|
IL PORTO DI ROMA
|
Con
questa prospezione sull’antico porto di Roma, aggiungiamo alla serie del “primo
piano” un altro dei tasselli dedicati ai rapporti dimenticati della nostra
città: quelli con il Tevere e il mare che, in un lontano passato, resero Roma
la prima potenza del mondo, permisero la sua esistenza e il diffondersi della
sua straordinaria civiltà.
Da oltre cinquecento anni gli
studiosi cercano di definire la conformazione del Porto di Roma (conosciuto al
plurale come “porti di Claudio e di Traiano”). Una serie di coincidenze
ha impedito fino ad oggi la risoluzione di quello che può essere definito comu
uno dei più grandi misteri archeologici; non solo, ma l’imperatore Claudio, che
nel 41 d.c. ne decise la realizzazione, ha subìto, insieme al complesso
urbanistico, formato dall’impianto portuale e dalla città di contesto
Portus (complessivante di estensione pari a quella della Roma imperiale), una
quasi completa, quanto incredibile, sottovalutazione e “rimozione”. Insomma
un’altra Roma giace dimenticata sotto le terre alluvionali della foce del
Tevere.
Con una ricerca che ha richiesto 3 anni e mezzo di studio,
pubblicata in questi giorni dalla Newton & Compton Editori con il titolo “Il porto di Roma”,
l’architetto Maurizio Silenzi, (noto anche per il suo costante impegno civile
in difesa dei valori tradizionali) è riuscito a ricostruire, attraverso
l’individuazione dei suoi riferimenti simbolici (cosmici, territoriali e
geometrici), l’affascinante ed “avveniristico” progetto originale del grandioso
complesso urbanistico (elaborato, contrariamente a quanto ritenuto, totalmente
da Claudio), sciogliendo così l’enigma della sua conformazione.
Silenzi ha viaggiato la storia attraverso le classiche prove documentali: i brani dei classici – Livio, Polibio, Tacito, Svetonio, Plinio, Varrone – e l’analisi delle monete e delle iscrizioni, seguendo l’itinerario letterario che da Sclhiemann in poi conduce a buon fine le ricerche archeologiche più importanti.
Perché il problema del porto di Roma era così difficile da affrontare?
La mia fatica è un’opera della maturità, figlia di un’ampia
“preparazione” umana e professionale. Infatti agli
approcci dell’urbanista, dell’architetto, del navigante, dell’astronomo, dello
studioso di storia, del fotografo, si devono aggiungere la ricerca e la
rilettura di testi classici; l’osservazione critica di opere d’arte, di monete,
di bassorilievi, di carte geografiche antiche; lo studio dei fenomeni
idrogeologici; le letture aerofotogrammetriche e la loro elaborazione digitale,
a cui si aggiungono l’analisi dei precedenti lavori ed ipotesi sull’argomento
(più di cinquanta). La precisione di
reticoli allineamenti e proporzioni geometriche anche scaturisce dall’applicazione
della cosiddetta “sezione aurea”, tutto ciò, ed altro ancora, mi hanno
accompagnato in questo percorso di ricerca e di scoperta. L’analisi comparata e
multidisciplinare ha permesso anche di precisare la localizzazione
e la ricostruzione di fondamentali
elementi (come ad esempio il famoso Faro) mai nemmeno intravisti, verificati
con inequivocabili, e spesso sbalorditivi, controlli incrociati tra i quali è
sopraggiunto quello dell’affresco del I sec. d.c. recentemente
scoperto al Colle Oppio.
Architetto Silenzi, andiamo per ordine: che tipo di accoglimento ha avuto il suo lavoro?
