DOPO LA POLVERE
Intervista al Prof. Giuseppe Proietti, Direttore generale
dell’Ufficio Centrale per i Beni ambientali e paesaggistici
E’ una piovosa domenica il 23 novembre del
1980 quando, alle 18.30, la terra trema per un infinito, interminabile minuto. Un minuto e ventitré secondi per la precisione, con scosse del 10°
grado della scala Mercalli. Un'onda distruttiva che parte dal cuore
dell’Irpinia, tra Lariano e Castelnuovo di Conza, per propagarsi a sud, lungo
l'Appennino Lucano e Potentino e, a nord, nelle valli dell’Ofanto e del Sele.
In un minuto e ventitré secondi muoiono
circa 2.500 persone, quasi 9.000 restano ferite, 340.000 i senza tetto, 686 i
paesi distrutti nelle province di Avellino, Salerno,
Potenza, Caserta, Matera e Benevento, senza contare i danni alla città di
Napoli. Insieme ad intere famiglie e alle case, ai
palazzi civici, alle chiese e ai campanili, crollano le masserie, muoiono gli
animali, si sconvolgono i campi. Gli abitati si spopolano. Sorgono tristi, ma
pur utili, baraccopoli e la gente deve sfollare verso
le “marine”.
Crolla, proprio in quel sud dimenticato, il
tessuto intimo della nostra più arcaica civiltà contadina, già alle prese con
la difficile transizione verso una civiltà moderna, per tanti aspetti ambita e
per tanti altri remota. E quei paesi, arroccati sulle cime dei colli,
caratterizzati dalle architetture a pugno chiuso, quasi a difendersi ancora dai
pericoli barbarici, che conservavano gelosamente segni peculiari di cultura e di arte, vengono a perdere, in un attimo, tutti i loro
riferimenti: il corso, la chiesa, il palazzo, il convento, le botteghe e le
osterie. E quando la polvere del terremoto finalmente
si posa, quella polvere di cui tutti i superstiti ricordano l’odore "aspro
e insieme muffito", che, impastata dalla pioggia diventa fango, lo
scenario che si pone davanti a chi deve governare l’emergenza è tra i più
drammatici. L’entità del disastro e le asperità del territorio fanno slittare il volano della grande macchina della ricostruzione rischiando di disperdere
lo storico attaccamento alla terra delle popolazioni e la voglia di lottare
contro la cancellazione culturale. Mentre altre colonne di polvere gettano
ombre sul paesaggio martoriato - malgoverno, ritardi nei soccorsi, ritardi nei
finanziamenti, intrighi della malavita: cronici mali che seguono in Italia ogni
calamità - ecco che lo Stato, nella sua centralità, con un segnale fortemente positivo, rivendica un ruolo prioritario,
cercando di sanare uno dei mali più profondi provocati dal sisma: recuperare e
restaurare il patrimonio artistico danneggiato. Con inconsueta e rara
efficacia. Questa ricostruzione, estremamente
complessa e silenziosa, perché non oggetto di speculazioni e scandali, affonda
in quella piaga nascosta del sisma, la più difficile, riparandola. Ad ogni
statua lignea salvata, ad ogni campanile ricostruito, affresco restaurato, ad
ogni tela riparata o chiostro maiolicato restituito, ad ogni riferimento
ripristinato e ricollocato nel suo dialogo con la gente, si è ricostituita la
trama preziosa delle relazioni culturali con il patrimonio insostituibile delle
proprie tradizioni. Così un paese si raccorda al suo paesaggio ed alla sua
cultura riappropriandosi dei suoi simboli, dei suoi monumenti, delle sue
Madonne, delle sue processioni, della sua vita.
Il professor Giuseppe Proietti, oggi
Direttore generale dell’Ufficio Centrale per i Beni ambientali e paesaggistici,
ha coordinato, per anni, in qualità di Soprintendente
Generale, i lavori di tecnici, funzionari e addetti di 10 Soprintendenze
territoriali, documentando in un ponderoso lavoro di ben 5 tomi, editi dal
Poligrafico dello Stato, lo sforzo di archeologi, architetti, ingegneri,
economisti, storici, urbanisti ed informatici, che si sono dedicati nel
quinquennio ‘85-’89 alla ricostruzione del patrimonio culturale distrutto dal
terremoto.
