con nota
di Luca Gratteri
Trib. Roma - sent. 28 gennaio1998 - Pres. Briasco
- Est. Roberti; Maccione A. c. Fall. Maccione
FALLIMENTO
- DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO - COMUNICAZIONE - EFFETTI - IMPUGNAZIONI
- OPPOSIZIONE ALLA SENTENZA DICHIARATIVA - PROCEDIMENTO - TERMINE - DIES
A QUO - NOTIFICAZIONE - NECESSITA’ - ESCLUSIONE.
L’opposizione deve essere dichiarata inammissibile
essendo stata proposta oltre quindici giorni dopo la comunicazione per
estratto della sentenza dichiarativa di fallimento. Infatti la specialità
del processo fallimentare, di cui costituiscono elementi sintomatici la
celerità, la sommarietà del giudizio, la peculiarità
della pronuncia del fallimento, la possibilità che il processo abbia
inizio indipendentemente da una domanda di parte, comporta che debba riconoscersi
validità a forme di conoscenza diverse dalla notificazione della
sentenza come la comunicazione per estratto, tenuto conto che a seguito
di essa il debitore ha la possibilità di acquisire presso la cancelleria
ogni altra informazione utile all’esercizio del diritto di difesa cosicché
quest’ultimo non subisce alcuna compressione dalla ritenuta idoneità
della comunicazione.
(omissis)
Motivi della decisione.
L'opposizione deve essere dichiarata inammisibile
essendo stata proposta oltre quindici giorni dopo la comunicazione per
estratto della sentenza dichiarativa di fallimento.
Invero è noto che, a seguito della sentenza
della Corte Costituzionale 27.1.1980 n. 151, che ha dichiarato l'illegittimità
costituzionale dell'art. 18 L.F. nella parte in cui prevedeva che il termine
di quindici giorni per l'opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento
decorresse, anche per il debitore, dal giorno della affissione, si è
sostanzialmente creata una lacuna legislativa, laddove nessuna precisazione
era stata formulata dalla Corte circa l'individuazione del nuovo dies a
quo per la decorrenza del termine. Nella L.F. infatti, all'art. 17, è
prevista la sola comunicazione, per estratto della sentenza dichiarativa,
il giono successivo alla stessa, al debitore, al curatore e al creditore
richiedente. Peraltro, per i soggetti diversi dal fallito, l'affissione
rimane mezzo legale di conoscenza anche ai fini della decorrenza del termine
per l'eventuale impugnazione atteso che la Corte Costituzionale, investita
della relativa eccezione di incostituzionalità ancora con riferimento
all'art. 18 L.F. ha dichiarato infondata la questione così determinando
una tutela diversa per il fallito rispetto agli altri soggetti poiché
solo per il primo l'affissione non costituisce strumento di conoscenza
ai fini dell'opposizione.
Peraltro ai fini dell'individuazione del dies
a quo, per il fallito, per la decorrenza del termine in vista dell'opposizione
una parte della giurisprudenza ha ritenuto applicabili i principi generali
previsti dal codice di rito sulle impugnazioni, considerando quindi che
l'unica forma di conoscenza della sentenza sia la notificazione della stessa
(in tal senso, specificatamente, Cass. 12.11.1981 n. 6000, e, incidentalmente
, Cass. 14.9.1991 n. 9609 e Cass. 23.10.1991 n.11278), altra parte ha ritenuto
che il termine decorra dalla comunicazione per estratto della sentenza
dichiarativa ai sensi del combinato disposto degli art. 17 L.F. e 136 cod.
proc. civ., poiché la comunicazione in parola costituisce un'adedeguata
forma di conoscenza di questa pronuncia giurisdizionale, non diversamente
da quanto avviene per la notificazione, attese le peculiarità proprie
della procedura concorsuale inidonea a riflettersi anche sul regime delle
impugnazioni (in tal senso Cass. 7.11.1981 n. 5876 e 9.7.1993 n. 7562).
Il Collegio ritiene di aderire a questa seconda
interpretazione, autorevolmente confermata dalla Suprema Corte nella pronuncia
a Sezioni unite del 3.6.1996 n. 5104.