I risultati della mia ricerca hanno suscitato scalpore tra gli
studiosi e gli appassionati di archeologia. Tutto è
legato alla figura di Claudio che ci arriva dall’antichità un po’ sbiadita. Non
bello, zoppo, balbuziente, era stato giudicato così poco pericoloso da essere
sopravvissuto sino a 50 anni alle quasi quotidiane congiure di palazzo nella
lotta alla successione della Roma post-augustea. Acclamato
dai Pretoriani della Guardia del Palazzo il giorno stesso della morte di
Caligola, sale al soglio imperiale “costretto” a governare. Si propone di farlo nel rispetto delle leggi dei padri e di quei
valori della Roma repubblicana che vedeva venire meno ovunque. Era uno
storico erudito Claudio e voleva “servire”
la città di Roma e il popolo, lasciando segni tangibili del suo passaggio. La Sibilla Cumana, consultata anni prima quando il nostro
imperatore era un semplice console, aveva sentenziato: “Tu, Claudio, darai a
Roma acqua e pane d’inverno”. E la profezia maturò nella mente di un uomo che,
quasi sollecitato dal volere degli dei, già aveva
realizzato opere grandiose. Due acquedotti: il primo, quello
dell’acqua Claudia, lungo 46 miglia di cui 10 su archi e il secondo del nuovo
Aniene, lungo 50 miglia di cui 15 su archi. Ma
vi era ancora da risolvere la questione
annosa dei rifornimenti, dei commerci e della flotta, gestita da un complesso
portuale assolutamente inadeguato alle porte della città.
Fino ad oggi però gli studiosi erano convinti che Claudio avesse
solo progettato questo porto, fallendo il tentativo di realizzarlo per
l’enormità della spesa. Un esperimento urbanistico azzardato
a cui avrebbe posto rimedio Traiano con la realizzazione del sostitutivo porto
esagonale.
E invece?
Con la mia ricerca ho restituito a Claudio la gloria
dell’effettiva realizzazione del progetto urbanistico globale
dell’antico porto imperiale di Roma
(Portus Romae), compreso il bacino interno esagonale, ed ho chiarito sia
la conformazione dell’impianto, sia la sua genialità compositiva ed operativa ,
sia il vasto complesso delle costruzioni adiacenti.
Allora torniamo indietro nel tempo. Com’era organizzata questa
città della città?
A nord della foce del braccio destro del
Tevere, si aprivano, comu un abbraccio, due grandi moli semicircolari. Al centro, sorgeva dal mare il faro, una
costruzione che poggiava su un piedistallo di granito, alzandosi poi con tre
ordini di archi, dove di giorno e di notte bruciavano
falò intrisi di pece, la cui luce rischiarava la notte dei naviganti e
permetteva una rotta sicura verso Roma. Dobbiamo pensare che a quei tempi accanto alle navi leggere,
le triremi, due erono maneggevoli e veloci, esistevano
anche dei veri “mostri del mare”, le quadriremi e le quinqueremi, come ad
esempio l’ammiraglia imperiale, senza contare le onorarie, navi capaci di
trarsportare molte migliaia di anfore. Le manovre richiedevano abilità e chiari
riferimenti, del faro e della Statua di Nettuno (vero spartitraffico che
regolava la circolazione in entrata e in uscita) permettevano alle imbarcazioni
di distrigarsi velocemente e doppiare il porto, mettendosi così al
riparo per tutte le prime operazioni necessarie di carico e scarico. Intorno
sorgevano gli edifici di servizio ai primi scarichi, diciamo
gli scali tecnici di merci deperibili o di schiavi. La nave poi o restava alla
fonda o poteva procedere, attraverso un grande canale,
verso il bacino esagonale, là dove esistevano nodi di interscambio fluviale, i
cantieri navali, le bahine di attracco stabile, i moletti per il carico e lo
scarico e da dove partivano le “navette”, imbarcazioni più leggere che
avrebbero risalito la corrente del Tevere per arrivare a Roma, nei suoi vari
porti fluviali: Foro Boario, Ripagrande e Ripapiccola.
Molti presidi, taverne, palazzi e magazzini, il foro olitorio,
un foro vero e proprio, e il tempio di
Portunno corredavano il complesso portuale che
era dotato anche di un palazzo imperiale con le più belle stanze che
affacciavano sulla prospettiva del porto.
