Avv. Maurizio Calò

 

DUBBI DI INCOSTITUZIONALITA’

SU UNO DEI TERMINI PER LA PROPOSIZIONE

DEL REGOLAMENTO DI COMPETENZA

 

Dispone l’art. 47 c.p.c., al comma 2°, che il ricorso per proporre il regolamento di competenza deve essere notificato, alle parti che non vi hanno aderito, entro il termine perentorio di trenta giorni della comunicazione della sentenza che abbia pronunciato sulla competenza ovvero dalla notificazione dell’impugnazione ordinaria nel caso previsto nell’art. 43, comma 2°.

E’  il primo dei termini di cui sopra a far sorgere dubbi d’incostituzionalità, perché sembra che il legislatore non abbia ben coordinato la sanzione della perentorietà in relazione alla reale conoscenza che la parte interessata possa avere della sentenza che abbia pronunciato sulla competenza.

In verità, la decorrenza del termine perentorio per la proposizione del regolamento della semplice comunicazione della sentenza, non appaga l’esigenza di piena conoscenza della motivazione in ordine alla competenza; né può dirsi che tale conoscenza si potrebbe acquisire mediante l’accesso alla cancelleria ove la sentenza sia stata dal giudice depositata.

Una simile conclusione può essere valida, infatti, solo per quei provvedimenti, quali ad esempio le ordinanze o i decreti che implicitamente o esplicitamente si pronunciano sulla competenza, i quali non siano soggetti a registrazione, ma non può essere condivisa con riferimento a quegli altri provvedimenti, quali le sentenze, soggetti all’imposizione fiscale.

Dispone il comma 3°dell’art. 13 del D.P.R. 26 maggio 1986, n. 131 (nuova legge di registro) che: “Per i provvedimenti e gli atti di cui alla lett. c) dell’art. 10 D.P.R. 26 maggio 1986, n. 131 (fra cui anche la sentenza n.d.r.) diversi dai decreti di trasferimento (emessi nei procedimenti esecutivi) e dagli atti ricevuti dai cancellieri e segretari, la registrazione deve essere richiesta entro cinque giorni da quello in cui il provvedimento è stato pubblicato o emanato”.

Aggiunge l’art. 11, commi 1° e 2°, stesso D.P.R., con riferimento agli stessi atti di cui alla lett. c)  dell’art. 10, che i funzionari (nella specie i cancellieri) devono presentare per la registrazione: “…unicamente l’originale dell’atto”.

Dispone inoltre l’art. 133, comma 2°, c.p.c. che la  stessa Cancelleria, sempre entro cinque giorni dal deposito della sentenza, ne dà comunicazione alle parti costituite mediante biglietto contenente il (solo) dispositivo.

Può dirsi pertanto che, non appena depositata dal giudice la sentenza in cancelleria, il cancelliere deve adempiere per legge a due incombenze entro i successivi cinque giorni: 1) predisporre il biglietto di comunicazione dell’avvenuto deposito della sentenza da notificarsi alle parti costituite e contenente il solo dispositivo; 2) presentare unicamente l’originale della sentenza all’Ufficio del Registro per l’imposizione tributaria.

E’ tuttavia evidente che, nelle more tra la presentazione all’Ufficiale Giudiziario del biglietto contenente il dispositivo e la sua materiale notificazione, la sentenza migra dalla cancelleria all’Ufficio del Registro: per convincersene basti pensare all’ipotesi in cui il cancelliere compia, come ben può compiere, entrambe le attività il quinto giorno, ultimo utile.

In tal caso (che è quello che ricorre nella quasi totalità) vana sarebbe la ricerca della sentenza presso la cancelleria del giudice che l’ ha emessa, perché essa sarebbe giacente presso il Registro il quale, istituzionalmente, non può rilasciarne copia prima della registrazione.

In tale situazione l’unica possibilità legale sarebbe quella di presentare istanza al cancelliere perché richiami la sentenza dall’Ufficio del Registro indipendentemente dalla (avvenuta) registrazione per rilasciarne copia ai fini della prosecuzione del giudizio ai sensi dell’art. 66, comma 2°, lett. a), D.P.R. citato, ma è evidente che tale onere, del tutto macchinoso, comporterebbe inevitabilmente la compressione del termine di trenta giorni di cui al comma 2° dell’art. 47 c.p.c. il quale, stabilito con carattere di perentorietà per l’esercizio della difesa, non può subire limitazioni di alcun genere, tanto meno connesso al “buon funzionamento” dell’apparato burocratico.

Si deve considerare che non sempre possono sufficientemente emergere dal solo dispositivo le motivazioni che hanno indotto il giudice a declinare la propria competenza le quali, una volta effettivamente  conosciute, potrebbero risultare convincenti per la parte interessata al punto da farla desistere dall’impugnativa, ovvero assolutamente errate così da rafforzarla nella volontà di proporre il regolamento.

La mancata previsione della decorrenza del termine perentorio dalla completa conoscenza della sentenza, si risolve, in definitiva, in una lesione del diritto di difesa per la parte interessata la quale, secondo la normativa vigente, può vedersi costretta ad affrontare  i gravosi oneri che il regolamento di competenza comporta (basti pensare che, essendo il relativo procedimento di competenza esclusiva della Suprema Corte di Cassazione, è ad essa che devono rivolgersi gli interessati di tutta Italia) senza avere la possibilità di vagliare attentamente le ragioni, eventualmente ben fondate, con le quali il giudice ha motivato.

Il mancato coordinamento delle norme del codice di rito e quelle sugli oneri fiscali, determinano un’intollerabile lesione del diritto di difesa che trova il suo più alto riconoscimento nell’art. 24 della Costituzione il quale lo definisce “inviolabile”.

Si ritiene pertanto che gli artt. 47, comma 2° e 133, comma 2°, c.p.c.; 10 lett. c); 11, commi 1° e 2° e 13, comma 3°, D.P.R. 26 maggio 1986, n. 131 violino l’art. 24 Cost. nella parte in cui consentono il decorso del termine perentorio di 30 gg. per la proposizione del regolamento di competenza dalla data di comunicazione del dispositivo della sentenza e non dalla conoscenza della sua motivazione, peraltro impedita dal dovere essere l’originale trasmesso all’Ufficio del Registro entro cinque giorni dalla pubblicazione.