Tribunale di Roma - Sez. Fallimentare – Pres. G.Briasco
– Rel. N. Pannullo
– Sent. 26/02/2000 n. 5866 – Eolli Drill (Avv. Maria Bernetti) c/ Fall. INTERGEO Amplificazioni Geotecniche (Avv. Vincenzo
Pompa)
FALLIMENTO E ALTRE PROCEDURE CONCORSUALI – FALLIMENTO
– VERIFICA DEL PASSIVO
– PRIVILEGIO – RICONOSCIMENTO – INDIVIDUAZIONE DEI BENI SU CUI SPETTA –
NECESSITA’ DI ACQUISIZIONE AL MOMENTO DELLA VERIFICA – ESCLUSIONE –
DIFFERIMENTO AL MOMENTO DEL RIPARTO
OPPORTUNITA’ (art. 93 R.D. 16 marzo 1942 n. 267; artt.
2758 e 2777 c.c.)
Il privilegio
del credito per rivalsa IVA, spettante al creditore per cessione di beni o
prestazione di servizi, ha natura speciale, ai sensi degli artt.
2758 n. 2 e 2777 n. 3 c.c., sui beni che hanno formato oggetto del rapporto e deve
essere riconosciuto a prescindere dall’accertamento sull’attuale ed effettiva
esistenza nell’attivo fallimentare del bene oggetto della prelazione, dovendo
la relativa indagine essere effettuata non al momento della verifica del
credito, bensì al momento successivo della ripartizione dell’attivo.
(RIFERIMENTI: Cass. 8685/91; Cass. 12207/92. Contra: Cass. 1227/95)
(omissis…)
L’opposizione è fondata. Invero, nel corso del
presente giudizio a cognizione ordinaria la Colli Drill
-Motocompressori Attrezzature di perforazione Noleggio Compressori e
Perforatrici- ha prodotto l’estratto del libro giornale IVA Vendite di cui alle
fatture emesse a carico della fallita Intergeo A.G.
in liquid. s.r.l. per l’importo del credito di cui
alla domanda, libro regolarmente e formalmente tenuto, come da attestazione
5.12.1995 del Dott. Lucio Consoli Coadiutore temporaneo del Notaio dott.
Arduino Spicacci Minervini
giusta delibera Consiglio Notarile Roma 23 ottobre 1995, nonché dichiarazioni
IVA 92, 93, 94.
Tenuto conto della posizione di terzietà del
curatore nel giudizio di verificazione dello stato passivo rispetto sia al
fallito che al creditore che si insinua e della conseguente inopponibilità al
fallimento ex 2704 cc. delle fatture prodotte in sede di verifica sommaria dei
crediti, il Tribunale, preso atto della regolarità della tenuta dei libri
contabili della società attrice nelle forme di legge, ritenuto che trattasi di
prestazioni e servizi effettivamente resi dalla attrice in epoca anteriore alla
data (1.12.1994) del fallimento, ritiene provato il credito vantato
dall’attrice e lo ammette come da domanda.
Quanto alla collocazione in privilegio del credito IVA per l’importo di
Lit.7.797.162, il Tribunale riconosce al credito per rivalsa IVA spettante al
cedente di beni o al prestatore di servizi il solo privilegio speciale previsto
dagli artt. 2758 c.c. n.2 e 2777 n.3 c.c.. sui beni
che
hanno formato oggetto della cessione ed ai quali si riferisce il servizio
secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale sul punto (cfr. Cass.
98/10799, 95/6149), e ciò a prescindere dall’accertamento sull’attuale ed
effettiva esistenza nell’attivo fallimentare del bene oggetto della prelazione,
indagine che va effettuata non al momento della verifica del credito, bensì al
momento successivo della ripartizione dell’attivo (Cass. n.8685/91, n.
12207/92).
Sulla
base delle risultanze emerse nel processo il Tribunale, in accoglimento
dell’opposizione, ammette la Colli Drill s.r.l. al
passivo del fallimento Intergeo Applicazioni Geotecniche
in liquidazione, in chirografo, il credito di Lit. 42.640.984 e, in privilegio
ex art. 2758 c.c., il credito per l’importo di Lit. 7.797.162.
