Veduta di Trinità de'
Monti - Roma
Sez. UN., sent. 05291 del 12/06/1997
FALLIMENTO - AZIONE REVOCATORIA
FALLIMENTARE - ACQUISTI DEL CONIUGE DEL FALLITO - PRESUNZIONE MUCIANA -
RIFORMA DEL DIRITTO DI FAMIGLIA EX LEGGE N. 151 DEL 1975 - OPERATIVITÀ
DELLA PRESUNZIONE - COMUNIONE LEGALE - ESCLUSIONE - SEPARAZIONE DEI BENI
- OPERATIVITÀ DELLA PRESUNZIONE - ESCLUSIONE - FONDAMENTO.
A seguito della riforma del diritto di famiglia introdotta con legge
n. 151 del 1975, la cosiddetta “presunzione muciana” di cui all’art. 70
della legge fallimentare, si rende inoperante sia con riguardo alle fattispecie
governate dal regime di comunione legale fra i coniugi, sia con riguardo
a quelle caratterizzate, invece, dal regime della separazione dei beni.
Quanto alle prime, l’ostacolo alla operatività della presunzione
suddetta è frapposto non tanto dall’irrilevanza, ai fini della comunione,
dei profili di chi, fra i due coniugi, compia l’acquisto o della provenienza
del danaro, quanto piuttosto dalla “rete di princìpi” che, a seguito
della riforma, qualifica la disciplina dei rapporti patrimoniali fra i
coniugi, facendone l’espressione di precisi valori costituzionali, quali
quelli della parità e della pari dignità dei coniugi. Questi
stessi princìpi, in quanto ispirano, quand’anche in forme del tutto
diverse, anche l’istituto della separazione dei beni, laddove, nelle ipotesi
da questo governate, si traducono nella tutela della effettività
degli acquisti che ciascun coniuge compie, vista quale espressione della
sua autonomia e della sua capacità di lavoro, rendono del pari inoperante,
anche in questo caso, la cosiddetta “presunzione muciana”. Va aggiunto,
del resto, come mal si comprenderebbe il rimedio della separazione giudiziale
dei beni, previsto dall’art. 193 cod. civ. per il caso di disordine degli
affari del coniuge in comunione, se il regime di separazione rappresentasse
campo libero per l’operare della “presunzione muciana”.
Sez. 1ª, sent. 05104 del
9/06/1997
FALLIMENTO - COMPENSO DEL CURATORE
- IMPUTAZIONE ANCHE AI CREDITORI IPOTECARI - NECESSITÀ - CRITERI.
Il creditore ipotecario deve sopportare, in parte, anche lui l’onere
di quelle particolari spese che occorrono per corrispondere il compenso
spettante al curatore, posto il fatto che quest’ultimo procede ad attività
di amministrazione e liquidazione specificamente riferibili ai beni ipotecati
e finalizzate a consentire il soddisfacimento delle ragioni del medesimo
creditore ipotecario (per non parlare della preventiva verificazione ed
ammissione al passivo, del credito ipotecario, che egualmente richiede
un’attività da parte del curatore ed è del pari indispensabile
affinché il creditore possa partecipare al concorso e far valere
il proprio diritto di prelazione sul ricavato dei beni soggetti ad ipoteca).
Quanto poi alla misura in cui il compenso del curatore debba essere imputato,
nel piano di riparto, al ricavato delle vendite dei beni sottoposti a garanzia
reale, non rinvenendosi nella legge l’indicazione di un criterio predeterminato
e ferma la necessità che la valutazione venga compiuta in concreto
alla luce delle circostanze riscontrabili nella singola procedura e comunque
ponendo comparativamente a raffronto l’attività svolta dal curatore
nell’interesse generale della massa e quella specificamente riferibile
all’interesse dei creditori garantiti, non sussiste alcun ostacolo logico-giuridico
all’adozione di un criterio che rispecchi il rapporto proporzionale fra
il valore (da intendersi nel senso di ricavato della vendita) dei beni
immobili ipotecati, rispetto a quello della restante parte dei beni liquidati
nell’ambito del fallimento.