Invero la sentenza dichiarativa del fallimento
è soggetta ad una articolata e speciale forma di pubblicità
che si manifesta dapprima nella comunicazione per estratto al curatore,
al debitore e al creditore richiedente, quindi nell'affisione dell'estratto
alla porta del Tribunale, alla sua comunicazione al Pubblico Ministero,
all'Ufficio del Registro delle Imprese, alla cancelleria del Tribunale
(in cui il debitore è nato o in cui è stata costituita la
società) al Casellario Giudiziale ed, infine, con la pubblicazione
nel foglio annunzi legali della Provincia. In questo articolato sistema
la sentenza della Corte Costituzionale n. 151/1980 ha ritenuto che la semplice
affissione alla porta del tribunale dell'estratto della sentenza dichiarativa
di fallimento non potesse essere considerato dies a quo per la proposizione
dell'opposizione da parte del debitore, risultando lesiva del diritto di
difesa per la difficoltà di assicurare l'effettiva conoscenza del
fallimento da parte del debitore, senza escludere però la validità
della comunicazione per estratto. Infatti, la specialità del processo
fallimentare, di cui costituiscono elementi sintomatici la celerità,
la sommarietà del giudizio, la peculiarità della pronuncia
del fallimento (che da una parte accerta i presupposti per la dichiarazione,
dall'altra attribuisce all'imprenditore lo status del fallito e affida
al curatore il potere di amministrarne il patrimonio), la possibità
che il processo abbia inizio indipendentemente da una domanda di parte,
comporta che debba riconoscersi validità a forme di conoscenza diverse
dalla notificazione della sentenza come la comunicazione per estratto (in
tal senso Cass. 3.6.1996 n. 5104). Il debitore peraltro, a seguito della
comunicazione prevista all'art. 17 L.F., ha la possibilità di acquisire
presso la cancelleria ogni altra informazione utile all'esercizio del diritto
di difesa cosicché quest'ultimo non subisce alcuna compressione
dalla ritenuta idoneità della comunicazione. Ove invece il cancelliere
abbia omesso di effettuare la comunicazione indicata, permane la possibilità
di impugnazione nell'anno dalla pubblicazione della sentenza dichiarativa
di fallimento, secondo il principio generale previsto all'art. 327 cod.
proc. civ. (in tal senso Cass. ora citata).
Nel caso in esame, risultando che la comunicazione
dell'estratto della sentenza è stata ricevuta dal debitore il 6.12.1994
mentre l'opposizione è stata notificata, al primo dei convenuti,
il 21.1.1995, il termine di quindici giorni previsto all'art. 15 è
ampiamente decorso con conseguente dichiarazione di inammissibilità
dell'opposizione. L'accoglimento di un'eccezione sul rito impedisce l'esame
del merito dell'opposizione. Segue la condanna alle spese liquidate come
da dispositivo.
Nota
Il Tribunale di Roma, aderendo alla tesi da ultimo
affermata dalla Suprema Corte a Sezioni Unite con sentenza del 3.06.1996
n. 5104 ritiene che il termine perentorio di quindici giorni per l’opposizione
alla sentenza dichiarativa di fallimento, previsto, a pena di inammissibilità,
dall’art.18 L.F., decorra per il fallito dalla comunicazione dell’estratto
della sentenza.
La sentenza in commento ripercorre le tappe dell’evoluzione
giurisprudenziale muovendo dalla nota pronuncia della Corte Costituzionale
n. 151 del 27.11.1980, che, disattendendo precedenti decisioni di manifesta
infondatezza della questione [1], dichiarava
costituzionalmente illegittimo l’art.18, 1° comma, L.F. per contrasto
con gli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui prevede che il termine di
quindici giorni per fare opposizione al fallimento decorra per il debitore
dalla affissione della sentenza dichiarativa.
A seguito della indicata pronuncia di incostituzionalità
è emersa, secondo il Tribunale, una lacuna legislativa in relazione
al dies a quo, colmata dalla giurisprudenza con oscillanti interpretazioni.
Da un lato, in applicazione dei principi generali
sulle impugnazioni, si è affermato che il termine per l’impugnazione
decorra dalla notificazione della sentenza, ritenuta l’unica forma di conoscenza
del provvedimento impugnato [2].
Dall’altro, sul presupposto che la comunicazione
della sentenza per estratto assicurasse una adeguata forma di conoscenza
in ragione delle peculiarità della disciplina fallimentare, si è
indicato quale dies a quo il giorno della comunicazione per estratto della
sentenza dichiarativa di fallimento [3].
