con
nota
di
F. Macario
Corte di Cassazione - Sezione
I civile - sentenza 14 ottobre 1997 n. 10031 - Pres. Sgroi - Est.
Marziale - P.M. Maccarone (concl. diff.); Modiano e altri (Avv.
Sorrentino, Di Maio) c. Soc. Fundus in l.c.a. (Avv. Romanelli, Maccagno,
Benessia). Cassa App. Torino 27 settembre 1994.
LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA - SOCIETA'
FIDUCIARIA - AZIONE DI RIVENDICA, RESTITUZIONE E SEPARAZIONE DEI BENI DEI
FIDUCIANTI - AMMISSIBILITA' (Cod. civ., art. 1706, 1707, 1782; R.D. 16
marzo 1942, art. 103)
Va
accolta la domanda di rivendica proposta dai fiducianti in sede di liquidazione
coatta amm.va di una società fiduciaria, avente ad oggetto i titoli
azionari acquistati dalla fiduciaria per conto dei fiducianti, indipendentemente
dal fatto che: a) i titoli non siano intestati singolarmente e nominativamente,
ma siano raggruppati in un unico certificato azionario rappresentativo
di tutti i titoli appartenenti ai fiducianti; b) le risultanze contabili
della fiduciaria e la documentazione presso la banca agente ovvero l’istituto
di credito depositario non permettano di ricollegare i titoli azionari
ai singoli fiducianti; c) gli amministratori della fiduciaria abbiano compiuto
indebite commistioni fra i conti d’ordine intestati ai fiducianti.
(omissis)
Svolgimento del processo.
1.
Con ricorso proposto il 7 ottobre 1989, ai sensi degli artt. 98, 191 e
103 L.F., Guido Modiano, Fernando Garrone, Fiorentino Rota, Ernesto Bertolotti
e Léontine Martin proponevano opposizione allo stato passivo della
società Fundus - Fiduciaria per l’Investimento Azionario S.p.A.
in liquidazione coatta amministrativa (d’ora innanzi Fundus), dolendosi
del mancato accoglimento della domanda da essi avanzata al fine di ottenere
la consegna dei seguenti titolari azionari emessi dalla società
di diritto lussemburghese Capital Italia, che la Fundus aveva acquistato
su loro preciso mandato:
*
6480,667 azioni, acquistate per conto del Modiano, sulla base dei contratti
n. 0018008 GF e n. 0034201 MA;
* 218,781
azioni, acquistate per conto del Garrone, sulla base del contratto n. 0024737
LC;
*
3705,957 azioni, acquistate per conto del Rota, sulla base del contratto
n. 0018539 MM;
* 5206,380
azioni, acquistate per conto del Bortolotti, sulla base del contratto n.
0023825 LL;
*
6177,239, azioni, acquistate per conto della Martin, sulla base del contratto
n. 0026846 ED.
La domanda era stata respinta dai commissari
liquidatori, ponendo in evidenza che i titoli reclamati non erano intestati
nominativamente ai singoli fiducianti e dovevano quindi essere considerati
come appartenenti alla massa. In favore dei fiducianti era stato tuttavia
riconosciuto un credito pari al controvalore dei titoli alla data di apertura
della procedura concorsuale (12 luglio 1988). Gli opponenti censuravano
tale decisione, osservando che gli acquisti erano stati effettuati con
mezzi finanziari messi a disposizione della società fiduciaria per
tale specifica finalità ed erano stati registrati in contabilità
in sottoconti intestati a ciascun fiduciante e che, pertanto, i titoli
acquistati non erano confluiti nel patrimonio della società, di
cui era stata decretata l’insolvenza, e dovevano quindi essere loro riconsegnati.
1.1.
Il Tribunale, pur dando atto che la società convenuta si era limitata
ad effettuare, per conto degli attori e secondo le istruzioni da essi impartite,
un investimento in azioni della Capital Italia e che i titoli acquistati
erano stati depositati in custodia presso una banca (Banque Génerale
du Luxembourg), ponevano in evidenza che essi erano stati raggruppati in
un unico certificato azionario, “che cumulativamente rappresentava tutte
le azioni di pertinenza dei fiducianti”, il cui valore complessivo “veniva
quotidianamente variato in relazione al saldo tra i nuovi acquisti (a fronte
dei versamenti dei fiducianti) e le vendite (per conto dei fiducianti che
volevano disinvestire)”. La posizione di ogni fiduciante - si osservava
nella sentenza - era pertanto distinguibile solo da un punto di vista quantitativo,
non essendo individuate, con il relativo numero di serie, le singole azioni
spettanti a ciascuno dei fiducianti in proporzione dell’investimento effettuato.