Sez. 1ª, sent. 05071 del
6/06/1997
FALLIMENTO - AZIONE REVOCATORIA
FALLIMENTARE - PRESCRIZIONE - DECORRENZA - POSSIBILITÀ DI ESERCIZIO
DEL DIRITTO - RILEVANZA - CONSEGUENZE - RIFERIMENTO ALLA DICHIARAZIONE
DEL FALLIMENTO E NON ALLA DATA DELL’ATTO - NECESSITÀ - PREVIA AMMISSIONE
ALL’AMMINISTRAZIONE CONTROLLATA - IRRILEVANZA, SALVO CHE PER LA DECORRENZA
DEL PERIODO SOSPETTO.
Il termine quinquennale di prescrizione dell’azione revocatoria
fallimentare non decorre dalla data dell’atto, come avviene in tema di
revocatoria ordinaria, ma dal momento della dichiarazione di fallimento,
in applicazione del principio generale che la prescrizione comincia a decorrere
dal momento in cui il diritto può essere fatto valere, che non può
trovare deroga nella materia fallimentare, senza che si determini il sovvertimento
della normativa fallimentare diretta a tutelare la “massa” dei creditori
nei termini più severi. Né, nel caso in cui l’ammissione
alla procedura di amministrazione controllata preceda la dichiarazione
di fallimento, la decorrenza del termine può farsi risalire all’inizio
di detta procedura, poiché l’azione revocatoria costituisce manifestazione
di un diritto potestativo proprio del solo curatore fallimentare e non
anche del commissario giudiziale dell’amministrazione controllata, cui
spettano unicamente funzioni di controllo dell’attività dell’imprenditore-debitore,
fermo restando che il calcolo del termine a ritroso per la determinazione
del periodo sospetto decorre, invece, dalla data di ammissione alla procedura
di amministrazione controllata.
Sez. 1ª, sent. 04980 del
4/06/1997
FALLIMENTO - AMMISSIONE AL PASSIVO
- DICHIARAZIONE TARDIVA DI UN CREDITO ASSISTITO DA PRIVILEGIO - DECRETO
DI PARZIALE ACCOGLIMENTO - NATURA - IMPUGNAZIONE - RICORSO PER CASSAZIONE
EX ART. 111 COST. - INAMMISSIBILITÀ - APPELLO - NECESSITÀ.
Il creditore il quale abbia proposto, in via di insinuazione tardiva,
una domanda di ammissione al passivo, di un credito assistito da privilegio,
la quale, nonostante la mancanza di opposizione del curatore, sia stata
accolta solo parzialmente dal giudice delegato, il quale, allo scopo, abbia
provveduto, senza riconoscere il privilegio, con decreto adottato ai sensi
dell’art. 101, terzo comma, L.F. (e perciò con modalità diverse
da quelle specificamente prescritte, a tale riguardo, da tale disposizione,
la quale prevede invece che il giudice delegato, quando ritenga non fondata
la domanda di insinuazione, debba istruire la causa a norma degli artt.
175 segg. cod. proc. civ.), può proporre senz’altro appello avverso
una tale pronuncia, con le modalità previste dall’art. 99, quinto
comma, L.F., in quanto essa ha natura sostanziale di sentenza. Pertanto,
si rende inammissibile, da parte sua, la proposizione del ricorso straordinario
per cassazione contemplato dal secondo comma della Costituzione, il quale
presuppone che il provvedimento impugnato non solo abbia carattere decisorio,
ma sia anche definitivo.
Sez. 1ª, sent. 04868 del
30/05/1997
FALLIMENTO - AMMISSIONE AL PASSIVO
- DICHIARAZIONE TARDIVA DI CREDITO - AMMISSIONE IN DIFFORMITÀ DALLA
RICHIESTA DEL CREDITORE - NATURA PROVVEDIMENTO - NATURA - IMPUGNAZIONE
- RICORSO PER CASSAZIONE - AMMISSIBILITÀ.
L’art. 101 legge fallimentare impone che il giudice delegato possa
disporre l’ammissione al passivo solo in conformità alla richiesta
del creditore ed al parere del curatore (e se egli stesso ritenga fondata
l’istanza); altrimenti, e quindi comunque se egli non intenda accogliere
la domanda, deve provvedere all’istruzione della causa, sulla quale poi
deciderà il collegio. Pertanto, il provvedimento con il quale il
giudice delegato disponga l’ammissione al passivo in difformità
dai rilevati presupposti è abnorme e avverso esso, in quanto avente
ad oggetto diritto soggettivo, è esperibile ricorso per cassazione
ai sensi dell’art. 111, secondo comma, della Costituzione.
