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DOPO LA POLVERE
di Gabriella Belisario e Maurizio Calò
intervista al Prof. Giuseppe Proietti, Direttore
generale dell’Ufficio Centrale per i Beni ambientali e paesaggistici
È una piovosa domenica
il 23 novembre del 1980 quando,
alle 18.30, la terra trema per
un infinito, interminabile minuto.
Un minuto e ventitré secondi
per la precisione, con scosse
del 10° grado della scala Mercalli.
Un’onda distruttiva che parte dal cuore dell’Irpinia, tra Lariano e
Castelnuovo di Conza, per propagarsi a sud, lungo l’Appennino Lucano e
Potentino e, a nord, nelle valli dell’Ofanto e del Sele.
In un minuto e ventitré secondi muoiono circa 2.500 persone,
quasi 9.000 restano ferite, 340.000 i senza tetto, 686 i paesi distrutti
nelle province di Avellino, Salerno, Potenza, Caserta, Matera e Benevento,
senza contare i danni alla città di Napoli. Insieme ad intere famiglie
e alle case, ai palazzi civici, alle chiese e ai campanili, crollano le
masserie, muoiono gli animali, si sconvolgono i campi. Gli abitati si spopolano.
Sorgono tristi, ma pur utili, baraccopoli e la gente deve sfollare verso
le “marine”.
Crolla, proprio in quel sud dimenticato, il tessuto intimo della nostra
più arcaica civiltà contadina, già alle prese con
la difficile transizione verso una civiltà moderna, per tanti aspetti
ambita e per tanti altri remota. E quei paesi, arroccati sulle cime dei
colli, caratterizzati dalle architetture a pugno chiuso, quasi a difendersi
ancora dai pericoli barbarici, che conservavano gelosamente segni peculiari
di cultura e di arte, vengono a perdere, in un attimo, tutti i loro riferimenti:
il corso, la chiesa, il palazzo, il convento, le botteghe e le osterie.
E quando la polvere del terremoto finalmente si posa, quella polvere di
cui tutti i superstiti ricordano l’odore “aspro e insieme muffito”, che,
impastata dalla pioggia diventa fango, lo
scenario che si pone davanti a chi deve governare l’emergenza è
tra i più drammatici. L’entità del disastro e le asperità
del territorio fanno slittare il volano della grande macchina della
ricostruzione rischiando di disperdere lo storico attaccamento alla terra
delle popolazioni e la voglia di lottare contro la cancellazione culturale.
Mentre altre colonne di polvere gettano ombre sul paesaggio martoriato
- malgoverno, ritardi nei soccorsi, ritardi nei finanziamenti, intrighi
della malavita: cronici mali che seguono in Italia ogni calamità
- ecco che lo Stato, nella sua centralità, con un segnale fortemente
positivo, rivendica un ruolo prioritario, cercando di sanare uno dei mali
più profondi provocati dal sisma: recuperare e restaurare il patrimonio
artistico danneggiato. Con inconsueta e rara efficacia. Questa ricostruzione,
estremamente complessa e silenziosa, perché non oggetto di speculazioni
e scandali, affonda in quella piaga nascosta del sisma, la più difficile,
riparandola. Ad ogni statua lignea salvata, ad ogni campanile ricostruito,
affresco restaurato, ad ogni tela riparata o chiostro maiolicato
restituito, ad ogni riferimento ripristinato e ricollocato nel suo dialogo
con la gente, si è ricostituita la trama preziosa delle relazioni
culturali con il patrimonio insostituibile delle proprie tradizioni. Così
un paese si raccorda al suo paesaggio ed alla sua cultura riappropriandosi
dei suoi simboli, dei suoi monumenti, delle sue Madonne, delle sue processioni,
della sua vita.
Il professor Giuseppe Proietti, oggi Direttore generale dell’Ufficio
Centrale per i Beni ambientali e paesaggistici, ha coordinato, per anni,
in qualità di Soprintendente Generale, i lavori di tecnici, funzionari
e addetti di 10 Soprintendenze territoriali, documentando in un ponderoso
lavoro di ben 5 tomi, editi dal Poligrafico dello Stato, lo sforzo di archeologi,
architetti, ingegneri, economisti, storici, urbanisti ed informatici, che
si sono dedicati, nel quinquennio ‘85/’89, alla ri-costruzione del patrimonio
culturale distrutto dal terremoto.
