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con nota di A.
Ferranti
FALLIMENTO - AZIONE REVOCATORIA - PRESCRIZIONE - DECORRENZA TERMINE DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO. (artt. 2935 c.c.; 67 L.F.) CONTRATTO PRELIMINARE DI VENDITA - VENDITA - CRITERI DISTINTIVI. (art. 2932 cod. civ.) FALLIMENTO - AZIONE REVOCATORIA - SOCIETÀ FALLITA NATA DA FUSIONI E TRASFORMAZIONI - SCIENTIA DECOCTIONIS - RIFERIBILITÀ ALLE SOCIETÀ FUSE O TRASFORMATE - AMMISSIBILITÀ. (art. 67 L.F.) Il termine di prescrizione dell’azione revocatoria
fallimentare decorre dal fallimento e non dalla data del compimento dell’atto.
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II FALLIMENTO - AZIONE REVOCATORIA - OGGETTO - PRELIMINARE DI VENDITA - ESCLUSIONE. (art. 2932 c.c.; art. 67 L.F.) FALLIMENTO - AZIONE REVOCATORIA - CONOSCENZA DELLO STATO DI INSOLVENZA - SEMPLICE CONOSCIBILITÀ - SUFFICIENZA - ESCLUSIONE. (art. 67 L.F.) FALLIMENTO - AZIONE REVOCATORIA - SOCIETÀ FALLITA NATA DA FUSIONI E TRASFORMAZIONI - SCIENTIA DECOCTIONIS - RIFERIBILITÀ ALLE SOCIETÀ FUSE O TRASFORMATE - ESCLUSIONE. (art. 67 L.F.) L’ atto soggetto a revocatoria fallimentare
è l’atto definitivo di compravendita e non il preliminare, in quanto
solo il primo è traslativo del bene e, quindi, idoneo a depauperare
il patrimonio del fallito ed a ledere la par condicio creditorum.
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1. In via preliminare, la parte convenuta eccepisce la decorrenza della prescrizione quinquennale, rilevando che la vendita si è perfezionata con il preliminare firmato il 30.1.82 e che la citazione è stata notificata il 16.7.90. Tuttavia, a parte ogni considerazione in merito a quale sia il contratto di vendita del bene (se il preliminare del 1982 o il successivo rogito notarile del 1984), su cui poi si dirà, per giurisprudenza costante il termine di prescrizione dell’azione revocatoria fallimentare non decorre dalla data dell’atto (come avviene per la revocatoria ordinaria), bensì dal momento della dichiarazione di fallimento. Infatti, solo da questo momento il diritto alla revoca può venir fatto valere dal curatore, unico soggetto legittimato ad esperire l’azione nell’interesse della massa dei creditori; per cui non sarebbe possibile far decorrere il termine prescrizionale per un diritto che, in concreto, non è ancora possibile esercitare (si veda, in termini, Cass. Sez. I, 6.11.93, n. 11013; Sez. I, 30.8.93, n. 9197; Sez. I, 13.4.94, n. 3421). Poiché il fallimento è stato dichiarato con sentenza 17-18 luglio 1985 e la citazione è stata notificata ex art. 139 cod. proc. civ. il 16.7.90, l’azione è stata esercitata entro il termine quinquennale di legge, indipendentemente dalla circostanza se si consideri la vendita avvenuta nel 1982 o nel 1984. 2. Sempre in via preliminare, il convenuto eccepisce che il vero contratto di vendita non sarebbe il rogito notarile del 24.11.84, ma la scrittura privata qualificata come preliminare di vendita del 5.3.82, per cui la vendita sarebbe avvenuta oltre tre anni prima del fallimento (del luglio 1985), con conseguente non esperibilità delle azioni ex art. 67 L.F.. A sostegno della propria tesi, il convenuto deduce che il contratto del 5.3.82 ha tutti i requisiti di un contratto definitivo, compresi la esatta identificazione del bene ceduto, l’ammontare del prezzo e l’immediato pagamento dello stesso; indica le clausole dell’atto per le quali lo stesso viene definito fin da allora “definitivamente ed irrevocabilmente impegnativo per il promesso acquirente che lo sottoscrive oggi 30.1.82” (art. 10), per cui inoltre l’atto pubblico di compravendita non può venire stipulato “se non dopo l’avvenuto pagamento del prezzo convenuto” (art. 7); conclude che il successivo atto notarile aveva semplice funzione di riprodurre in atto pubblico il contenuto negoziale già completo e perfetto e operante sin dalla prima scrittura. Va però rilevato, in primo luogo, come le espressioni utilizzate nel contratto del 30.1.82 siano tali da significare la natura obbligatoria e non traslativa del contratto. Infatti, “la promessa venditrice si OBBLIGA A VENDERE ed il promesso acquirente si OBBLIGA AD ACQUISTARE, PER SÉ O PER PERSONA DA NOMINARE al momento del rogito” (art.1); la “promessa venditrice” si impegna a trasferire “quanto promesso in vendita” non subito, ma solamente “in sede di atto pubblico... libero da ipoteche” (art. 5), mentre il promesso acquirente versa lire 20.900.000 non quale prezzo, ma “a titolo di caparra confirmatoria” (art. 6); sono previste le modalità di pagamento del residuo prezzo ed è previsto che, in caso di mancato pagamento di tali ulteriori somme, “il contratto SI RISOLVERÀ DI DIRITTO A SEGUITO DELLA SEMPLICE