Tale circostanza, secondo i giudici di primo
grado, rappresentava, alla stregua dei principi dettati dagli artt. 1706
e 1707 cod. civ. e dall’art. 103 L.F., un ostacolo insormontabile all’accoglimento
dell’opposizione essendo “il procedimento per la rivendica, restituzione
e separazione dei beni mobili dall’attivo concorsuale… esclusivamente per
le cose mobili determinate, non fungibili” e, appunto per questo, incompatibile
con un’attività diretta all’individuazione (e alla conseguente attribuzione
al rivendicante) di una parte dei beni ricompresi nel “genere”. Né,
a loro avviso, avrebbe potuto farsi utilmente ricorso alle disposizioni
della legge 2 gennaio 1991, n. 1, che aveva introdotto il principio della
separazione tra il patrimonio della fiduciaria e quello dei fiducianti,
non avendo tale disciplina carattere retroattivo e non potendo, quindi,
essere applicata ai rapporti intercorsi tra le parti.
L’opposizione era pertanto respinta, con sentenza
depositata il 28 febbraio 1991.
1.2.
Gli opponenti proponevano appello, censurando la sentenza impugnata per
non aver considerato:
* che
la società convenuta era una società fiduciaria e che, pertanto,
i beni acquistati e amministrati per conto dei fiducianti erano sottratti
all’azione esecutiva dei creditori della società fiduciaria, costituendo
una massa separata rispetto agli altri beni ricompresi nel patrimonio sociale,
giusta un principio che, anche se affermato esplicitamente dal legislatore
per la prima volta con l’art. 17, legge 2 gennaio 1991, n. 1, era in realtà
già operante nel nostro ordinamento, essendo connaturato alla natura
e alle modalità operative di tal genere di società;
* che,
conseguentemente, nel caso in cui una società fiduciaria sia assoggettata
a fallimento o a liquidazione coatta amministrativa, i beni dei fiducianti,
in applicazione di detto principio, debbono essere separati dal residuo
patrimonio della fiduciaria e quindi restituiti ai singoli fiducianti,
che ne sono gli “effettivi proprietari”, in proporzione delle rispettive
quote di investimento;
* che
l’iscrizione nei conti d’ordine della società fiduciaria è
sufficiente a salvaguardare i diritti dei fiducianti sui beni amministrati
nel loro interesse, offrendo la dimostrazione dell’appartenenza dei beni
iscritti all’intestatario del conto;
* che,
pertanto, nessuna prova doveva essere fornita a tale riguardo, da parte
dei fiducianti, essendo, al contrario, gli organi della procedura, tenuti,
di fronte a tale evidenza contabile, a fornire la dimostrazione della inattendibilità
delle risultanze probatorie.
Il gravame veniva però respinto dalla
Corte territoriale, la quale, pur non mostrandosi aliena dal riconoscere
l’esistenza, già prima dell’entrata in vigore della legge 2 gennaio
1991, n. 1, di “di un regime di astratta separatezza, determinato dal prevalere
del sottostante rapporto di mandato” dei beni acquistati e amministrati
dalla società fiduciaria per conto dei fiducianti, ribadiva che
la domanda proposta dagli opponenti non poteva essere accolta, in quanto:
a] le risultanze contabili non permettevano di
“individuare i titoli azionari sottoscritti all’origine dal singolo fiduciante”;
b] non erano individuabili, né presso
la banca agente (Credito Italiano) né presso l’istituto di credito
estero depositario (Banque Génerale de Luxembourg), poste specifiche
per i singoli fiducianti e, tanto meno, suddivisioni di titoli azionari;
c) gli amministratori della società fiduciaria
avevano effettuato indebite commistioni tra i vari conti d’ordine intestati
ai singoli fiducianti con conseguente alterazione dei montanti complessivi;
d) non vi era corrispondenza tra il numero complessivo
dei titoli azionari della Capital Italia indicati dalla banca agente come
spettanti ai fiducianti (33.877) e quello da essi indicato con l’atto di
opposizione (21.786).
1.3. Questi ultimi chiedono la cassazione della
sentenza impugnata con quattro motivi illustrati con memoria. Gli organi
della liquidazione resistono con controricorso.
