Un privilegio molto
speciale
di Italo Scalera
Proseguendo nel sistema della criptolegislazione,
il Parlamento, con la legge 28 febbraio 1997
n. 30,
ha convertito in legge il D.L. 31 dicembre 1996
n. 669.
La legge di conversione pubblicata sulla
G.U. del 6 marzo 1997 n. 54 ha per oggetto:
“Disposizioni urgenti in materia tributaria,
finanziaria e contabile,
a completamento della manovra di finanza
pubblica per l’anno 1997”.
Chiunque, anche seguendo l’acceso dibattito politico e parlamentare,
nonché le vivaci polemiche che stampa e televisione hanno enfaticamente
riportato, legittimamente riteneva che il decreto legge emanato e la relativa
legge di conversione fossero di stretto collegamento con la finanziaria
per il 1997 e che riguardasse problematiche, aspetti, “aggiustamenti” ad
essa relativi. Ma così non era. Infatti, tra “Disposizioni in materia
di imposte sui redditi”; “Disposizioni in materia di IVA”; “Disposizioni
in materia di accise e di generi soggetti a monopolio fiscale”; “Incremento
del fondo per l’occupazione”; “Interventi in favore degli sfollati della
ex Jugoslavia”; “Fondo per agevolare l’acquisto di automezzi per il trasporto
pubblico locale a fronte della rottamazione di analoghi automezzi usati”,
compare, straniero in patria, l’art. 3 “Disposizioni in materia di trascrizioni
di contratti preliminari e di imposte indirette”, articolo che modifica
incisivamente alcuni articoli del cod. civ. e della legge fallimentare
e che avrebbe meritato maggiori riflessioni ed un approfondito dibattito
parlamentare. La sorpresa è stata ancor più grande, in quanto
la ricordata norma segue altre che la precedono di profilo e spessore del
tutto diversi.
Leggiamo infatti all’art. 2 comma 1, come siano state modificate le
cessioni di “stracci, scarti di ossa, di pelli” e come alla lettera e n.
1 si precisi che “nel n. 1 alla parola asini è premessa la parola
cavalli”.
In buona sostanza, il legislatore è tornato ad abusare di tale
sistema di legiferare in modo criptoforme, inserendo in un contesto riservato
ad un preciso tema anche altre norme che nulla hanno in comune con tali
tematiche enunciate.
I c.d. “decretoni omnibus” di passata memoria, emessi di regola a fine
anno, contenitori delle più disparate normative, che sono, purtroppo,
passati pressoché indenni anche al vaglio della Corte costituzionale,
hanno lasciato in vita questo seme.
Tutto quanto si è finora detto, vale come ennesima protesta
per questo modo di legiferare; passiamo ora al merito della norma.
La norma innovata dell’art. 2645 bis, “trascrizione di contratti preliminari”,
dispone che i contratti preliminari aventi ad oggetto la conclusione di
contratti che, relativamente a beni immobili, trasferiscono la proprietà
o il diritto di usufrutto o di superficie, i diritti del concedente e dell’enfiteuta,
la comunione dei diritti ricordati e che costituiscono o modificano servitù
prediali, diritto di uso, diritto di abitazione (art. 2643 n.1, 2, 3, 4),
anche se sottoposti a condizione o aventi ad oggetto edifici da costruire
o in corso di costruzione, debbano essere trascritti, se risultano da atto
pubblico o da scrittura privata autenticata o accertata giudizialmente.
L’obbligo della trascrizione è esteso al notaio che abbia ricevuto
od autenticato l’atto soggetto a trascrizione, com’è agevole desumere
dall’art. 2671, il quale prevede anche pene pecuniarie e risarcimento danni
per il notaio che ritardi la trascrizione di tali atti.
È evidente lo scossone inferto all’impianto civilistico della
disciplina differenziata tra contratti ad effetti reali e quelli ad effetti
obbligatori ed alla stessa struttura dell’istituto della trascrizione.