DICHIARAZIONE IN TAL SENSO ESPRESSA DALLA PROMESSA VENDITRICE, LA QUALE POTRÀ RITENERE, A TITOLO DI PENALE, LE SOMME GIÀ INCASSATE” (art. 8). A parte la chiarezza e l’univocità delle espressioni usate, nel contratto del 1982 sussistevano quindi clausole non compatibili con un contratto definitivo di vendita, quali la previsione di una caparra confirmatoria, la disciplina di scioglimento del vincolo contrattuale, la possibilità di cedere il contratto senza liberazione del cedente; clausole, tutte, che presuppongono necessariamente non ancora perfezionati gli effetti tipici dell’istituto e in specie che il contratto di vendita non avesse ancora efficacia traslativa. Peraltro, nemmeno è esatto sostenere che già con tale atto fossero esattamente individuati tutti gli elementi del contratto: basti pensare che il contratto preliminare riguarda la vendita di 160 millesimi dell’unità abitativa e che il Del Piano si renderà acquirente, con l’atto notarile del 24.11.84, solamente di 84 millesimi, mentre gli altri 76 verranno acquistati dalla sorella Del Piano Fiorella, soggetto completamente estraneo all’atto del 1982. A conferma che solo con il rogito notarile si sono verificati gli effetti traslativi della vendita, mentre il precedente contratto del 1982 non aveva tale efficacia. Si rileva, infine, come le previsioni dello stesso contratto del 24.11.84 siano tali da escludere una sua natura solamente formale. Viene infatti chiarito che il “possesso legale” del bene “passa sin da oggi alla parte acquirente” (art. 7), cosa incompatibile con la pretesa efficacia traslativa del contratto del 1982, che presupporrebbe necessariamente la già avvenuta cessione del “possesso legale”. Mentre solo con l’atto del 1984 viene dato atto dell’adempimento degli obblighi del compratore, verso il quale la venditrice “rilascia ampia, finale e liberatoria quietanza con dichiarazione di null’altro avere a pretendere o conseguire per la fatta vendita” (art. 6), quietanza mai rilasciata prima. Si conclude, quindi, che l’atto del gennaio-marzo 1982 fosse solamente un preliminare di vendita, come del resto qualificato dalle parti, mentre la vera e unica compravendita è stata stipulata con l’atto notarile del 24.11.84. Per cui quest’ultimo contratto va considerato per il presente giudizio di revocazione. 3. Giungendo all’esame delle richieste della curatela attrice, si ricorda che la fallita S.r.l. Linaro Immobiliare deriva dalla trasformazione in S.r.l. della S.p.A. Sestimm, che poi si è fusa con la Sapim S.r.l.. Orbene, lo stato di decozione della fallita S.r.l. Linaro Immobiliare e, prima di essa, della S.r.l. Sapim e della S.p.A. Sestimm, società danti causa della fallita, era notorio ed è stato ampiamente documentato dall’attore, con produzione dell’elenco ufficiale dei protesti elevati in Roma a carico delle prime due società dal 5.11.82 al 5.11.84 (doc. 12 prodotto dall’attore). I protesti sono stati elevati in Roma, città di residenza di Del Piano, il quale, quindi, usando la normale diligenza, avrebbe potuto venirne a conoscenza. Né si dica che il Del Piano ignorasse la derivazione della Linaro Immobiliare dalle altre società: basti ricordare che aveva stipulato il preliminare del 1982 con la S.r.l. Sapim e, in sede di stipula dell’atto di vendita del 24.11.84, nelle premesse del contratto vengono chiaramente indicate le modalità di formazione della Immobiliare Linaro, così da renderne dettagliatamente edotto il convenuto. Anzi, questa premessa è particolarmente significativa, in quanto non sono soltanto indicate le vicende di costituzione della Linaro Immobiliare ma, altresì e soprattutto, viene ricordata la storia della realizzazione del complesso immobiliare oggetto della vendita. Infatti, è assolutamente inusuale una simile premessa storica, che, fra l’altro, non riveste normalmente alcun interesse per l’acquirente, che ha solo interesse a sapere cosa compra e a venire garantito contro brutte sorprese. Per cui la dettagliata disamina delle vicissitudini costruttive dell’immobile, comprensiva del primo sequestro penale e amministrativo delle opere, costituisce sintomo evidente, per ogni acquirente dotato di normale accortezza, che permanga alcuna situazione problematica e che la parte venditrice intenda tutelarsi contro possibili rivalse del compratore, portandolo formalmente a conoscenza di possibili aspetti problematici. Ne consegue che, reso accorto già da questo solo fatto, il Del Piano avrebbe potuto e dovuto attivarsi per meglio conoscere la situazione societaria e quella relativa all’immobile. Infatti, il complesso edilizio nel quale è compresa l’unità acquistata dal convenuto, era stato sottoposto a sequestro il 9.11.84, pochi giorni prima della stipula del