Solo il bacino esterno, tanto per capire le dimensioni,
investiva un’area di mare di 3,6 kmq, pari a il Circo
Massimo moltiplicato per 60. I moli prospicienti il
mare avevano i basamenti in travertino e poggiavano su un fondale di almeno 10
metri.
In che misura l’urbanistica si confronta con la storia e
viceversa?
Gli interventi sul territorio attraverso le opere pubbliche,
potrebbero sembrare, semplici applicazioni delle tecniche politiche. Infatti oggi la
lettura della storia dei popoli avviene soprattutto attraverso la ricostruzione
e l’interpretazione dei resti urbanistici e ogni “gestione” lascia i suoi
interventi e i suoi segni. Claudio amava
ripetere, per tributare onore ai “padri”, che il più grande
monumento dell’antichità non fosse il Colosso di Rodi, il faro di Alessandria o
le piramidi egiziane ma la Via Appia – “maggior monumento che un popolo nobile
abbia dedicato alla libertà” – perché congiunge città e genti e brulica di
passeggeri, caratteri e masserizie, varca fiumi e supera paludi. Insomma il suo
governo realizzava opere per i cittadini, ne migliorava la vita e ne
promuoveva, quasi statutariamente, il benessere economico. Claudio è un
anticipatore, un uomo dalla vista lunga, sia pure travolto, nel privato, da
intrighi più grandi di lui. Nerone, il suo focoso successore, mettendo il
potere personale al centro dell’interesse pubblico, vanificò la grandezza
dell’opera e, mentre la Domus Aurea, sua
smisurata residenza, risplendeva di porpore, marmi e ori, Roma declinava, procedendo per inerzia verso la sua decadenza.
Dunque fu la necessità di approvvigionamenti
costanti e sicuri, anche nella stagione invernale, una delle spinte alla
costruzione di questo straordinario complesso urbanistico?
“Il Tevere era la via più naturale di
comunicaziofne e di trasporto e con la sua foce costituiva un approdo
naturale. Ma questi attracchi erano precari e
stagionalmente inutilizzabili. Roma, in possesso ormai di una solida marina
militare (che si era formata e irrobustita con le guerre puniche e che
controllava il Mediterraneo) e di una poderosa marina mercantile, doveva
quotidianamente foraggiare una città che ospitava più di un milione di abitanti, una cifra enorme per l’antichità”.
Dunque Roma può essere considerata
una città marinara?
La storia del porto imperiale di Roma inizia nel 41 d.c. ma questa iniziativa rappresenta il terzo e più perfezionato
episodio urbanistico di una città che fin dal VII secolo a.c. era proiettata
verso le comunicazioni marittime visto che, come narra Tito Livio (Le Storie,
I, 33), fu addirittura il suo quarto re Anco Marcio che, dopo aver conquistato
il territorio etrusco in riva destra del Tevere fino al mare (la Silva Maesia),
organizzò le saline e fondò Ostia.
Ma questa Ostia di Anco Marcio è
diversa da quella comunemente chiamata “Osta Antica”?
Questa Ostia di Anco Marcio è un altro
dei grandi enigmi archeologici. Infatti, sotto la Ostia
già in parte scavata, non sono state ritrovate vestigia più antiche del IV
secolo a.C. (Castrum). Per vero stiamo parlando di due enigmi (la Ostia di Anco Marcio ed il porto imperiale), che
abbracciano sette secoli di storia romana e che sono sepolti nell’ancor più
vasto mistero della smisurata grandezza della città eterna. Incredibilmente il
progetto di Claudio, ricostruito nella ricerca, collimandosi simbolicamente con
una grande serie di riferimenti cosmici, territoriali
e geometrici, ci suggerisce anche l’ubicazione della misteriosa Ostia di Anco
Marcio.
Come possono resistere ancora oggi punti oscuri nella
conosciutissima storia romana?