Non
ripetibili le spese di lite del giudizio perché solo in questa sede è stata
fornita la prova dell’anteriorità del credito opponibile al fallimento ex art.
2704 c.c. e quindi della fondatezza della domanda.
(omissis…)
Circa il momento in cui si debba riconoscere il
privilegio al credito per rivalsa dell’IVA esiste, in giurisprudenza, una
apparente difformità di vedute: secondo una parte della giurisprudenza, tale
riconoscimento, ovvero l’esclusione, deve avvenire già al momento della
verifica del passivo, in relazione all’accertamento relativo all’esistenza del
bene su cui il privilegio debba essere esercitato nell’attivo fallimentare ([1]),
secondo altra parte della giurisprudenza l’indagine non va effettuata in sede
di verifica del passivo, ma differita al momento della ripartizione dell’attivo
([2]).
La questione può essere ricomposta in applicazione
dei principi di celebrità e speditezza che ispirano tutta la procedura
fallimentare e, quindi, con particolare riguardo, ai casi specifici e alle
singole fattispecie concrete.
Innanzi tutto conviene attenersi alle regole
normative.
Il Capo IV del Titolo II, intitolato “Della custodia
e dell’Amministrazione delle attività fallimentari” /artt.
84 e segg. L.F.), dispone che il giudice delegato o, per sua delegazione o
impedimento, il giudice di pace, proceda “immediatamente”, dopo la
dichiarazione di fallimento, all’apposizione dei sigilli (art. 84 L.F.) ed il
successivo art. 87 stabilisce che il curatore, “nel più breve tempo possibile”,
deve chiedere al giudice delegato l’autorizzazione a rimuovere i sigilli per
fare l’inventario.
Dispone inoltre l’art. 88 L.F. che il curatore
prende in consegna i beni di mano in mano che se ne fa l’inventario.
Secondo l’art. 87 L.F. l’inventario deve essere
redatto secondo le norme del codice di procedura civile (art. 769 e segg. c.p.c.) tra le quali si annovera l’art. 774 c.p.c. ai sensi del quale, quando l’inventario non può
essere ultimato nel giorno del suo inizio, l’ufficiale il cancelliere il
notaio, che vi proceda ne rinvia la continuazione ad un giorno “prossimo”
avvertendone verbalmente le parti presenti.
Appare dunque evidente che, nell’ottica del
legislatore fallimentare del 1942, di poco più anziano di quello del codice di
rito del 1940, le operazioni di inventario dei beni del fallito, dovevano
essere molto rapide, pur non fissandosi termini precisi e perentori: ne sono
esplicita testimonianza le parole, gli avverbi e le locuzioni sopra citati tra
virgolette.
I termini per le operazioni dell’inventario devono
poi essere correlate con quelle della verifica del passivo.
Questi termini sono invece precisamente indicati
dalla legge fallimentare. In particolare la sentenza di fallimento assegna ai
creditori ed ai terzi, che vantano diritti mobiliari su cose in possesso del
fallito, un termine non maggiore di trenta giorni dall’affissione della
sentenza per la presentazione in cancelleria delle domande, evidentemente, di
rivendicazione (art. 16, n. 4, L.F.): tali beni, se indicati nell’inventario e
se la domanda risulterà fondata, andranno restituiti e detratti, così,
dall’attivo fallimentare.
La sentenza, inoltre, stabilisce la data
dell’udienza in cui, nel termine di venti giorni dalla scadenza del termine
assegnato per le rivendicazioni si procederà all’esame dello stato passivo
(art. 16, n.5, L.F.).
Parallelamente il curatore, ai sensi dell’art. 89
L.F., deve compilare l’elenco dei creditori, con l’indicazione dei rispettivi
crediti e diritti di prelazione, nonché l’elenco di tutti coloro che vantano
diritti reali mobiliari su cose in possesso del fallito con l’indicazione dei
titoli relativi.
