Giurisprudenza di merito 
con nota di Luca Gratteri
Trib. Roma - sent. 28 gennaio1998 - Pres. Briasco - Est. Roberti; Maccione A. c. Fall. Maccione

FALLIMENTO - DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO - COMUNICAZIONE - EFFETTI - IMPUGNAZIONI - OPPOSIZIONE ALLA SENTENZA DICHIARATIVA - PROCEDIMENTO - TERMINE - DIES A QUO - NOTIFICAZIONE - NECESSITA’ - ESCLUSIONE.

L’opposizione deve essere dichiarata inammissibile essendo stata proposta oltre quindici giorni dopo la comunicazione per estratto della sentenza dichiarativa di fallimento. Infatti la specialità del processo fallimentare, di cui costituiscono elementi sintomatici la celerità, la sommarietà del giudizio, la peculiarità della pronuncia del fallimento, la possibilità che il processo abbia inizio indipendentemente da una domanda di parte, comporta che debba riconoscersi validità a forme di conoscenza diverse dalla notificazione della sentenza come la comunicazione per estratto, tenuto conto che a seguito di essa il debitore ha la possibilità di acquisire presso la cancelleria ogni altra informazione utile all’esercizio del diritto di difesa cosicché quest’ultimo non subisce alcuna compressione dalla ritenuta idoneità della comunicazione. 

(omissis)
Motivi della decisione.
L'opposizione deve essere dichiarata inammisibile essendo stata proposta oltre quindici giorni dopo la comunicazione per estratto della sentenza dichiarativa di fallimento.
Invero è noto che, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale 27.1.1980 n. 151, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 18 L.F. nella parte in cui prevedeva che il termine di quindici giorni per l'opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento decorresse, anche per il debitore, dal giorno della affissione, si è sostanzialmente creata una lacuna legislativa, laddove nessuna precisazione era stata formulata dalla Corte circa l'individuazione del nuovo dies a quo per la decorrenza del termine. Nella L.F. infatti, all'art. 17, è prevista la sola comunicazione, per estratto della sentenza dichiarativa, il giono successivo alla stessa, al debitore, al curatore e al creditore richiedente. Peraltro, per i soggetti diversi dal fallito, l'affissione rimane mezzo legale di conoscenza anche ai fini della decorrenza del termine per l'eventuale impugnazione atteso che la Corte Costituzionale, investita della relativa eccezione di incostituzionalità ancora con riferimento all'art. 18 L.F. ha dichiarato infondata la questione così determinando una tutela diversa per il fallito rispetto agli altri soggetti poiché solo per il primo l'affissione non costituisce strumento di conoscenza ai fini dell'opposizione.
Peraltro ai fini dell'individuazione del dies a quo, per il fallito, per la decorrenza del termine in vista dell'opposizione una parte della giurisprudenza ha ritenuto applicabili i principi generali previsti dal codice di rito sulle impugnazioni, considerando quindi che l'unica forma di conoscenza della sentenza sia la notificazione della stessa (in tal senso, specificatamente, Cass. 12.11.1981 n. 6000, e, incidentalmente , Cass. 14.9.1991 n. 9609 e Cass. 23.10.1991 n.11278), altra parte ha ritenuto che il termine decorra dalla comunicazione per estratto della sentenza dichiarativa ai sensi del combinato disposto degli art. 17 L.F. e 136 cod. proc. civ., poiché la comunicazione in parola costituisce un'adedeguata forma di conoscenza di questa pronuncia giurisdizionale, non diversamente da quanto avviene per la notificazione, attese le peculiarità proprie della procedura concorsuale inidonea a riflettersi anche sul regime delle impugnazioni (in tal senso Cass. 7.11.1981 n. 5876 e 9.7.1993 n. 7562).