Quando è giunto sul posto, quale emozione ha provato?
“La mia formazione di archeologo
e di studioso del mondo etrusco mi ha portato sempre fra le rovine, rovine
create dal tempo e dalla storia, non intrise di umanità come quelle
dell'Irpinia e posso dire che non solo non ho mai assistito ad una tragedia
così grande, ma che questo ultimo sisma è stato tra i più imponenti in Italia. Un evento che ha devastato un'area compresa tra il confine a sud
del Lazio ed il Mar Ionio. Era un panorama scoraggiante, ma lo Stato
doveva provvedere assolutamente a recuperare quanto danneggiato dalla natura."
Come fece una struttura istituzionalmente burocratica a gestire in modo
dinamico l'urgenza della ricostruzione?
"La legislazione dell'emergenza fu determinante perché ridusse al minimo le formalità. Vennero potenziate le strutture locali già esistenti, le
soprintendenze vennero portate da 7 a 10 e a coordinarle fu creata la
Sovrintendenza generale affidata alla mia direzione. La complessità operativa
era quella di coordinarsi con le strutture parallele delle altre
amministrazioni e poi con gli enti locali e le popolazioni. Ma ci fu un tale
spirito di collaborazione e di solidarietà che ci portò a superare molte
disfunzioni."
Quali le priorità per iniziare a lavorare?
"Nell’affrontare l’emergenza del dopo
terremoto, ci siamo trovati subito alle prese con due ordini di problemi
ugualmente urgenti: da una parte il censimento dei danni e dall’altra il
ricovero immediato, anche se temporaneo, di opere
d’arte (mobili, tele, tavole, statue lignee) in attesa del restauro, da porre
al riparo da furti e intemperie.” - Il Professor Proietti sfoglia la sua
pubblicazione, e le foto in bianco e nero scorrono drammatiche - I numeri
parlano da soli: sono stati restaurati, nel quinquennio 1985-1989, 286 chiese,
52 campanili, 99 palazzi, 20 castelli, 2 anfiteatri, 5 teatri, 231 affreschi,
38 soffitti, 1083 dipinti su tela, 95 quadri su tavole, 462 statue. Il tutto sparso su un territorio di 26.000 kmq. - “La terza
emergenza consisteva nel supporto immediato ad alcune strutture pericolanti per
evitare che crollassero definitivamente.”
Il professor Proietti, che ci riceve nel
suo ufficio di Piazza del Popolo, ci parla pacatamente mentre, aprendo
gigantesche cartine, ci fa scivolare nell’immensità di quell'evento, così
lontano, cosi vicino.
Un sisma così drammatico è stato anche occasione di riscoperte?
"Soprattutto occasione di conoscenze.
Ci troviamo di fronte a due regioni, la Campania e la Lucania, dalla tradizione
artistica complessa, chiuse nei loro personalissimi rimandi, tra l’Oriente
mediterraneo e la cultura continentale settentrionale. Le influenze greche e
romane si saldano all’impronta siculo-araba evolvendosi attraverso gli stilemi
bizantini in quelli longobardi e toscani e fondendosi a loro volta con la
cultura normanna, angioina e, più in generale, europea. Storie particolari
dunque, e percorsi che solo oggi, avendo a disposizione il censimento complessivo
delle opere, possiamo ripercorrere. E mentre Napoli è
illuminata dall’opera di maestri come Giotto, Simone Martini, Arnolfo di
Cambio, Giuliano Sangallo e Pisanello, la provincia viene
irradiata dall’arte dei maestri attraverso le opere dei discepoli e delle
scuole. Attraverso il ramificarsi diffuso degli ordini religiosi, anche nei
paesi più sperduti e lontani, vediamo espandersi
riflessi cimabueschi, protogiotteschi, goticheggianti e postgoticheggianti con
immissioni fiamminghe fino a documentare la presenza del Caravaggio e della sua
rivoluzione culturale. E anche qui è il terremoto,
possiamo dire, che ci ha dato l’occasione per un recupero incredibile.