Motivi della decisione
(omissis)
3.
I quattro motivi di gravame sono tra
loro connessi e possono essere, quindi, esaminati congiuntamente.
Con essi i ricorrenti, - denunziando: a) violazione
e falsa applicazione dell’art. 1, legge 23 novembre 1939, n. 1966 e dell’art.
3bis, D.L. 16 febbraio 1987, n. 27, convertito, con modificazioni, nella
legge 13 febbraio 1987, n. 148; b) errata applicazione “dei principi in
tema di individuazione di valori mobiliari con riferimento all’attività
propria di società fiduciaria e della disciplina dei fondi comuni
di investimento mobiliare”; c) violazione della disciplina valutaria -
censurano la sentenza impugnata per non aver accolto la domanda da essi
proposta ai sensi dell’art. 103 L.F., senza considerare:
a] che i valori mobiliari assunti in amministrazione
dalla società fiduciaria sono di “effettiva proprietà” dei
fiducianti;
b] che gli ordinari principi in tema di individuazione
dei beni non operano in relazione alle società fiduciarie che svolgono
attività di amministrazione di valori mobiliari;
c] che, conseguentemente, l’accoglimento della
domanda non poteva trovare ostacolo nella circostanza che i dati contabili
relativi alla posizione di ciascun fiduciante erano stati espressi solo
in termini quantitativi e che, pertanto, presso l’istituto estero depositario
non erano individuabili poste riferite a ciascun fiduciante con l’indicazione
specifica dei titoli attribuiti;
d] che nel caso di specie i titoli, nel pieno
rispetto di quanto stabilito dalla disciplina valutaria allora vigente
(art. 20, D.M. 12 marzo 1981, in relazione alla legge 7 febbraio 1956,
n. 43 e al D. Lgs. 2 marzo 1948, n. 211), erano stati depositati presso
una banca abilitata alla custodia e all’amministrazione di titoli esteri
a nome della società fiduciaria, indicando in apposite sottorubriche
le partite riferibili ad ogni fiduciante quale “effettivo proprietario”.
4.
Le
doglianze, in tali termini formulate, vanno riconosciute fondate.
Sono società “fiduciarie” quelle che “si
propongono, sotto forma d’impresa, di assumere l’amministrazione dei beni
per conto di terzi” (art. 1, legge 23 novembre 1939, n. 1966). Come si
desume dall’art. 6 della stessa legge, tale attività va distinta
da quella che abbia per oggetto la “gestione fiduciaria di beni conferiti
da terzi, corrispondendo utili della gestione”.
Nell’una e nell’altra ipotesi si è in
presenza di un’attività svolta nell’interesse altrui. Le differenze
derivano dal fatto che, mentre la società fiduciaria non ha il potere
di disporre del bene affidatole in amministrazione dal fiduciante, il gestore
acquista la piena disponibilità dei beni conferiti e può
quindi alienarli, utilizzando il ricavato per procedere a nuovi acquisti
nell’interesse del conferente. Quest’ultima attività, riservata
un tempo agli enti di gestione fiduciaria (art. 45, D.P.R. 13 febbraio
1959, n. 449, recante il t.u. delle leggi sulle assicurazioni private)
ora soppressi (art. 1, D.L. 16 febbraio 1987, n. 27, convertito, con modificazioni,
nella legge 13 aprile 1987, n. 148), è attualmente riservata alle
società di gestione di fondi comuni d’investimento (artt. 1 e 10,
6° comma, legge 23 marzo 1983, n. 77; artt. 1 e 6, 4° comma, legge
14 agosto 1993, n. 344; art. 1 e 10, 4° comma, legge 25 gennaio 1994,
n. 86) ed ha i caratteri tipici della gestione “in monte”, così
denominata perché gli apporti dei singoli investitori confluiscono
in un unico patrimonio gestito dall’intermediario a rischio e nell’interesse
collettivo degli investitori, senza che essi abbiano alcuna possibilità
di interferire sulle scelte gestionali da lui effettuate (artt. 3 e 4,
legge n. 77/83, 9 e 10, legge 344/93; 13 e 14, legge n. 86/94).
5.
Sia
la Corte d’Appello che il Tribunale di Torino hanno ravvisato un ostacolo
insormontabile, per l’accoglimento della domanda proposta dai ricorrenti
ai sensi dell’art. 103 L.F., nella circostanza che essa fosse riferita
a beni non individuati (…).