Il Collegio ritiene di aderire a questa seconda interpretazione, autorevolmente confermata dalla Suprema Corte nella pronuncia a Sezioni unite del 3.6.1996 n. 5104.
Invero la sentenza dichiarativa del fallimento è soggetta ad una articolata e speciale forma di pubblicità che si manifesta dapprima nella comunicazione per estratto al curatore, al debitore e al creditore richiedente, quindi nell'affisione dell'estratto alla porta del Tribunale, alla sua comunicazione al Pubblico Ministero, all'Ufficio del Registro delle Imprese, alla cancelleria del Tribunale (in cui il debitore è nato o in cui è stata costituita la società) al Casellario Giudiziale ed, infine, con la pubblicazione nel foglio annunzi legali della Provincia. In questo articolato sistema la sentenza della Corte Costituzionale n. 151/1980 ha ritenuto che la semplice affissione alla porta del tribunale dell'estratto della sentenza dichiarativa di fallimento non potesse essere considerato dies a quo per la proposizione dell'opposizione da parte del debitore, risultando lesiva del diritto di difesa per la difficoltà di assicurare l'effettiva conoscenza del fallimento da parte del debitore, senza escludere però la validità della comunicazione per estratto. Infatti, la specialità del processo fallimentare, di cui costituiscono elementi sintomatici la celerità, la sommarietà del giudizio, la peculiarità della pronuncia del fallimento (che da una parte accerta i presupposti per la dichiarazione, dall'altra attribuisce all'imprenditore lo status del fallito e affida al curatore il potere di amministrarne il patrimonio), la possibità che il processo abbia inizio indipendentemente da una domanda di parte, comporta che debba riconoscersi validità a forme di conoscenza diverse dalla notificazione della sentenza come la comunicazione per estratto (in tal senso Cass. 3.6.1996 n. 5104). Il debitore peraltro, a seguito della comunicazione prevista all'art. 17 L.F., ha la possibilità di acquisire presso la cancelleria ogni altra informazione utile all'esercizio del diritto di difesa cosicché quest'ultimo non subisce alcuna compressione dalla ritenuta idoneità della comunicazione. Ove invece il cancelliere abbia omesso di effettuare la comunicazione indicata, permane la possibilità di impugnazione nell'anno dalla pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento, secondo il principio generale previsto all'art. 327 cod. proc. civ. (in tal senso Cass. ora citata).
Nel caso in esame, risultando che la comunicazione dell'estratto della sentenza è stata ricevuta dal debitore il 6.12.1994 mentre l'opposizione è stata notificata, al primo dei convenuti, il 21.1.1995, il termine di quindici giorni previsto all'art. 15 è ampiamente decorso con conseguente dichiarazione di inammissibilità dell'opposizione. L'accoglimento di un'eccezione sul rito impedisce l'esame del merito dell'opposizione. Segue la condanna alle spese liquidate come da dispositivo.

