Novità legislative


 

Un privilegio molto
speciale


di Italo Scalera
 


 

Proseguendo nel sistema della criptolegislazione, 
il Parlamento, con la legge 28 febbraio 1997 n. 30,
ha convertito in legge il D.L. 31 dicembre 1996 n. 669.
La legge di conversione pubblicata sulla 
G.U. del 6 marzo 1997 n. 54 ha per oggetto: 
“Disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile,
a completamento della manovra di finanza pubblica per l’anno 1997”.

Chiunque, anche seguendo l’acceso dibattito politico e parlamentare, nonché le vivaci polemiche che stampa e televisione hanno enfaticamente riportato, legittimamente riteneva che il decreto legge emanato e la relativa legge di conversione fossero di stretto collegamento con la finanziaria per il 1997 e che riguardasse problematiche, aspetti, “aggiustamenti” ad essa relativi. Ma così non era. Infatti, tra “Disposizioni in materia di imposte sui redditi”; “Disposizioni in materia di IVA”; “Disposizioni in materia di accise e di generi soggetti a monopolio fiscale”; “Incremento del fondo per l’occupazione”; “Interventi in favore degli sfollati della ex Jugoslavia”; “Fondo per agevolare l’acquisto di automezzi per il trasporto pubblico locale a fronte della rottamazione di analoghi automezzi usati”, compare, straniero in patria, l’art. 3 “Disposizioni in materia di trascrizioni di contratti preliminari e di imposte indirette”, articolo che modifica incisivamente alcuni articoli del cod. civ. e della legge fallimentare e che avrebbe meritato maggiori riflessioni ed un approfondito dibattito parlamentare. La sorpresa è stata ancor più grande, in quanto la ricordata norma segue altre che la precedono di profilo e spessore del tutto diversi.
Leggiamo infatti all’art. 2 comma 1, come siano state modificate le cessioni di “stracci, scarti di ossa, di pelli” e come alla lettera e n. 1 si precisi che “nel n. 1 alla parola asini è premessa la parola cavalli”.
In buona sostanza, il legislatore è tornato ad abusare di tale sistema di legiferare in modo criptoforme, inserendo in un contesto riservato ad un preciso tema anche altre norme che nulla hanno in comune con tali tematiche enunciate. 
I c.d. “decretoni omnibus” di passata memoria, emessi di regola a fine anno, contenitori delle più disparate normative, che sono, purtroppo, passati pressoché indenni anche al vaglio della Corte costituzionale, hanno lasciato in vita questo seme.
Tutto quanto si è finora detto, vale come ennesima protesta per questo modo di legiferare; passiamo ora al merito della norma.
La norma innovata dell’art. 2645 bis, “trascrizione di contratti preliminari”, dispone che i contratti preliminari aventi ad oggetto la conclusione di contratti che, relativamente a beni immobili, trasferiscono la proprietà o il diritto di usufrutto o di superficie, i diritti del concedente e dell’enfiteuta, la comunione dei diritti ricordati e che costituiscono o modificano servitù prediali, diritto di uso, diritto di abitazione (art. 2643 n.1, 2, 3, 4), anche se sottoposti a condizione o aventi ad oggetto edifici da costruire o in corso di costruzione, debbano essere trascritti, se risultano da atto pubblico o da scrittura privata autenticata o accertata giudizialmente.
L’obbligo della trascrizione è esteso al notaio che abbia ricevuto od autenticato l’atto soggetto a trascrizione, com’è agevole desumere dall’art. 2671, il quale prevede anche pene pecuniarie e risarcimento danni per il notaio che ritardi la trascrizione di tali atti.
È evidente lo scossone inferto all’impianto civilistico della disciplina differenziata tra contratti ad effetti reali e quelli ad effetti obbligatori ed alla stessa struttura dell’istituto della trascrizione. 