In effetti, è ricorrente, anche nella
giurisprudenza di questa Corte (Cass. 16 maggio 1990, n. 4262; 20 febbraio
1984, n. 2633), l’affermazione che le domande di rivendicazione, restituzione
o separazione, previste dall’art. 103 L.F., sono ammissibili soltanto se
la cosa è stata determinata nella sua specifica e precisa individualità
e che, in caso contrario, è configurabile (solo) un diritto di credito
(alla restituzione del tantundem) azionabile nei confronti della curatela
del fallimento secondo le modalità e con gli effetti previsti dagli
artt. 93 e segg. L.F..
Orbene, non può negarsi che, in linea
di massima, le cose fungibili che non siano state individuate al momento
della consegna, entrano nella disponibilità di chi le riceve, il
quale acquista il diritto di servirsene e, appunto per questo, ne diventa
proprietario, pur essendo tenuto a restituirne altrettante della stessa
specie e qualità.
5.1.
L’ipotesi è specificamente regolata dall’art. 1782 cod. civ., il
quale tuttavia precisa che il passaggio della proprietà dal depositante
al depositario non costituisce una conseguenza indefettibile della fungibilità
delle cose depositate, poiché tale effetto si realizza solo se al
depositario è concessa (anche) la facoltà di servirsi di
tali beni nel proprio interesse: in tal caso il deposito viene ad assolvere
anche una funzione di credito nell’interesse del depositario e questo spiega
perché a tale contratto si applichino, in quanto compatibili, le
norme sul mutuo (art. 1782, 2° comma, cod. civ.) .
Il fatto che la concessione della facoltà
d’uso concorra, con la natura delle cose depositate, a determinare l’acquisto
della proprietà da parte del depositario rende evidente - come del
resto si sottolinea nella Relazione al codice (ivi, § 728) - che la
proibizione di servirsi della cosa ricevuta in deposito (art. 1770, 1°
comma, cod. civ.) sussiste anche quando tale contratto abbia ad oggetto
una quantità di danaro o di cose fungibili e porta a riconoscere
l’ammissibilità di un deposito regolare di beni fungibili che non
siano stati individuati al momento della consegna.
5.2.
In questo quadro deve essere valutata la portata delle disposizioni che
qualificano i fiducianti quali “proprietari effettivi” dei beni da essi
affidati alle società fiduciarie (art. 1, ultimo comma, R.D. 29
marzo 1942, n. 239; art. 9, 1° comma, 29 dicembre 1962, n. 1745; art.
20, 2° comma, D.M. 12 marzo 1981, G.U., n. 82 del 24 marzo 1981, S.O.;
art. 3, 9° comma, D.L. 30 gennaio 1979, n. 26, convertito, con modificazioni,
nella legge 3 aprile 1979, n. 95; art. 2, 10° comma, D.L. 5 giugno
1986, n. 233, convertito, con modificazioni, nella legge l agosto 1986,
n. 430), escludendo che tali società possano liberamente disporre
delle cose ricevute in consegna (retro, 4).
L’espresso riconoscimento della “separazione”
dei beni conferiti dai fiducianti rispetto al patrimonio della fiduciaria
è stato effettuato per la prima volta dal legislatore con l’art.
17 della legge 2 gennaio 1991, n. 2, sulla disciplina dell’attività
di intermediazione mobiliare, che ha dichiarato applicabile a tali società
l’art. 8 della stessa legge, con il quale si stabiliva, tra l’altro:
* che
il patrimonio conferito in gestione dai singoli clienti costituiva patrimonio
“distinto”, a tutti gli effetti, da quello della società intermediaria
e da quello degli altri clienti;
* che
sul patrimonio conferito in gestione non erano ammesse azioni dei creditori
della società o nell’interesse dei medesimi;
* che,
per converso, le azioni dei creditori dei singoli clienti erano ammesse
nei limiti del patrimonio di loro proprietà.
E tale riconoscimento è stato successivamente
ribadito dal D. Lgs. 23 luglio 1996, n. 415 che, nel dettare le nuove norme
relative ai servizi d’investimento nel settore dei valori mobiliari, ha
abrogato tali disposizioni (art. 66, 2° comma, lett. b), ma ha confermato
che la disciplina delle società fiduciarie continua ad essere caratterizzata,
per tale aspetto, dai principi concernenti le società d’intermediazione
(art. 60, 4° comma), in relazione alle quali si prevede ora che gli
strumenti finanziari e lo stesso danaro dei singoli clienti, a qualunque
titolo detenuti dall’impresa di investimento, nonché gli strumenti
finanziari dei singoli clienti, a qualunque titolo dalla banca, “costituiscono
patrimonio distinto a tutti gli effetti da quello dell’intermediario e
da quello degli altri clienti” (art. 19, 1° comma).