Viene disposta la trascrizione di un contratto il quale non ha effetti
reali, bensì sono obbligatori e la stessa novella ne conferma tale
connotazione. La Relazione alla legge si pone il problema, ma lo supera
con molta superficialità e disinvoltura, raccordando il sistema
in atto con il preliminare, “considerando questo non in modo autonomo,
ma come segmento di un procedimento che nasce con il preliminare, ma che
è destinato a svilupparsi, per effetto della procedura prevista
dall’art. 2932, in un negozio con effetti reali. È tenendo conto
dell’intera vicenda che si individua nel preliminare un contratto sostanzialmente
prodromico di una vicenda negoziale intesa al raggiungimento di effetti
reali”. E non accorgendosi della assoluta ovvietà di questo concetto,
prosegue: “In altre parole, la trascrizione del preliminare non opera autonomamente
rispetto al momento della pubblicità del definitivo, ma determina
una sorta di prenotazione che verrà ai fini della pubblicità
soltanto nel momento in cui l’intera vicenda traslativa, nella completezza
degli effetti reali, si sarà verificata”.
Non accorgendosi così di duplicare la teoria già esistente
della prenotazione che la domanda giudiziale introdotta ex art. 2932 produce.
Senza contare la più estesa, agevole, autonoma ed economica sfera
di esperibilità della domanda giudiziale ora ricordata, la quale
non abbisogna, per essere proposta, di un preesistente contratto preliminare
con la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata,
bensì solo di una promessa risultante da atto scritto, svincolata,
inoltre, da assolvimenti di oneri fiscali.
A questo punto, se si volevano veramente proteggere i contraenti ritenuti
più deboli, se si volevano fugare i timori di possibili, eventuali,
futuri inadempimenti del promissario alienante (da notare come la possibilità
di identici inadempimenti da parte del promissario acquirente non sia stata
nemmeno presa in considerazione), forse sarebbe stato più semplice
- e sicuramente più economico - attribuire al “preliminare” (unificando
in esso preliminare e definitivo in un unico atto) anche effetti reali
condizionati al verificarsi di determinati adempimenti dei contraenti e
rinviando a quel momento finale l’esazione delle imposte, come del resto
già avviene per gli atti sottoposti a condizione.
Questo ragionamento sarebbe in maggior coerenza con la risalente raffigurazione
fatta dal legislatore del preliminare come “segmento” di uno stesso procedimento
con ef-fetti reali.
Pertanto, se le parti, per usufruire dei vantaggi offerti dalla nuova
legge (vedremo se siano effettivi vantaggi), debbono ricorrere al ministero
del notaio affrontandone i relativi oneri e debbono poi procedere alla
registrazione prima ed alla trascrizione del preliminare dopo, sopportandone
i relativi costi sia pure in misura ridotta, ma sicuramente a fondo perduto
in quanto successivamente a distanza di qualche tempo dovranno ripercorrere
il medesimo cammino di atti e di spese, questa volta maggiori, per stipulare
e trascrivere il definitivo, non sarebbe stato partito migliore raggruppare
in un unico momento contrattuale ed impositivo (quello del nuovo preliminare
- definitivo ad effetti contemporaneamente obbligatori e reali) rinviando
quest’ultimo o al termine fissato dalle parti od al verificarsi della condizione
e differire il pagamento di un’unica imposta a tale momento?
Si sarebbe evitata una manifesta duplicazione di costi e di imposte
e sarebbe stata assicurata la assoluta certezza e tutela del promissario
acquirente il quale - una volta pagato o completato il pagamento del prezzo
- avrebbe visto in ogni caso divenire di sua definitiva proprietà
il bene oggetto del contratto sin dal momento della trascrizione dell’auspicato
contratto unico e senza bisogno di alcun nuovo intervento del promissario
venditore.
Del resto, non si può dire che nell’ordinamento attuale il promissario
acquirente non avesse la possibilità di agevolmente e vittoriosamente
prevenire e contrastare con le possibilità, eventuali condotte scorrette
da promissario venditore.
Egli poteva svolgere metodiche alternative, quali ad esempio:
a] stipulare direttamente il contratto definitivo;
b] promettere e rinviare il pagamento del prezzo in sede di stipula;
c] garantire adeguatamente il venditore del pagamento del prezzo
contemporaneamente al trasferimento della proprietà;
d] trascrivere cautelativamente e contestualmente alla stipula del
preliminare una domanda giudiziale ex art. 2932;
e] farsi garantire adeguatamente dal promissario venditore la restituzione
integrale della parte di prezzo pagato nel caso di mancata stipula del
definitivo, con inclusione anche di una penale che scoraggiasse e rendesse
antieconomico il ripensamento.
