Il caso in esame può essere riguardato
sotto una serie di profili
Innanzi tutto si osserva che il contratto può
dirsi sicuramente perfezionato tra la Tartaruga e la Cagnola, come si evidenzia
nell’interrogativo “Accetti?” seguìto dalla risposta affermativa
“Accetto”,
che riecheggia la classica formula de iure civili: “Spondes?”,
“Spondeo”,
attualmente riversata nell’art. 1326 cod. civ., secondo cui “il contratto
è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza
dell’accettazione dell’altra parte”.
Quello perfezionato tra le parti è un
contratto tipico, consistente in un “do” (la braciola), “ut facias”
(se
me rimetti in posizzione) ed a perfezionamento consensuale.
La prestazione richiesta dalla Tartaruga alla
Cagnola è un “opus perfectum”, senza indicazione alcuna
circa le modalità della prestazione stessa. Appare quindi, quale
più pertinente al caso che intrattiene, la qualificazione dell’accordo
raggiunto tra le parti quale “contratto d’opera”.
Nell’esecuzione del contratto, tuttavia, si inserisce
un elemento patologico: completata l’esecuzione della prestazione (co’
du’ zampate l’arimise in piede), la Cagnola reclama il corrispettivo
(Poi chiese: - E la braciola?) costituendo in mora, per vero irritualmente,
ma non per questo meno efficacemente, la Tartaruga.
a tale legittima richiesta, perfettamente conforme
a contratto, segue la risposta agnostica della debitrice (Quale?),
che evoca il comportamento di colui che, senza voler confessare il proprio
intento, mira, nondimeno, a sottrarsi all’adempimento, provocando il creditore
alla prospettiva delle vie legali, nella speranza di scoraggiarlo.
Occorre purtuttavia indagare se nell’agnosia
della Tartaruga sia ravvisabile l’esimente del contratto concluso in istato
di pericolo, prevista dall’art. 1447 cod. civ., a tenore del quale “Il
contratto con cui una parte ha assunto obbligazioni a condizioni inique
per la necessità, nota alla controparte, di salvare sé o
altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, può essere
rescisso sulla domanda della parte che si è obbligata”.
Invero, gli elementi costitutivi indicati dalla
norma
possono dirsi in gran parte integrati dalla fattispecie de qua.
Non v’è dubbio che la Tartaruga, la quale “ne la scivolata rimase
co’ la casa arivortata”, si trovasse in quello stato di pericolo attuale
e personale, e non semplicemente patrimoniale, all’atto d’instaurare la
trattativa con la Cagnola. Questa, peraltro, nelle circostanze di tempo
e di luogo descritte, era perfettamente in grado di percepire direttamente
la necessità in cui versava la proponente per sottrarsi al pericolo
di danno grave.
Appare invece carente il requisito oggettivo
dell’iniquità delle condizioni, atteso che la Tartaruga prometteva
corrispettivo a propria scelta e di modesto valore. In proposito deve peraltro
essere sottolineato che trattavasi di bene
estraneo alla sua sfera giuridica, rientrante,
invece, in quella “der padrone”. Nella descrizione del corrispettivo
promesso, peraltro, la Tartaruga induce in errore la Cagnola, prospettandole
l’immediata e diretta disponibilità della braciola, come si evidenzia
nella frase: “T’arigalo, in compenso, una braciola che ciò
riposta a casa der padrone”: sopraffina malizia del contraente!
Come poi si seppe, non solo la casa era “der padrone”, ma financo
la braciola che, invece, veniva promessa come propria. Non può quindi
dirsi che la Tartaruga abbia rispettato il disposto di cui all’art. 1337
cod. civ. sul comportamento secondo buona fede che le parti devono osservare
durante le trattative.
Legittima pertanto a questo punto appare la scelta
della Cagnola di rivolgersi al Gatto-Avvocato per ottenere la “bona
giusitzzia che te frega”: alla stregua di colui che, umiliato dal torto
sofferto, confida tuttavia nel superiore ordine della Legge.
Occorre rimarcare l’elegante comportamento dell’Avvocato
che, testimone delle glorie dell’antica Iurisprudentia consulente
del tardo diritto romano, applica l’incrollabile broccardo “Da mihi
facum, dabo tibi ius”. Mirabile altresì l’intuito del giurista
consumato! Coglie fulmineo il nodo centrale della controversia, costituito
dalla delicata questione dell’equità del compenso promesso alla
Cagnola, che risolve accostandovi la massima giuridica pertinente, sebbene
attribuita erroneamente ad Orazzio con deprecabile caduta di stile,
che solo l’esigenza della rima può giustificare. In effetti, l’evocazione
“promissio
boni viri est obbligazzio”, proverbio medievale di ignoto saggio e
non di epoca classica, sottolinea come una promessa fatta da persona proba
ed onesta, quand’anche formulata in istato di pericolo, sia comunque vincolante
per il promittente che la propria onorabilità voglia preservare.
Ineccepibile appare la scelta dell’Avvocato di
tentare l’esperimento giudiziale consistente nella ricostruzione della
medesima situazione in cui le parti ebbero a stipulare il contratto, onde
poterle quindi liberamente interrogare. In effetti la Tartaruga, “messa
co’ la casa vortata a l’incontrario”, “...riconferma la promessa”.
Da sempre una certa misura di coercizione produce il risultato di avvicinare
gli inquirenti alla verità: una collaudata esperienza tuttora praticata
con successo, come anche recenti vicende giudiziarie, hanno ampiamente
confermato.
A tanto sottoposta, la Tartaruga, in formidine
tormentorum, non solo conferma l’obbligazione assunta, ma estende le
proprie dichiarazioni all’assenza di diritti sulla braciola, di cui però
conferma esistenza ed ubicazione. Nonostante la piena confessione resa,
grande è la prudenza del legale che non trascura l’ispezione diretta
dei luoghi a termini di procedura (art. 259 cod. proc. civ.), un mezzo
di prova oggi troppo spesso delegato ai consulenti tecnici d’ufficio, con
perdita di quell’immediatezza che non è invece sfuggita al giurista
de
quo, nonostante l’assenza del contraddittorio.
Come tutti i responsi giuridici, anche tale mezzo
di istruzione richiede del tempo durante il quale è palpabile, nella
narrazione, l’ansia delle contendenti.
“Avemo vinto!” esclama il Gatto al suo
ritorno, dando ulteriore prova di professionalità per il fatto di
dichiarare il successo solo a risultato ottenuto e senza millantare, prima,
alcuna sicurezza.
Quanto all’esito conclusivo, non vi è
dubbio che all’Avvocato, sino a questo punto del racconto antistatario,
non possa che spettare l’immediata distrazione del suo onorario, nel perfetto
rispetto di quel privilegio che l’art. 2751-bis, n° 2, cod. civ. assicura
alle retribuzioni dei professionisti.