6.
Detto principio, peraltro, doveva ritenersi vigente nel nostro ordinamento,
già prima dell’entrata in vigore di tali norme.
Invero, la qualificazione del fiduciante quale
“effettivo proprietario” dei titoli affidati in amministrazione fiduciaria
(retro, 5.1) rendeva palese l’intento di attribuire a detto soggetto una
tutela di carattere reale, azionabile in via diretta ed immediata nei confronti
di ogni consociato.
Questa Corte ha già avuto occasione di
statuire che “il proprium del rapporto” intercorrente tra la società
fiduciaria e i fiducianti “consiste nell’intestazione di . . . [beni] appartenenti
effettivamente ad altri proprietari” e che, pertanto, la proprietà
della società fiduciaria, pur non potendo dirsi “fittizia” (perché
effettivamente voluta, e appunto per questo estrinsecantesi in obblighi
di gestione e di garanzia degli “effettivi titolari”), ha carattere “formale”
(sent. 10 dicembre 1984, n. 6478). E, muovendo da tale premessa, ha negato
che il patto fiduciario abbia “carattere meramente obbligatorio”, osservando
che la discrepanza del mezzo usato rispetto all’intento pratico perseguito
dalle parti (intestazione, anziché mandato ad amministrare), non
assume rilevanza sul piano giuridico in quanto il fiduciante, malgrado
l’intestazione del bene alla società fiduciaria, ne conserva la
proprietà “effettiva” ed è quindi in grado di disporne, senza
necessità di alcun formale “ritrasferimento” di detto bene da parte
della fiduciaria.
La decisione, resa a Sezioni Unite, aveva specifico
riferimento agli aspetti tributari dell’intestazione fiduciaria. Ma i principi
in essa affermati - come è stato chiarito da questa stessa Corte
con una successiva sentenza con la quale si è escluso, in un giudizio
avente ad oggetto l’impugnazione di clausole testamentarie, che il contraddittorio
dovesse essere integrato nei confronti di coloro che risultavano titolari
dei beni caduti in successione in qualità di “semplici fiduciari
(Cass. l° luglio 1993, n. 7186) - avevano una portata più generale
e
ponevano le premesse per attribuire rilievo alla posizione del fiduciante
anche nell’ambito dei rapporti interprivati e, in particolare, nei confronti
dei creditori del fiduciario.
L’esattezza di tale conclusione - che trova una
significativa conferma nel fatto che la società fiduciaria era priva
del potere di disporre dei beni ad essa affidati dai clienti (retro, 4)
- è ulteriormente avvalorata dalla circostanza che le società
fiduciarie dovevano già allora depositare i valori mobiliari e le
disponibilità liquide dei fiducianti presso aziende di credito in
conti rubricati come di ‘’amministrazione fiduciaria”, sottratti ad ogni
possibilità di compensazione (Circ. Min. Ind. 5 maggio 1989, n.
3188/C, [G.U. n. 111 del 15 maggio 1989], §§ 17.4, 17.5) e istituire,
all’atto della notifica del decreto di autorizzazione, un “Libro dei fiducianti”,
con l’annotazione delle generalità dei fiducianti, delle somme di
denaro e dei valori mobiliari conferiti con il rispettivo valore di carico
(ivi, § 18) . E che da non diversi principi, in base a quanto stabilito
dalle norme valutarie allora vigenti (le quali non a caso qualificavano
il fiduciante come “effettivo proprietario”: art. 20, D.M. 12 marzo 1981,
G.U., S.O., n. 82 del 24 marzo 1981), era regolata l’intestazione al nome
di società fiduciarie di titoli emessi o pagabili all’estero.
Tali modalità operative, chiaramente ispirate
dall’esigenza di tenere distinti i valori mobiliari e le disponibilità
liquide dei fiducianti dal patrimonio della fiduciaria, spiegano perché
dette società, a differenza dei semplici mandatari, fossero tenute
a rivelare le generalità dei fiducianti, non solo all’amministrazione
finanziaria e alle autorità preposte alla loro vigilanza (art. 1,
ultimo comma, R.D. n. 239/42, cit.; art. 4 bis, 2° comma, legge 7 giugno
1974, n. 216; art. 6, 3° comma, legge 12 agosto 1982, n. 576; art.