Viene disposta la trascrizione di un contratto il quale non ha effetti reali, bensì sono obbligatori e la stessa novella ne conferma tale connotazione. La Relazione alla legge si pone il problema, ma lo supera con molta superficialità e disinvoltura, raccordando il sistema in atto con il preliminare, “considerando questo non in modo autonomo, ma come segmento di un procedimento che nasce con il preliminare, ma che è destinato a svilupparsi, per effetto della procedura prevista dall’art. 2932, in un negozio con effetti reali. È tenendo conto dell’intera vicenda che si individua nel preliminare un contratto sostanzialmente prodromico di una vicenda negoziale intesa al raggiungimento di effetti reali”. E non accorgendosi della assoluta ovvietà di questo concetto, prosegue: “In altre parole, la trascrizione del preliminare non opera autonomamente rispetto al momento della pubblicità del definitivo, ma determina una sorta di prenotazione che verrà ai fini della pubblicità soltanto nel momento in cui l’intera vicenda traslativa, nella completezza degli effetti reali, si sarà verificata”.
Non accorgendosi così di duplicare la teoria già esistente della prenotazione che la domanda giudiziale introdotta ex art. 2932 produce. Senza contare la più estesa, agevole, autonoma ed economica sfera di esperibilità della domanda giudiziale ora ricordata, la quale non abbisogna, per essere proposta, di un preesistente contratto preliminare con la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata, bensì solo di una promessa risultante da atto scritto, svincolata, inoltre, da assolvimenti di oneri fiscali.
A questo punto, se si volevano veramente proteggere i contraenti ritenuti più deboli, se si volevano fugare i timori di possibili, eventuali, futuri inadempimenti del promissario alienante (da notare come la possibilità di identici inadempimenti da parte del promissario acquirente non sia stata nemmeno presa in considerazione), forse sarebbe stato più semplice - e sicuramente più economico - attribuire al “preliminare” (unificando in esso preliminare e definitivo in un unico atto) anche effetti reali condizionati al verificarsi di determinati adempimenti dei contraenti e rinviando a quel momento finale l’esazione delle imposte, come del resto già avviene per gli atti sottoposti a condizione. 
Questo ragionamento sarebbe in maggior coerenza con la risalente raffigurazione fatta dal legislatore del preliminare come “segmento” di uno stesso procedimento con ef-fetti reali.
Pertanto, se le parti, per usufruire dei vantaggi offerti dalla nuova legge (vedremo se siano effettivi vantaggi), debbono ricorrere al ministero del notaio affrontandone i relativi oneri e debbono poi procedere alla registrazione prima ed alla trascrizione del preliminare dopo, sopportandone i relativi costi sia pure in misura ridotta, ma sicuramente a fondo perduto in quanto successivamente a distanza di qualche tempo dovranno ripercorrere il medesimo cammino di atti e di spese, questa volta maggiori, per stipulare e trascrivere il definitivo, non sarebbe stato partito migliore raggruppare in un unico momento contrattuale ed impositivo (quello del nuovo preliminare - definitivo ad effetti contemporaneamente obbligatori e reali) rinviando quest’ultimo o al termine fissato dalle parti od al verificarsi della condizione e differire il pagamento di un’unica imposta a tale momento?
Si sarebbe evitata una manifesta duplicazione di costi e di imposte e sarebbe stata assicurata la assoluta certezza e tutela del promissario acquirente il quale - una volta pagato o completato il pagamento del prezzo - avrebbe visto in ogni caso divenire di sua definitiva proprietà il bene oggetto del contratto sin dal momento della trascrizione dell’auspicato contratto unico e senza bisogno di alcun nuovo intervento del promissario venditore.
Del resto, non si può dire che nell’ordinamento attuale il promissario acquirente non avesse la possibilità di agevolmente e vittoriosamente prevenire e contrastare con le possibilità, eventuali condotte scorrette da promissario venditore.
Egli poteva svolgere metodiche alternative, quali ad esempio:
a] stipulare direttamente il contratto definitivo;
b] promettere e rinviare il pagamento del prezzo in sede di stipula;
c] garantire adeguatamente il venditore del pagamento del  prezzo contemporaneamente al trasferimento della proprietà;
d] trascrivere cautelativamente e contestualmente alla stipula del preliminare una domanda giudiziale ex art. 2932;
e] farsi garantire adeguatamente dal promissario venditore la restituzione integrale della parte di prezzo pagato nel caso di mancata stipula del definitivo, con inclusione anche di una penale che scoraggiasse e rendesse antieconomico il ripensamento.