Sez. 1ª, sent. 04743 del
29/05/1997
FALLIMENTO - LIQUIDAZIONE DELL’ATTIVO
- ESPROPRIAZIONE FORZATA IMMOBILIARE INDIVIDUALE INIZIATA PRIMA DEL FALLIMENTO
- SOSTITUZIONE AUTOMATICA DEL CURATORE, AL CREDITORE, NELLA PROCEDURA INDIVIDUALE
- COESISTENTE FACOLTÀ DEL CURATORE DI TRASFERIRE L’ESECUZIONE IN
SEDE FALLIMENTARE - ESERCIZIO DI TALE FACOLTÀ - EFFETTI.
La disposizione di cui all’art. 107 della L.F. prevede che, se prima
della dichiarazione di fallimento sia stata iniziata, da un creditore,
l’espropriazione di uno o più immobili del fallito, il curatore
si sostituisce, nella procedura, al creditore istante, nell’ambito di un’ipotesi
di successione processuale che si rende del tutto peculiare, per il fatto
di avere luogo a favore di un soggetto investito di funzioni pubbliche
e di trovare la sua ragion d’essere nel divieto di azioni esecutive individuali,
di cui all’art. 51 della legge fallimentare. La previsione di una siffatta
sostituzione, la quale risponde alla incontestabile opportunità
di mettere a profitto le attività processuali complesse e dispendiose
già poste in essere per l’instaurazione della procedura esecutiva
individuale e di risparmiare tempo, non esclude - tuttavia - la discrezionalità
dell’ufficio fallimentare in ordine alla convenienza di continuare l’esecuzione
davanti agli organi fallimentari, ovvero di non darvi più seguito,
quando il fallimento possa chiudersi altrimenti, come per pagamento integrale
al di fuori della liquidazione dell’attivo o per concordato; ed è
solo in una tale ultima evenienza che l’azione esecutiva immobiliare pendente
all’atto della dichiarazione
di fallimento diviene improcedibile e che gli atti del relativo
processo rimangono privi di effetti giuridici, non producendosi la conservazione
degli effetti sostanziali del pignoramento.
Sez. 1ª, sent. 04742 del
29/05/1997
FALLIMENTO - DIVIETO DI ESECUZIONI
INDIVIDUALI - LIMITI - PREGRESSA PROCEDURA DI ESECUZIONE MOBILIARE - ESTINZIONE
AUTOMATICA - ESCLUSIONE - PRONUNCIA APPOSITA DEL GIUDICE DELL’ESECUZIONE
- NECESSITÀ - COMPETENZA A LIQUIDARE IL COMPENSO DEL COMMISSIONARIO
GIÀ NOMINATO - GIUDICE DELL’ESECUZIONE - SUSSISTENZA.
La dichiarazione di fallimento non comporta la cessazione automatica
del processo esecutivo cui è sottoposto il debitore fallito, occorrendo,
invece, in ogni caso, un provvedimento del giudice dell’esecuzione che,
dato atto del sopraggiunto fallimento, ne dichiari l’improseguibilità,
su istanza di parte. Anche nell’ipotesi di esecuzione forzata dichiarata
improseguibile - peraltro - non viene meno la competenza funzionale del
pretore, quale giudice dell’esecuzione, di liquidare il compenso del commissionario
da lui nominato (art. 533, ultimo comma, cod. proc. civ.); competenza che
non potrebbe essere attribuita al giudice delegato nominato per il fallimento,
giacché, con tale provvedimento, non viene data vita ad un credito
nei confronti del fallito, bensì ad un credito nei confronti del
creditore del fallito, il quale, avendo promosso l’esecuzione forzata,
è tenuto ad anticipare le spese del processo (art. 90 cod. proc.
civ.).
Sez. 1ª, sent. 04731 del
28/05/1997
FALLIMENTO - AZIONE REVOCATORIA
FALLIMENTARE DI PAGAMENTI - PRESUPPOSTI - CONOSCENZA DELLO STATO DI INSOLVENZA
DEL DEBITORE - SUF-FICIENZA DI UNA MERA CONOSCIBILITÀ ASTRATTA -
ESCLUSIONE - CONOSCENZA CONCRETA - NECESSITÀ - DESUMIBILITÀ
DA ELEMENTI PRESUNTIVI - CONFIGURABILITÀ - LIMITI.
