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con nota di A. Costantini AZIONE REVOCATORIA FALLIMENTARE - PAGAMENTI - SCIENTIA DECOCTIONIS - PROVA - INDIZI CONOSCIUTI O CONOSCIBILI DELL’INSOLVENZA - SUFFICIENZA - ONERE DI INFORMARSI SULLA SITUAZIONE COMMERCIALE DELLA CONTROPARTE - SUSSISTENZA (Art. 67 L.F.) La prova della conoscenza dello stato di insolvenza da parte del convenuto in una azione revocatoria fallimentare promossa ai sensi dell’art. 67, comma 2, L.F. deve considerarsi raggiunta allorché si accerti che il convenuto sia stato, al momento del compimento dell’atto, in grado di percepire i segni sintomatici e rilevatori dell’insolvenza, quali il ritardo nell’adempimento o l’inadempimento delle obbligazioni di pagamento contratte nei suoi stessi confronti dal soggetto poi fallito, la pendenza di numerosi procedimenti esecutivi mobiliari nonché del procedimento volto alla dichiarazione di fallimento del debitore. Sussiste a carico dei soggetti che non vogliano correre il rischio di subire azioni revocatorie fallimentari un vero e proprio obbligo di informazione sullo stato di salute delle imprese che pongono in essere gli atti di disposizione patrimoniale previsti dall’art. 67 L.F. (omissis)
d•i • A•l•b•e•r•t•o
• C•o•s•t•a•n•t•i•n•i
1. La sentenza in esame riguarda il pagamento di
un vaglia cambiario emesso dalla società poi fallita e da questa
pagato alla scadenza al beneficiario-prenditore.
torna alla senteza La scadenza della cambiale e dunque il suo pagamento precedevano di pochi giorni la sentenza dichiarativa di fallimento. Il Curatore agisce quindi per la revoca del pagamento, di per sé atto normale, in base all’art. 67, 2° comma, L.F., assumendosi quindi l’onere di provare la conoscenza dello stato di insolvenza in capo alla società convenuta che aveva ricevuto il pagamento della cambiale scaduta. Secondo l’insegnamento della Corte di cassazione, la prova della cosiddetta scientia decoctionis in capo al soggetto convenuto in revocatoria si raggiunge quando si dimostri la conoscenza concreta da parte di quest’ultimo dello stato di insolvenza del debitore poi fallito (tra le molte si segnalano Cass. Sez. I, 14 febbraio 1995, n. 1576 in Fall., 1995, pag. 849; Cass. Sez. Un. 30 marzo 1994, n. 3131 ivi pag. 1026). Da tale principio muove del resto anche la sentenza in commento. La prova di uno stato interiore, quale la conoscenza dell’altrui insolvenza, non può tuttavia essere raggiunta che in base ad elementi indiziari, dai quali desumere collegamenti concreti tra le vicende commerciali dell’impresa poi fallita e il soggetto convenuto. Tali collegamenti vanno poi riferiti, ed in tanto sono rilevanti, al momento in cui viene a collocarsi l’atto da revocare, potendo altrimenti perdere, benché parimenti sussistenti, ogni rilevanza probatoria. In talune pronunce, peraltro, la distinzione tra prova della sussistenza dello stato di insolvenza nel cosiddetto periodo sospetto, che è circostanza oggettiva, e prova della conoscenza che di tale insolvenza aveva il soggetto poi convenuto in revocatoria, non è sempre netta. D’altronde l’incertezza del limite tra manifestazioni obiettive dell’insolvenza e conoscenza della stessa da parte del terzo si rivela con particolare evidenza nelle azioni revocatorie fondate sull’art. 67, 1° comma, ove il convenuto, per vincere la presunzione di conoscenza a suo carico, piuttosto che cercare di provare la sua ignoranza dello stato di decozione è spesso indotto a cercare di provare - malgrado la contraria presunzione iuris et de iure - l’inesistenza tout court dell’ insolvenza nel periodo sospetto; ciò perché è ancora più difficile fornire la prova negativa di uno stato interiore proprio (prova richiesta al convenuto dall’art. 67, 1° comma) di quanto non sia fornire quella positiva di uno stato interiore altrui (prova richiesta al Curatore dall’art. 67, 2° comma). L’analisi della giurisprudenza della Corte di cassazione in tema di scientia decoctionis rivela come non sempre la Corte abbia manifestato uguale sensibilità per la distinzione tra indici rivelatori dello stato di insolvenza del debitore ed indici rivelatori della conoscenza che di tale stato possa avere il terzo convenuto in revocatoria. In molte pronunce (Cass., Sez. I, 9 aprile 1991, n. 3716, in Foro It., 1991, I, 2790; Cass. Sez. I, 13 dicembre 1988, n. 6776 in Fall., 1989, 502; Cass., Sez. I 20 maggio 1980, n. 3302 in Dir. Fall. 1980, pag. 338) leggiamo infatti che l’esistenza di numerosi protesti a carico del soggetto poi fallito esime la curatela dal dimostrare che detti protesti fossero noti alla controparte, incombendo invece a quest’ultima l’onere di provare il contrario. In tali casi la circostanza rivelatrice dello stato di insolvenza (protesti ripetuti), si trasforma nell’indizio della conoscenza di tale stato in capo al soggetto convenuto, determinando così una inversione dell’onere della prova a carico di quest’ultimo che finisce per assimilare le azioni revocatorie promosse in virtù del secondo comma dell’art. 67 a quelle promosse sulla base del primo, con la differenza, non marginale, che in queste ultime l’inversione dell’onere della prova a carico del convenuto si giustifica in ragione dell’anormalità dell’atto revocando, del tutto assente, invece, negli atti contemplati dal secondo comma. Sta di fatto che questo orientamento può dirsi consolidato, essendo stato ribadito anche recentemente sempre dalla Cassazione (Cass., Sez. I, 25 luglio 1995, n. 8083, in Fall. 1996, pag. 67). Maggiore sensibilità verso un effettivo collegamento tra lo stato di insolvenza dell’imprenditore poi fallito e il soggetto convenuto in revocatoria mostra invece Cass. Sez. I, 21 agosto 1996, n. 7722 (in Fall., 1997, pag. 171) ove gli elementi... Gira pagina
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