Tali alternative sarebbero esenti da spese, non bisognevoli di formalismi
e formalità; espletabili dalla parte promissaria acquirente autonomamente;
pienamente garantiste dei diritti e degli interessi di entrambi i contraenti
se, ovviamente, entrambi vogliono rispettivamente ed effettivamente vendere
ed acquistare un bene.
È legittimo nella lettura della recente legge il sorgere del
dubbio che non sia stato quello della migliore tutela per il contraente
più debole il motivo ispiratore, bensì quello di introdurre
una nuova imposizione fiscale. Negli atti parlamentari presentati al Senato
e con più chiarezza nella Relazione tecnica accompagnatrice, si
evince chiaramente tale preoccupante disegno.
Dopo aver ricordato che l’art. 10 della Tariffa parte I allegata al
Testo Unico approvato con decreto del Capo dello Stato n. 131 del 1986
già prevedeva l’obbligo della registrazione dei contratti preliminari,
si sottolinea come questo “obbligo sia disatteso nella maggior parte dei
casi”.
Si soggiunge poi che “incentivati dalla maggior sicurezza che può
dare la trascrizione dei contratti preliminari, molti soggetti non utilizzeranno
più semplici scritture private per la redazione di tali contratti,
com’è prassi attualmente, ma ricorreranno alla nuova formulazione
suggerita.”
Ecco che comincia ad affiorare il dubbio.
La Relazione tecnica prosegue, evidenziando che attualmente circa 20.000
contratti preliminari di compravendita di fabbricati vengono registrati
all’Ufficio del Registro, mentre ammonterebbero a complessivi 690.000 i
contratti definitivi registrati, dei quali 190.000 assoggettati ad IVA
e 500.000 ad Imposta di Registro.
La Relazione ipotizza che i 3/4 delle compravendite di fabbricati nuovi
pari a 145.000 ed il 35% dei rimanenti contratti pari a 175.000, per un
totale di 320.000, saranno o sarebbero interessati dalla nuova norma. Indica
e quantifica, addirittura, le relative imposte da versare per ciascun contratto
in un totale di lire 610.000, “le quali produrranno un gettito per l’imposta
di Registro di £.75 Mld (320.000 - 20.000 x 250.000) e di £.115
Mld per le altre imposte da versare alle Conserva-torie (320.000 x 40.000
x 20.000 x 50.000 x 250.000), con un totale di ben £.190 miliardi
di nuovo gettito fiscale aggiuntivo.”
Questo per il versante imposte.
Per i contraenti, però, le spese sono lungi dall’essere finite,
dovendo essi corrispondere gli onorari e le spese al notaio rogante non
quantificabili preventivamente nel totale, essendo esse proporzionali al
valore della compravendita, ma sicuramente consistenti e certamente di
gran lunga superiori a quelle fiscali ora indicate e che tanto per avere
una idea, volessimo immaginare in L.3 milioni ad atto, mediamente, comporterebbero
(320.000 x 3.000.000) una spesa di altri 960 Mld con un totale di £.
1.150 MDL complessivo.
Ecco, quindi, che un secondo dubbio, legittimamente anch’esso, insorge.
È noto come l’attuale crisi economica e la fase recessiva in
atto da almeno 3-4 anni e il quasi totale arresto del settore dell’edilizia
e con esso dei grandi acquisti immobiliari da parte degli Enti e il precipitare
dei prezzi nel settore immobiliare abbiano arrecato gravi danni all’economia
e ridotto incisivamente, e di conseguenza, il lavoro professionale dei
notai.
Abbiamo quindi due emergenze: l’una, di carattere fiscale, tesa al
reperimento di sempre nuove entrate di supplenza a quelle che per le ricordate
ragioni sono diminuite; l’altra, della categoria dei notai, i quali hanno
visto diminuire in modo preoccupante la parte più consistente e
lucrosa del lavoro professionale.
La nuova legge viene, stranamente, incontro ad entrambe dette esigenze,
ripetendo sulle rive di un immaginario lago di Tiberiade, l’antico miracolo
della moltiplicazione dei pani e dei pesci.
Non potendo, ovviamente, aumentare il numero delle compravendite immobiliari,
questa legge ne raddoppia i momenti impositivi e professionali.
Le parti, per procedere ad una compravendita immobiliare, dovranno
procedere alla stipula del preliminare con ministero di notaio ed alla
registrazione e trascrizione del contratto preliminare e, in una seconda
fase, a ripetere tale procedurale in sede di contratto definitivo. Senza
dubbio un bel risultato.
