Un parere e quattro
argomenti in senso contrario
"L•a
• c•l•a•u•s•o•l•a
•
d•i
• i•n•c•e•d•i•b•i•l•i•t•à
d•e•l•l’•u•s•u•f•r•u•t•t•o
•
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•
g•l•i
e•f•f•e•t•t•i
•
d•i
• e•s•s•a
•
v•e•r•s•o
• i•l
•
f•a•l•l•i•m•e•n•t•o
d•e•l•l’•u•s•u•f•r•u•t•t•u•a•r•i•o"
di Paolo Vitucci
una questione singolare sulla quale è
stato richiesto un parere che l’Autore propone,
oggi, ai lettori della Rivista.
1.I
fatti che vengono in rilievo ai fini del parere richiestomi si possono
compendiare come segue.
Con atto pubblico del… la Soc. A trasferisce
un immobile a Tizio, imprenditore coniugato in regime di separazione dei
beni, e a Caia, nubile. Dell’immobile trasferito Tizio acquista l’usufrutto
vitalizio, Caia la nuda proprietà.
Contestualmente è fatto esplicito divieto
all’usufruttuario Tizio “di cedere il proprio diritto di usufrutto per
tutta la sua durata”.
La nota di trascrizione menziona espressamente
il patto di incedibilità dell’usufrutto, ora riportato.
Al pagamento delle quote semestrali del mutuo
fondiario, gravante sull’immobile, ha provveduto negli ultimi tempi la
sola Caia. Tizio, infatti, è stato dichiarato fallito dal Tribunale
di B.
Il quesito che mi è stato posto dal Patrono
di Caia è se l’usufrutto di Tizio, incedibile per patto espresso,
sia o non sia da ritenere acquisito all’attivo dal fallimento.
2.
Non mi nascondo la delicatezza della questione, che ad un esame non superficiale
mi è apparsa del tutto priva di precedenti, sia in giurisprudenza
sia in dottrina. Ritengo tuttavia possa ragionevolmente sostenersi che
la clausola di incedibilità rende il diritto dell’usufruttuario
“strettamente personale”, nel senso e per l’effetto dell’art. 46 n. 1 L.F.
3.
Occorre preliminarmente dedicare qualche cenno alla disciplina della cessione
dell’usufrutto, che rappresenta una novità del codice civile vigente.
All’art. 980, 1° comma, questo prevede che il diritto dell’usufruttuario
possa essere ceduto, per un certo tempo o per tutta la sua durata, “se
ciò non è vietato dal titolo costitutivo”.
Il significato della disposizione è trasparente,
ed univoca la presa di posizione del legislatore. V’erano antiche controversie,
se il diritto dell’usufruttuario potesse ritenersi cedibile. La conclusione
tradizionale nel senso della incedibilità, affermata dalle più
moderne legislazioni straniere, si mostrava anche al legislatore del 1942
“più in armonia con l’intuitus personae che ha il costituente di
questo diritto” (relazione al libro della proprietà, n. 122). Si
accolse nondimeno la soluzione della cedibilità.
La si accolse, peraltro, con una norma concepita
e dettata come sicuramente dispositiva: ne fa fede l’inciso finale dell’art.
980 1° comma, sopra trascritto.
Il titolo può quindi escludere che il
diritto dell’usufruttuario sia suscettibile di cessione. Come appunto lo
ha escluso nell’ipotesi sottoposta al mio esame.
4.
Il senso e la portata dell’anzidetta esclusione pattizia, e cioè
della inalienabilità convenzionale dell’usufrutto, si colgono in
modo più adeguato quando la disposizione fin qui ricordata è
messa a confronto con quella di portata generale contenuta nell’art. 1379.
Ai sensi dell’art. 1379, come è noto,
il divieto pattizio di alienare, e cioè la inalienabilità
convenzionale di un diritto, produce effetti soltanto fra le parti del
contratto.
Il divieto, inoltre, è pattuito validamente
soltanto se è contenuto “entro convenienti limiti di tempo” e se
risponde ad un interesse apprezzabile di una delle parti.
La alienabilità dei diritti patrimoniali,
come è palese, rappresenta il presupposto della disposizione contenuta
nell’art. 1379. E il contratto che circoscriva la generale alienabilità
dei diritti soggiace, oltre che alle accennate condizioni di validità,
al decisivo limite di efficacia rappresentato dalla inopponibilità
ai terzi del divieto di alienare.
Il terzo, se acquista in violazione del divieto,
acquista bene. Non rileverebbero in senso contrario né l’eventuale
consapevolezza del terzo, che il suo dante causa fosse tenuto alla clausola
sul divieto, né l’ipotetica trascrizione di tale clausola. Non l’eventuale
consapevolezza, perché l’art. 1379 limita alle parti gli effetti
del divieto convenzionale (e difatti la norma non intende porre intralci
alla circolazione dei beni). Non l’ipotizzata trascrizione, ove eseguita
in violazione del principio di tassatività degli atti che debbono
trascriversi, in quanto la trascrizione non aggiunge effetti propri e diversi
all’atto che vi sia stato sottoposto, ma si limita a rendere opponibili
ai terzi gli effetti che l’atto medesimo aveva già prodotto.
