. Bologna, 7 dicembre
1989, in Riv. dir. ind., 1990, p. 262.
[5] La rilevanza del carattere principale o secondario di un'iniziativa economica condotta da una associazione è sicuramente sancita in sede tributaria, dove, in particolare, viene ad incidere sia nella determinazione del reddito imponibile a fini IRPEG, sia in relazione alle modalità di sottoposizione all'IVA - cfr. FEDELE, Il regime fiscale delle associazioni, in Fenomeno associativo e attività notarile, Napoli, 1995, p. 195 ss.; GALLO, I soggetti del Libro primo del codice civile e la normativa tributaria: problematiche e possibili soluzioni, in Fondazioni e associazioni, Rimini, 1995, p. 117 ss.- . In sede civilistica, invece, mancano disposizioni espresse in senso analogo, come del resto è assente una disciplina specifica concernente le iniziative economiche delle associazioni, circostanza questa che ha ingenerato non pochi contrasti interpretativi non solo in relazione alla misura nella quale le regole indirizzate all’imprenditore ed, in particolare, all’imprenditore commerciale, possano estendersi alle associazioni, ma anche con riguardo alla possibilità di estendere a queste ultime soluzioni normative dettate con riferimento ad altre forme associative, come, ad esempio, le società commerciali. [torna al testo] [6] GALGANO, Delle associazioni non riconosciute, cit., p. 96 ss.; Id. RAGUSA MAGGIORE, Associazione non riconosciuta e fallimento, in Dir. fall., 1960, I, p. 244 ss.; EROLI, Le associazioni non riconosciute, Napoli, 1990, p. 91. [torna al testo] [7] Secondo una particolare formulazione
di questo orientamento, invero, all'origine della sottrazione degli enti
pubblici non economici dallo statuto dell'imprenditore commerciale, risiederebbe
il fatto che in essi l'attività di impresa è destinata alla
realizzazione di scopi altruistici o comunque non lucrativi. La possibilità
di estendere anche alle associazioni un trattamento analogo a quello riservato
agli enti pubblici si giustificherebbe nel fatto che anche nelle associazioni,
di massima, l'attività economica sarebbe funzionale al perseguimento
di scopi ideali. Ne discende che quando in concreto l'attività economica
esercitata da un'associazione non esprimesse una destinazione altruistica
o comunque non economica dei risultati, non sarebbe possibile prospettare
un trattamento analogo a quello degli enti pubblici. BIGIAVI, La professionalità,
cit., p. 87 ss.; Id., Vicende giudiziarie di Nomadelfia, in Giur it., 1953,
IV, c. 24 ss ed ivi alla c. 30. Questo orientamento è rimasto peraltro
minoritario, mentre in misura maggiore si è affermato quello esposto
nel testo, per il quale l'esonero dallo statuto dell'imprenditore commerciale
degli enti pubblici non economici troverebbe la propria ragion d'essere
nel fatto in sé del carattere non prevalente dell'iniziativa economica
rispetto all'oggetto dell'ente.
[8] GALGANO, op. loc. ult. cit. [torna al testo] [9] Cass., 5 novembre 1979, n. 9589, cit., Cass., 12 marzo 1982, in Dir. eccl., 1982, II, p. 197.; Cass., 17 gennaio 1983, n. 341, in Banca, borsa, tit. cred., 1984, II, p. 165; Cass., 18 settembre 1993, n. 9589, cit., per la giurisprudenza di merito, tra le altre, Trib. Torino 10 luglio 1975, in Rep. Foro it., 1980, voce Impresa, n. 36; App. Palermo, 7 aprile 1989, cit.. Hanno dichiarato il fallimento di un'associazione, senza motivare la soluzione nel fatto che l'esercizio di un'impresa commerciale costituiva l'attività principale dell’ente, Trib. Monza, 12 marzo 1955, in Riv. dir. comm., 1956, II, p. 483 ss.; Trib. Savona, 18 gennaio 1982, cit.; Trib. Firenze, 10 maggio 1995, cit.. Nei casi da ultimo richiamati, tuttavia, l'impresa commerciale costituiva l'attività principale delle associazioni considerate, per modo che non è chiaro se queste pronunce si discostino effettivamente dall'orientamento segnalato. [torna al testo] [10] FARENGA, Enti, cit., p. 283; FIENGO, Società e associazione, in Riv. dir. dell'impresa, 1996, 156; FOSCHINI, op. cit., 204, MARASA', Forme organizzative dell'attività d'impresa e destinazione dei risultati, in Cotratti associativi e impresa, cit., p. 