Nota
Il Tribunale di Roma, aderendo alla tesi da ultimo affermata dalla Suprema Corte a Sezioni Unite con sentenza del 3.06.1996 n. 5104 ritiene che il termine perentorio di quindici giorni per l’opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento, previsto, a pena di inammissibilità, dall’art.18 L.F., decorra per il fallito dalla comunicazione dell’estratto della sentenza.
La sentenza in commento ripercorre le tappe dell’evoluzione giurisprudenziale muovendo dalla nota pronuncia della Corte Costituzionale n. 151 del 27.11.1980, che, disattendendo precedenti decisioni di manifesta infondatezza della questione [1], dichiarava costituzionalmente illegittimo l’art.18, 1° comma, L.F. per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui prevede che il termine di quindici giorni per fare opposizione al fallimento decorra per il debitore dalla affissione della sentenza dichiarativa.
A seguito della indicata pronuncia di incostituzionalità è emersa, secondo il Tribunale, una lacuna legislativa in relazione al dies a quo, colmata dalla giurisprudenza con oscillanti interpretazioni.
Da un lato, in applicazione dei principi generali sulle impugnazioni, si è affermato che il termine per l’impugnazione decorra dalla notificazione della sentenza, ritenuta l’unica forma di conoscenza del provvedimento impugnato [2].
Dall’altro, sul presupposto che la comunicazione della sentenza per estratto assicurasse una adeguata forma di conoscenza in ragione delle peculiarità della disciplina fallimentare, si è indicato quale dies a quo il giorno della comunicazione per estratto della sentenza dichiarativa di fallimento [3].
Per dirimere il contrasto interpretativo sono, infine, intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con l’indicata sentenza del 3.06.1996 n. 5104 che ha accolto la seconda delle tesi sopra esposte, ritenendo sufficiente che il fallito, tramite la comunicazione per estratto della sentenza, abbia conoscenza del fatto storico della dichiarazione di fallimento per assumere, quindi, tutti gli elementi strumentali all’esercizio del diritto di difesa.
La notificazione, infatti, alla stregua delle esposte argomentazioni, non appare necessaria per consentire al debitore di avere conoscenza dell’avvenuta dichiarazione di fallimento [4].
Il Tribunale di Roma aderisce alla posizione espressa dalle Sezioni Unite e dichiara l’inammissibilità dell’opposizione ex art.18 L.F. proposta dal fallito oltre il termine di quindici giorni dalla comunicazione della sentenza per estratto a cura della cancelleria. Il presente contributo intende segnalare come, in concreto, la comunicazione dell’estratto della sentenza di fallimento non assicuri, contrariamente a quanto affermato, la possibilità di acquisire presso la cancelleria ogni altra informazione utile all’esercizio del diritto di difesa cosicché quest’ultimo non subisce alcuna compressione dalla ritenuta idoneità della comunicazione.
Peraltro la tesi della decorrenza del termine per l’opposizione del fallito dalla comunicazione dell'estratto della sentenza, pur ammissibile alla luce delle peculiarità della procedura fallimentare e in particolare della natura e struttura del procedimento di opposizione, conduce a conseguenze che contrastano le finalità di celerità e stabilità della procedura fallimentare.
E’ opportuno accennare alle norme che disciplinano le attività del cancelliere successive alla pubblicazione della sentenza di fallimento.
A norma dell’art.17, 1° comma, L.F.: “La sentenza che dichiara il fallimento è comunicata per estratto, a norma dell’art. 136 cod. proc. civ. [5] al debitore, al curatore e al creditore richiedente non più tardi del giorno successivo alla sua data. L’estratto deve contenere il nome delle parti, il dispositivo e la data della sentenza”. I successivi due commi prevedono, nello stesso termine, l’affissione dell’estratto alla porta esterna del Tribunale, la comunicazione al Pubblico Ministero, all’Ufficio del Registro delle Imprese per l’iscrizione, alla cancelleria del Tribunale di nascita del debitore ovvero di costituzione della società, e, infine, la pubblicazione sul F.A.L..
L’eventuale inosservanza dei termini per l’adempimento delle indicate formalità non determina nullità [6], e non di rado la comunicazione dell’estratto della sentenza perviene al fallito oltre il quinto giorno dalla sua pubblicazione.
La stessa affissione, dalla quale decorre il termine per l’opposizione da parte di ogni altro interessato, diverso dal fallito, avviene nella prassi oltre quindici giorni dalla dichiarazione di fallimento.
Alle disposizioni della L.F. si affiancano quelle del “Testo Unico sull’Imposta di Registro” (D.P.R. 26.04.1986 n.131) che all’art.13, 3° comma, testualmente recita: “Per i provvedimenti di cui all’articolo 10 ,1° comma , lettera “c” [7]  diversi dai decreti di trasferimento e dagli atti da essi ricevuti, i cancellieri devono richiedere la registrazione entro cinque giorni da quello in cui il provvedimento è stato pubblicato o emanato …”.