Per dirimere il contrasto interpretativo sono,
infine, intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con l’indicata
sentenza del 3.06.1996 n. 5104 che ha accolto la seconda delle tesi sopra
esposte, ritenendo sufficiente che il fallito, tramite la comunicazione
per estratto della sentenza, abbia conoscenza del fatto storico della dichiarazione
di fallimento per assumere, quindi, tutti gli elementi strumentali all’esercizio
del diritto di difesa.
La notificazione, infatti, alla stregua delle
esposte argomentazioni, non appare necessaria per consentire al debitore
di avere conoscenza dell’avvenuta dichiarazione di fallimento [4].
Il Tribunale di Roma aderisce alla posizione
espressa dalle Sezioni Unite e dichiara l’inammissibilità dell’opposizione
ex art.18 L.F. proposta dal fallito oltre il termine di quindici giorni
dalla comunicazione della sentenza per estratto a cura della cancelleria.
Il presente contributo intende segnalare come, in concreto, la comunicazione
dell’estratto della sentenza di fallimento non assicuri, contrariamente
a quanto affermato, la possibilità di acquisire presso la cancelleria
ogni altra informazione utile all’esercizio del diritto di difesa cosicché
quest’ultimo non subisce alcuna compressione dalla ritenuta idoneità
della comunicazione.
Peraltro la tesi della decorrenza del termine
per l’opposizione del fallito dalla comunicazione dell'estratto della sentenza,
pur ammissibile alla luce delle peculiarità della procedura fallimentare
e in particolare della natura e struttura del procedimento di opposizione,
conduce a conseguenze che contrastano le finalità di celerità
e stabilità della procedura fallimentare.
E’ opportuno accennare alle norme che disciplinano
le attività del cancelliere successive alla pubblicazione della
sentenza di fallimento.
A norma dell’art.17, 1° comma, L.F.: “La
sentenza che dichiara il fallimento è comunicata per estratto, a
norma dell’art. 136 cod. proc. civ. [5]
al debitore, al curatore e al creditore richiedente non più tardi
del giorno successivo alla sua data. L’estratto deve contenere il nome
delle parti, il dispositivo e la data della sentenza”. I successivi due
commi prevedono, nello stesso termine, l’affissione dell’estratto alla
porta esterna del Tribunale, la comunicazione al Pubblico Ministero, all’Ufficio
del Registro delle Imprese per l’iscrizione, alla cancelleria del Tribunale
di nascita del debitore ovvero di costituzione della società, e,
infine, la pubblicazione sul F.A.L..
L’eventuale inosservanza dei termini per l’adempimento
delle indicate formalità non determina nullità [6],
e non di rado la comunicazione dell’estratto della sentenza perviene al
fallito oltre il quinto giorno dalla sua pubblicazione.
La stessa affissione, dalla quale decorre il
termine per l’opposizione da parte di ogni altro interessato, diverso dal
fallito, avviene nella prassi oltre quindici giorni dalla dichiarazione
di fallimento.
Alle disposizioni della L.F. si affiancano quelle
del “Testo Unico sull’Imposta di Registro” (D.P.R. 26.04.1986 n.131) che
all’art.13, 3° comma, testualmente recita: “Per i provvedimenti di
cui all’articolo 10 ,1° comma , lettera “c” [7]
diversi dai decreti di trasferimento e dagli atti da essi ricevuti, i cancellieri
devono richiedere la registrazione entro cinque giorni da quello in cui
il provvedimento è stato pubblicato o emanato …”.
Orbene, il combinato disposto delle suindicate
norme comporta che il cancelliere, espletate le formalità previste
dalla L.F., tra le quali la richiesta all’Ufficiale Giudiziario di notificazione
della comunicazione per estratto al fallito, provveda a trasmettere l’originale
del provvedimento da impugnare all’Ufficio del Registro. Ne consegue che
il debitore recandosi in cancelleria per acquisire ogni altra informazione
utile (spesso, come si vedrà oltre, necessaria) all’esercizio del
diritto di difesa non potrà ottenere copia integrale della sentenza,
già trasmessa all’Ufficio del Registro.
Il fallito si vedrà quindi costretto a
chiedere al cancelliere di richiamare la sentenza dall’Ufficio del Registro,
a norma dell’art. 66, 2° comma, lett. “a” D.P.R. n.131/86, al fine
di estrarne copia per la prosecuzione del giudizio.