166; MINERVINI, L’imprenditore, cit., p. 225; OPPO, voce Impresa e imprenditore, cit., p. 14; RESCIGNO, Fondazione e impresa, in Riv. soc., 1961, p. 812 ss., ora in Persona e comunità, II, Padova, 1988, p 89; SPADA, Note preliminari sull'argomentazione giuridica in tema di impresa, in Giust. civ., 1980, I, p. 2275. [torna al testo] [11] Cfr., ad esempio, BELVISO, L'institore, Napoli, 1966, p. 261 ss.; FARENGA, Enti, cit., p. 283; Id., Esercizio di impresa commerciale da parte di enti privati diversi dalle società e fallimento, in Riv. dir. fall., 1981, II, p. 219; FIENGO, op. cit., p. 156; FOSCHINI, op. cit., p. 203; MARASA', Forme organizzative dell'attività d'impresa, cit., p. 172.; MINERVINI, L'imprenditore, cit., p. 227; NAPOLEONI, Il fallimento delle associazioni non riconosciute, in Il fallimento, 1994, p. 162; PAVONE LA ROSA, Il registro delle imprese, Milano, 1954, 224. Va infine ricordato, secondo un ulteriore orientamento, che la disciplina degli enti pubblici non esprimerebbe invero alcuna esenzione dai doveri di iscrizione nel registro delle imprese e, più in generale, dalle disposizioni indirizzate all'imprenditore commerciale, ma solo una diversa modalità di applicazione della disciplina medesima a seconda che l'attività commerciale sia o meno prevalente. L'art. 2201 dovrebbe essere letto infatti insieme con l'art. 2093 cod. civ., dal quale si potrebbe argomentare che, in generale, per gli enti pubblici non economici, la disciplina dell'imprenditore trova applicazione "limitatamente alle attività esercitate". Ciò significherebbe pertanto che, per quel che concerne l'iscrizione nel registro delle imprese, l'art. 2201 avrebbe considerato i soli enti pubblici economici in quanto solo per questi ultimi l'obbligo pubblicitario investirebbe il soggetto nella sua interezza, mentre con riferimento agli enti non economici esso rimarrebbe circoscritto ai dati dell'impresa - COSTI, Fondazione e impresa, cit., p. GATTI, op. cit., p. 108 ss.; NIGRO, Imprese commerciali e imprese soggette a registrazione, in Tratt. di dir. priv. diretto da Rescigno, 15, Torino, 1983, pp. 1306-1307 -. In questa prospettiva si propone poi di estendere le stesse soluzioni ai soggetti di cui al libro I del codice civile, evidenziandosi come la disciplina degli enti pubblici esprima invero la naturale reazione dello statuto dell’imprenditore commerciale al carattere prevalente o non prevalente dell'iniziativa economica. Va peraltro rilevato che l'orientamento ora richiamato, non sembrerebbe proporre, per quel che concerne il fallimento delle associazioni, soluzioni divergenti da quelle proposte dalla dottrina maggioritaria. Poiché infatti nell'associazione, come nella persona fisica, l’esercizio dell'impresa non determina la creazione di un patrimonio autonomo a ciò preposto, anche nell'ipotesi di attività secondaria l'apertura della procedura fallimentare verrebbe fatalmente ad investire l'intero patrimonio dell’associazione. [torna al testo] [12] Al proposito deve segnalarsi che una mancata occasione di chiarimento circa la posizione delle associazioni è rappresentata senza dubbio dalla attuazione del registro delle imprese. Il regolamento di attuazione, D.P.R. 7 dicembre 1995, n. 581, non considera infatti le associazioni nell'ambito dei soggetti tenuti all’iscrizione. Tale silenzio, se da un lato non dovrebbe implicare l'esclusione di queste ultime dagli obblighi pubblicitari, dato anche il valore esemplificativo dell'elencazione contenuta nel regolamento (come confermato anche dal fatto che la Circolare ministeriale 8 febbraio 1996, n. 3385, di approvazione della modulistica da impiegare per l'iscrizione, contempla anche le associazioni), lascia peraltro irrisolti i problemi concernenti i presupposti dell'iscrizione, ed, in ogni caso, non chiarisce con quali modalità le associazioni debbano assolvere ai doveri pubblicitari. Per queste problematiche si vedano RASA'-IBBA, Il registro delle imprese, Torino, 1997, p. 70 ss. e p 126 ss. [torna al testo] [13] Come si vedrà nel corso dell'esposizione che segue nel testo, i problemi interpretativi sorti al riguardo risentono, in certa