Ai fini della “revocatoria fallimentare”, il presupposto soggettivo
della cosiddetta scientia decoctionis non è integrato dalla mera
conoscibilità, in astratto, dello stato di insolvenza del debitore,
al momento dell’atto solutorio impugnato, ma dalla sua conoscenza effettiva
e concreta, salva la possibilità che gli elementi di conoscibilità
possano costituire, se valutati nella concretezza del fatto sottoposto
ad esame, elementi presuntivi atti a fornire la dimostrazione della esistenza
della suddetta componente soggettiva: dimostrazione di cui la curatela
è onerata. Se è vero, peraltro, che sia i protesti che le
procedure esecutive costituiscano elementi presuntivi atti ad ingenerare,
nel creditore, la conoscenza effettiva dello stato di insolvenza del debitore
ogniqualvolta i titoli protestati siano stati rilasciati allo stesso convenuto
in revocatoria o siano conoscibili con l’ordinaria diligenza ed ogniqualvolta
le procedure esecutive siano state promosse dallo stesso creditore convenuto,
è altrettanto vero negli altri casi, sia che l’esistenza di procedure
esecutive mobiliari non costituisca - di per sé - prova sufficiente
dello stato di insolvenza (attesa l’assenza di forme di pubblicità),
sia che, dalla considerazione che i protesti e le procedure esecutive rappresentano
elementi astrattamente idonei a rivelare la crisi economica dell’imprenditore
(poi) fallito, non si può far discendere la automatica conclusione
che, ove il creditore non li abbia percepiti, egli non sia stato sufficientemente
prudente ed accorto.
Sez. 1ª, sent. 04722 del
28/05/1997
FALLIMENTO - CURATORE - RAPPRESENTANZA
GIUDIZIALE - AUTORIZZAZIONE ALLA REVOCATORIA SENZA INDICAZIONE DELL’ATTO
DA IMPUGNARE - LEGITTIMITÀ.
A norma degli artt. 25 e 31 L.F., l’unico requisito prescritto per
il provvedimento col quale il giudice delegato autorizza il curatore a
stare in giudizio, integrandone la capacità processuale, è
la forma scritta; pertanto, nessun altro requisito essendo previsto dalle
norme citate, è legittimo un provvedimento autorizzativo che si
limiti a consentire l’esercizio della revocatoria fallimentare, senza indicare
in dettaglio la specifica natura dell’atto che si intende impugnare con
l’azione autorizzata.
Sez. 1ª, sent. 04670 del
26/05/1997
CONCORDATO PREVENTIVO - COMMISSARIO
GIUDIZIALE - COMPENSO DEL COMMISSARIO - D.M. 28 LUGLIO 1992, N. 570 - DISAPPLICAZIONE
- AMMISSIBILITÀ.
Il sindacato del giudice ordinario sull’atto amministrativo, ai
soli fini della sua disapplicazione al caso concreto, non è limitato
alla mera violazione di legge, ma si estende anche all’accertamento del
vizio di eccesso di potere, non comportando tale controllo l’esame delle
ragioni di opportunità e di merito (rientranti nei poteri della
p.a., incensurabili da parte dell’a.g.o.), bensì l’accertamento
circa il rispetto di quei criteri generali ed astratti che debbono presiedere
all’esercizio dei poteri peculiari della p.a.. Pertanto, l’atto amministrativo
può essere legittimamente disapplicato dal giudice ordinario per
dedotta violazione dell’art. 3 Cost., che, costituendo un principio generale
di diritto condizionante l’intero ordinamento nella sua obiettiva struttura
ed esprimendo un generale canone di coerenza dell’ordinamento normativo,
individua proprio l’eccesso di potere dell’organo amministrativo, il quale,
se non si uniforma a tale principio, finisce per eccedere i limiti della
propria competenza (nella specie, la s.c., alla stregua dell’enunciato
principio, ha confermato il provvedimento del giudice del merito che aveva
disapplicato la norma regolamentare, di cui al d.m. n. 570 del 1992, sulla
liquidazione del compenso al commissario giudiziale alla procedura di concordato
preventivo, ritenendolo posto in violazione dell’art. 3 Cost.).