Quando
è giunto sul posto, quale emozione ha provato?
“La mia formazione di archeologo e di studioso
del mondo etrusco mi ha portato sempre fra le rovine, rovine create dal
tempo e dalla storia, non intrise di umanità come quelle dell’Irpinia
e posso dire che non solo non ho mai assistito ad una tragedia così
grande, ma che questo sisma è stato tra i più imponenti a
memoria d’uomo in Italia. Un evento che ha devastato un’area compresa tra
il confine a sud del Lazio ed il Mar Ionio. Era un panorama scoraggiante,
ma lo Stato doveva provvedere assolutamente a recuperare quanto danneggiato
dalla natura.”
Come
fece una struttura istituzionalmente burocratica a gestire in modo dinamico
l’urgenza della ricostruzione?
“La legislazione dell’emergenza fu determinante
perché ridusse al minimo le formalità. Vennero potenziate
le strutture locali già esistenti, le soprintendenze vennero portate
da 7 a 10 e a coordinarle fu creata la Soprintendenza generale affidata
alla mia direzione. La complessità operativa era quella di coordinarsi
con le strutture parallele delle altre amministrazioni e poi con gli enti
locali e le popolazioni. Ma ci fu un tale spirito di collaborazione e di
solidarietà che ci portò a superare molte disfunzioni.”
Quali
le priorità per iniziare a lavorare?
“Nell’affrontare l’emergenza del dopo terremoto,
ci siamo trovati subito alle prese con due ordini di problemi ugualmente
urgenti: da una parte il censimento dei danni e dall’altra il ricovero
immediato, anche se temporaneo, di opere d’arte (mobili, tele, tavole,
statue lignee) in attesa del restauro, da porre al riparo da furti e intemperie.
- Il Professor Proietti sfoglia la sua pubblicazione, e le foto in bianco
e nero scorrono drammatiche. I numeri parlano da soli: sono stati restaurati
nel quinquennio 1985/’89: 286 chiese, 52 campanili, 99 palazzi, 20 castelli,
2 anfiteatri, 5 teatri, 231 affreschi, 38 soffitti, 1083 dipinti su tela,
95 quadri su tavole, 462 statue. Il tutto sparso su un territorio di 26.000
kmq. - La terza emergenza consisteva nel supporto immediato ad alcune strutture
pericolanti per evitare che crollassero definitivamente.”
Il professor Proietti, che ci riceve nel suo
ufficio di Piazza del Popolo, ci parla pacatamente mentre, aprendo gigantesche
cartine, ci fa scivolare nell’immensità di quell’evento, così
lontano, così vicino.
Un
sisma così drammatico è stato anche occasione di riscoperte?
“Soprattutto occasione di conoscenze. Ci troviamo
di fronte a due regioni, la Campania e la Lucania, dalla tradizione artistica
complessa, chiuse nei loro personalissimi rimandi,
tra l’Oriente mediterraneo e la cultura continentale settentrionale. Le
influenze greche e romane si saldano in questo caso all’impronta
siculo-araba evolvendosi attraverso gli stilemi bizantini in quelli longobardi
e toscani e fondendosi a loro volta con la cultura normanna, angioina e,
più in generale, europea continentale. Storie particolari dunque,
e percorsi che solo oggi, avendo a disposizione il censimento complessivo
delle opere, possiamo ripercorrere.
E mentre Napoli è illuminata dall’opera
di maestri come Giotto, Simone Martini, Arnolfo di Cambio, Giuliano Sangallo
e Pisanello, la provincia viene irradiata dall’arte dei maestri attraverso
le opere dei discepoli e delle scuole. Attraverso il ramificarsi diffuso
degli ordini religiosi, anche nei paesi più sperduti e lontani,
vediamo espandersi riflessi cimabueschi, protogiotteschi, goticheggianti
e postgoticheggianti con immissioni fiamminghe fino a documentare la presenza
del Caravaggio e della sua rivoluzione culturale.