5.
Il divieto contemplato nell’art. 980 muove invece da un principio opposto.
Non vi opera infatti, diversamente da quel che accade nella disciplina
dell’art. 1379, una regola generale nel senso della
alienabilità dei diritti, posta a presidio
di un interesse generale: la libera circolazione dei beni e la tutela del
terzo acquirente.
Nella previsione dell’art. 980 primo comma vi
è al contrario l’aperta possibilità di ripristinare, attraverso
la clausola pattizia e nell’interesse del nudo proprietario, la tradizionale
incedibilità dell’usufrutto, inteso questo come diritto strettamente
connesso alla persona al titolare: di ripristinare cioè proprio
quell’intrasmissibilità del diritto, che è stata superata
- non senza perplessità dello stesso legislatore, come si è
accennato - dalla norma dispositiva circa la cedibilità dell’usufrutto.
Consegue che l’esclusione convenzionale della
facoltà di cedere l’usufrutto non soggiace a nessuno dei limiti
contemplati nell’art. 1379.
Ed infatti il divieto di cedere l’usufrutto non
deve essere circoscritto, come è invece circoscritto a pena di nullità
il divieto dell’art. 1379, “entro convenienti limiti di tempo”. Risulta
invero dalla stessa lettera dell’art. 980 che il diritto dell’usufruttuario
è in linea di principio cedibile “per un certo tempo o per tutta
la sua durata”, se “ciò” - vale a dire la cessione, parziale o totale
- non è vietato dal titolo. Il titolo, pertanto, può vieta-re
anche in toto la cessione, rendendo così del tutto inalienabile
il diritto (come appunto si è verificato nel caso di specie).
Ancora, il divieto convenzionale dell’art. 980
non soggiace alla condizione di validità rappresentata dal rispondere
all’“ap-prezzabile interesse”, di cui è invece parola nell’art.
1379. Ed infatti l’interesse che sorregge il divieto di alienare contemplato
in quest’ultima disposizione deve essere specificamente indicato ed apprezzato
caso per caso, attesa la generale alienabilità dei diritti patrimoniali.
Nell’ ipotesi dell’art. 980, al contrario, l’interesse a rendere intrasmissibile
il diritto dell’usufruttuario è di immediata percezione: si tratta
dell’interesse del nudo proprietario a non intrattenere - oltre un certo
periodo di tempo, o per l’intera durata dell’usufrutto - rapporti con un
usufruttuario diverso da quello menzionato nel titolo. Risulta infatti
esaltato, dalla clausola di incedibilità, il carattere strettamente
personale che il diritto dell’usufruttuario presenta anche in assenza di
quella clausola.
Consegue infine che il divieto di cessione dell’usufrutto,
diversamente dal divieto di alienazione dell’art. 1379, non ha efficacia
circoscritta fra le parti ma è al contrario dotato di efficacia
reale, opponibile anche ai terzi ed operante erga omnes, come concordemente
riconoscono i pochi ma autorevolissimi scrittori che hanno toccato l’argomento:
dal Nicolò, nel Commentario D’Amelio, Firenze 1942, pag. 595, al
Barbero, L’usufrutto e i diritti affini, Milano 1952, pag. 462, al Pugliese,
Usufrutto, uso e abitazione, Torino 1972, pag. 441. Aggiunge anzi quest’ultimo
autore: posto che il titolo vieti la cessione, “l’eventuale atto di trasferimento
compiuto dall’usufruttuario è inefficace e quindi non comporta nessuna
conseguenza giuridica, di cui il nudo proprietario abbia a dolersi: basta
che egli opponga il divieto all’usufruttuario e al terzo, e l’atto sarà
senz’altro da considerare privo di effetti. Il divieto promana ovviamente
dalla volontà del costituente, ma si incorpora nell’atto costitutivo”.
6.
Il confronto con l’ipotesi disciplinata nell’art. 1379 conferma pertanto
la sicura inefficacia erga omnes del trasferimento, una volta che il titolo
abbia vietato - come nel caso di specie - la cessione dell’usufrutto.
Ne risulta altresì, con chiara evidenza,
l’interesse tutelato con l’apposizione del divieto pattizio di cedere il
diritto dell’usufruttuario. Si tratta di un interesse che fa campo esclusivamente
al nudo proprietario e che consiste nell’assicurare a quest’ultimo - con
efficacia reale - la immutabilità del titolare dell’usufrutto: nessuno
può succedere nel diritto dell’usufruttuario, finché e purché
operi la clausola pattizia.
