VENDITE IMMOBILIARI: CON INCANTO O
SENZA?
A seguito della
recente abolizione delle preture, i giudici
ordinari di prima istanza sono attualmente
1.
il
giudice di pace, per gli affari di
minore importanza,
2.
il
tribunale,
ma solo al secondo
sono affidate sia le esecuzioni individuali che quelle concorsuali.
I tribunali dei
centri più importanti sono divisi in
sezioni individuate da numeri (la prima, la quinta, ecc.) e tra queste vi sono
le sezioni delle esecuzioni individuali e la sezione
fallimentare.
·
Le
sezioni delle esecuzioni individuali
sono sempre due: quella delle esecuzioni mobiliari e quella delle esecuzioni immobiliari, che si
distinguono per la natura dei beni sottoposti a pignoramento.
·
Presso
la sezione fallimentare, invece, non
vi sono distinzioni perché ciò che viene assoggettato
ad esecuzione è l’intero patrimonio del debitore dichiarato fallito. In questo
caso si parla di esecuzione
concorsuale: il fallimento apre, infatti, il concorrere di tutti i creditori
su tutti i beni dell’imprenditore dichiarato insolvente.
Pertanto, i beni
immobili, come le case e i terreni, possono essere venduti, all’interno dei
tribunali, solo presso la sezione delle esecuzioni immobiliari e presso la
sezione fallimentare.
A differenza dei beni
mobili, per i quali la forma della vendita può essere di vario tipo, per i beni
immobili la vendita può avvenire, tanto
nell’esecuzione individuale quanto in quella fallimentare, unicamente in due
modi
·
la vendita con incanto
·
la vendita senza incanto.
Poiché la legge
fallimentare (Regio decreto 16 marzo 1942 n. 267, cosiddetta Legge Fallimentare
– L.F.) fa riferimento alle modalità di vendita
previste dal coevo codice di rito, si può dire che la disciplina dei due tipi
di vendita è fissata esclusivamente negli artt. 555 e seguenti del codice di
procedura civile (c.p.c.).
Tanto la vendita
senza incanto (artt. 570 e segg. c.p.c.) che quella con
incanto (artt. 576 e segg. c.p.c.) prevedono una gara aperta al pubblico
di tutti i potenziali interessati, con esclusione del solo debitore.
Occorre chiarire,
però, un punto: presso i tribunali della Repubblica
i beni immobili possono essere venduti solamente a seguito di una
competizione tra coloro che presentano la domanda di partecipazione e non
esiste, in nessun caso, la possibilità di una vendita a trattativa privata.
L’ordine in cui il
codice di rito disciplina i due tipi di vendita, permette di affermare che,
nell’esecuzione individuale, dovrebbe essere preferita la vendita senza incanto
mentre, nell’esecuzione fallimentare, l’art. 108 L.F. stabilisce che la vendita
debba avvenire con incanto, riservando quella senza incanto solamente ai casi
in cui possa apparire più vantaggiosa e con il consenso dei creditori che hanno
sull’immobile un diritto di prelazione.
La sostanziale
differenza tra la vendita con incanto e quella senza incanto, consiste nel
metodo di formazione del prezzo più elevato.
Nella vendita senza
incanto (art. 570 c.p.c.), l’avviso di vendita indica il valore dell’immobile
determinato a seguito della perizia di stima affidata
ad un esperto secondo le previsioni dell’art. 568 c.p.c. ed ognuno, tranne il
debitore, è ammesso a depositare in cancelleria un’offerta con indicazione del
prezzo, del tempo e del modo del pagamento oltre ad ogni altro elemento utile
alla valutazione dell’offerta stessa (art. 571 c.p.c.).
Sull’offerta il
giudice sente il debitore e i creditori intervenuti, o comunque
aventi diritti di prelazione e, qualora non superi di almeno un quarto il
valore stimato dell’immobile, è sufficiente il dissenso di un solo creditore
intervenuto per impedire l’aggiudicazione (art. 572 c.p.c.).
Nel caso di più
offerte, il giudice può indire una gara prendendo a base l’offerta più alta e
se la gara non può avere luogo per mancata adesione degli offerenti, si aprono,
per il giudice, due alternative: aggiudicare
all’offerta più alta oppure aprire l’incanto (art. 573 c.p.c.).