E anche qui è il terremoto, possiamo dire,
che ci ha dato l’occasione per un recupero incredibile. Sull’altare maggiore
della Chiesa del Pio Monte della Misericordia a Napoli, troneggiava
una tela del Caravaggio di 4 metri per 3 che raffigurava le Sette Opere
di Misericordia. Era stata eseguita dal maestro fuggiasco nel 1607, quando
si era rifugiato nella città partenopea dopo aver ucciso un uomo
a Roma durante una rissa. Pagata 400 ducati era conservata da allora, gelosamente,
nel convento e sin da allora era stata impossibile una diversa ricollocazione
e, in tempi recenti, il restauro. A seguito del terremoto, essendo venute
meno le condizioni di sicurezza, la preziosa tela è stata trasportata
al Museo di Capodimonte dove è stata restaurata ed è tuttora
visibile.”
Possiamo
dire che il terremoto, chiamando a raccolta un gran numero di esperti e
determinando il censimento delle opere d’arte, è servito almeno
a tracciare una nuova identità artistica e culturale dei territori
coinvolti?
“I percorsi dell’arte e le tendenze di quelle
zone erano noti, ma alcune tappe sono state delle scoperte anche per noi.
Per far sì che tutto questo enorme lavoro fosse in qualche modo
fruibile dagli esperti e vitale nel tempo, abbiamo costituito a Napoli,
a Castel Dell’Ovo, un centro di calcolo tra i più efficienti ed
aggiornati d’Europa, perché per la maggior parte dei monumenti non
erano disponibili piante, prospetti, rilievi. Castel dell’Ovo risponde
oggi sia alle crescenti necessità organizzative e scientifiche,
sia ai più moderni criteri d’informatizzazione.
Le strumentazioni comprendono apparecchiature
elettroniche capaci, da semplici mappe o fotografie, di rendere un’immagine
anche tridimensionale, fedelissima ai rapporti dimensionali dell’originale,
così da poterla elaborare per i progetti di restauro. In questo
modo siamo riusciti a velocizzare i rilievi che, fatti manualmente, avrebbero
richiesto molto più tempo, aumentando in precisione e abbattendo
contemporaneamente i costi. Il centro, nato per le esigenze della
ricostruzione artistica, è ormai acquisito come punto fondamentale
dell’Amministrazione per la migliore formazione e qualificazione dei tecnici.”
Un
po’ come dall’industria bellica derivano utilità per usi civili.
Si sono dunque andate creando nuove opportunità
di lavoro sia per i giovani che per le maestranze e le imprese locali?
“E’ evidente che in questa situazione servivano
prestazioni qualificate sia a livello di imprese artigianali sia a livello
di operatori artistici. Nel dopo terremoto si sono recuperate e valorizzate
competenze e capacità che altrimenti sarebbero andate perdute e
si è assistito ad un fenomeno di stimolo verso queste professionalità.
Il settore del restauro è però delicato, per cui, mentre
per le opere d’arte si sono potuti scegliere soprattutto giovani formati
alle grandi scuole di Roma e di Firenze, per le imprese di restauro monumentale
risultano maggiormenate impegnate (78%) quelle iscritte agli Albi della
Campania e della Basilicata.”
La
ricostruzione vera e propria, consolidando i monumenti, ha adottato criteri
antisismici nuovi ?
Spesso sono stati usati criteri di prevenzione
speciali, studiati caso per caso insieme alle Università e agli
istituti di ricerca più competenti. La Collegiata di San Giovanni
a Carife si avvale, per esempio, di dissipatori di energia oleodinamici,
speciali ammortizzatori che riescono a contenere eventuali oscillazioni
della copertura. In alcuni cantieri, ben 44 in Lucania, sono state messe
a punto malte cementizie particolari, il tutto corredato da esami, prove
di resistenza, prove alla trazione, carotaggi, realizzando, a volte, vere
e proprie invenzioni.
Superata
l’emergenza e la fase critica, la ricostruzione artistica stende un bilancio
positivo?
