Verifica del passivo fallimentare
e cause di prelazione
di Emilio Norelli
1. L’art. 93,
1° comma, L.F., stabilisce che “la domanda di ammissione al passivo
deve contenere il cognome e il nome del creditore, l’indicazione della
somma, del titolo da cui il titolo deriva, delle ragioni di prelazione
e dei documenti giustificativi”. Tale norma, quanto alle “ragioni di prelazione”,
viene intesa correntemente nel senso che il creditore, il cui credito sia
assistito da ipoteca, pegno o privilegio speciale, perché possa
ottenere l’ammissione in via privilegiata, ha l’onere non solo di enunciare
la causa di prelazione, che intende far valere nel concorso, ma altresì
quello di indicare specificamente i beni (mobili o immobili), su cui la
prelazione dovrebbe esercitarsi. In mancanza di tale specifica indicazione,
la prelazione non può essere riconosciuta e, quindi, il creditore
deve essere ammesso in chirografo e non in privilegio. Ove, viceversa,
tale indicazione sia contenuta nella domanda, si pone il problema se, ai
fini dell’ammissione in via privilegiata, sia o meno necessario accertare
l’esistenza attuale, al momento della verifica del passivo, dei beni oggetto
della prelazione nel patrimonio fallimentare, nella massa cioè dei
beni del fallito acquisiti all’attivo fallimentare. Oppure se, in sede
di verifica, ci si debba limitare ad accertare la natura astrattamente
privilegiata del credito e rimandare, quindi, ogni questione relativa all’effettiva
esistenza dei beni gravati dalla prelazione alla fase della ripartizione
dell’attivo liquidato. In altri termini, il problema è se l’effettiva
esistenza nell’attivo fallimentare dei beni oggetto della prelazione sia
condizione per l’ammissione in via privilegiata del credito, ovvero sia
presupposto per il concreto esercizio della prelazione, ossia per ottenere,
nel riparto, la preferenza rispetto agli altri creditori sul prezzo ricavato
dalla vendita dei beni vincolati. La soluzione del problema non è
pacifica, riscontrandosi in dottrina e in giurisprudenza posizioni divergenti.
Conviene affrontare questo problema distintamente per ciascuna delle tre
categorie di cause di prelazione.
2. Riguardo
all’ipoteca, può verificarsi che un creditore abbia, a garanzia
del suo credito verso il fallito, un’ipoteca iscritta su di un immobile
di terzo: ciò può accadere o perché il terzo proprietario
ha concesso l’ipoteca sul proprio bene a favore del creditore o perché
il terzo ha, prima del fallimento, acquistato dal fallito un immobile già
ipotecato a favore del creditore; nel primo caso, si parla di un terzo
datore d’ipoteca; nel secondo, di terzo acquirente d’immobile ipotecato.
In entrambi i casi, l’immobile non è nel patrimonio del fallito,
ma ciò nonostante garantisce un debito del fallito. Il correlativo
credito dovrà essere ammesso in privilegio o in chirografo? L’opinione
prevalente e preferibile in giurisprudenza è che il credito, nell’ambito
del fallimento, va considerato chirografario, perché la prelazione
inerente all’ipoteca consiste nella preferenza accordata al creditore nella
distribuzione del ricavato della vendita dell’immobile, ma se l’immobile
non è nel patrimonio del debitore, non può essere venduto
in sede fallimentare e, dunque, in questa sede non si può accordare
alcuna preferenza al creditore; in conclusione, rispetto a quel patrimonio,
la prelazione non c’è e il credito va collocato in chirografo. Ove
si accolga questa opinione, risulta rilevante, ai fini della decisione
su di una domanda di ammissione al passivo, acclarare se l’immobile ipotecato
sia o meno di proprietà del fallito. Ecco, allora, venir fuori un
compito importante del curatore, che è quello di fornire al giudice
delegato, nell’udienza di verifica, le informazioni necessarie sulla composizione
del patrimonio del fallito. Ma questa attività informativa presuppone
che il curatore abbia in precedenza svolto un’adeguata attività
d’indagine circa i beni compresi nel fallimento, soprattutto, trattandosi
di beni immobili, attraverso visure presso le conservatorie dei registri
immobiliari. L’assistenza, che il curatore deve prestare al giudice delegato
nella verifica del passivo, si collega così alle attività
