con nota di Sergio
di Amato
Corte
di appello di Roma - sez. 1 - 18 marzo 1996 - Pres. Izzo - Est. Apice -
D’Andrea (avv. Amorelli) c. Fall. Bottasso Alimentari S.a.s. di Mario Sbaraglia
& C.
FALLIMENTO - AZIONE REVOCATORIA - ATTO DI DISPOSIZIONE
DEL SOCIO ACCOMANDATARIO - ATTO ANTERIORE ALL’ACQUISIZIONE DELLA QUALITÀ
DI SOCIO - ASSOGGETTABILITÀ ALLA REVOCATORIA - ESCLUSIONE. (art.
67 L.F.)
FALLIMENTO - SCIENTIA DECOCTIONIS - OGGETTO -
QUALITÀ SOGGETTIVA FALLIBILITÀ - INCLUSIONE. (art.
67 L.F.)
Non è soggetto a revocatoria fallimentare
l’atto compiuto dal fallito prima dell’assunzione della qualità
soggettiva alla quale l’ordinamento ricollega l’assoggettabilità
alla procedura fallimentare e ciò anche se l’atto sia compiuto nel
biennio anteriore alla dichiarazione di fallimento.[1]
La scientia decoctionis ha tra le sue componenti
anche la conoscenza della fallibilità del soggetto (essendo l’insolvenza
un concetto strettamente inerente al soggetto fallibile) e quindi della
sua qualità di imprenditore commerciale. [2]
(omissis) L’ appello è fondato
Anzitutto si rileva che nel caso in esame è
pacifico tra le parti che lo Sbaraglia assume la carica di amministratore
della società poi fallita (e quindi divenne socio illimitatamente
responsabile) successivamente alla data di stipula dell’atto di compravendita
che è oggetto dell’azione revocatoria fallimentare.
Tale rilievo esime la Corte dall’interrogarsi
sulla possibilità di qualificare come imprenditore il socio illimitatamente
responsabile, essendo comunque insorta successivamente all’epoca dell’atto
pregiudizievole la situazione di fatto cui si potrebbe (in ipotesi) collegare
lo status di imprenditore commerciale.
Ciò posto, si tratta di accertare se lo
Sbaraglia, prima di assumere la qualifica di socio accomandatario della
S.a.s. Bottasso Alimentari di Mario Sbaraglia & C., fosse comunque
(e per altro titolo) imprenditore commerciale. Ciò in quanto, ai
fini dell’accoglimento della domanda di revocatoria e della previa valutazione
del presupposto soggettivo della consapevolezza dello stato soggettivo
(presupposto presunto, ma pur sempre necessario nella fattispecie di cui
all’art. 67, primo comma n. 1 L.F.), “innegabili esigenze di tutela della
buona fede dei terzi e della certezza dei rapporti giuridici impongono
...che il soggetto sia consapevole che l’altro contraente od il solvens
abbia quella determinata qualità soggettiva alla quale l’ordinamento
ricollega l’assoggettabilità alla procedura fallimentare (Cass.
22 ottobre 1976 n. 3745, in Giur. Comm., 1977, II, 15, con la quale è
solo apparentemente in contrasto Cass. 25.3.1994 n. 2911 secondo cui non
può essere messo in discussione - sotto il profilo giuridico, non
fattuale - il presupposto soggettivo del fallimento). In altri termini,
la scientia decoctionis ha tra le sue componenti anche la conoscenza della
condizione di fallibilità del debitore (essendo l’insolvenza un
concetto strettamente inerente al soggetto fallibile) e quindi della sua
qualità di imprenditore commerciale. D’altronde, ove la legge pone
a carico dell’accipiens l’onere di provare l’ignoranza dello stato d’insolvenza,
è evidente che si offre allo stesso la possibilità di dimostrare
la sua inscientia decoctionis mediante ogni genere di elementi, tra cui
non può escludersi - ad esempio - la circostanza che notoriamente
il fallito non esercitava alcuna impresa commerciale all’epoca dell’atto
pregiudizievole.