contratto di vendita, per reati edilizi (per i quali ci sarà poi condanna dei responsabili). Per cui, sempre usando la normale diligenza, il Del Piano ben avrebbe dovuto conoscere l’ultimo sequestro, di pubblica notorietà e di evidente gravità anche per la considerazione della situazione economica della ditta. Sarebbe stato sufficiente chiedere più dettagliate informazioni o anche solo rinviare di pochi giorni la firma del contratto, dopo avere constatato la elaborata e poco rassicurante premessa, così da avere tempo per acquisire informazioni. Né appare eccessivo pretendere che il compratore, venendo a sapere PER ATTO NOTARILE che il complesso abitativo ha avuto varie disavventure amministrative e giudiziarie, chieda alcuna esplicita garanzia che lo stesso sia comunque conforme alla legge e alla concessione edilizia, attestazione SAPIENTEMENTE OMESSA nella pure dettagliata premessa all’atto di vendita. Tanto più in quanto la costruzione dichiaratamente non era ancora completata e la effettiva consegna veniva postdatata, per cui la richiesta di venire esplicitamente ed espressamente garantito che la costruzione non avrebbe dovuto avere ulteriori problemi, appare il minimo che si possa chiedere a persona di appena normale diligenza. In effetti, come detto, il complesso immobiliare era stato colpito da nuovo sequestro penale due settimane prima dell’atto. Né si dica che chiedere un rinvio di pochi giorni, dopo avere visto la inusuale premessa e così da avere almeno il tempo di fare migliori verifiche, non rientrasse nelle sue facoltà, non risultando da nessuna parte l’obbligo di stipula per quel giorno, tanto più che il compratore aveva già pagato il prezzo e che l’uso dell’immobile era previsto solo a partire dall’1.4.85. Se, poi, si volesse argomentare che il compratore Del Piano si sia fidato di eventuali rassicurazioni verbali di controparte, o addirittura che aveva comunque interesse a una immediata stipula avendo già anticipato tutto il prezzo, è evidente come saremmo allora molto al di sotto della normale diligenza richiesta per i contratti, specie in materia grave e insidiosa come quella immobiliare. Come detto, lo stato di insolvenza delle due società Sestimm e Sapim era facilmente conoscibile ed era allora inevitabile rendersi conto delle difficoltà in cui si trovava la Linaro Immobiliare, erede delle prime due. Del resto, le difficoltà della S.p.A. Sestimm erano notorie anche per altri motivi, quale la lettera del 30.7.84 con la quale la S.p.A. ha portato a conoscenza di tutti i clienti la avvenuta trasformazione in S.r.l. e la fusione con la Sapim S.r.l., denunciando la lunga chiusura del cantiere di Linaro e lamentando le difficoltà soprattutto economiche incontrate e non ancora superate. Seppure il Del Piano, in sede di interrogatorio formale, nega di avere mai ricevuto questa lettera, va ribadito come, nelle premesse dell’atto di vendita del 24.11.84, vengono esplicitamente e dettagliatamente indicate varie difficoltà incontrate nella realizzazione del complesso residenziale, difficoltà tali da non poter venire considerate ordinarie e idonee a provocare allarme, quali le vicissitudini di precedenti sequestri penali del cantiere e ordinanze sindacali di sospensione dei lavori. Anche per tali ragioni, la situazione di difficoltà della venditrice era, oltre che conoscibile con la normale diligenza, senz’altro notoria ed espressamente portata a conoscenza del compratore. In conclusione, gli elementi in base ai quali poteva venire conosciuta la insolvenza della S.r.l. Linaro risultano molteplici, di pubblica conoscenza e conoscibilità, facilmente apprendibili con ordinaria diligenza, significativi della gravità della situazione. (omissis) II
Note [1] Principio pacifico in giurisprudenza (v., da ultimo, Cass. 13 aprile 1994, n. 3421, in Il fall. 1994, 1048; Cass. 6 novembre 1993, n. 11013, ivi, 1994, 361; Cass. 30 agosto 1993, n. 9197, ivi, 1994, 149, tutte citate in motivazione) -torna al testo [2-4] Principio costante è che il momento di
individuazione del danno alla massa dei creditori è la vendita effettiva
e definitiva del bene.
[3-5-6] Le due sentenze in rassegna, pur partendo
dalla comune premessa, anche se in parte soltanto implicita nella decisione
del Tribunale, della necessaria effettività della conoscenza dello
stato di insolvenza (v. in tal senso Cass. 8 novembre 1987, n. 8234, in
Il fall., 1988, 196; Cass. 13 dicembre 1988, n. 6776, ivi, 1982, 502; Cass.
28 dicembre 1988, n. 7070, in ivi, 1989, 599), sono giunte a conclusioni
opposte in ordine alla vicenda, nota agli operatori romani, delle revocatorie
promosse dal fallimento della S.r.l. Linaro Immobiliare. -torna
al testo
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