Avv. MAURIZIO CALÒ
EX
ART. 665 C.P.C.
IN CASO DI ESTINZIONE DEL GIUDIZIO
PER MANCATA RIASSUNZIONE
Esiste
notevole discordia in dottrina ed in giurisprudenza sul destino dell’ordinanza
di rilascio di cui all’art. 665 c.p.c. nell’ipotesi
in cui il processo non venga riassunto nei termini o
si estingua per successiva inattività delle parti.
A
riprova di tale discordia basti citare da una parte E. Garbagnati (I procedimenti d’ingiunzione e per convalida di sfratto, Giuffrè, 1979, p. 377) secondo cui, anche dopo l’estinzione
del processo, l’ordinanza di rilascio con riserva conserva la sua efficacia,
salvo il diritto del conduttore di dare vita ad un nuovo processo di cognizione
per l’accertamento negativo, in base alle eccezioni riservate, del diritto del
locatore, e, dall’altra parte, F.
Lazzaro - R. Preden - M. Varrone
(Il procedimento per convalida di
sfratto, Giuffrè, 1978, p. 287 e Le locazioni in regime vincolistico, Giuffrè, 1978, p. 420) secondo i quali è da ritenere
che, in caso di estinzione del giudizio ordinario, il
titolo esecutivo costituito dall’ordinanza di rilascio diviene inefficace non
potendosi esso equiparare alle sentenze di merito di cui all’art. 310 c.p.c. con conseguente necessità dell’intimante — attore di
farsi parte diligente per giungere ad una pronuncia
definitiva.
Per le
oscillazioni giurisprudenziali gli autori citati
offrono ampio resoconto.
Un
nuovo contributo alla soluzione del problema è tuttavia ravvisabile in embrione
nell’ordinanza 20 aprile 1983 del Pretore di Roma Dr. Toti (che già commentammo, in Temi Romana, 1984, II, p. 227) il quale risolse brillantemente le
questioni sui rapporti tra ordinanza di rilascio e sentenza della successiva
fase di cognizione mediante il parallelismo tra i due procedimenti di ingiunzione e di convalida.
Tale
parallelismo ben può essere utilizzato per risolvere il problema dell’efficacia
dell’ordinanza di rilascio nel caso di successiva
estinzione del processo.
In effetti i due procedimenti sommari trattati
contiguamente nel codice di rito tra i procedimenti speciali, costituiscono il
mezzo più rapido per assicurare al richiedente un titolo esecutivo che consenta
la pronta attuazione del diritto invocato e tale sommarietà si manifesta
principalmente nel momento instaurativo del contraddittorio:
nel caso dell’ingiunzione, esso è meramente eventuale e successivo: nel caso
della convalida esso e necessario e preventivo. Ciò perché la casa, il locale
di lavoro o il fondo agricolo sono apparsi beni meritevoli di maggior tutela
che non il danaro, le cose fungibili o la consegna di
cose mobili determinate.
E
proprio dall’assenza o dalla esistenza del
contraddittorio a monte dell’emissione del provvedimento sommario che, secondo
i principi del legislatore del 1942 permeati degli insegnamenti del Chiovenda, si parla nel codice di rito di decreto
(nell’ingiunzione) e di ordinanza (nella convalida) ma è chiaro che, tanto
nell’un quanto nell’altro caso, non si intendono qui provvedimenti emessi
nell’ambito di un giudizio ordinario, e quindi ad efficacia limitata nel tempo,
soggetti alla sovranità della sentenza conclusiva: essi sono dei provvedimenti
per così dire «autonomi» i quanto definiscono la fase sommaria e la differenza
del loro nome (decreto e ordinanza) è esclusivamente legata, si ripete, alla
presenza o meno del contraddittorio prima della loro emissione.
Logico
e conseguenziale corollario alla presenza o meno del contraddittorio è
l’efficacia esecutiva del provvedimento: nell’ingiunzione, in cui il contraddittorio
a monte è assente, la regola è che l’esecutività venga
conseguita dal decreto solo dopo il decorso del termine di venti giorni
concesso dall’art. 641 all’ingiunto per opporsi (sono fatti salvi dall’art. 642
c.p.c. i casi in cui il diritto dell’istante sia
consacrato in documenti di particolare efficacia probatoria o il caso di
manifesto pregiudizio nel ritardo), mentre nella convalida, il previo
instaurarsi del contraddittorio consente subito la delibazione delle eccezioni
dell’intimato e quindi l’adozione di un provvedimento immediatamente ed immodificabilmente esecutivo sino alla (eventuale) sentenza
conclusiva di conferma o di revoca.
In effetti l’ordinanza esecutiva di rilascio nel
procedimento di convalida è equiparabile all’ordinanza con la quale il Giudice
Istruttore del giudizio per opposizione a decreto ingiuntivo decide, ai sensi
dell’art. 648, se munire o meno provvisoria esecutorietà il provvedimento
opposto: tanto l’art. 648 che l’art. 665 stabiliscono in modo che, se
l’opposizione non è fondata su prova scritta o di pronta soluzione o se non
sussistono gravi motivi, il diritto dell’istante deve potersi realizzare con un
provvedimento immediatamente esecutivo; in entrambi i casi è altresì prevista
l’imposizione di una cauzione.
A
conferma di tale parallelismo può ricordarsi anche l’art. 649, il quale
consente all’Istruttore dell’opposizione ad ingiunzione già munita di
provvisoria esecutorietà di sospenderne l’esecutività se ricorrono gravi
motivi, cioè elementi ostativi alla realizzazione del
diritto di credito analoghi a quelli menzionati nell’art. 665.