Sez. 1ª, sent. 04598 del
22/05/1997
FALLIMENTO - CURATORE - POTERI
- RICHIESTA ALLA BANCA DI TRASMISSIONE DELLA DOCUMENTAZIONE CONCERNENTE
I RAPPORTI DI CONTO CORRENTE INTESTATI AL FALLITO - OBBLIGO DI ADEMPIMENTO
DELLA BANCA - SUSSISTENZA - LIMITI.
In virtù del principio di buona fede, operante non solo in
sede d’interpretazione e di esecuzione del contratto (artt. 1366 e 1375
cod. civ.), ma anche quale fonte d’integrazione della stessa regolamentazione
contrattuale (art. 1374 cod. civ.), al curatore che richiede la documentazione
concernente i rapporti di conto corrente intestati al fallito, sul presupposto
di non avere avuto la possibilità di procurarseli direttamente da
quest’ultimo e per la necessità che la sua carica gli impone di
ricostruire le vicende del patrimonio del fallito, la banca ha l’obbligo
di trasmettere la richiesta documentazione, sebbene a spese del richiedente,
senza poter replicare di averla già in precedenza trasmessa al fallito
stesso. Nel formulare la richiesta, il curatore non ha l’obbligo di indicare
in dettaglio gli estremi dei documenti bancari dei quali vuole ottenere
la consegna tuttavia, deve fornire quegli elementi minimi indispensabili
per consentire l’individuazione degli stessi e, nel caso in cui la banca
neghi l’esistenza dei documenti in questione, è pur sempre il curatore
a dover dimostrare, anche a mezzo di presunzioni, che, viceversa quei documenti
esistono e, perciò, la banca è tenuta a consegnarli.
Sez. 1ª, sent. 04590 del
22/05/1997
FALLIMENTO - DECRETO DEL GIUDICE
DELEGATO, DI ASSEGNAZIONE DI UN TERMINE EX ART. 72, COMMA 3 - RECLAMO -
PROVVEDIMENTO DEL TRIBUNALE FALLIMENTARE - IMPUGNAZIONE CON RICORSO EX
ART. 111 COST. - ESCLUSIONE.
Il decreto del giudice delegato, reso a norma dell’art. 72, comma
terzo, della L.F., sulla richiesta di assegnazione di un termine al curatore,
per l’eventuale subingresso, al fallito, in un contratto non ancora eseguito
alla data del fallimento, integra un atto interno di carattere ordinatorio,
inerente alla gestione del patrimonio fallimentare, reclamabile davanti
al tribunale ex art. 26 della L.F., mentre, contro il provvedimento di
quest’ultimo, deve essere negata l’esperibilità del ricorso per
cassazione a norma dell’art. 111 della Costituzione.
Sez. 1ª, sent. 04358 del
16/05/1997
FALLIMENTO - VENDITA NON ESEGUITA
- SENTENZA EX ART. 2932 COD. CIV. NON ANCORA PASSATA IN GIUDICATO - FACOLTÀ
DI SCELTA DEL CURATORE, FRA L’ESECUZIONE E LO SCIOGLIMENTO DEL CONTRATTO
- ESERCIZIO AL DI FUORI DEL GIUDIZIO - AMMISSIBILITÀ.
Fino al passaggio in giudicato di una sentenza ex art. 2932 cod.
civ. di trasferimento della proprietà di un bene al promissario
acquirente, il curatore conserva intatto il potere di scegliere fra l’esecuzione
del contratto e lo scioglimento del contratto preliminare. Infatti, l’art.
72, comma quarto, L.F., nell’escludere lo scioglimento del contratto se
la cosa venduta è già passata in proprietà del compratore,
considera l’ipotesi dell’effetto traslativo prodotto dal contratto di vendita,
cui non è certo assimilabile - al di là di ogni effettuata
trascrizione della domanda - il mero effetto processuale che una sentenza
ex art. 2932 cod. civ., finché non passi in giudicato, riesce a
produrre. A tal riguardo, ai fini dell’esercizio e dell’estrinsecazione
della sua volontà di sciogliersi dal “preliminare di vendita”, il
curatore ben ha il potere di esercitare una tale volontà in via
stragiudiziale, allorché la formulazione dell’eccezione di scioglimento
del contratto non si renda possibile nell’ambito del processo, per ragioni
di ordine generale quali quelle attinenti ai limiti propri del giudizio
di legittimità. Ed infatti, la facoltà di optare per lo scioglimento
non si caratterizza nel senso di un’azione di impugnazione negoziale in
quanto tale, da esercitarsi esclusivamente nel processo.