Sull'altare maggiore della Chiesa del Pio Monte della Misericordia a
Napoli, troneggiava una tela del
Caravaggio di 4 metri per 3 che raffigurava le Sette
Opere di Misericordia. Era stata eseguita dal maestro fuggiasco nel 1607,
quando si era rifugiato nella città partenopea dopo aver ucciso un uomo a Roma
durante una rissa. Pagata 400 ducati era conservata da
allora, gelosamente, nel convento e sin da allora era stata impossibile una
diversa ricollocazione e, in tempi recenti, il restauro. A seguito del
terremoto, essendo venute meno le condizioni di sicurezza, la preziosa tela è
stata trasportata al Museo di Capodimonte dove è stata restaurata ed è tuttora
visibile."
Possiamo dire che il terremoto, chiamando a raccolta un gran numero di esperti e determinando il censimento delle opere d’arte,
è servito almeno a tracciare una nuova identità artistica e culturale dei
territori coinvolti?
"I percorsi dell'arte e le tendenze di
quelle zone erano noti, ma alcune tappe sono state delle scoperte anche per
noi. Per far si che tutto questo enorme lavoro fosse
in qualche modo fruibile dagli esperti e vitale nel tempo, abbiamo costituito a
Napoli, a Castel dell’Ovo, un centro di calcolo tra i più efficienti ed
aggiornati d’Europa, perché per la maggior parte dei monumenti non erano
disponibili piante, prospetti, rilievi. Castel dell'Ovo risponde oggi sia alle crescenti
necessità organizzative e scientifiche, sia ai più moderni criteri d’informatizzazione.
Le strumentazioni comprendono
apparecchiature elettroniche capaci, da semplici mappe o fotografie, di rendere
un'immagine anche tridimensionale, fedelissima ai rapporti dimensionali
dell'originale, così da poterla elaborare per i progetti di restauro. In questo
modo siamo riusciti a velocizzare i rilievi che, fatti manualmente, avrebbero
richiesto molto più tempo, aumentando in precisione e abbattendo contemporaneamente
i costi. Il centro, nato per le esigenze
della ricostruzione artistica, è ormai acquisito come punto fondamentale
dell’Amministrazione per la migliore formazione e qualificazione dei tecnici”.
Un po' come dall'industria bellica derivano
utilità per usi civili. Si
sono dunque andate creando nuove opportunità di lavoro sia per i giovani che
per le maestranze e le imprese locali?
“Servivano prestazioni qualificate sia a
livello di imprese artigianali sia a livello di
operatori artistici. Nel dopo terremoto si sono recuperate e valorizzate
competenze e capacità che altrimenti sarebbero andate perdute e si è assistito
ad un fenomeno di stimolo verso queste professionalità. Il settore del restauro
è però delicato per cui mentre per le opere d’arte di
sono potuti scegliere soprattutto giovani formati alle grandi scuole di Roma e
di Firenze, per le imprese di restauro monumentale risultano maggiormente
impegnate (78%) quelle iscritte agli Albi della Campania e della
Basilicata."
La ricostruzione vera e propria, consolidando i monumenti, ha adottato
criteri antisismici nuovi ?
Spesso sono stati usati criteri di
prevenzione speciali, studiati caso per caso insieme alle Università e agli
istituti di ricerca più competenti. La
Collegiata di San Giovanni a Carife si avvale, per esempio, di dissipatori di energia oleodinamici, speciali ammortizzatori che
riescono a contenere eventuali oscillazioni della copertura. In alcuni
cantieri, ben 44 in Lucania, sono state messe a punto
malte cementizie particolari, il tutto corredato da esami, prove di resistenza,
prove alla trazione, carotaggi, realizzando, a volte, vere e proprie
invenzioni.
Superata l’emergenza e la fase critica, la ricostruzione artistica stende un bilancio positivo?