Tali alternative sarebbero esenti da spese, non bisognevoli di formalismi e formalità; espletabili dalla parte promissaria acquirente autonomamente; pienamente garantiste dei diritti e degli interessi di entrambi i contraenti se, ovviamente, entrambi vogliono rispettivamente ed effettivamente vendere ed acquistare un bene. 
È legittimo nella lettura della recente legge il sorgere del dubbio che non sia stato quello della migliore tutela per il contraente più debole il motivo ispiratore, bensì quello di introdurre una nuova imposizione fiscale. Negli atti parlamentari presentati al Senato e con più chiarezza nella Relazione tecnica accompagnatrice, si evince chiaramente tale preoccupante disegno.
Dopo aver ricordato che l’art. 10 della Tariffa parte I allegata al Testo Unico approvato con decreto del Capo dello Stato n. 131 del 1986 già prevedeva l’obbligo della registrazione dei contratti preliminari, si sottolinea come questo “obbligo sia disatteso nella maggior parte dei casi”. 
Si soggiunge poi che “incentivati dalla maggior sicurezza che può dare la trascrizione dei contratti preliminari, molti soggetti non utilizzeranno più semplici scritture private per la redazione di tali contratti, com’è prassi attualmente, ma ricorreranno alla nuova formulazione suggerita.”
Ecco che comincia ad affiorare il dubbio.
La Relazione tecnica prosegue, evidenziando che attualmente circa 20.000 contratti preliminari di compravendita di fabbricati vengono registrati all’Ufficio del Registro, mentre ammonterebbero a complessivi 690.000 i contratti definitivi registrati, dei quali 190.000 assoggettati ad IVA e 500.000 ad Imposta di Registro.
La Relazione ipotizza che i 3/4 delle compravendite di fabbricati nuovi pari a 145.000 ed il 35% dei rimanenti contratti pari a 175.000, per un totale di 320.000, saranno o sarebbero interessati dalla nuova norma. Indica e quantifica, addirittura, le relative imposte da versare per ciascun contratto in un totale di lire 610.000, “le quali produrranno un gettito per l’imposta di Registro di £.75 Mld (320.000 - 20.000 x 250.000) e di £.115 Mld per le altre imposte da versare alle Conserva-torie (320.000 x 40.000 x 20.000 x 50.000 x 250.000), con un totale di ben £.190 miliardi di nuovo gettito fiscale aggiuntivo.”
Questo per il versante imposte.
Per i contraenti, però, le spese sono lungi dall’essere finite, dovendo essi corrispondere gli onorari e le spese al notaio rogante non quantificabili preventivamente nel totale, essendo esse proporzionali al valore della compravendita, ma sicuramente consistenti e certamente di gran lunga superiori a quelle fiscali ora indicate e che tanto per avere una idea, volessimo immaginare in L.3 milioni ad atto, mediamente, comporterebbero (320.000 x 3.000.000) una spesa di altri 960 Mld con un totale di £. 1.150 MDL complessivo.
Ecco, quindi, che un secondo dubbio, legittimamente anch’esso, insorge.
È noto come l’attuale crisi economica e la fase recessiva in atto da almeno 3-4 anni e il quasi totale arresto del settore dell’edilizia e con esso dei grandi acquisti immobiliari da parte degli Enti e il precipitare dei prezzi nel settore immobiliare abbiano arrecato gravi danni all’economia e ridotto incisivamente, e di conseguenza, il lavoro professionale dei notai.
Abbiamo quindi due emergenze: l’una, di carattere fiscale, tesa al reperimento di sempre nuove entrate di supplenza a quelle che per le ricordate ragioni sono diminuite; l’altra, della categoria dei notai, i quali hanno visto diminuire in modo preoccupante la parte più consistente e lucrosa del lavoro professionale.
La nuova legge viene, stranamente, incontro ad entrambe dette esigenze, ripetendo sulle rive di un immaginario lago di Tiberiade, l’antico miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci.
Non potendo, ovviamente, aumentare il numero delle compravendite immobiliari, questa legge ne raddoppia i momenti impositivi e professionali. 