I tempi necessari per l’evasione della richiesta
comporteranno, nella migliore delle ipotesi, una indebita riduzione del
già breve termine perentorio di quindici giorni per la proposizione
dell’opposizione; ovvero nell’ipotesi, non infrequente, di scarsa efficienza
dell’Ufficio del Registro, il termine trascorrerà integralmente
prima che il fallito possa ottenere copia del provvedimento da impugnare.
L’impossibilità di esaminare il testo
integrale della sentenza rappresenta un evidente impedimento al compiuto
esercizio del diritto di difesa nell’ipotesi in cui il fallito non possa
verificare la sussistenza dei vizi di nullità e dei motivi di gravame
del provvedimento.
In tale evenienza, infatti, il fallito si vedrà
costretto a impugnare comunque la sentenza, riservando al successivo esame
della pronuncia il puntuale riscontro dei motivi di opposizione, ovvero
dovrà prestare acquiescenza, non scorgendo nell’estratto comunicatogli
quei vizi che soltanto l’analisi degli elementi formali e sostanziali della
sentenza potrebbe rivelare.
L’opposizione alla dichiarazione di fallimento
di cui all’art.18 L.F. rappresenta un rimedio generale tanto per vizi di
attività del giudice, che comportano la nullità della sentenza
opposta, quanto per errori di valutazione dei presupposti per la dichiarazione
di fallimento, che ne determinano la revoca.
Rientrano tra le ipotesi di nullità, i
vizi di rappresentanza delle parti, comuni a tutti i giudizi di cognizione,
il difetto di giurisdizione [8], l’incompetenza,
la mancata audizione del debitore prevista ex art.15 L.F., il difetto di
sottoscrizione della sentenza, riscontrabile, ovviamente, soltanto dall’esame
del provvedimento in originale.
Costituiscono motivi di merito, che conducono
alla revoca della sentenza, gli errori di valutazione del presupposto oggettivo
(sussistenza dello stato di insolvenza) e soggettivo (qualità di
imprenditore commerciale assoggettabile a fallimento) della dichiarazione
di fallimento.
Pur ammettendo che talvolta il fallito possa
comunque censurare la valutazione dei presupposti soggettivi e oggettivi
dedotti dai creditori istanti nel ricorso per dichiarazione di fallimento,
notificato unitamente al decreto di fissazione dell’udienza c.d. “prefallimentare”,
nell’ipotesi, invece, di fallimento per iniziativa del P.M. (art. 7 L.F.)
ovvero di ufficio (art. 8 L.F.), neppure tali vizi potranno essere compiutamente
valutati e rilevati dal fallito, se non attraverso l’esame del testo integrale
della sentenza.
Per quanto esposto è, pertanto, di tutta
evidenza che la decorrenza del termine in questione dalla comunicazione
per estratto della sentenza lede il diritto di difesa del fallito. E’ doveroso,
peraltro, convenire con la giurisprudenza della Suprema Corte che “la Corte
Costituzionale ha costantemente affermato che il diritto di difesa è
garantito non in via assoluta ed indistinta, ma in modo da tener conto
delle speciali caratteristiche dei singoli procedimenti, onde non è
necessario un termine processuale unico per ogni tipo di diritto fatto
valere” (Cass. 2.11.1998 n. 10915, in Foro It., 1999, I, 103); inoltre
“lo stesso giudice delle leggi, dichiarando manifestamente infondata la
questione di legittimità costituzionale proposta proprio per la
brevità di detto termine, ha precisato che ‘quel che conta non è
la durata ma l’individuazione del suo termine iniziale’” (Corte Cost. n.
273/1987, in Foro It., 1988, I, 30).
Alla luce di ciò, l’indicato pregiudizio
derivante al fallito dalla concreta impossibilità di verificare
i vizi di nullità deve essere valutato specificamente in relazione
alla peculiare disciplina della rilevabilità e deducibilità
dei vizi di nullità e dei motivi di gravame nel giudizio di opposizione
alla sentenza di fallimento. In tale giudizio di impugnazione, infatti,
trova ingresso il principio della conversione delle nullità in motivi
di gravame, dal quale discendono i seguenti corollari.