Orbene, il combinato disposto delle suindicate norme comporta che il cancelliere, espletate le formalità previste dalla L.F., tra le quali la richiesta all’Ufficiale Giudiziario di notificazione della comunicazione per estratto al fallito, provveda a trasmettere l’originale del provvedimento da impugnare all’Ufficio del Registro. Ne consegue che il debitore recandosi in cancelleria per acquisire ogni altra informazione utile (spesso, come si vedrà oltre, necessaria) all’esercizio del diritto di difesa non potrà ottenere copia integrale della sentenza, già trasmessa all’Ufficio del Registro.
Il fallito si vedrà quindi costretto a chiedere al cancelliere di richiamare la sentenza dall’Ufficio del Registro, a norma dell’art. 66, 2° comma, lett. “a” D.P.R. n.131/86, al fine di estrarne copia per la prosecuzione del giudizio.
I tempi necessari per l’evasione della richiesta comporteranno, nella migliore delle ipotesi, una indebita riduzione del già breve termine perentorio di quindici giorni per la proposizione dell’opposizione; ovvero nell’ipotesi, non infrequente, di scarsa efficienza dell’Ufficio del Registro, il termine trascorrerà integralmente prima che il fallito possa ottenere copia del provvedimento da impugnare.
L’impossibilità di esaminare il testo integrale della sentenza rappresenta un evidente impedimento al compiuto esercizio del diritto di difesa nell’ipotesi in cui il fallito non possa verificare la sussistenza dei vizi di nullità e dei motivi di gravame del provvedimento.
In tale evenienza, infatti, il fallito si vedrà costretto a impugnare comunque la sentenza, riservando al successivo esame della pronuncia il puntuale riscontro dei motivi di opposizione, ovvero dovrà prestare acquiescenza, non scorgendo nell’estratto comunicatogli quei vizi che soltanto l’analisi degli elementi formali e sostanziali della sentenza potrebbe rivelare.
L’opposizione alla dichiarazione di fallimento di cui all’art.18 L.F. rappresenta un rimedio generale tanto per vizi di attività del giudice, che comportano la nullità della sentenza opposta, quanto per errori di valutazione dei presupposti per la dichiarazione di fallimento, che ne determinano la revoca.
Rientrano tra le ipotesi di nullità, i vizi di rappresentanza delle parti, comuni a tutti i giudizi di cognizione, il difetto di giurisdizione [8], l’incompetenza, la mancata audizione del debitore prevista ex art.15 L.F., il difetto di sottoscrizione della sentenza, riscontrabile, ovviamente, soltanto dall’esame del provvedimento in originale.
Costituiscono motivi di merito, che conducono alla revoca della sentenza, gli errori di valutazione del presupposto oggettivo (sussistenza dello stato di insolvenza) e soggettivo (qualità di imprenditore commerciale assoggettabile a fallimento) della dichiarazione di fallimento.
Pur ammettendo che talvolta il fallito possa comunque censurare la valutazione dei presupposti soggettivi e oggettivi dedotti dai creditori istanti nel ricorso per dichiarazione di fallimento, notificato unitamente al decreto di fissazione dell’udienza c.d. “prefallimentare”, nell’ipotesi, invece, di fallimento per iniziativa del P.M. (art. 7 L.F.) ovvero di ufficio (art. 8 L.F.), neppure tali vizi potranno essere compiutamente valutati e rilevati dal fallito, se non attraverso l’esame del testo integrale della sentenza.
Per quanto esposto è, pertanto, di tutta evidenza che la decorrenza del termine in questione dalla comunicazione per estratto della sentenza lede il diritto di difesa del fallito. E’ doveroso, peraltro, convenire con la giurisprudenza della Suprema Corte che “la Corte Costituzionale ha costantemente affermato che il diritto di difesa è garantito non in via assoluta ed indistinta, ma in modo da tener conto delle speciali caratteristiche dei singoli procedimenti, onde non è necessario un termine processuale unico per ogni tipo di diritto fatto valere” (Cass. 2.11.1998 n. 10915, in Foro It., 1999, I, 103); inoltre “lo stesso giudice delle leggi, dichiarando manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale proposta proprio per la brevità di detto termine, ha precisato che ‘quel che conta non è la durata ma l’individuazione del suo termine iniziale’” (Corte Cost. n. 273/1987, in Foro It., 1988, I, 30).
Alla luce di ciò, l’indicato pregiudizio derivante al fallito dalla concreta impossibilità di verificare i vizi di nullità deve essere valutato specificamente in relazione alla peculiare disciplina della rilevabilità e deducibilità dei vizi di nullità e dei motivi di gravame nel giudizio di opposizione alla sentenza di fallimento. In tale giudizio di impugnazione, infatti, trova ingresso il principio della conversione delle nullità in motivi di gravame, dal quale discendono i seguenti corollari.