di c.d. “acquisizione” dell’attivo fallimentare, che pure rientrano fra
le incombenze del curatore e che consistono nella redazione dell’inventario
dei beni del fallito e, per gli immobili, nella trascrizione della sentenza
di fallimento nei registri immobiliari. A questo proposito, per incidens,
va chiarito che si parla alquanto impropriamente di “acquisizione”, perché
i beni del fallito non è che vengano acquistati dal fallimento,
come se questo fosse un distinto soggetto giuridico: tali beni vengono
assoggettati all’esecuzione concorsuale e quindi sono compresi nel fallimento,
automaticamente, per effetto della stessa sentenza di fallimento e non
già dunque per effetto dell’inventariazione o della trascrizione
della sentenza: l’inventario serve solo a individuare i beni, descriverli
e a consentire la presa in consegna da parte del curatore; la trascrizione
funge solo da pubblicità-notizia, ossia serve a rendere noto ai
terzi che il titolare di quei beni è fallito e che perciò
i medesimi beni sono per legge indisponibili e vincolati al soddisfacimento
dei creditori concorrenti. Il curatore, dunque, deve appurare, essenzialmente
sulla base delle risultanze delle visure dei registri immobiliari, se l’immobile
sul quale un creditore vanti ipoteca, sia o meno, al momento della dichiarazione
di fallimento, “intestato” al fallito. Ma ciò non basta perché
possa ammettersi il credito in privilegio: occorre pure che il bene sia
attualmente esistente in natura, perché potrebbe anche darsi il
caso che il bene sia perito, nel qual caso l’ipoteca si sarà estinta,
a norma dell’art. 2878, n. 4, cod. civ.. E qui si vede l’importanza dell’inventario,
che, contrariamente a quanto da taluno si pensa, deve comprendere non solo
i beni mobili, ma anche gli immobili posseduti dal fallito. Oltre a ciò,
il curatore dovrà anche appurare, sulla base delle visure e di altre
fonti di informazione, che non si sia verificata qualche altra causa di
estinzione dell’ipoteca a norma dello stesso art. 2878 cod. civ. (mancata
rinnovazione dell’iscrizione, rinunzia del creditore, spirare del termine,
avveramento della condizione risolutiva). Di tutte queste indagini, il
curatore deve riferire al giudice delegato in sede di adunanza di verifica.
3. Non diverso
discorso va fatto per i privilegi speciali su beni immobili, per i quali
pure occorre appurare che i beni gravati siano attualmente di proprietà
del fallito e non siano periti.
4. Quanto ai
privilegi speciali su beni mobili, si è più volte riproposto
in giurisprudenza il quesito: è necessario, per l’ammissione in
privilegio, accertare, in sede di verifica, che il bene o i beni siano
attualmente nel patrimonio del fallito? Le risposte che vengono date sono
più articolate. Si possono, infatti, fare delle distinzioni. Innanzitutto,
vi sono dei casi in cui il privilegio, pur in astratto riconosciuto dalla
legge, dovrebbe cadere su beni fungibili o determinati solo nel genere
(si pensi al danaro) ovvero su beni la cui utilizzazione ne importa l’immediata
consumazione (energia elettrica, gas): qui è chiaro che il privilegio
non può venire ad esistenza, perché manca nel patrimonio
del debitore un bene specificamente individuato, che ne possa essere oggetto.
Ed allora, con riferimento ad uno dei più comuni privilegi speciali
mobiliari, che è quello del credito per rivalsa IVA, deve senz’altro
negarsi l’ammissione in via privilegiata al credito per rivalsa IVA su
forniture di energia elettrica o gas, perché tale privilegio dovrebbe
esercitarsi sui beni che hanno formato oggetto della cessione (art. 2578,
2° comma, cod. civ.), ossia sull’energia elettrica o sul gas, che non
sono reperibili nell’attivo fallimentare, perché ovviamente già
consumati al momento stesso dell’erogazione. Ugualmente deve negarsi il
privilegio, quando si tratti di IVA, sul corrispettivo di un servizio al
quale non sono riferibili specifici beni mobili individuabili nel patrimonio
del debitore, come quasi sempre avviene per le prestazioni di servizio
rese da professionisti (es.: prestazione di un avvocato per il recupero
di un credito del fallito, avente ad oggetto una somma di danaro, a suo
tempo riscossa dallo stesso fallito e quindi confusasi nel suo patrimonio).