Non si contano le opere d’arte recuperate sia
come patrimonio monumentale sia come restauri dei cicli di affreschi o
di opere “popolari” di non minor valore. I fondi stanziati, circa 600 miliardi,
sono stati tutti spesi, 7600 persone hanno contribuito alla ricostruzione
del patrimonio artistico: diciamo che nel balletto delle cifre da capogiro
del dopo terremoto, il 93% è stato gestito dai Comuni e dalle Regioni
e solo il 7% dallo Stato. Solo l’1% dei fondi dello Stato è stato
destinato ai beni culturali. Con questi numeri abbiamo fatto l’impossibile.
Rimane un enorme bagaglio di conoscenze acquisite, da quelle scientifiche
e analitiche a quelle di prevenzione antisismica che ormai fanno testo
anche negli altri Paesi. Siamo stati anche consultati dopo l’ultimo terremoto
di San Francisco
Ci
sono stati episodi che l’hanno colpita particolarmente ?
“Molti i momenti delicati, come quando, ancora
durante le scosse, si è trattato, ad esempio, di consentire la definitiva
demolizione delle parti pericolanti di un edificio storico per verificare
che sotto le sue parti crollate non vi fossero persone da salvare: certo
in questi frangenti la priorità della vita umana non lasciava spazio
a dubbi, ma restava in ogni caso l’amarezza per una perdita architettonica
comunque insostituibile.
L’attaccamento di tutta la gente irpina alla
terra ci ha dimostrato, al di là del recupero di chiese, chiostri,
palazzi e dipinti, la trama profonda dei modelli culturali italiani e che
ogni ferita può essere sanata se si recupera all’uomo il senso della
sua dimora e della sua storia visibile e invisibile. Quell’insieme di arte
e tradizione che nel nostro paese costituisce una valore non misurabile”.
Lei
è quindi soddisfatto del lavoro svolto? Non ha recriminazioni, rimorsi
o rimpianti?
“Non si può essere pienamente soddisfatti
quando tanta parte del patrimonio artistico di un’intera area geografica
è andato danneggiato, per di più un’area che era ancora in
gran parte sconosciuta al turismo di massa.
Si è potuto recuperare, ad oggi, circa
il 20% dell’intero patrimonio artistico danneggiato. Si è ricostruito
ciò che meglio poteva aiutare a ripercorrere l’itinerario storico
ed artistico di questi luoghi. Certamente i lavori che sono stati eseguiti
hanno oggi una notevole proiezione negli anni a venire.
Posso anche dire, a questo proposito, che
la stessa Com-missione parlamentare presieduta dall’attuale Presidente
della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro ha avuto parole di elogio incondizionato
per l’attività svolta dalle Soprintendenze, pur con le riserve espresse
verso altri aspetti della Ricostruzione.
Posso dispiacermi soprattutto del fatto che oggi
si guardi poco ai risultati positivi raggiunti ed alle esperienze acquisite,
e che non venga diffuso un itinerario per andare alla scoperta di questi
beni restituiti, come pochi altri, all’originario splendore attraverso
l’opera minuziosa di abili restauratori e di esperte maestranze appositamente
selezionate”.
Possiamo
ritenere che la silenziosa efficienza dimostrata dallo Stato in occasione
della ricostruzione artistica del terremoto dell’Irpinia non sia un caso
isolato ?
Ne sono convinto. All’opinione pubblica sfugge
spesso che per organizzare e gestire gli interessi e i diritti di 57 milioni
di cittadini sono necessarie strutture pubbliche imponenti le quali generalmente,
salvo episodi specifici - che purtroppo sono quelli che più colpiscono
l’attenzione - funzionano molto bene e, addirittura, alle volte sono all’avanguardia.
Consideri, ad esempio, che questa Direzione per la tutela ambientale del
territorio sta per avere un suo sito in Internet attraverso il quale ogni
cittadino potrà verificare quali vincoli sono previsti per ciascun
Comune d’Italia e seguire l’itinerario amministrativo delle sue domande
presso la P.A. Sono sicuro che la diffusione delle nuove tecnologie permetterà
all’Amministrazione di raggiungere un’efficienza sempre maggiore.
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