Le parti, per procedere ad una compravendita immobiliare, dovranno procedere alla stipula del preliminare con ministero di notaio ed alla registrazione e trascrizione del contratto preliminare e, in una seconda fase, a ripetere tale procedurale in sede di contratto definitivo. Senza dubbio un bel risultato.
Ma una simile duplicazione di costi ha bisogno di consistenti vantaggi offerti in contropartita per diventare appetibile ai più e per essere accettata da una significativa percentuale di cittadini.
Di conseguenza, la nuova legge, oltre “alla maggior sicurezza che la trascrizione del preliminare offre” (come essa stessa dice), concede un secondo vantaggio compensativo e quanto mai accattivante: il privilegio speciale.
Infatti, introduce l’art. 2775 bis il quale stabilisce che “i crediti per mancata esecuzione di contratti preliminari hanno privilegio speciale sull’immobile oggetto del preliminare” e consolida tale concessione aggiungendo il n. 5 bis all’art. 2780 ed includendo tali crediti in detta norma.
Inoltre, modifica l’art. 72 del R.D. 16 marzo 1942 n. 267, aggiungendo ad esso un ulteriore comma il quale prevede che nel caso di fallimento del promissario alienante, ove il di lui curatore opti per la risoluzione del contratto preliminare, il “promissario acquirente ha diritto di far valere il proprio credito nel passivo e gode del privilegio speciale di cui al novello art. 2775 bis, pur senza aver diritto al risarcimento danni”. 
Questa concessione del privilegio ci appare discutibile, se non inquadrata in una sorta di contropartita come sopra detto e sembra costituire un vero e proprio salvacondotto, a pagamento per chi voglia e possa permetterselo, “acquistando”, in sostanza, una maggiore tranquillità, la quale invece deve essere garantita a tutti i cittadini e a costi uguali.
È ben vero che la Corte costituzionale ha riconosciuto la discrezionalità del legislatore ordinario a costituire i privilegi, ma è altrettanto vero che identiche, analoghe situazioni in diritto devono ricevere sempre identico trattamento.
La posizione del promissario acquirente appare, inoltre, irragionevolmente sperequata rispetto a quella dell’acquirente definitivo, il quale venga coinvolto in una vicenda giudiziaria la quale si concluda con una pronunzia di annullamento, nullità, risoluzione, rescissione, revocatoria ordinaria o fallimentare del contratto definitivo di compravendita. Il suo diritto alla restituzione di quanto pagato resterà inesorabilmente di natura chirografaria, così come nell’ipotesi dell’art.71 L.F., che vedrà l’ammissione al passivo fallimentare sempre in via chirografaria.
Un privilegio, inoltre, limitato nel tempo, per il periodo intercorrente tra la trascrizione del preliminare e la trascrizione del definitivo e comunque non oltre un periodo triennale, dopo di che ritorna ad essere chirografario.
Un diritto di credito squisitamente di natura chirografaria senza che impinga in situazioni le quali fin dall’origine dell’obbligazione ne connotino la concessione in relazione alla causa del credito, tanto che ha una efficacia limitata nel tempo ed in costanza solo di particolari, futuri, occasionali ed eventuali eventi, non predeterminati dalla norma.
L’originaria obbligazione, quella di pagare il prezzo di una compravendita in situazioni assolutamente normali, sicuramente non nasce connotata da condizioni particolari necessitanti o meritevoli di quella particolare tutela e protezione costituita dalla concessione di un privilegio speciale per la eventuale restituzione. Non si vede il perché il promissario acquirente di beni immobili debba ricevere questo particolare trattamento non concesso ed esteso anche agli altri promissari acquirenti di beni mobili ed agli acquirenti i quali abbiano già, direttamente, senza stipulare il preliminare, stipulato il contratto definitivo e si trovino o si troveranno ad essere coinvolti in vicende di successiva invalidazione di questo. 
Ci piace ricordare che il privilegio viene accordato dalla legge in considerazione della causa del credito (art. 2745) e che resta tale finché esista il credito o per un periodo temporale prefissato, e quindi sempre certo, dalla norma (art. 2751 n. 2 e 3, ad esempio).
La concessione di tale privilegio e della ricezione di esso dal novellato art. 72 L.F. costituisce anche uno scossone per l’intero impianto della concorsualità ed in particolar modo per gli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti.