Da un lato, qualora il vizio non sia fatto valere con le modalità e i termini propri della impugnazione, il conseguente esaurimento della possibilità della impugnazione stessa determina la sanatoria del vizio, in quanto, come si è veduto, codesto esaurimento dà luogo all’incontrovertibilità propria della cosa giudicata [9].  Dall’altro, per analogia con il giudizio di appello, il Tribunale, fuori dei casi tassativamente previsti dagli articoli 353 [10], e 354 [11] cod. proc. civ., procederà a verificare la rispondenza o meno a giustizia della decisione impugnata, trattenendo la causa e decidendola nel merito. In tale ipotesi, infatti, non avrà luogo un giudizio meramente rescindente volto alla dichiarazione della nullità, poiché la rispondenza a “giustizia” della decisione renderà innocui gli eventuali vizi formali della stessa [12].
Il principio enunciato si applica, come accennato, alle ipotesi di nullità per irregolarità della sottoscrizione. Al contrario, nella ipotesi di difetto di sottoscrizione della sentenza, la nullità (inesistenza) non si converte in motivo di gravame e può essere fatta valere in ogni tempo in via di eccezione, anche fuori del giudizio di impugnazione, nonché con un autonomo giudizio di merito.
L’opposizione si propone nelle forme degli artt. 163 e 164 cod. proc. civ., e determina l’introduzione di un giudizio a cognizione piena.
Secondo il prevalente orientamento [13] non occorrerebbe, peraltro, che la citazione in opposizione ex art. 18 L.F. contenga la specifica indicazione dei motivi, tesi comunque da verificare e precisare alla luce della riforma dell’art. 164 cod. proc. civ. introdotta dalla Legge 26.11.1990 n. 353.
Le nullità sono rilevabili anche d’ufficio nel procedimento di opposizione davanti al Tribunale, possibilità preclusa tanto nel giudizio di appello quanto in quello per  Cassazione [14].
Inoltre, giurisprudenza e dottrina [15]  ritengono che nel giudizio di opposizione non valga il principio dell’onere della prova, bensì il c.d. “principio inquisitorio”.
In conclusione, dalla posizione della giurisprudenza sulla natura e funzione del giudizio di opposizione deriverebbe che il fallito, lamentando la generica ingiustizia della dichiarazione di fallimento, potrebbe proporre, anche senza specifica deduzione dei vizi e dei motivi di impugnazione, l’opposizione prevista dall’art.18 L.F. al fine di ottenere un riesame dei presupposti per la dichiarazione di fallimento, riservandosi di eccepire e prospettare, nel corso del giudizio di opposizione, eventuali vizi di nullità, in ogni caso rilevabili d’ufficio, e motivi di gravame.
Non ci pare, francamente, che un tale assunto, comportando l’evenienza di un indiscriminato ricorso al rimedio generale della opposizione ex art.18 L.F., soddisfi “il carattere e le esigenze di speditezza della procedura concorsuale”, le cui finalità esigono misure di pronto intervento, di accertamento rapido dei diritti dei diversi soggetti interessati all’esecuzione collettiva e, nel contempo, un notevole grado di stabilità giuridica dei provvedimenti, la cui funzionalità non può essere messa in discussione nel tempo.[16]”.
La giurisprudenza, nell’indicare, a conforto della rigorosa soluzione prescelta, esigenze di pronto, definitivo accertamento e di stabilità giuridica non intende, evidentemente, riferirsi all’efficacia della sentenza di fallimento, che non viene comunque meno con la proposizione della impugnazione, ma, invece, al rapido esaurimento dei mezzi di impugnazione e gravame, in vista della stabilità della sentenza di fallimento per effetto del suo passaggio in giudicato.
Un siffatto obiettivo non dovrebbe, a rigore, essere perseguito dando luogo ad ostacoli all’esercizio del diritto di difesa da parte del fallito, bensì consentendo al medesimo un immediato esame critico del provvedimento che limiti il ricorso indiscriminato al rimedio della opposizione ex art. 18 L.F. anche avverso sentenze delle quali il fallito ignori il fondamento logico e giuridico. 
Le conseguenze prospettate vanificano, pertanto, il concreto soddisfacimento delle esigenze indicate in linea di principio a giustificazione del sacrificio del diritto di difesa del fallito.
E’ pertanto auspicabile un ripensamento della giurisprudenza che, attesa la concreta impossibilità per il fallito di valutare preliminarmente la fondatezza della opposizione, ritenga ingiustificata, alla luce del prospettato rischio di abuso del gravame, la lesione del diritto di difesa e accolga la tesi sostenuta da larga parte della dottrina [17] sulla decorrenza del termine per l'opposizione dalla notificazione della sentenza.