Una
volta che ad una sommaria delibazione le eccezioni del debitore non appaiano
impedienti all’immediata realizzazione del diritto
dell’ingiunzione o dell’intimante, deve necessariamente dirsi che la
prosecuzione del processo per il più approfondito esame degli elementi ostativi
costituisce un interesse del debitore stesso, anzi ne determina l’interesse ad
agire, ed inoltre l’onere di provare dette eccezioni incombe su dì lui ai sensi
dell’art. 2697, comma 2° c.c.
Appare
quindi inaccettabile la posizione di Lazzaro - Preden
- Varrone secondo cui è l’intimante attore che deve
farsi parte diligente per giungere ad una pronuncia completa (cfr. Le locazioni in regime vincolistico, op. cit., p. 421) perché sovversiva dei principi dell’interesse
ad agire e dell’onere della prova.
Infatti,
una volta che l’ingiungente o l’intimante abbiano
conseguito un provvedimento che rende immediatamente attuabile il loro
diritto, è interesse ed onere del soccombente conferire nuovo impulso al
processo per l’accertamento delle proprie eccezioni.
In
ipotesi contraria l’ingiungente o l’intimante dovrebbero
proseguire il processo per un accertamento negativo, cioè di non sussistenza
di elementi ostativi alla realizzazione del loro diritto e ciò è invece un
onere del convenuto in base al comma 2°dell’art. 2697 c.c.
Tali
conclusioni non contrastano con la nota giurisprudenza in materia di ingiunzione secondo cui, pur se chi introduce il giudizio
di opposizione è l’intimato, non vengono modificate le posizioni sostanziali di
attore in capo all’opposto - ingiungente e di convenuto in capo all’opponente
poiché è chiaro che l’adozione di un provvedimento esecutivo, seppure
provvisorio, presuppone, da un lato, l’accertamento di un diritto e,
dall’altro lato, la non sussistenza di evidenti ragioni ostative, il tutto in
modo sommario.
Consegue
che se il soccombente nella fase sommaria non conferisce nuovo impulso alla
cognizione delle proprie eccezioni, ovvero strada facendo non coltivi il
processo, porrà in essere un comportamento processualmente rilevante che
conferirà certezza al diritto del creditore e renderà manifesta
l’inconsistenza delle proprie eccezioni.
Non
possiamo quindi accogliere quella parte della tesi del Garbagnati
(op. cit.,
p. 378 e Cass. 21 ottobre 1954, n. 3953; Cass. 26 luglio 1958, n. 2705; Pret. Castiglione del Lago 20 novembre 1968, in Nuovo diritto, 1969, 569 citate da
Lazzaro - Preden - Varrone
in Il procedimento per convalida di
sfratto, op. cit., p. 288) secondo cui, se
l’intimato lascia estinguere il giudizio nella cui fase sommaria è stata emessa
l’ordinanza di rilascio di cui all’art. 665, è libero tuttavia di dare vita ad
un nuovo processo di cognizione non essendo intervenuta contemporaneamente
l’estinzione dell’azione e quindi neppure delle eccezioni.
Così
ragionando, infatti, si dimentica che la caratteristica dei
procedimenti sommari è proprio quella di far conseguire ai relativi
provvedimenti un’efficacia definitiva se colui contro il quale sono diretti non
si attiva per contrastarli.
È sempre il parallelismo col
procedimento di ingiunzione a confortare tali
conclusioni.
Dispone infatti in tale materia l’art. 647, comma 1°, c.p.c. che se l’opponente non si costituisce (cioè, una
volta notificata la citazione per opposizione, poi non l’iscrive a ruolo nei
dieci giorni dalla notifica), il decreto ingiuntivo viene dichiarato esecutivo,
mentre l’opposizione, per il comma 2° dello stesso articolo, non può più essere
proposta nè proseguita: in pratica il decreto passa
in giudicato.
Anche
nell’ipotesi in cui, una volta incardinato il giudizio per opposizione
all’ingiunzione, intervenga una causa di estinzione,
il decreto ingiuntivo, che non ne
sia già
munito, acquista efficacia esecutiva a norma dell’art. 653 ed anche in quel caso non c’è possibilità di far
risorgere l’opposizione.
Queste
disposizioni dettate in materia d’ingiunzione sono direttamente applicabili
anche al procedimento per convalida poiché in sostanza il locatore altri non è
che il creditore di una cosa immobile determinata sulla cui restituzione,
rispetto alle
mobili determinate, non c’è altra differenza nella
sommarietà del rito che l’instaurarsi del contraddittorio necessario e
preventivo per il fondamentale valore sociale del bene in contestazione; ma la
tutela e la protezione di esso non possono spingersi sino
a degradare la fase sommaria ad un modo speciale di introduzione del giudizio
ordinario.
Appare
pertanto conforme alla specialità del procedimento affermare che, una
volta che per le eccezioni sollevate dal convenuto ed attraverso la loro
sommaria delibazione, venga emessa ai sensi dell’art. 665 c.p.c.
ordinanza di rilascio, l’unico modo riconosciuto al soccombente per rimuovere
gli effetti esecutivi e non altrimenti impugnabili, è quello di coltivare
diligentemente il giudizio di merito il cui abbandono, sia nella fase iniziale
di riassunzione che in quella successiva per eventuale inattività, comporta per
l’ordinanza di rilascio gli stessi effetti che in analoghe situazioni si
determinano per il decreto ingiuntivo.
Diversamente
opinando si inquinerebbe il saldo principio
dell’inoppugnabilità dell’ordinanza in discorso.