Da un lato, qualora il vizio non sia fatto valere
con le modalità e i termini propri della impugnazione, il conseguente
esaurimento della possibilità della impugnazione stessa determina
la sanatoria del vizio, in quanto, come si è veduto, codesto esaurimento
dà luogo all’incontrovertibilità propria della cosa giudicata
[9]. Dall’altro, per analogia
con il giudizio di appello, il Tribunale, fuori dei casi tassativamente
previsti dagli articoli 353 [10],
e 354 [11] cod. proc. civ., procederà
a verificare la rispondenza o meno a giustizia della decisione impugnata,
trattenendo la causa e decidendola nel merito. In tale ipotesi, infatti,
non avrà luogo un giudizio meramente rescindente volto alla dichiarazione
della nullità, poiché la rispondenza a “giustizia” della
decisione renderà innocui gli eventuali vizi formali della stessa
[12].
Il principio enunciato si applica, come accennato,
alle ipotesi di nullità per irregolarità della sottoscrizione.
Al contrario, nella ipotesi di difetto di sottoscrizione della sentenza,
la nullità (inesistenza) non si converte in motivo di gravame e
può essere fatta valere in ogni tempo in via di eccezione, anche
fuori del giudizio di impugnazione, nonché con un autonomo giudizio
di merito.
L’opposizione si propone nelle forme degli artt.
163 e 164 cod. proc. civ., e determina l’introduzione di un giudizio a
cognizione piena.
Secondo il prevalente orientamento [13]
non occorrerebbe, peraltro, che la citazione in opposizione ex art. 18
L.F. contenga la specifica indicazione dei motivi, tesi comunque da verificare
e precisare alla luce della riforma dell’art. 164 cod. proc. civ. introdotta
dalla Legge 26.11.1990 n. 353.
Le nullità sono rilevabili anche d’ufficio
nel procedimento di opposizione davanti al Tribunale, possibilità
preclusa tanto nel giudizio di appello quanto in quello per Cassazione
[14].
Inoltre, giurisprudenza e dottrina [15]
ritengono che nel giudizio di opposizione non valga il principio dell’onere
della prova, bensì il c.d. “principio inquisitorio”.
In conclusione, dalla posizione della giurisprudenza
sulla natura e funzione del giudizio di opposizione deriverebbe che il
fallito, lamentando la generica ingiustizia della dichiarazione di fallimento,
potrebbe proporre, anche senza specifica deduzione dei vizi e dei motivi
di impugnazione, l’opposizione prevista dall’art.18 L.F. al fine di ottenere
un riesame dei presupposti per la dichiarazione di fallimento, riservandosi
di eccepire e prospettare, nel corso del giudizio di opposizione, eventuali
vizi di nullità, in ogni caso rilevabili d’ufficio, e motivi di
gravame.
Non ci pare, francamente, che un tale assunto,
comportando l’evenienza di un indiscriminato ricorso al rimedio generale
della opposizione ex art.18 L.F., soddisfi “il carattere e le esigenze
di speditezza della procedura concorsuale”, le cui finalità esigono
misure di pronto intervento, di accertamento rapido dei diritti dei diversi
soggetti interessati all’esecuzione collettiva e, nel contempo, un notevole
grado di stabilità giuridica dei provvedimenti, la cui funzionalità
non può essere messa in discussione nel tempo.[16]”.
La giurisprudenza, nell’indicare, a conforto
della rigorosa soluzione prescelta, esigenze di pronto, definitivo accertamento
e di stabilità giuridica non intende, evidentemente, riferirsi all’efficacia
della sentenza di fallimento, che non viene comunque meno con la proposizione
della impugnazione, ma, invece, al rapido esaurimento dei mezzi di impugnazione
e gravame, in vista della stabilità della sentenza di fallimento
per effetto del suo passaggio in giudicato.
Un siffatto obiettivo non dovrebbe, a rigore,
essere perseguito dando luogo ad ostacoli all’esercizio del diritto di
difesa da parte del fallito, bensì consentendo al medesimo un immediato
esame critico del provvedimento che limiti il ricorso indiscriminato al
rimedio della opposizione ex art. 18 L.F. anche avverso sentenze delle
quali il fallito ignori il fondamento logico e giuridico.
Le conseguenze prospettate vanificano, pertanto,
il concreto soddisfacimento delle esigenze indicate in linea di principio
a giustificazione del sacrificio del diritto di difesa del fallito.
E’ pertanto auspicabile un ripensamento della
giurisprudenza che, attesa la concreta impossibilità per il fallito
di valutare preliminarmente la fondatezza della opposizione, ritenga ingiustificata,
alla luce del prospettato rischio di abuso del gravame, la lesione del
diritto di difesa e accolga la tesi sostenuta da larga parte della dottrina [17]
sulla decorrenza del termine per l'opposizione dalla notificazione della
sentenza.