Note

[1] Corte Cost. 22.11.1962 n. 93,in Dir. Fall. 1963, II, 644; e Corte Cost. 16.07.1970 n. 41, in Dir. Fall., 1970, II, 601 [torna al testo]

[2] Cass.12.11.1981 n. 6000; Cass. 14.09.1991 n. 9609; Cass. 23.10.1991 n. 11278; Trib. Milano 5.2.1987, Rep. Foro It., 1987, Voce Fallimento n.184; Trib. Roma 6.11.1984, Rep. Foro It., 1985, Voce Fallimento n. 208; in dottrina, FERRARA - BORGIOLI, Il Fallimento, 1995, 247, nota 2; DIDONE, L’opposizione al fallimento e l’art. 327 cod. proc. civ., in Giust. Civ., 1992, I, 472; SATTA, Diritto Fallimentare, 1990, 80; FABIANI, Il “dies a quo” nell’opposizione alla sentenza di fallimento, in Giur. di merito, 1989, 1175; BONSIGNORI, Il Fallimento, in Trattato a cura di F. Galgano, 1986, 548; PAJARDI, Manuale di diritto fallimentare, 1986,163; BALBI, Il procedimento per dichiarazione di fallimento e il giudizio di opposizione, in Giur. Comm., 1984, I, 790; CARBONI, Note in margine alla declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art.18 L.F.. in Giur. Comm., 1982, II, 114; RAGUSA - MAGGIORE, Affissione della sentenza e termini di impugnazione nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, in Dir. Fall., 1981, II, 5. [torna al testo]

[3] Cass.7.11.1981 n. 5876; Cass. 9.1993 n. 7562; App. Roma 30.10.1990, in Rep. Foro It., 1991, Voce Fallimento, n. 248; Trib. Bologna 19.03.1988, in Rep. Foro It., 1989, Voce Fallimento, n. 257; in dottrina, TEDESCHI, Decorrenza del termine per l’opposizione del fallito alla sentenza di fallimento, in Nuove Leggi Civili comm., 1981, 364; LO CASCIO, in Il Fall., 1993, 1245 [torna al testo]

[4]  Cass. S.U. 3.06.1996 in Il Fallimento, 1996, 12, 1205 [torna al testo]

[5]  A cura del cancelliere, con biglietto di cancelleria in carta non bollata, consegnato dal cancelliere stesso al destinatario, ovvero notificato dall'ufficiale giudiziario, come avviene nella prassi; [torna al testo]

[6] Cass. n.554/63; in dottrina PROVINCIALI, Trattato di Diritto fallimentare, I, 501) 
[torna al testo]

[7] Le sentenze, i decreti e gli altri atti degli organi giurisdizionali alla cui formazione hanno partecipato nell’esercizio delle loro funzioni” [torna al testo]

[8] Ad esempio, impresa straniera che non abbia in Italia sedi secondarie o stabile organizzazione. [torna al testo]

[9] MANDRIOLI, Corso di Diritto processuale civile, 1993, II, 337). [torna al testo]

[10] Ragioni di giurisdizione e competenza. [torna al testo]

[11] Nullità della notificazione della citazione, mancata integrazione del contraddittorio, indebita estromissione di una parte, mancata sottoscrizione della sentenza. [torna al testo]

[12] Cfr. Cass. 27.08.1963 n.2367 [torna al testo]

[13] TEDESCHI, Commentario Scialoja - Branca, 534; FERRARA, Il Fallimento, 241
[torna al testo]

[14] Cass. S.U. n. 806/75; Cass, n. 1155/77; Cass. 24.03.1977 in Dir. Fall.. 1977, II, 307; Cass. 2168/72) [torna al testo]

[15] Cass. n. 3877/85; 1666/72; 2313/63; T. Roma 14.02.1990; in dottrina, PAJARDI, Manuale di Diritto Fallimentare, 1993, 172; TEDESCHI, Disposizioni Generali in Commentario Scialoja – Branca, 509 [torna al testo]

[16] Cass. S.U. 3.06.1996 n 5104 in Il Fallimento, 1996, 12, 1205 [torna al testo]

[17] Cfr. precedente nota n° 2 [torna al testo]


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