In questi casi, il privilegio non nasce affatto per mancanza di un bene
idoneo ad essere oggetto di un diritto reale di garanzia qual è
il privilegio speciale. Vi sono poi casi in cui i beni oggetto del privilegio,
pur esistendo ed essendo individuati all’epoca del sorgere del credito,
tuttavia successivamente o periscono o vengono consumati o perdono la loro
individualità, perché vengono incorporati ad altri, impiegati
in un processo produttivo, ecc.. In questi casi, il privilegio è
sorto, ma poi si è estinto per il venir meno del suo oggetto. Ed
allora deve pure in questi casi negarsi l’ammissione in via privilegiata.
Sarà compito del curatore, perciò, quello di verificare se
i beni in questione siano ancora esistenti e individuabili nella massa
attiva: il che dovrebbe risultare dall’inventario. Ancora una volta si
vede qui quale sia l’importanza dell’inventario non solo ai fini della
liquidazione dell’attivo, ma anche ai fini dell’accertamento del passivo.
L’inventario, dunque, deve essere redatto con particolare cura e precisione
e, comunque, al momento della verifica, dovrebbe essere sempre stato già
ultimato. Vi sono poi casi in cui i beni mobili oggetto di privilegio non
si rinvengono nel patrimonio fallimentare, perché alienati a terzi
(com’è normale per le merci di cui il fallito abbia fatto commercio),
ovvero perché dispersi o sottratti. In questi casi, secondo alcuni,
il credito andrebbe comunque ammesso in via privilegiata, salvo poi a vedere
in sede di riparto se sono stati acquisiti e, quindi, liquidati i beni,
sul ricavato dei quali la prelazione dovrebbe esercitarsi. Secondo altri,
invece, anche in questi casi la mancata acquisizione dei beni oggetto del
privilegio osta alla ammissione in via privilegiata. Seguendo questa seconda
tesi, occorre ancora una volta appurare, in sede di verifica, l’attuale
esistenza dei beni gravati del privilegio: ciò presuppone che il
curatore abbia compiuto l’inventario e possa quindi, in base ad esso, riferire
al giudice delegato se detti beni siano o meno stati da lui rinvenuti in
possesso del fallito ed acquisiti all’attivo fallimentare. Recentemente
la Cassazione, che in passato aveva accolto la tesi contraria, ha statuito,
a proposito del credito di rivalsa Iva del professionista (si trattava
di un avvocato), che “l’accertamento dell’esistenza del bene sul quale
è dato il privilegio speciale deve essere compiuto in sede di verifica
dello stato passivo e non in sede di attuazione del piano di riparto; sicché,
in caso di mancato reperimento - come accade allorché trattasi di
credito per attività professionale genericamente intesa - non v’è
privilegio” (Cass. 2 febbraio 1995, n. 1227).
5. Infine,
quanto al pegno, il discorso da farsi è in gran parte simile a quello
fatto riguardo all’ipoteca. La cosa data in pegno, infatti, può
essere di proprietà di un terzo ed allora il credito verso il fallito
dovrà essere considerato chirografario nel fallimento. Ugualmente
il credito dovrà essere ammesso in via chirografaria, qualora risulti
il perimento della cosa. Tutto ciò implica che il curatore debba
svolgere le opportune indagini per poter riferire al giudice delegato se
la cosa sia di proprietà del fallito e se essa sia tuttora esistente.
Vi è solo da aggiungere che, a norma dell’art. 2787 cod. civ., la
prelazione non si può far valere se la cosa data in pegno non è
rimasta in possesso del creditore, per cui è il creditore che ha
l’onere di dimostrare l’attualità del suo possesso.
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