Sez. 1ª, sent. 04351 del
16/05/1997
FALLIMENTO - EFFETTI - AZIONE
REVOCATORIA FALLIMENTARE - ATTI A TITOLO ONEROSO, PAGAMENTI E GARANZIE
IN GENERE - SCIENTIA DECOCTIONIS - PROVA - CONFERIMENTO DI AZIENDA - FALLIMENTO
DELLA SOCIETÀ CONFERITARIA - CONOSCENZA DELL’ESPOSIZIONE PATRIMONIALE
DELL’AZIENDA CONFERITA - RILEVANZA.
Quando è conferita in società un’azienda, il conferimento
equivale - con riferimento ai debiti dell’azienda conferita risultanti
dai libri contabili - ad una cessione d’azienda in favore della società
conferitaria e pertanto, ai sensi dell’art. 2560 cod. civ., il cessionario
è responsabile al pari del cedente di detti debiti verso i terzi
creditori che, a prescindere dalla regolamentazione dei rapporti interni
tra le parti, possono pretendere l’adempimento anche immediatamente dal
cessionario. Ne consegue che, ai fini della valutazione della esposizione
patrimoniale della società conferitaria, va tenuto conto anche delle
responsabilità per i debiti delle aziende conferite, onde, nel caso
in cui, fallita la società conferitaria, il curatore agisca per
la revoca dei pagamenti ex art. 67 L.F., la prova della scientia decoctionis
da parte dell’accipiens può essere tratta, per via presuntiva, anche
dalla conoscenza dell’esposizione patrimoniale delle aziende conferite.
Sez. 1ª, sent. 04345 del
16/05/1997
FALLIMENTO - EFFETTI PER IL
FALLITO - ATTI SUCCESSIVI ALLA DICHIARAZIONE - CONTO CORRENTE BANCARIO
- VERSAMENTI SUL CONTO - INTEGRALE RESTITUZIONE - NUOVA IMPRESA DEL FALLITO
- RESTITUZIONE LIMITATA.
Quando il fallito, dopo l’apertura della procedura concorsuale,
instauri un rapporto di conto corrente bancario senza fido con una banca,
i versamenti su di esso eseguiti devono essere integralmente restituiti
al curatore anche nell’ipotesi in cui la banca abbia utilizzato in tutto
o in parte la provvista per effettuare il pagamento di assegni a favore
di terzi. Tale regola può subire eccezioni solo quando le operazioni
compiute sul conto corrispondano ai movimenti finanziari di una nuova impresa
di cui il fallito sia titolare, nel qual caso la banca dovrà restituire
soltanto il saldo attivo risultante dalla differenza tra i versamenti ricevuti
e i pagamenti effettuati in funzione di passività affrontate per
la gestione dell’impresa.
Sez. 1ª, sent. 04310 del
15/05/1997
FALLIMENTO - CURATORE - RAPPRESENTANZA
GIUDIZIALE - AUTORIZZAZIONE A STARE IN GIUDIZIO RILASCIATA SOLO IN APPELLO
- EFFICACIA SANANTE EX TUNC - SUSSISTENZA - LIMITI.
L’autorizzazione a promuovere un’azione giudiziaria, conferita,
ex artt. 25, n. 6, e 31, L.F., al curatore del fallimento dal giudice delegato,
copre, senza bisogno di una specifica menzione, tutte le possibili pretese
e istanze strumentalmente pertinenti al conseguimento del previsto obiettivo
principale del giudizio cui l’autorizzazione si riferisce.
La mancanza di autorizzazione, da parte del giudice delegato, al
curatore, perché svolga attività processuale (nella fattispecie:
l’esperimento dell’azione revocatoria ex art. 64 L.F.), essendo attinente
all’efficacia di attività processuale nell’esclusivo interesse del
fallimento procedente, è suscettibile di sanatoria, con effetto
ex tunc, anche mediante l’autorizzazione per il giudizio di appello, sempre
- però - che l’inefficacia degli atti non sia stata, nel frattempo,
già accertata e sanzionata dal giudice.