21, 3° comma, D. Lgs. l settembre 1993, n. 385), ma anche nell’ambito
di procedure concorsuali che, pur essendo caratterizzate dalla presenza
di elementi pubblicistici, sono finalizzate alla tutela di interessi privati
(art. 3, 9° comma, D.L. n. 26/79; art. 2, D.L. n. 233/76).
6.2.
È quindi esatta l’affermazione che già allora fosse possibile
trarre dal nostro sistema normativo indicazioni sufficienti a giustificare
la “separazione” dei valori mobiliari affidati dai fiducianti alla società
fiduciaria pur in mancanza di una loro specifica individuazione; sempre
che, s’intende, l’esistenza del rapporto fiduciario risultasse da scrittura
avente data certa anteriore al fallimento e la sua riferibilità,
sia pure in termini quantitativi, ai titoli intestati alla società
fiduciaria fosse inequivoca.
E che, conseguentemente, nella ricorrenza di
tali condizioni (che, per quanto si è detto, comportavano la permanenza
del diritto di proprietà del fiduciante sui valori affidati in amministrazione
fiduciaria), il fiduciante potesse far valere anche nei confronti della
curatela del fallimento (o, come nel caso di specie, dagli organi preposti
alla liquidazione coatta) della fiduciaria il diritto alla restituzione
dei beni in precedenza affidati a tale società.
A giustificare l’accoglimento delle domande proposte
sulla base dell’art. 103 L.F., che ha la finalità di depurare il
patrimonio del fallito dagli elementi ad esso estranei, è invero
sufficiente la dimostrazione che si è determinata una situazione
idonea ad impedire che la cosa della quale si reclami la restituzione si
sia confusa nel patrimonio del fallito entrando a far parte dei beni oggetto
di sua proprietà.
Non può negarsi che, in linea di principio,
perché si realizzi una situazione siffatta rispetto alle cose fungibili,
occorre che la cosa sia determinata nella sua specifica e precisa individualità.
Si è però osservato che, per l’acquisto della proprietà
da parte di chi riceve in deposito una quantità di danaro o di altre
cose fungibili, è necessario che a tale soggetto sia concessa (quanto
meno implicitamente) la facoltà di servirsene, non essendo la natura
fungibile del bene consegnato, di per sé sola, sufficiente a determinare
il prodursi di tale effetto (retro, 5.1).
Le società fiduciarie non possono disporre,
né possono comunque utilizzare nel proprio interesse, i beni loro
affidati (retro, 5) . E la considerazione di tale aspetto, come si è
visto, consente di ritenere, sulla base delle norme che prima dell’entrata
in vigore della legge n. 1 del 1991 regolavano l’attività di tali
società - qualificando, da un lato, i fiducianti quali “effettivi
proprietari” dei beni affidati in amministrazione fiduciaria e avendo cura,
dall’altro, di prescrivere che le disponibilità liquide e i valori
mobiliari “dei fiducianti” dovessero essere depositati presso terzi “in
conti rubricati come di amministrazione fiduciaria” - che, già allora,
tali beni costituissero una massa patrimoniale “distinta”, a tutti gli
effetti dal patrimonio della fiduciaria e, come tale, sottratta alle azioni
esecutive dei suoi creditori.
7.
La sentenza impugnata, dopo aver rilevato che nel caso di specie il problema
doveva essere affrontato avendo riguardo alla situazione normativa esistente
prima del nuovo regime introdotto dalla legge n. 1 del 1991, ha respinto
le richieste formulate dai ricorrenti, confermando quella di primo grado,
sul rilievo:
a] che le risultanze contabili non consentivano
dì individuare titoli acquistati dalla società fiduciaria
per conto dei fiducianti, dal momento che le poste riferibili a ciascuno
di essi erano distinguibili solo da un punto di vista quantitativo, non
essendo specificato il rispettivo numero di serie;
b] che erano state effettuate indebite commistioni
tra i vari conti d’ordine intestati ai singoli fiducianti;
c] che il numero complessivo dei titoli azionari
reclamati dai ricorrenti era inferiore a quello indicato dalla banca depositaria
come ad essi spettante.