Tali elenchi devono essere redatti dal curatore
sulla scorta delle scritture contabili che il fallito abbia depositato in sede
di richiesta del fallimento in proprio (art. 14 L.F.) ovvero dallo stesso
depositate entro ventiquattro ore dalla pubblicazione della sentenza di
fallimento in ottemperanza a quanto previsto dall’art. 16, n. 3, L.F., oppure
comunque acquisite in occasione delle operazioni di inventario ai sensi
dell’art. 86, n.2 e ultimo comma L.F..
Sulla scorta dei propri elenchi, il curatore
spedisce ai creditori ed agli altri interessati, ai sensi dell’art. 92 L.F.,
una raccomandata indicando il termine entro cui devono depositare in
cancelleria le rispettive domande e fornendo altre informazioni che riguardano
la formazione dello stato passivo.
Il senso di confusione e di sovrapposizione di
attività che si ricava dall’esame analitico delle norme citate è solo
apparente: il legislatore fallimentare vuole semplicemente che il curatore ed i
creditori procedano parallelamente nei rispettivi compiti per poi convergere in
occasione della formazione dello stato passivo.
In tal senso, quindi, da un lato il curatore
provvederà a redigere l’inventario e, acquisite le scritture contabili, a
redigere anche gli elenchi dei creditori e dei rivendicanti inoltrando a questi
ultimi l’avviso su quanto devono fare per il riconoscimento dei loro diritti.
Dall’altro lato i creditori che avranno avuto notizia del fallimento, ed i in
particolare o creditori istanti, dovranno presentare le loro domande anche
indipendentemente dall’avviso del curatore ai sensi dell’art. 92 L.F.,
specificando, nel rispetto dell’art. 93 1° comma, L.F. le ragioni della
prelazione invocata.
Se ciascuno farà il suo dovere con rapidità ed
efficienza, prevede il legislatore fallimentare, si giungerà alla formazione
dello stato passivo, con il concorso del cancelliere, del curatore e del
giudice delegato nei termini di cui all’art. 95 L.F.: cioè lo stato passivo
predisposto dal giudice verrà depositato in cancelleria tre giorni prima della
data fissata dall’art. 16, n. 5, L.F. e nel giorno dell’adunanza dei creditori
così stabilito, si procederà soltanto alla verifica.
Tale giorno, rileggendo nn. 4 e 5 dell’art. 16 L.F.,
si colloca entro cinquanta giorni dalla pubblicazione della sentenza di
fallimento determinando così un congruo intervallo per le operazioni di
inventario, la redazione degli elenchi e l’esame delle domande dei creditori
avvisati per raccomandata dal curatore.
In tale visione temporale è chiaro che l’esame di
quelle parti delle domande di insinuazione al passivo afferenti al
riconoscimento dei privilegi, non pone problemi: i beni cui si riferiscono le
prelazioni sono già stati acquisiti, con l’inserimento nell’inventario, della
massa attiva fallimentare e può quindi con sicurezza stabilirsi se riconoscere
o meno il privilegio chiesto dal creditore nella domanda o individuato dal
curatore nel corso della stesura degli elenchi di cui all’art. 89 L.F..
Altra è invece a dirsi se, per le dimensioni
dell’impresa o per l’indisponibilità, per ragioni d’ufficio, dell’ufficiale che
deve assistere alle operazioni, l’inventario non possa farsi nei tempi
ipotizzati dal legislatore fallimentare.
In tal caso possono ipotizzarsi una serie di
patologie temporali.
In una prima ipotesi può avvenire che l’udienza di
verifica del passivo, anziché a cinquanta giorni dalla pubblicazione della
sentenza di fallimento, venga fissata ad esempio, a due anni.
Un simile lasso di tempo lascerà, di tutta evidenza,
ampio spazio al curatore per redigere l’inventario e gli elenchi di cui all’art.
89 L.F. cosicchè, in sede di verifica del passivo, le
ragioni della prelazioni speciale potranno essere agevolmente affrontate.
In una seconda ipotesi può accadere che l’udienza di
verifica si tenga rapidamente rispetto alla dichiarazione di fallimento, cosicchè in sede di verifica del passivo, non si abbia il
quadro completo dei beni acquisiti alla massa attiva lasciando spazio al dubbio
circa la realizzabilità del privilegio speciale invocato dai creditori.