Ma una simile duplicazione di costi ha bisogno di consistenti vantaggi
offerti in contropartita per diventare appetibile ai più e per essere
accettata da una significativa percentuale di cittadini.
Di conseguenza, la nuova legge, oltre “alla maggior sicurezza che la
trascrizione del preliminare offre” (come essa stessa dice), concede un
secondo vantaggio compensativo e quanto mai accattivante: il privilegio
speciale.
Infatti, introduce l’art. 2775 bis il quale stabilisce che “i crediti
per mancata esecuzione di contratti preliminari hanno privilegio speciale
sull’immobile oggetto del preliminare” e consolida tale concessione aggiungendo
il n. 5 bis all’art. 2780 ed includendo tali crediti in detta norma.
Inoltre, modifica l’art. 72 del R.D. 16 marzo 1942 n. 267, aggiungendo
ad esso un ulteriore comma il quale prevede che nel caso di fallimento
del promissario alienante, ove il di lui curatore opti per la risoluzione
del contratto preliminare, il “promissario acquirente ha diritto di far
valere il proprio credito nel passivo e gode del privilegio speciale di
cui al novello art. 2775 bis, pur senza aver diritto al risarcimento danni”.
Questa concessione del privilegio ci appare discutibile, se non inquadrata
in una sorta di contropartita come sopra detto e sembra costituire un vero
e proprio salvacondotto, a pagamento per chi voglia e possa permetterselo,
“acquistando”, in sostanza, una maggiore tranquillità, la quale
invece deve essere garantita a tutti i cittadini e a costi uguali.
È ben vero che la Corte costituzionale ha riconosciuto la discrezionalità
del legislatore ordinario a costituire i privilegi, ma è altrettanto
vero che identiche, analoghe situazioni in diritto devono ricevere sempre
identico trattamento.
La posizione del promissario acquirente appare, inoltre, irragionevolmente
sperequata rispetto a quella dell’acquirente definitivo, il quale venga
coinvolto in una vicenda giudiziaria la quale si concluda con una pronunzia
di annullamento, nullità, risoluzione, rescissione, revocatoria
ordinaria o fallimentare del contratto definitivo di compravendita. Il
suo diritto alla restituzione di quanto pagato resterà inesorabilmente
di natura chirografaria, così come nell’ipotesi dell’art.71 L.F.,
che vedrà l’ammissione al passivo fallimentare sempre in via chirografaria.
Un privilegio, inoltre, limitato nel tempo, per il periodo intercorrente
tra la trascrizione del preliminare e la trascrizione del definitivo e
comunque non oltre un periodo triennale, dopo di che ritorna ad essere
chirografario.
Un diritto di credito squisitamente di natura chirografaria senza che
impinga in situazioni le quali fin dall’origine dell’obbligazione ne connotino
la concessione in relazione alla causa del credito, tanto che ha una efficacia
limitata nel tempo ed in costanza solo di particolari, futuri, occasionali
ed eventuali eventi, non predeterminati dalla norma.
L’originaria obbligazione, quella di pagare il prezzo di una compravendita
in situazioni assolutamente normali, sicuramente non nasce connotata da
condizioni particolari necessitanti o meritevoli di quella particolare
tutela e protezione costituita dalla concessione di un privilegio speciale
per la eventuale restituzione. Non si vede il perché il promissario
acquirente di beni immobili debba ricevere questo particolare trattamento
non concesso ed esteso anche agli altri promissari acquirenti di beni mobili
ed agli acquirenti i quali abbiano già, direttamente, senza stipulare
il preliminare, stipulato il contratto definitivo e si trovino o si troveranno
ad essere coinvolti in vicende di successiva invalidazione di questo.
Ci piace ricordare che il privilegio viene accordato dalla legge in
considerazione della causa del credito (art. 2745) e che resta tale finché
esista il credito o per un periodo temporale prefissato, e quindi sempre
certo, dalla norma (art. 2751 n. 2 e 3, ad esempio).
La concessione di tale privilegio e della ricezione di esso dal novellato
art. 72 L.F. costituisce anche uno scossone per l’intero impianto della
concorsualità ed in particolar modo per gli effetti del fallimento
sui rapporti giuridici preesistenti.