Note
[1] Corte Cost. 22.11.1962 n.
93,in Dir. Fall. 1963, II, 644; e Corte Cost. 16.07.1970 n. 41, in Dir.
Fall., 1970, II, 601 [torna
al testo]
[2] Cass.12.11.1981 n. 6000;
Cass. 14.09.1991 n. 9609; Cass. 23.10.1991 n. 11278; Trib. Milano 5.2.1987,
Rep. Foro It., 1987, Voce Fallimento n.184; Trib. Roma 6.11.1984, Rep.
Foro It., 1985, Voce Fallimento n. 208; in dottrina, FERRARA - BORGIOLI,
Il Fallimento, 1995, 247, nota 2; DIDONE, L’opposizione al fallimento e
l’art. 327 cod. proc. civ., in Giust. Civ., 1992, I, 472; SATTA, Diritto
Fallimentare, 1990, 80; FABIANI, Il “dies a quo” nell’opposizione alla
sentenza di fallimento, in Giur. di merito, 1989, 1175; BONSIGNORI, Il
Fallimento, in Trattato a cura di F. Galgano, 1986, 548; PAJARDI, Manuale
di diritto fallimentare, 1986,163; BALBI, Il procedimento per dichiarazione
di fallimento e il giudizio di opposizione, in Giur. Comm., 1984, I, 790;
CARBONI, Note in margine alla declaratoria di illegittimità costituzionale
dell'art.18 L.F.. in Giur. Comm., 1982, II, 114; RAGUSA - MAGGIORE, Affissione
della sentenza e termini di impugnazione nella giurisprudenza della Corte
Costituzionale, in Dir. Fall., 1981, II, 5. [torna
al testo]
[3] Cass.7.11.1981 n. 5876; Cass.
9.1993 n. 7562; App. Roma 30.10.1990, in Rep. Foro It., 1991, Voce Fallimento,
n. 248; Trib. Bologna 19.03.1988, in Rep. Foro It., 1989, Voce Fallimento,
n. 257; in dottrina, TEDESCHI, Decorrenza del termine per l’opposizione
del fallito alla sentenza di fallimento, in Nuove Leggi Civili comm., 1981,
364; LO CASCIO, in Il Fall., 1993, 1245 [torna
al testo]
[4] Cass. S.U. 3.06.1996
in Il Fallimento, 1996, 12, 1205 [torna
al testo]
[5] A cura del cancelliere,
con biglietto di cancelleria in carta non bollata, consegnato dal cancelliere
stesso al destinatario, ovvero notificato dall'ufficiale giudiziario, come
avviene nella prassi; [torna
al testo]
[6] Cass. n.554/63; in dottrina
PROVINCIALI, Trattato di Diritto fallimentare, I, 501)
[torna al testo]
[7] Le sentenze, i decreti e
gli altri atti degli organi giurisdizionali alla cui formazione hanno partecipato
nell’esercizio delle loro funzioni” [torna
al testo]
[8] Ad esempio, impresa straniera
che non abbia in Italia sedi secondarie o stabile organizzazione. [torna
al testo]
[9] MANDRIOLI, Corso di Diritto
processuale civile, 1993, II, 337). [torna
al testo]
[10] Ragioni di giurisdizione
e competenza. [torna al testo]
[11] Nullità della notificazione
della citazione, mancata integrazione del contraddittorio, indebita estromissione
di una parte, mancata sottoscrizione della sentenza. [torna
al testo]
[12] Cfr. Cass. 27.08.1963 n.2367
[torna
al testo]
[13] TEDESCHI, Commentario Scialoja
- Branca, 534; FERRARA, Il Fallimento, 241
[torna al testo]
[14] Cass. S.U. n. 806/75; Cass,
n. 1155/77; Cass. 24.03.1977 in Dir. Fall.. 1977, II, 307; Cass. 2168/72)
[torna
al testo]
[15] Cass. n. 3877/85; 1666/72;
2313/63; T. Roma 14.02.1990; in dottrina, PAJARDI, Manuale di Diritto Fallimentare,
1993, 172; TEDESCHI, Disposizioni Generali in Commentario Scialoja – Branca,
509 [torna al testo]
[16] Cass. S.U. 3.06.1996 n
5104 in Il Fallimento, 1996, 12, 1205 [torna
al testo]
[17] Cfr. precedente nota n°
2 [torna al testo]
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