Orbene, nella specie è provato - ad avviso
della Corte - che lo Sbaraglia il 27.4.1989 (data del rogito) non era imprenditore
commerciale, né soggetto fallibile (essendo diventato socio accomandatario
della società fallita il 3.1.1990). Infatti, per un verso è
stato dimostrato che all’epoca non esisteva una ditta individuale Mario
Sbaraglia iscritta alla Camera di Commercio (il che riveste un’indubbia
valenza probatoria in assenza di decisive circostanze di segno contrario);
e, per altro verso, non si può far discendere la consapevolezza
dello status di imprenditore dalla semplice dichiarazione di essere “commerciante”
fatta dallo Sbaraglia in sede di autentica della firma in calce alla procura
speciale rilasciata da Sbaraglia Mario e Somma Maria a Venerelli Antonio:
una siffatta emergenza non assurge a fatto sostitutivo o equipollente di
una qualificazione giuridica, che deve risultare da una realtà ontologica
e non da un supposto convincimento dell’interessato. Pertanto, ritenuto
che la presunzione relativa di conoscenza dello stato d’insolvenza di cui
all’art. 67, primo comma L.F. concerne sia lo stato di dissesto, sia la
condizione di imprenditorialità, con la conseguente mera inversione
dell’onere probatorio su entrambe le circostanze, a questo Collegio appare
di tutta evidenza che l’appellante ha sufficientemente dimostrato che non
esisteva il requisito dell’imprenditorialità (e quindi la conoscenza
dell’insolvenza) all’epoca dell’atto di compravendita de quo: ciò
in quanto, a fronte di una certificazione che esclude la registrazione
di una ditta individuale e a fronte di un’assunzione di responsabilità
illimitata in epoca successiva all’atto di compravendita, la curatela null’altro
è riuscita ad allegare che una generica dichiarazione di essere
“commerciante” proveniente dallo stesso fallito. (omissis)
Non revocabilità dell’atto compiuto
prima dell’insorgere del requisito soggettivo di fallibilità
[1-2] osservazioni
a sentenza di S. Di Amato (torna alla sentenza)
La dichiarazione di fallimento determina una presunzione
iuris et de iure in ordine alla sussistenza in capo al fallito del requisito
soggettivo per la dichiarazione di fallimento ed in ordine alla ricorrenza,
nel c.d. periodo sospetto, del requisito oggettivo dello stato di insolvenza,
con la conseguenza che il convenuto in revocatoria non potrebbe provare
l’insussistenza né dell’uno, né dell’altro. In tal senso,
in particolare, si è pronunziata Cass. 25 marzo 1994, n. 2911, in
Il fall. 1994, 1013, citata in motivazione. Con detta pronunzia, la Corte
di legittimità ha chiaramente affermato che nel giudizio sulla revocabilità
di un atto del fallito, ai sensi dell’art. 67 L.F., “non è consentito
rimettere in discussione i presupposti del fallimento, incluso quello della
qualità d’imprenditore del fallito, essendo ogni indagine al riguardo
riservata alla sentenza dichiarativa del fallimento medesimo ed all’eventuale
opposizione”.
La sentenza in rassegna ha, invece, fatto proprie
- con citazione testuale dei princìpi affermati - le conclusioni
di una contraria e più risalente pronunzia della Corte di cassazione
(Cass. 22 ottobre 1976, n. 3745, in Giur. comm. 1977, II, 15, con nota
adesiva di Maffei Alberti), argomentata sostanzialmente con le “innegabili
esigenze di tutela della buona fede dei terzi e della certezza dei rapporti
giuridici”, dalle quali discenderebbe la necessità che il convenuto
in revocatoria abbia avuto la consapevolezza che l’altro contraente o il
solvens avesse quella determinata qualità soggettiva alla quale
l’ordinamento ricollega l’assoggettabilità alla procedura fallimentare.
L’argomentazione, tuttavia, sembra insufficiente di fronte agli elementi
contrari desumibili, da un lato, dal fatto che l’azione revocatoria è
disciplinata nell’ambito degli effetti del fallimento, del quale, quindi,
nel giudizio di revocatoria non è consentito contestare i presupposti
e, d’altro canto, dal fatto che l’art. 67 L.F. prevede un regime di presunzioni
che attengono anche alla sussistenza dei requisiti oggettivi del fallimento.
Peraltro, tali princìpi avrebbero condotto,
in concreto, nella fattispecie esaminata, agli stessi risultati cui è
pervenuta la sentenza in rassegna. Invero, da un lato, l’accertamento del
requisito soggettivo di fallibilità, discendente dalla dichiarazione
di fallimento, è normalmente riferibile soltanto al momento della
pronunzia ed è normalmente neutro rispetto al possesso in epoca
anteriore della qualità necessaria. Fa eccezione l’ipotesi, che
nella fattispecie non ricorreva, della dichiarazione di fallimento del
socio receduto, deceduto o escluso, nel qual caso la dichiarazione di fallimento
presuppone l’accertamento, oltre che del momento della perdita della qualità
di socio, anche del momento dell’insorgenza dell’insolvenza (Cass. 22 maggio
1990, n. 4626, in Il fall., 1991, 125; Cass. 11 agosto 1972, n. 2668, in
Dir. fall. 1973, II, 354) o, comunque, secondo altro orientamento, del
momento in cui sono sorte le obbligazioni che hanno dato luogo all’insolvenza
(Cass. 17 ottobre 1986, n. 6097, in Il fall. 1987, 322; Cass. 21 novembre
1983, n. 6934, ivi 1984, 1140, con nota di Severini; Cass. 4 ottobre 1978,
n. 4399, in Dir. fall. 1979, II, 196, con nota di Mongiello). Soltanto
entro questi limiti non è contestabile nel giudizio di revocatoria
fallimentare la sussistenza dei presupposti soggettivi del fallimento,
con la conseguenza che è, invece, possibile accertare, se rilevante,
il momento di assunzione della qualità di imprenditore o di socio
illimitatamente responsabile.