Sez. 1ª, sent. 04255 del
14/05/1997
FALLIMENTO - ACCERTAMENTO DEL
PASSIVO - TRIBUTI - INDENNITÀ DI MORA MATURATA SUCCESSIVAMENTE ALLA
DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO - AMMISSIBILITÀ AL PASSIVO.
Nel regime dell’art. 30 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, l’indennità
di mora (soppressa a far tempo dal 1º gennaio 1990 e sostituita con
gli interessi semestrali di mora, in conseguenza dell’entrata in vigore
del D.P.R. 20 gennaio 1988, n. 43) confrontata al fatto oggettivo dell’omesso
pagamento nel termine, con due tassi unici e forfettari non ragguagliati
alla durata del ritardo nella soddisfazione del credito di imposta, costituisce
un accessorio naturale e necessario del tributo come indennizzo forfettario
avente il medesimo carattere pubblicistico del tributo stesso, che fa carico
all’obbligato per una causa oggettiva indipendentemente da ogni soggettiva
valutazione del comportamento dell’obbligato e da ogni possibilità
di indagine sull’imputabilità dell’inadempimento, con la conseguente
ammissibilità al passivo fallimentare del credito per la suddetta
indennità di mora, maturata successivamente alla sentenza dichiarativa
di fallimento.
Sez. 1ª, sent. 03667 del
28/04/1997
FALLIMENTO - EFFETTI PER IL
FALLITO - CONTENZIOSO TRIBUTARIO - LEGITTIMAZIONE DEL FALLITO AD IMPUGNARE
- DECORRENZA DEL TERMINE - NOTIFICA DELL’ACCERTAMENTO AL FALLITO - RIMESSIONE
IN TERMINI DEL CURATORE - ESCLUSIONE.
L’accertamento tributario inerente a crediti, i cui presupposti
si siano verificati prima della dichiarazione di fallimento del contribuente
o nel periodo in cui tale dichiarazione è intervenuta, deve essere
notificato non solo al curatore, ma anche al contribuente il quale non
è privato, a seguito della dichiarazione di fallimento, della sua
qualità di soggetto passivo del rapporto tributario e resta esposto
ai riflessi, anche sanzionatori, che conseguono alla definitività
dell’atto impositivo. Da ciò deriva che il fallito, nell’inerzia
degli organi fallimentari, è eccezionalmente abilitato a provvedere
alla tutela giurisdizionale ad essi correlata, sicché, pur in mancanza
di una esplicita prescrizione normativa al riguardo, deve ritenersi che
il curatore non è gravato da un mero onere di informazione nei confronti
del fallito, ma è obbligato a trasmettergli tutti gli atti relativi
a quelle situazioni giuridiche che siano suscettibili di incidere, dopo
la chiusura del fallimento, nella sua sfera patrimoniale; pertanto, allorquando
il curatore si sia disinteressato del rapporto tributario sorto nei confronti
del fallito, il termine per impugnare l’atto di accertamento non decorre
nei suoi confronti se non dal momento in cui l’accertamento stesso sia
portato a sua conoscenza. Peraltro, la opposizione del fallito non vale
a rimettere in termini il curatore che, ricevuta la notificazione dell’avviso
di accertamento, abbia tralasciato di attivarsi con la proposizione dell’opposizione
nei termini di legge.
Sez. 1ª, sent. 02936 del
4/04/1997
FALLIMENTO - AZIONE REVOCATORIA
FALLIMENTARE - REVOCA DI PAGAMENTO DI SOMMA DI DENARO - CONSEGUENTE RESTITUZIONE
- FUNZIONE RISARCITORIA - CONSEGUENZE - DEBITO DI VALORE - RIVALUTAZIONE
MONETARIA - INTERESSI SULLA SOMMA RIVALUTATA.