Per quanto rigurda la Ostia di Anco
Marcio, gli studiosi non hanno semplicemente tenuto conto che la foce e la
linea di costa del litorale romano subivano un continuo avanzamento, dovuto
proprio al deposito dei materiali in sospensione trasportati dal Tevere, e
quindi la foce del VII secolo a.C. doveva essere ben più arretrata di quella
del IV secolo; quindi la Ostia di Anco Marcio non va cercata sotto la Ostia che
conosciamo, ma va cercata a monte di un avanzamento di costa di oltre 3 secoli.
Per quanto riguarda invece il Porto di Roma, la complessità del progetto e la
grandiosa dimensione dell’opera (l’impianto portuale e la città di contesto coprivano una superficie pari a quella della Roma
imperiale) hanno paradossalmente costituito uno di quegli elementi che, insieme
ad una serie di altre casualità negative, non ultima il totale impaludamento
della zona, hanno concorso a creare questo altro grande mistero archeologico.
Architetto, come è riuscito a
ritracciare il progetto originale di Claudio?
Ho usato il metodo cosiddetto
“erudito”, vale a dire “studio a tavolino”, senza l’uso di scavi. Questo metodo
ha potuto essere applicato perché quel progetto fu
sviluppato con criteri geometrici, urbanistici, filosofici e scientifici
interconnessi da una logica intellettuale tanto sofisticata e affascinante
quanto effettivamente riscontrabile e quindi comunque ripercorribile;
sembrerebbe trattarsi quasi di un messaggio codificato inviato nel tempo a
chiunque potesse decodificarlo. Insomma, i monumenti parlano e così le pietre,
se riusciamo a ripensarli con il cuore e la mente di chi li ha ideati!
La ricerca è stata confermata da numerose verifiche?
La più interessante è rappresentanta dal cosidetto rilievo
Torlonia. Si tratta di una scultura su marmo facente parte della
omonima collezione; vi troviamo rappresentata una nave romana a vela,
adibita al trasporto, con imbarcate delle persone intente alle manovre nel
Porto di Roma e due coniugi, probabilmente commercianti, che probabilmente
dovendo intraprendere un viaggio di affari, commissionarono a scopo
propiziatorio l’esecuzione del rilievo ad uno scultore dell’epoca.
Questo bassorilievo è, per così dire, il primo esempio di istantanea fotografica. Una riproduzione finalizzata al
mantenimento dimensionale e proiettivo delle persenze
signi-
ficative del quadro di osservazione.
L’analisi del rilievo mi ha permesso di stabilire la posizione
dell’osservatoriom la sua altezza da terra, la conformazione, la posizione e
l’altezza del faro, la conformazione, la posizione e dimensione della stauta di
Nettuno, la conformazionem l’orientamento e l’apertura
dell’imboccatura del porto interno esagonale ed altri elementi; il tutto in un
contesto di raccapricciante precisione. Non è poco per un rilievo normalmente
considerato un simpatico “collage” di elementi
casualmente messi insieme da un ingenuo esecutore.
La recente clamorosa scoperta dell’affresco al Colle Oppio di
Roma, comparsa sulle prime pagine dei giornali, come entra
in tutto questo?
Ad una serie di casualità negative sta facendo riscontro una
serie altrettanto incredibile di casualità positive:
il ritrovamento dell’affresco è una di queste. Nella mia ricerca ipotizzo, tra
l'’ltro, che le vestigia interpretate nel 1867 da Rodolfo Lanciani come lo xenodochio
del sen. Pammachio, possano essere, in relatà, la
prima basilica paleocristiana dedicata ai SS. Pietro e Paolo, quale memoria
storica del loro sbarco in quel punto. Questa ipotesi, confortata
dall’interesse della Segreteria di Stato Vaticana, e soprattutto dai recenti
scavi, durante i quali è emerso uno splendido fonte battesimale, si è vista
grandamente confortata dalla provvidenziale scoperta dell’affresco del I secolo d. C. nel criptoportico sotto le terme di Traiano al Colle Oppio, che
rappresenta proprio la porzione di Portus in cui si colloca il luogo del presumibile sbarco dei due Apostoli.