È però agevole replicare, quanto
al rilievo sub a):
* che
il permanere in capo ai fiducianti, per le ragioni già indicate,
della proprietà sui beni affidati alla fiduciaria è sufficiente
a giustificare l’accoglimento della domanda ex art. 103 L.F..
E, quanto agli altri:
* che
l’eventuale commistione dei conti tra i fiducianti non è di per
sé idonea ad impedire il riconoscimento della “separatezza” dei
beni intestati alla società fiduciaria nell’interesse di tali soggetti
rispetto agli altri beni facenti capo a detta società poiché
tale “commistione” non coinvolge i rapporti tra i fiducianti e la fiduciaria,
ma è limitata a quelli che intercorrono tra i singoli fiducianti
nell’ambito di una massa patrimoniale composta di beni dei quali i fiducianti
(e non la fiduciaria) sono i proprietari “effettivi”;
* che
del pari priva di rilevanza è, di per sé, la circostanza
che i fiducianti domandino la restituzione di un numero di azioni inferiore
a quello indicato dalla banca depositaria come ad essi spettante, posto
che nulla vieta all’attore di circoscrivere l’oggetto delle proprie richieste
ad una parte soltanto di quello cui avrebbe diritto. (omissis)
Separazione
dei patrimoni ed azioni recuperatorie nelle procedure concorsuali relative
alle società fiduciarie.
1.
Con una decisione coraggiosamente innovativa la Cassazione si distacca
dall’orientamento sinora prevalente nella giurisprudenza di merito. In
rapida sintesi, con riferimento alla medesima vicenda (la liquidazione
coatta amministrativa della società fiduciaria Fundus), si può
ricordare che la prima sentenza edita è quella emessa da Trib. Torino,
7 luglio 1988 (in Dir. fallim., 1989, II, 869; Nuova giur. civ., 1989,
I, 893 con nota di BAZZANI), la quale stabiliva che l’obbligazione di restituzione
dei titoli al fiduciante, in caso di scioglimento del contratto, ha carattere
obbligatorio e non reale, ove - sembra persino tautologico - il fiduciante
non possa vantare un diritto reale sui titoli prima della loro individuazione.
Alternativamente, si diceva in quella sentenza, potrebbe prospettarsi un’obbligazione
di facere a carico della società, qualora si ponga in rilievo l’obbligo
di individuazione dei titoli nell’ambito dell’intero patrimonio “fiduciario”
della società. A distanza di qualche anno, sempre il Tribunale di
Torino, con sentenza 10 gennaio 1991 (in Fall., 1991, 1073), affermava
che il procedimento per la rivendica, restituzione e separazione dei beni
dell’attivo concorsuale, previsto per le cose mobili determinate non fungibili,
è sicuramente applicabile ai titoli di credito (obbligazioni emesse
da società od enti pubblici) ed ai titoli del debito pubblico, a
patto però che questi siano individuati nei loro elementi specifici
che valgano a distinguerli da ogni altro bene facente parte dell’ampio
genus e sempre che il richiedente abbia provveduto a compiere l’attività
di specificazione (con il chiarimento, di fatto preclusivo del profittevole
esercizio dell’azione recuperatoria da parte dei fiducianti, che la specificazione
sarebbe stata possibile alla società fiduciaria, ma non ai suoi
commissari liquidatori). In concreto, pertanto, la domanda di rivendica
ovvero di separazione veniva rigettata. E sempre il Tribunale di Torino
- si tratta, in questo caso, proprio della sentenza di primo grado nella
causa decisa dalla Corte Suprema - statuiva, a breve distanza di tempo
dalla pronuncia appena ricordata, che il procedimento per la rivendica,
restituzione e separazione di beni mobili dall’attivo concorsuale, ai sensi
dell’art. 103 L.F., non è applicabile a “quote parti” di titoli,
essendo previsto esclusivamente per le cose mobili determinate, non fungibili;
di modo che non sono rivendicabili quei titoli che non siano individuati
con
il numero del certificato, unico elemento (oltre
l’intestazione cartolare) idoneo ad assicurare la specificazione in capo
al soggetto che agisce in rivendica (così, Trib. Torino, 28 febbraio
1991, pubblicata in Banca, borsa ecc., 1992, II, 478, con note di SEPE
Tutela concorsuale del fiduciante e separatezza patrimoniale nel regime
della legge sulle Sim, e di MAYR, L’ambito di applicazione dell’art. 103
della legge fall.; la massima è
riprodotta anche in Mondo bancario, 1992, fasc.