L’obbligazione restitutoria conseguente all’accoglimento dell’azione
revocatoria fallimentare ha la natura di debito di valore anche quando
suo oggetto sia il pagamento di una somma di denaro, in considerazione
della funzione indennitaria dell’azione, tendente ad elidere le conseguenze
di atti posti in essere in pregiudizio delle ragioni dei creditori e della
qualificabilità dell’obbligazione restitutoria come obbligazione
nascente da fatto illecito, il cui elemento oggettivo è la sottrazione
di beni della massa e quello soggettivo la consapevolezza di violare le
regole della par condicio creditorum. Ne consegue l’assoggettamento del
debito restitutorio alla rivalutazione monetaria, al fine di assicurare
la corrispondenza tra valore sottratto e valore restituito, mentre la computabilità
degli interessi legali sulla somma rivalutata deriva dalla necessità
di compensare specificamente il danno da ritardo. (Nella specie non è
stata idoneamente sottoposta alla S.C. la questione della decorrenza degli
interessi.)
Sez. 3ª, sent. 02869 del
2/04/1997
FALLIMENTO DEL LOCATORE - DECRETO
DI TRASFERIMENTO DEL BENE DEL FALLITO - OPPOSIZIONE DEL CONDUTTORE AL RILASCIO
DI ESSO AI SENSI DELL’ ART. 615 COD. PROC. CIV. - AMMISSIBILITÀ.
Il conduttore di un bene immobile, per il quale è stata avviata
l’esecuzione per rilascio nei confronti del fallito in base ad un decreto
di trasferimento - provvedimento non assimilabile ad una sentenza, per
cui non è opponibile ai sensi dell’art. 404 cod. proc. civ. - del
giudice delegato per la procedura fallimentare, può opporsi ai sensi
dell’art. 615 cod. proc. civ., senza contestare la legittimità di
tale titolo esecutivo, facendo valere il suo anteriore diritto personale
di godimento, ostativo dell’esercizio dell’azione esecutiva nei suoi confronti.
Sez. 1ª, sent. 02727 del
27/03/1997
FALLIMENTO - PROCEDIMENTO -
AUDIZIONE DELL’IMPRENDITORE SOCIETÀ DI CAPITALI - AVVISO DI CONVOCAZIONE
IN CAMERA DI CONSIGLIO - NOTIFICA - OMISSIONE PER IRREPERIBILITÀ
NELLA SEDE SOCIALE DI PERSONE LEGITTIMATE A RICEVERE L’ATTO - NOTIFICA
EX ART. 140 COD. PROC. CIV. - NECESSITÀ - ESCLUSIONE.
In tema di fallimento di una società di capitali, qualora
la notifica dell’avviso di convocazione del soggetto interessato sia omessa
per essere irreperibili persone legittimate a ricevere l’atto nella sede
sociale indicata nei pubblici registri e non sia neppure possibile notificare
l’atto al rappresentante legale della società ai sensi dell’art.
145, terzo comma, cod. proc. civ., per non esser indicati nell’atto il
nome e il domicilio dello stesso, si devono ritenere rispettate le condizioni
per l’instaurazione del contraddittorio previsto dall’art. 15 L.F., senza
che sia necessario procedere alla ulteriore notifica secondo le modalità
stabilite dall’art. 140 cod. proc. civ., in quanto, indipendentemente dall’applicabilità
alle persone giuridiche del rito ivi previsto, il ricorso a questo procedimento
è incompatibile con le esigenze che presiedono alla disciplina della
dichiarazione di fallimento.
Sez. 1ª, sent. 02439 del 19/03/1997
FALLIMENTO - ACCERTAMENTO DEL
PASSIVO - DOMANDA DI AMMISSIONE DEL CREDITORE - RISERVA DI DEPOSITARE IL
TITOLO SUCCESSIVAMENTE ALL’APPROVAZIONE DELLO STATO PASSIVO - AMMISSIBILITÀ.
Dalla disposizione del n. 2 dell’art. 113 L.F. - secondo cui i creditori
che si siano riservati di presentare il titolo del proprio credito non
sono esclusi dalle ripartizioni parziali, ma la loro quota viene accantonata
sino alla ripartizione finale, fermo restando che in tale sede il pagamento
del credito nella percentuale spettante resta subordinato alla presentazione
del titolo - si desume che i crediti risultanti da documentazione che il
creditore si riservi di depositare successivamente all’approvazione dello
stato passivo, non possono essere esclusi, in quanto la produzione della
documentazione giustificativa è necessaria solo all’atto della ripartizione
finale dell’attivo fallimentare.
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