La regolamentazione e la sorte di tali rapporti venivano regolate sul
criterio guida della convenienza per la massa dei creditori che doveva
prevalere sull’interesse dell’altro contraente; criterio contemperato dalla
posizione di terzo del curatore il quale, non rappresentando né
il fallito, né i creditori, ma essendo un organo di una procedura
esecutiva forzata collettiva, deve presiedere al raggiungimento dei fini
migliori per la procedura che possono, di volta in volta, divergere
o convergere con quelli dei creditori.
Senza contare, ovviamente, la impossibilità soggettiva ed oggettiva
per una procedura esecutiva di subentrare in particolari tipi di contratto
chiaramente incompatibili con essa.
Con tale modificazione innovativa, la scelta del curatore ex art. 72
L.F. viene fortemente limitata ed influenzata dal fatto di dover riconoscere
tale privilegio speciale al promissario acquirente, nel caso che decida
per lo scioglimento, in quanto il residuale vantaggio economico che la
massa ricaverebbe dal conservare la proprietà del bene e dal poterlo
rivendere in condizioni di maggior trasparenza e tranquillità, potrebbe
venire di fatto annullato dal dover riconoscere in contropartita il ricordato
privilegio speciale sul ricavato.
Nell’ipotesi dell’art. 72, il curatore, di fronte ad un contratto preliminare,
anche in vistose condizioni di prestazioni squilibrante per il fallito,
non può procedere con le azioni revocatorie, stante la sua facoltà
di sciogliersi dal preliminare medesimo. Infatti, la questione della assoggettabilità
o meno del contratto preliminare all’azione revocatoria ex art. 67 n. 1
L.F. è, a mio avviso, risolvibile in senso negativo, stante la possibilità
attribuita dalla legge con l’art. 72 al curatore di optare per lo scioglimento
del contratto stesso.
Se il curatore ha la facoltà di cessare gli effetti per la massa,
penalizzanti o ritenuti tali, di detto contratto, con la semplice sua determinazione
volitiva non può ovviamente chiedere in via giudiziaria la pronuncia
di inefficacia riservata a quegli atti definitivi e per i quali non sia
possibile lo scioglimento unilaterale, il quale eliminerebbe la illegittimità
e la sproporzione dell’atto medesimo, in quanto non portato alle conclusive
definizioni.
E se il curatore non sceglie di sciogliersi dal preliminare, vorrà
dire che non lo reputa certamente lesivo degli interessi della massa e,
decidendo di darvi volontaria attuazione e prosecuzione, vorrà dire
averlo ritenuto addirittura vantaggioso per la massa, rendendo improponibile
una do-manda di revocatoria fallimentare.
È poi altrettanto pacifico che lo squilibrio delle prestazioni
e la società decoctionis devono “esistere all’epoca in cui l’atto
è stato compiuto e se era stato stipulato un preliminare, con riguardo
all’atto definitivo” (Provinciali, Trattato cit., II, 1070). Oggetto della
revocatoria potrà essere solo l’atto traslativo della proprietà
che costituisce il mo-mento del denunziato depauperamento del patrimonio
del fallito, che ha visto uscire dal di lui patrimonio un bene a fronte
di un controvalore troppo inferiore. Principio indiscutibile in quanto
“il trasferimento avviene solo con il contratto definitivo e solo in quel
momento può determinarsi il valore del bene (cfr. anche Tribunale
Napoli, 6 lu-glio 1970 in Dir. fallim., 1971, II, 936).
Da notare come sia il procedurale di volontario scioglimento ex art.
72, sia la pronunzia di inefficacia ex art. 67 producano alla fine identiche
conseguenze: in entrambi i casi il curatore potrà - a tali vicende
concluse - sottoporre il bene in questione all’azione esecutiva collettiva
ed in entrambi i casi l’altro contraente avrà diritto ad insinuare
, ex art. 72 u.c. o art. 71, il proprio credito per la restituzione di
quanto pagato.
Non si può chiedere la revoca di un contratto dal quale, pur
potendolo, non ci si è voluti sciogliere ed, anzi, si è voluto
portare a compimento in nome dell’interesse per i creditori, unico spirito-guida
per gli atti del curatore. Basti riflettere che la la-mentata sproporzione
che sarebbe poi posta a fondamento della norma revocatoria sarebbe stata
assai più rapidamente ed agevolmente vanificata dalla semplice dichiarazione
di scioglimento dal contratto effettuata dal curatore.