misura, delle incertezze concernenti il senso e la portata della previsione ora richiamata. In particolare si discute se i soggetti chiamati a rispondere ex art. 38 debbano essere identificati nei rappresentanti dell'associazione, overo nei suoi amministratori. Incerto è parimenti se detta responsabilità debba riconnettersi agli atti concretamente posti in essere dal soggetto, come ritiene chi lo identifica nel rappresentante, ovvero a tutti i debiti dell'associazione, soluzione questa preferita da chi collega la responsabilità al potere di amministrazione. Per una disamina di queste problematiche si veda, BULLO, La responsabilità dell'associazione e quella dei suoi rappresentanti ai sensi dell'art. 38 c.c., in Studium iuris, 1998, p. 413 ss.. Ulteriori riferimenti sono riportati nella parte che segue. [torna al testo] [14] Cass., 18 settembre 1993, n. 9589, cit.; nello stesso senso Trib. Monza, 12 marzo 1955, cit.; Trib. Firenze, 10 maggio 1995, cit.; contra Trib. Savona, 18 gennaio 1982, cit. [torna al testo] [15] Cfr., in particolare, Cass. 18 settembre 1993, n. 9589, cit.. Si segnala inoltre che secondo Trib. Milano, 17 giugno 1994, cit., il fallimento del rappresentante dovrebbe conseguire anche a quello della fondazione che, contravvenendo alla propria funzione tipica, abbia assunto a titolo prevalente l'esercizio di un'attività di impresa commerciale; questa circostanza renderebbe infatti disapplicabile il provvedimento di riconoscimento della persona giuridica. Sulla pronuncia, PONZANELLI, in Foro it., 1994, I, c.3544 ss.; GALGANO, Molti opinabili obiter dicta per una buona ratio decidendi, in Cotratto e impresa, 1994, p. 1045 ss. [torna al testo] [16] Trib. Firenze, 10 maggio 1995, cit. [torna al testo] [17] Nel senso che la responsabilità ex art. 38 cod. civ. si estenda agli amministratori dell'associazione, anche FERRARA Sr., Le persone giuridiche,II ed. a cura di Ferrara Jr., Torino, 1956, p. 437 ss.; FERRO LUZZI, I contratti associativi, Milano, 1971, p. 248, nota 15. In giurisprudenza, Trib. Roma, 15 aprile 1985, in Le società, 1985, p. 1087. [torna al testo] [18] Questo orientamento estende agli amministratori dell'associazione le soluzioni che una parte della dottrina ha formulato con riguardo ai soci ilimitatamente responsabili dei debiti sociali, cfr., in particolare, BIGIAVI, Sulla qualità d'imprenditore del socio illimitatamente responsabile, in Riv. dir. civ., 1958, II, p. 296 ss.; BUONOCORE, Fallimento e impresa, Napoli, 1969, p. 34 ss. [torna al testo] [19] Nel senso che la responsabilità ex art. 38 cod. civ. spetti ai rappresentanti dell'associazione, BELVISO, L'institore, cit., p. 269; BIANCA, Diritto civile, cit., p. 360; COLUSSI, voce Impresa collettiva, cit., p. 6; EROLI, Le associazioni non riconosciute, cit., p. 236 ss.; PERSICO, voce Associazioni non ricosciute, in Enc. dir., Milano, 1958, p. 892; RESCIGNO, Manuale del diritto privato italiano, Napoli, 1994, p. 213; RUBINO, op. cit., p. 252 ss. In giurisprudenza, tra le altre, Cass. 22 luglio 1981, n. 4710, in Rep. Foro it., voce Associazioni e fondazioni, n. 10; Cass. 26 febbraio 1985, n. 1655, in Foro it., 1985, I, c. 2672; Cass. 18 settembre 1993, n. 9589, cit. [torna al testo] [20] In questo senso, per tutti, OPPO, L’impresa come fattispecie, in Riv. dir. civ., 1982, I, p. 108 ss., ora anche in Scritti giuridici, Padova, 1992, p. 254 ss. In giurisprudenza, tra le altre, Cass., 18 settembre 1989, n. 9589, cit.; ; Cass., 3 aprile 1987, n. 3229, in Fallimento, 1987, p. 1045; Cass., 12 aprile 1984, n. 2359, in Giur. comm., 1984, II, p. 663. [torna al testo] [21] Cfr., in particolare, BUONOCORE, Fallimento e impresa, cit., p. 34 ss. [torna al testo] [22] Cfr. GATTI, op. cit., p. 125. [torna al testo] [23] Cfr. CAMPOBASSO, Associazioni e attività di impresa, cit., p.593. [torna al testo] [24] Cfr., per le prime, l'art. 151 l. fall.; per i secondi, l'art. 36 Reg. n. 2135/87/CEE e l'art, 9 d. lgs. 23 luglio 1991, n. 240. Sul fallimento delle cooperative e dei GEIE cfr., in generale, BUONOCORE, Diritto della cooperazione, Bologna, 1997, p. 353 ss.; MARASA’, Crisi dell’impresa