La regolamentazione e la sorte di tali rapporti venivano regolate sul criterio guida della convenienza per la massa dei creditori che doveva prevalere sull’interesse dell’altro contraente; criterio contemperato dalla posizione di terzo del curatore il quale, non rappresentando né il fallito, né i creditori, ma essendo un organo di una procedura esecutiva forzata collettiva, deve presiedere al raggiungimento dei fini migliori per la procedura che possono,  di volta in volta, divergere o convergere con quelli dei creditori.
Senza contare, ovviamente, la impossibilità soggettiva ed oggettiva per una procedura esecutiva di subentrare in particolari tipi di contratto chiaramente incompatibili con essa. 
Con tale modificazione innovativa, la scelta del curatore ex art. 72 L.F. viene fortemente limitata ed influenzata dal fatto di dover riconoscere tale privilegio speciale al promissario acquirente, nel caso che decida per lo scioglimento, in quanto il residuale vantaggio economico che la massa ricaverebbe dal conservare la proprietà del bene e dal poterlo rivendere in condizioni di maggior trasparenza e tranquillità, potrebbe venire di fatto annullato dal dover riconoscere in contropartita il ricordato privilegio speciale sul ricavato.
Nell’ipotesi dell’art. 72, il curatore, di fronte ad un contratto preliminare, anche in vistose condizioni di prestazioni squilibrante per il fallito, non può procedere con le azioni revocatorie, stante la sua facoltà di sciogliersi dal preliminare medesimo. Infatti, la questione della assoggettabilità o meno del contratto preliminare all’azione revocatoria ex art. 67 n. 1 L.F. è, a mio avviso, risolvibile in senso negativo, stante la possibilità attribuita dalla legge con l’art. 72 al curatore di optare per lo scioglimento del contratto stesso.
Se il curatore ha la facoltà di cessare gli effetti per la massa, penalizzanti o ritenuti tali, di detto contratto, con la semplice sua determinazione volitiva non può ovviamente chiedere in via giudiziaria la pronuncia di inefficacia riservata a quegli atti definitivi e per i quali non sia possibile lo scioglimento unilaterale, il quale eliminerebbe la illegittimità e la sproporzione dell’atto medesimo, in quanto non portato alle conclusive definizioni.
E se il curatore non sceglie di sciogliersi dal preliminare, vorrà dire che non lo reputa certamente lesivo degli interessi della massa e, decidendo di darvi volontaria attuazione e prosecuzione, vorrà dire averlo ritenuto addirittura vantaggioso per la massa, rendendo improponibile una do-manda di revocatoria fallimentare. 
È poi altrettanto pacifico che lo squilibrio delle prestazioni e la società decoctionis devono “esistere all’epoca in cui l’atto è stato compiuto e se era stato stipulato un preliminare, con riguardo all’atto definitivo” (Provinciali, Trattato cit., II, 1070). Oggetto della revocatoria potrà essere solo l’atto traslativo della proprietà che costituisce il mo-mento del denunziato depauperamento del patrimonio del fallito, che ha visto uscire dal di lui patrimonio un bene a fronte di un controvalore troppo inferiore. Principio indiscutibile in quanto “il trasferimento avviene solo con il contratto definitivo e solo in quel momento può determinarsi il valore del bene (cfr. anche Tribunale Napoli, 6 lu-glio 1970 in Dir. fallim., 1971, II, 936). 
Da notare come sia il procedurale di volontario scioglimento ex art. 72, sia la pronunzia di inefficacia ex art. 67 producano alla fine identiche conseguenze: in entrambi i casi il curatore potrà - a tali vicende concluse - sottoporre il bene in questione all’azione esecutiva collettiva ed in entrambi i casi l’altro contraente avrà diritto ad insinuare , ex art. 72 u.c. o art. 71, il proprio credito per la restituzione di quanto pagato.
Non si può chiedere la revoca di un contratto dal quale, pur potendolo, non ci si è voluti sciogliere ed, anzi, si è voluto portare a compimento in nome dell’interesse per i creditori, unico spirito-guida per gli atti del curatore. Basti riflettere che la la-mentata sproporzione che sarebbe poi posta a fondamento della norma revocatoria sarebbe stata assai più rapidamente ed agevolmente vanificata dalla semplice dichiarazione di scioglimento dal contratto effettuata dal curatore.