Ma la scelta del curatore resterà ora ineludibilmente condizionata
del fatto di sapere che dovrà riconoscere il novello privilegio
speciale che, in molti casi, vanificherebbe l’interesse concreto per la
massa. Senza contare il fatto che la scelta del curatore avverrà
in una sede puramente amministrativa del processo fallimentare come volontaria
giurisdizione, nella quale, ad esempio, sarà ancora impossibile
per lui accertare se il credito del promissario acquirente sia veramente
esistente e nella misura risultante dal preliminare, con il rischio di
concedere un riconoscimento di tale natura ad un credito inesistente.
La possibilità di contestarlo in seguito in sede di ammissione
al passivo e di accertare la verità dei fatti nell’eventuale giudizio
di opposizione allo stato passivo, oltre che ad essere una ipotesi eventuale
in quanto rimessa alla successiva valutazione di un diverso organo concorsuale,
il G.D., potrebbe non trovare spazio discrezionale di fronte alle risultanze
di un atto pubblico ed alla ferrea disposizione dell’attuale novella, oltre
a poter apparire come comportamento poco trasparente di un curatore che
adotta la soluzione dello scioglimento con la riserva mentale di opporsi
all’ammissione poi del credito.
E così la proposta qui embrionalmente avanzata tutelerebbe appieno
l’interesse primario e sostanziale del promissario acquirente, il quale
vedrebbe così la possibilità di assicurarsi l’acquisto. In
tale ipotesi, l’art. 72 andrebbe modificato con la precisazione, sia pur
ovvia, che gli effetti della trascrizione del nuovo tipo di atto di vendita
composito consisterebbero nel considerare la cosa venduta già passata
in proprietà del compratore e questi tenuto solo all’eventuale completamento
del prezzo o di quelle altre attività contrattualmente previste.
Con ciò non si vuole far finta di ignorare un problema che indubbiamente
esiste o forse solo esisteva.
Nel caso di fallimento di grosse imprese di costruzioni (oggi non ne
vediamo più molte!) si è verificato nel passato il caso di
molti promissari acquirenti i quali avevano perso, o seriamente rischiato
di perdere di fatto, quanto già pagato per l’acquisto, risultando
l’ammissione al passivo in via chirografaria del tutto vanificante il loro
credito.
Ma dall’evento patologico, eccezionale non si possono trarre conseguenze
di tutele di grado eccessivo o sperequativo se non prendendo in attenta
considerazione da un lato l’incidenza statistica dell’evento straordinario
e dall’altro i risultati della attuale tutela ex art. 2932. Ci piacerebbe,
in primo luogo, conoscere quanti siano i giudizi introdotti ex art., 2932
rispetto al totale dei contratti preliminari stipulati e quanti siano i
casi di fallimento dei promissari venditori e in questi quanti siano stati
gli scioglimenti richiesti dal curatore ex art. 72. Non siamo in possesso
di dati statistici in merito, omogenei da raffrontare, ma istintivamente
e razionalmente saremmo portati a ritenere che questi ultimi casi siano
stati davvero in numero estremamente contenuto e lo sono ancor meno oggi
e in misura ancor più ridotta domani e tali, considerando anche
le alternative sopra proposte, da - dormientibus ac non vi-gilantibus iura
non succurrunt- non necessitare dell’intervento (a pagamento) del legislatore
in favore di chi non abbia voluto far nulla per proteggere i propri interessi.
Solo ove un fenomeno sia effettivamente significativo, occorre predisporre
interventi tesi alla tutela degli effettivi interessi e diritti posti in
pericolo.
Questa legge non tutela l’interesse sostanziale e primario del promissario
acquirente, il quale ha inteso acquistare un bene pagando un determinato
prezzo, bensì gli accorda un privilegio nella restituzione di quanto
egli abbia pagato, cioè una cosa che il promissario acquirente sicuramente
non vuole od almeno non si prefigge come interesse primario. E la tutela
accordata in tal senso ha un significativo costo posto tutto a carico del
promissario acquirente, il quale è costretto a pagare due volte
quella tutela che l’ordinamento dovrebbe (e potrebbe) garantirgli in modo
migliore e prioritario e senza tali costi od, in ultima analisi, a costi
uguali per tutti.
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