2, 48, con nota di BANI, Le società fiduciarie e la nuova disciplina
dell’intermediazione mobiliare). La decisione da ultimo richiamata ammetteva,
inoltre, che “il legislatore ha ritenuto di poter superare con un’apposita
disciplina i ristretti limiti delineati dall’art. 103 L.F. e dagli artt.
1706-1707 cod. civ., anche se poi non è chiaro come potrà
provvedere il commissario nel caso in cui in forza di atti di distrazione
o comunque in conseguenza di violazioni di legge vi sia stata confusione
tra il patrimonio della società e quello degli investitori ovvero
una parte di questi ultimi sia stato distratto”. I giudici torinesi consideravano,
perciò, “ragionevole ritenere che in questo caso riprendano vigore
i principi generali in tema di procedure concorsuali, sia pure eventualmente
nei limiti del patrimonio separato facente capo agli investitori, sì
che la perdita vada ripartita pro-quota fra tutti”.
In senso contrario alla rivendicabilità
e/o separabilità dei titoli (o del denaro) appartenenti agli investitori
si è poi pronunciata la giurisprudenza - sinora soltanto in sede
di merito - nel caso di fallimento di una società di intermediazione
mobiliare, ribadendo la regola tralaticia secondo la quale le domande di
rivendicazione, restituzione o separazione, proposte ai sensi dell’art.
103 L.F., sono ammissibili soltanto con riguardo a cose mobili possedute
dal fallito ed esattamente individuate per specie, non anche in relazione
alle cose fungibili: cfr. Trib. Ferrara, 30 dicembre 1993 (in Banca, borsa,
ecc., 1995, II, 68, con nota di MAYR, Fallimento della Sim e restituzione
dei patrimoni di proprietà dei clienti; Società, 1994, 523;
Fallimento, 1994, 628; Vita not., 1994, 867; cfr. anche la nota di VALENTINO,
Fallimento di una Sim: ruolo e funzioni del Commissario Governativo e limiti
alla restituzione dei patrimoni alla clientela, in Mondo bancario, 1994,
fasc. 2, 53). E sempre con riferimento al fallimento delle società
d’intermediazione mobiliare, la recente decisione Trib. Napoli, 6 giugno
1996, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 217 (e in Società, 1996,
944 con nota di FIMMANO’), ha opportunamente distinto la posizione dei
clienti della Sim che hanno effettuato operazioni di acquisto, custodia
ed amministrazione dei titoli, da quella di coloro che hanno intrapreso
operazioni di pronti contro termine o similari su valori mobiliari conferendo
somme alla Sim. I primi, ritenuti immuni - a dire dei giudici partenopei
- da pericoli derivanti dalla dichiarazione di fallimento, sono stati ammessi
all’azione di restituzione con i mezzi previsti dalla procedura, proprio
in considerazione delle norme in tema di separazione del patrimonio dei
clienti da quello della Sim. Quanto, invece, alle operazioni di pronti
contro termine (nel caso di specie, su “T. bonds”), si è detto che
la Sim avrebbe acquisito i titoli sulla base di un finanziamento (nella
specie, pari circa all’ottanta per cento del loro valore) ed avrebbe creato
un vincolo di garanzia su essi.
In un panorama, quindi, sostanzialmente sfavorevole
alla tutela degli investitori, spicca così la soluzione di compromesso,
per così dire, suggerita da Trib. Torino 8 febbraio 1994 (in Dir.
fallim., 1994, II, 267, con breve nota di PETRAZZINI, Fallimento della
Sim e tutela dei clienti) ed in particolare dal Giudice delegato (in presenza
del fallimento di una SIM) il quale, considerata la ratio legis di evitare,
attraverso la separatezza del patrimonio proprio della società fallita
(...), il concorso tra creditori c.d. normali ed i “clienti” della Sim”,
ha invitato il curatore “a tenere distinte le masse attive e passive riferitesi
ai due tipi di creditori”.
2.
La sentenza riportata supera, dunque, anche la appena menzionata soluzione
compromissoria, additando una soluzione che, se appare ineccepibile in
punto di diritto - si direbbe, sul piano della pura legittimità
- può lasciare dietro di sé qualche perplessità...
(Ci si scusa con il lettore e si avverte che l'articolo completo sarà
disponibile on line non appena possibile. Attualmente ci si può
comunque rivolgere all'A.C.F. -consulta l'home page per i recapiti- per
ottenre copia dell'articolo completo)
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