La considerazione dell’interesse tutelato, ora
posto in luce, consente un passaggio ulteriore, sorretto anch’esso dall’autorità
di uno scrittore prestigioso: “il divieto di cessione non avrebbe più
senso, e perciò non terrebbe, quando si trattasse di cessione allo
stesso proprietario. E’ esatto che questa ha lo stesso carattere della
cessione al terzo, e può essere come al terzo fatta a titolo gratuito
oppure oneroso; ma questo, che riguarda la natura dell’atto negoziale,
non può avere influenza sulla funzione del divieto di cessione,
che essendo un potere riconosciuto al proprietario a tutela del suo interesse,
sarebbe assurdo pensare che possa rivolgersi contro di lui e costituire
una limitazione dei suoi stessi poteri” (Barbero, op. cit., pag. 463).
La clausola sull’incedibilità dell’usufrutto si risolve quindi,
se solo si consideri l’interesse cui essa accorda tutela, in un divieto
di trasferire a tutti, fuorché al nudo proprietario. E tale divieto,
per pacifico insegnamento, opera erga omnes.
7.
Il carattere personale del diritto dell’usufruttuario non necessita certo
di dimostrazioni: basti pensare alla norma circa la durata del diritto
stesso (art. 979) ed a quella sui limiti della rappresentazione (art. 46,
2° comma), dalla quale risulta addirittura testualmente che l’usufrutto
è un “diritto di natura personale”.
La conclusione vale per ogni diritto di usufrutto,
anche se cedibile (come nell’ipotesi ordinaria dell’art. 980). Quando poi
sia stata stabilita l’incedibilità del diritto, questo subisce un’ulteriore
trasformazione. Attesa l’efficacia del divieto, il diritto dell’usufruttuario
assume la stessa natura dell’uso e dell’abitazione, diritti dei quali l’art.
1024 vieta sia la cessione sia la stessa locazione.
Anche i diritti di uso e di abitazione hanno
carattere patrimoniale. Eppure non si dubita che essi siano intrasmissibili
(v. per tutti De Cupis, I diritti della personalità, Milano 1982,
pag. 87) in ragione della natura strettamente personale che li caratterizza.
Non si dubita pertanto che essi ricadano nella previsione dell’art. 46
n. 1 L.F.: che non siano cioè compresi nel fallimento, in quanto
“diritti di natura strettamente personale” (Andrioli, voce “Fallimen-to”,
in Enc. dir., XVI, Milano 1967, pag. 402; Del Vecchio, Lezioni di diritto
fallimentare, Pescara 1974, pag. 111; Guglielmucci, nel Commen-tario Scialoja-Branca
alla legge fallimentare, sub art. 46, pag. 80 e pag. 109).
La stessa conclusione, poste le premesse che
precedono, può ragionevolmente sostenersi in ordine al diritto dell’usufruttuario,
quando ne sia stata esplicitamente pattuita e resa opponibile - come nel
caso di specie - la intrasferibilità assoluta e nei confronti di
tutti. Per effetto della clausola il diritto è diventato infatti
intrasmissibile a chiunque, eccettuato il nudo proprietario (nel cui esclusivo
interesse opera la clausola); è diventato cioè un diritto
strettamente personale dell’usufruttuario, allo stesso modo dell’uso e
dell’abitazione (i quali pure, se possono essere ceduti - e cioè
se il divieto dell’art. 1024 è derogabile convenzionalmente -, possono
essere ceduti soltanto al nudo proprietario: v. Cass. 13 settembre 1963,
n. 2502, in Giust. civ., 1963, I, 2292).
8.
Concludo
quindi nel senso che il diritto di Tizio, sebbene abbia contenuto patrimoniale
- così come lo hanno uso ed abitazione; altrimenti, del resto, si
svuoterebbe di significato l’art. 46 n. 1 -, non sia compreso nel suo fallimento
perché assolutamente intrasferibile e quindi strettamente personale.
9.
Dovere
di completezza impone tuttavia di aggiungere l’indicazione di quattro argomenti,
alla stregua dei quali può pervenirsi alla conclusione opposta.
Mi limito ad elencare gli argomenti:
a) le ipotesi dell’art. 46 L.F. debbono ritenersi
di stretta interpretazione, atteso il carattere generale dello spossessamento
prodotto dalla sentenza dichiarativa del fallimento;
b) la clausola di incedibilità dell’usufrutto
vale ad impedire, con efficacia erga omnes, tutti i trasferimenti volontari;
non anche i trasferimenti coattivi, ai quali riterrei di assimilare - in
ragione dell’effetto - la dichiarazione di fallimento dell’usufruttuario;
c) il carattere “strettamente personale” dell’uso
e dell’abitazione non deriva dalla incedibilità ex art. 1024, ma
dal fatto che l’attribuzione di quei diritti è correlata alle esigenze
personali del titolare di essi e della sua famiglia (così come nell’ipotesi
dell’art. 46 n. 2 L.F.);
d) la clausola di intrasferibilità non
imprime tale carattere al diritto di usufrutto (v. su questo punto Palermo,
nel Trattato Rescigno, vol. 82, pag. 149 e seg).
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