mutualistica e responsabilità dei partecipanti, in Contratti associativi e impresa, cit., p. 183 ss.; MASI, Il gruppo europeo di interesse economico, Torino, 1994, p. 147 ss.; RACUGNO, La responsabilità dei soci nelle cooperative, Milano, 1983, p. 103 ss. [torna al testo] [25] Nel senso che il fine non lucrativo delle associazioni dovrebbe suggerire di limitare la ricerca dei presuposti dell'analogia nell'ambito delle disposizioni concernenti le cooperative e i GEIE, cfr. CAMPOBASSO, Associazione e attività di impresa, cit., p. 593. [torna al testo] [26] Cfr. MARASA', Crisi dell'impresa mutualistica, cit., p. 192. BUONOCORE, Diritto della cooperazione, cit., p. 356, il quale evidezia anche che, nella prospettiva del legislatore storico, la sottrazione al fallimento dei soci di cooperative potrebbe corrispondere anche alla volontà di escludere dalla procedura le classi meno abbienti; con riferimento al GEIE, MASI, Il gruppo europeo, cit., p. 151, per il quale lo scopo non lucrativo del Gruppo costituisce una delle possibili ragioni della sottrazione al fallimento dei suoi partecipanti, alla quale devono aggiungersi l'assenza di poteri gestori in capo a questi ultimi in quanto tali, nonché la difficoltà di coinvolgere in una procedura nazionale soggetti appartenenti a Paesi diversi. [torna al testo] [27] Cfr, al proposito, GATTI, op. cit., p. 121; PELLEGRINO, op. cit., p. 127. [torna al testo] [28] Cfr. COLUSSI, op. cit., p. 6; FERRARA Sr., Le persone giuridiche, cit., p. 441; FIENGO, op. cit., p. 160; PELLEGRINO, op. cit., p. 126; PERSICO, op. cit., p. 892; SATTA, Diritto fallimentare, Padova, 1990, p. 29. [torna al testo] [29] RESCIGNO, Manuale, cit., p. 213. [torna al testo] [30] COLUSSI, op. cit., p. 6; PASTERIS, Fallimento dell'associazione non riconosciuta e responsabilità di coloro che hanno agito per essa, in Riv. dir. comm., 1956, II, p. 489 ss.; PERSICO, op. cit., p. 892 [torna al testo] [31] Cfr. sul punto GALGANO, Il fallimento delle società, in Tratt. di dir. comm. e dir. pubbl. dell'econ., cit., X, 1988, p. 78 ss. [torna al testo] [32] Cfr. FARENGA, Associazione, società, impresa, cit., p. 40 ss. [torna al testo] [33] Cfr. GALGANO, Delle persone giuridiche, nel Commentario al codice civile a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1969, p. 191. [torna al testo] [34] Con riferimento alle associazioni riconosciute, Cfr. F. GALGANO, Delle persone giuridiche, cit. p. 216; F. FERRARA Sr., op. cit., p. 288. Nel senso che gli amministratori di associazione siano tenuti a rispondere verso i terzi per gli illeciti compiuti nell'esercizio delle proprie funzioni, similmente a quanto previsto dall'art. 2395 c.c. per gli amministratori di s.p.a., M. BASILE, Gli enti di "fatto", in Tratt. di dir. priv. diretto da Rescigno, 2, Torino, 1982, p. 333. [torna al testo] [35] Nel senso che il curatore fallimentare sia legittimato ad esperire l’azione di responsabilità contro gli amministratori di un’associazione cfr. Trib. Padova, 24 novembre 1993, in Nuova giur. civ. comm., 1995, p. 866. La pronuncia si riferisce peraltro all’azione spettante all’associazione per i danni ad essa arrecati dagli amministratori. [torna al testo] [36] Questo approccio è
seguito dal legislatore francese, che in caso di ammissione ad una procedura
concorsuale di una personne morale avente ad oggetto l'esercizio di attività
economiche, chiama gli amministratori che siano responsabili delle perdite
a ripianare il danno arrecato al patrimonio dell'ente - l. 13 luglio 1967,
n. 67-563. Per un raffronto tra la disciplina francese e quella italiana
FUSARO, I fallimenti nel settore <<non profit>>, e la repressione
degli <<abusi>>, confronto con il modello francese, in Riv. soc.,
1998, p. 1259 ss. [torna al
testo]
Didascalie Testa di guerriero proveniente da un gruppo acroteriale. Faleri Veteres. Tempio dei Sassi Caduti. Antefissa fittile (V sec.a.C.) Maschera di demoni in terracotta. (Museo Faina, Orvieto) Faleri Veteres. Tempio dei Sassi Caduti. Antefissa fittile (V sec.a.C.) Maschera di demone in terracotta. (Museo Faina,
Orvieto)
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