Voglio dire che io ho potuto interpretare l’immagine dell’affresco grazie a gli elementi ipotizzati nella mia ricerca che a sua volta trova nell’affresco riscontro
e conferma.
Tenendo conto del valore simbolico di quell’evento, sia in
generale, sia in relazione ai possibili grandi
significati spirituali legati al prossimo Grande Giubileo del 2000 (i primi due
pellegrini cristiani venuti a Roma furono proprio i due Apostoli), ci possiamo
rendere conto della provvidenzialità di quella scoperta e l’importanza della
sua interpretazione, ampiamente
dimostrata nel mio libro.
Perché definisce “avveniristico” il
progetto ricostruito?
La modernità del progetto urbanistico di Claudio potrà essere
valutata da tutti, sia semplicemente
prendendo visione dei disegni così come da me ricostruiti, sia constatando che, nell’elaborazione del progetto, sono stati
utilizzati elementi grafici ed architettonici che si pensavano inventati solo
dalla moderna urbanistica. Ma quello che vorrei sottolineare è la modernità del modello economico e la sua
possibile attuale riutilizzazione.
Claudio sostiene che una
spesa smisurata può sviluppare dei ritorni economici in grado di rendere
conveniente quel costo; questo è un modello economico semplice e di facile
comprensione, ma lui aggiunge dell’altro, Claudio immagina che un’opera
contenente anche proiezioni etiche e simboliche, potrebbe creare, attraverso
l’aggancio ai valori di riferimento originari. Una ulteriore
crescita esponenziale dei ritorni economici legati al suo funzionamento
(soprattutto tenendo conto che parliamo di un complesso finalizzato alla
comunicazione culturale e commerciale).
Io, a mia volta, desidero attualizzare questo concetto economico. Se noi evidenziamo, attraverso il recupero dell’area archeologica, le componenti simboliche di riferimento in essa contenute, otteniamo un triplice risultato: rinsaldiamo i riferimenti e le radici culturali e storiche del tessuto sociale italiano; stimoliamo la curiosità culturale e turistica sull’area; creiamo una crescita esponenziale dei ritorni economici legati alla semplice esposizione di vestigia archeologiche in cui siano riconoscibili quegli antichi valori che permisero la crescita sociale ed economica della Città Eterna.
In tal modo si
precisa anche meglio il perchè della qualità "marinara" di Roma. Certamente il concetto stesso di civiltà si immedesima
con quello di comunicazione che, a quell’epoca, poteva concepirsi solo in un
contesto marino. E’ quindi nel mare che vanno ricercate le radici storiche
della civiltà moderna, ed ecco, quindi, come la riscoperta del Porto di Roma,
quale strumento della comunicazione culturale via mare, chiarisce anche il
mistero di come una singola città abbia potuto
così marcatamente incidere, e per così
tanto tempo, nella vita e nel pensiero di tante popolazioni diverse e distanti.
Appare anche con grande chiarezza il messaggio di
Claudio quando, nel riferirsi alle matrici storiche e culturali del periodico
repubblicano romano, individua nella convenienza della scelta etica del bene
rispetto a quella del male, l’unica strada, ancora oggi percorribile, per un
migliore risultato sociale ed economico. Voglio aggiungere che Claudio può
essere considerato il più antico fondatore dell’Unione Europea quando, con uno
splendido discorso al Senato, propose l’accesso al Senato stesso anche dei
rappresentanti delle province.
Con questo preveggente riferimento politico, i confini dell’Europa potrebbero validamente conformarsi a quelli della originaria zona di influenza culturale romana, comprendente il contesto globale del bacino del Mediterraneo.
Nota: pubblicato su "La rivista dei Curatori Fallimentari" gennaio/marzo 1999