Se aggiudica
all’offerta più alta, il giudice emette un decreto con il quale fissa le modalità e i tempi di versamento del prezzo e una volta
rispettate queste condizioni, emette il decreto di trasferimento della
proprietà dell’immobile (art. 574 c.p.c.).
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Per comprendere
meglio questo meccanismo giudiziario si può fare un esempio:
l’avviso di vendita segnala che un
certo immobile pignorato è stato stimato dall’esperto nominato dal tribunale
1.000 lire, e che si procederà alla
vendita senza incanto raccogliendo offerte entro una certa data, poniamo il 15
gennaio.
Ogni interessato potrà, entro questa
data, depositare i cancelleria una proposta di
acquisto nella quale indicherà che è disposto a versare, per esempio, 1.200 lire in due rate a distanza di sei mesi
l’una dall’altra, oppure 1.100 lire in un’unica soluzione. Insomma: l’offerta
senza incanto lascia ampia libertà agli offerenti di formulare proposte di acquisto secondo le loro convenienze e sarà poi il
giudice, sentite le parti interessate, a valutare quale sarà la più vantaggiosa,
rispetto alle altre, con facoltà di metterle anche in gara tra loro o di
passare alla più tradizionale vendita all’asta.
Nella vendita con
incanto, invece, l’avviso indica, oltre agli altri elementi per la
partecipazione, il prezzo base e la misura minima dell’aumento da apportarsi
alle offerte (art. 576 c.p.c.) cosicché, nell’udienza fissata, tutti gli
interessati si presentano dinanzi al giudice venendo
ammessi a dichiarare i rialzi che ciascuno propone rispetto a quelli dichiarati
dagli altri concorrenti.
Le offerte non sono
efficaci se non superano l’offerta precedente nella misura indicata nell’avviso
di vendita.
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Quindi, se nell’avviso d’asta il
prezzo base viene indicato in 1.000 lire, con rialzi
non inferiori a cinquanta lire, ogni concorrente potrà rilanciare, sul prezzo
offerto dagli altri interessati, non meno di 50 lire. Nulla impedisce, però, di
offrire un rialzo superiore a 50 lire.
Pertanto, se Tizio all’apertura
dell’asta offre 1.050 lire, Caio potrà subito offrire 1.300 lire, ma non potrà
validamente offrire 1.070 lire perché l’avviso d’asta ha stabilito che i rialzi
minimi dovranno essere non inferiori a 50 lire. Al più, se Caio non vuole
subito esaurire le sue disponibilità,
potrà efficacemente offrire 1.100 lire e, se Tizio rilancerà 1.150 lire, Caio
potrà a sua volta offrire 1.200 lire e così via con aumenti non inferiori a 50
lire.
La gara termina
quando siano trascorsi tre minuti dall’ultima offerta
senza che ne segua un’altra maggiore (art. 571 c.p.c.) venendo così
identificato l’aggiudicatario provvisorio. Questi verrà
ritenuto “definitivo” qualora entro i dieci giorni successivi a quello
dell’asta non pervengano in cancelleria offerte superiori di almeno un sesto al
prezzo formatosi al termine della gara (art. 584 c.p.c.). Se una simile offerta
non perverrà, il giudice procederà all’emissione del decreto di trasferimento
(art. 586 c.p.c.), altrimenti riaprirà la gara sino ad individuare l’aggiudicatario
definitivo.
Dal raffronto dei due
metodi per l’individuazione del prezzo maggiore, appare
evidente come la vendita all’asta costituisca un meccanismo più rigido
rispetto alla vendita senza incanto, ma forse per questo anche più garantista. Infatti la vendita con incanto è quella che, nel tempo, è
divenuta la più usuale.
E’ vero che, in tempi
recentissimi, alcuni tribunali, soprattutto quelli di Monza e di Bologna, hanno
riscoperto i vantaggi della vendita senza incanto e la stanno utilizzando con
risultati di crescente soddisfazione, riproponendola
all’attenzione dei giuristi come lo strumento più idoneo a realizzare le
aspettative dei creditori. E’ quindi
prevedibile che, tra breve, la vendita senza incanto venga ad affermarsi come
il principale strumento dell’esecuzione immobiliare individuale.
Nel fallimento,
invece, è la legge (art. 108 L.F.) a preferire espressamente la vendita con
incanto, salvo motivare i maggiori vantaggi di una vendita senza incanto che
costituisce, comunque, l’eccezione alla regola fissata
dalla legge.