Ma la scelta del curatore resterà ora ineludibilmente condizionata del fatto di sapere che dovrà riconoscere il novello privilegio speciale che, in molti casi, vanificherebbe l’interesse concreto per la massa. Senza contare il fatto che la scelta del curatore avverrà in una sede puramente amministrativa del processo fallimentare come volontaria giurisdizione, nella quale, ad esempio, sarà ancora impossibile per lui accertare se il credito del promissario acquirente sia veramente esistente e nella misura risultante dal preliminare, con il rischio di concedere un riconoscimento di tale natura ad un credito inesistente.
La possibilità di contestarlo in seguito in sede di ammissione al passivo e di accertare la verità dei fatti nell’eventuale giudizio di opposizione allo stato passivo, oltre che ad essere una ipotesi eventuale in quanto rimessa alla successiva valutazione di un diverso organo concorsuale, il G.D., potrebbe non trovare spazio discrezionale di fronte alle risultanze di un atto pubblico ed alla ferrea disposizione dell’attuale novella, oltre a poter apparire come comportamento poco trasparente di un curatore che adotta la soluzione dello scioglimento con la riserva mentale di opporsi all’ammissione poi del credito.
E così la proposta qui embrionalmente avanzata tutelerebbe appieno l’interesse primario e sostanziale del promissario acquirente, il quale vedrebbe così la possibilità di assicurarsi l’acquisto. In tale ipotesi, l’art. 72 andrebbe modificato con la precisazione, sia pur ovvia, che gli effetti della trascrizione del nuovo tipo di atto di vendita composito consisterebbero nel considerare la cosa venduta già passata in proprietà del compratore e questi tenuto solo all’eventuale completamento del prezzo o di quelle altre attività contrattualmente previste.
Con ciò non si vuole far finta di ignorare un problema che indubbiamente esiste o forse solo esisteva.
Nel caso di fallimento di grosse imprese di costruzioni (oggi non ne vediamo più molte!) si è verificato nel passato il caso di molti promissari acquirenti i quali avevano perso, o seriamente rischiato di perdere di fatto, quanto già pagato per l’acquisto, risultando l’ammissione al passivo in via chirografaria del tutto vanificante il loro credito. 
Ma dall’evento patologico, eccezionale non si possono trarre conseguenze di tutele di grado eccessivo o sperequativo se non prendendo in attenta considerazione da un lato l’incidenza statistica dell’evento straordinario e dall’altro i risultati della attuale tutela ex art. 2932. Ci piacerebbe, in primo luogo, conoscere quanti siano i giudizi introdotti ex art., 2932 rispetto al totale dei contratti preliminari stipulati e quanti siano i casi di fallimento dei promissari venditori e in questi quanti siano stati gli scioglimenti richiesti dal curatore ex art. 72. Non siamo in possesso di dati statistici in merito, omogenei da raffrontare, ma istintivamente e razionalmente saremmo portati a ritenere che questi ultimi casi siano stati davvero in numero estremamente contenuto e lo sono ancor meno oggi e in misura ancor più ridotta domani e tali, considerando anche le alternative sopra proposte, da - dormientibus ac non vi-gilantibus iura non succurrunt- non necessitare dell’intervento (a pagamento) del legislatore in favore di chi non abbia voluto far nulla per proteggere i propri interessi. 
Solo ove un fenomeno sia effettivamente significativo, occorre predisporre interventi tesi alla tutela degli effettivi interessi e diritti posti in pericolo.
Questa legge non tutela l’interesse sostanziale e primario del promissario acquirente, il quale ha inteso acquistare un bene pagando un determinato prezzo, bensì gli accorda un privilegio nella restituzione di quanto egli abbia pagato, cioè una cosa che il promissario acquirente sicuramente non vuole od almeno non si prefigge come interesse primario. E la tutela accordata in tal senso ha un significativo costo posto tutto a carico del promissario acquirente, il quale è costretto a pagare due volte quella tutela che l’ordinamento dovrebbe (e potrebbe) garantirgli in modo migliore e prioritario e senza tali costi od, in ultima analisi, a costi uguali per tutti.


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