Non si contano le opere d’arte recuperate
sia come patrimonio monumentale sia come restauri dei cicli di
affreschi o di opere “popolari” di non minor valore. I fondi stanziati,
circa 600 miliardi, sono stati tutti spesi, 7600 persone hanno contribuito alla
ricostruzione del patrimonio artistico: diciamo che nel balletto delle cifre da
capogiro del dopo terremoto, il 93% è stato gestito dai Comuni e dalle Regioni
e solo il 7% dallo Stato. Solo l'1% dei fondi dello
Stato è stato destinato ai beni culturali. Con questi numeri abbiamo fatto
l’impossibile. Rimane un enorme bagaglio di conoscenze acquisite, da quelle
scientifiche e analitiche a quelle di prevenzione antisismica che ormai fanno
testo anche negli altri Paesi. Siamo stati anche consultati dopo l’ultimo
terremoto di San Francisco
Ci sono stati episodi che l’hanno colpita particolarmente
?
“Molti i momenti delicati, come quando,
ancora durante le scosse, si è trattato, ad esempio, di consentire la
definitiva demolizione delle parti pericolanti di un edificio storico per verificare
che sotto le sue parti crollate non vi fossero persone da salvare: certo in
questi frangenti la priorità della vita umana non lasciava spazio a dubbi, ma
restava in ogni caso l’amarezza per una perdita architettonica comunque insostituibile.
L'attaccamento di tutta la gente irpina
alla terra ci ha dimostrato, al di là del recupero di
chiese, chiostri, palazzi e dipinti, la trama profonda dei modelli culturali
italiani e che ogni ferita può essere sanata se si recupera all’uomo il senso
della sua dimora e della sua storia visibile e invisibile. Quell’insieme di arte e tradizione che nel nostro paese costituisce una
valore non misurabile”.
Lei è quindi soddisfatto del lavoro svolto? Non ha recriminazioni,
rimorsi o rimpianti?
“Non si può essere pienamente soddisfatti
quando tanta parte del patrimonio artistico di un’intera area geografica è andato danneggiato, per di più un’area che era ancora in
gran parte sconosciuta al turismo di massa.
Si è potuto recuperare, ad oggi, circa il
20% dell’intero patrimonio artistico danneggiato. Si è ricostruito ciò che
meglio poteva aiutare a ripercorrere l’itinerario storico ed artistico di
questi luoghi. Certamente i lavori che sono stati eseguiti hanno oggi una
notevole proiezione negli anni a venire.
Posso anche dire che la stessa Commissione
parlamentare presieduta dall’attuale Presidente della Repubblica Oscar Luigi
Scalfaro, ha avuto parole di elogio incondizionato per
l’attività svolta dalle Soprintendenze, pur con le riserve espresse verso altri
aspetti della Ricostruzione.
Posso dispiacermi soprattutto del fatto che
oggi si guardi poco ai risultati positivi raggiunti ed
alle esperienze acquisite, che non venga diffuso un itinerario per andare alla
scoperta di questi beni restituiti, come pochi altri, all’originario splendore
attraverso l’opera minuziosa di abili restauratori e di esperte maestranze
appositamente selezionate”.
Possiamo ritenere che la silenziosa efficienza dimostrata dallo Stato in
occasione della ricostruzione artistica del terremoto dell’Irpinia non sia un
caso isolato ?
Ne sono convinto. All’opinione pubblica
sfugge spesso che per organizzare e gestire gli interessi e i diritti di 57
milioni di cittadini sono necessarie strutture pubbliche imponenti le quali
generalmente, salvo episodi specifici - che purtroppo sono quelli che più
colpiscono l’attenzione - funzionano molto bene e, addirittura, alle volte sono
all’avanguardia. Consideri, ad esempio, che questa Direzione per la tutela
ambientale del territorio sta per avere un suo sito in Internet attraverso il
quale ogni cittadino potrà verificare quali vincoli sono previsti per ciascun
Comune d’Italia e seguire l’itinerario amministrativo delle sue domande presso
la P.A..
Sono sicuro che la diffusione delle nuove
tecnologie permetterà all’Amministrazione di raggiungere un’efficienza
sempre maggiore.
Nota: pubblicato su "La rivista dei Curatori Fallimentari" giugno 1997