D’altro canto, passando al presupposto oggettivo
del fallimento ed al requisito della revocatoria dell’eventus damni, si
deve ricordare che, per agevolare la ricostruzione del patrimonio del fallito,
la legge fallimentare predispone una serie di presunzioni. La prima di
queste presunzioni è quella della retrodatazione dell’insolvenza.
Si tratta di una presunzione assoluta perché non ammette prova contraria
(Cass. 29 novembre 1985, n. 5953, in Il fall. 1987, 322; Cass. 9 agosto
1983, n. 5334, ivi 1984, 441), cosicché il terzo non può
provare che l’imprenditore non era insolvente al momento del compimento
dell’atto investito dalla retrodatazione. Il cosiddetto “periodo sospetto”,
nel quale prende corpo la crisi dell’azienda e gli atti dell’imprenditore
possono recare pregiudizio ai creditori, viene pertanto determinato legalmente
e non più giudizialmente, con la fissazione della data di “cessazione
dei pagamenti”, come avveniva con il codice di commercio del 1882 e con
la legge fallimentare del 1930. Nel caso del fallimento del socio illimitatamente
responsabile, il terzo convenuto in revocatoria non può, quindi,
provare che al momento del compimento dell’atto revocabile la società,
al cui fallimento consegue quello del socio, non era in stato di insolvenza.
La retrodatazione, peraltro, riguarda l’insolvenza dell’imprenditore e,
pertanto, non può superare certo il dato storico dell’inizio dell’attività
di impresa.
Venendo, infine, al requisito della conoscenza
dello stato di insolvenza, non si può condividere l’assunto secondo
cui tale conoscenza dovrebbe sempre ritenersi estesa ai requisiti di fallibilità
(sulla questione v. Balestri, Effetti del fallimento, in Diritto fallimentare,
Collana diretta da Greco, Milano 1994, 292). Infatti, contrariamente a
quanto disponeva il codice di commercio del 1882, l’art. 67 L.F. non prevede
che l’atto o il pagamento, per essere revocato, debba essere compiuto da
un imprenditore; del resto, il socio illimitatamente responsabile, secondo
l’orientamento prevalente, non può considerarsi imprenditore. Peraltro,
proprio nel caso del socio illimitatamente responsabile, la conoscenza
dello stato di insolvenza, in quanto riferita alla società e non
al socio (che potrebbe non essere insolvente), non può non passare
attraverso la conoscenza - anche solo legale ai sensi dell’art. 2193, 2°
comma, cod. civ. - della qualità che legittima l’estensione del
fallimento, dato che senza conoscenza (ed a maggior ragione in caso di
inesistenza) del collegamento qualificato tra il contraente o l’accipiens
e la società, non potrebbe avere significato logico la conoscenza
dello stato di insolvenza di quest’ultima. Pertanto, sotto tale profilo
diviene rilevante, se non accertato con la sentenza dichiarativa di fallimento,
il momento di assunzione della qualità di socio illimitatamente
responsabile.
Sembra, pertanto, possibile giungere alle seguenti
conclusioni: in generale, il convenuto in revocatoria non è ammesso
a provare l’ignoranza della qualità di imprenditore nel soggetto
poi dichiarato fallito, ma può provare che questi non era imprenditore
al momento del compimento dell’atto, con conseguente venire meno della
presunzione di retrodatazione dell’insolvenza. Se, poi, il fallito è
il socio illimitatamente responsabile, il convenuto in revocatoria è
ammesso a provare che il fallito, al momento del compimento dell’atto,
non aveva ancora assunto la qualità di soggetto fallibile, con conseguente
inconfigurabilità di una rilevante conoscenza dello stato di insolvenza
della società ed è altresì ammesso a provare, ove
non ricorra la preclusione dell’art. 2193, 2° comma, cod. civ., la
mancata conoscenza della qualità di socio illimitatamente responsabile.
Nella specie, l’assoggettabilità al fallimento
era collegata al dato formale dell’assunzione della qualità di socio
accomandatario di società in accomandita semplice e risultava per
tabulas che tale assunzione era successiva al compimento dell’atto impugnato
con azione revocatoria. Come ritenuto dalla sentenza in rassegna l’atto,
pertanto, non era revocabile.
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