In una terza ipotesi può accadere che, indipendentemente
da possibili discrasie tra i tempi di redazione dell’inventario e la verifica
del passivo, le caratteristiche dell’azienda siano di tale frammentazione, da
non consentire al curatore di ipotizzare se e quando i beni su cui il creditore
invoca il privilegio speciale a proprio favore potranno essere acquisiti
all’attivo fallimentare, come nel caso di un’impresa fallita che abbia operato
all’estero, in Paesi in via di sviluppo.
Dall’esposizione che precede, possono trarsi le
seguenti considerazioni.
Innanzi tutto il privilegio speciale previsto dalla
legge ha un senso solo se il bene su cui deve essere esercitato venga
acquisito, con l’inventario, all’attivo fallimentare.
In secondo luogo detto privilegio può concretamente
esercitarsi se il bene, acquisito all’attivo fallimentare, può essere
legittimamente venduto (tali ad esempio, non sarebbero alimenti scaduti).
In terzo luogo il privilegio speciale potrà
soddisfare il creditore se il bene acquisito all’attivo fallimentare e
legittimamente esitabile, ha un sia pur minimo valore di mercato (tali, ad
esempio, non sarebbero alimenti prossimi alla scadenza).
La sussistenza delle tre condizioni appena sopra
individuate, potrà emergere sia già in sede di redazione dell’inventario, sia
successivamente, in sede di realizzazione dell’attivo.
La varietà delle singole fattispecie rende quindi
manifesto che le soluzioni indicate dalla giurisprudenza possono non essere
sempre appaganti.
Infatti, l’indirizzo secondo il quale i privilegi
speciali indicati dai creditori andrebbero sempre riconosciuti, se legalmente
previsti, in sede di verifica del passivo, salvo riesame della concreta
realizzabilità in sede di riparto, finisce con il differire al momento cruciale
del pagamento dei creditori questioni che, magari, già in sede di verifica del
passivo potevano essere affrontate e risolte, eliminando i rischi delle
osservazioni sul progetto di ripartizione.
Risulta quindi preferibile, proprio per il miglior
rispetto dei principi di celerità e speditezza del processo fallimentare,
affrontare le questioni relative alla concreta realizzabilità dei privilegi
speciali spettanti ai creditori già in sede di verifica del passivo se il
curatore avrà già in tal sede certezza della sua realizzazione o meno.
Appare inutile, invero, illudere il creditore di
aver conseguito il riconoscimento del privilegio speciale in sede di verifica
del passivo procurandosi le osservazioni al successivo progetto di riparto di
cui all’art. 110, ultimo comma, L.F. che sempre tediano, quando di quel
privilegio già si conosceva l’irrealizzabilità in sede di riparto e si poteva
consentire al creditore di fornire le proprie spiegazioni con l’opposizione di
cui all’art. 98 L.F..
Non si vede che senso possa avere riconoscere il
privilegio speciale per rivalsa IVA previsto dall’art. 2758 c.c. in sede di
verifica del passivo quando riguardi, ad esempio, una fornitura di panettoni di
cui il curatore abbia verificato, in sede di inventario, la già maturata
scadenza, ovvero riconoscerlo ad una prestazione di consulenza legale, ovvero a
quella di commercialista.
Tutte le volte che il bene su cui dovrebbe
esercitarsi il privilegio speciale non esista, come spesso accade nella
prestazione dei servizi, ovvero non possa essere realizzato per una qualsiasi,
purché certa, circostanza, il privilegio non va riconosciuto già in sede di
verifica del passivo al fine di evitare il pericolo di inutili osservazioni in
sede di discussione del progetto di riparto.
Invece tutte le volte in cui il bene su cui il
privilegio speciale deve esercitarsi non sia stato rinvenuto dal curatore in
sede di inventario, non potrebbe essere, sia pure in remota ipotesi, acquisito
all’attivo fallimentare, la prelazione deve essere sempre riconosciuta in
quanto sarebbe gravemente colpevole privare il creditore di un suo diritto
semplicemente sulla scorta delle previsioni del curatore.
Circa la legittimità di queste scelte, può citarsi
la pronuncia della Corte Suprema n.244 del 12/01/1999 la cui massima
testualmente recita:
“La attuabilità in concreto del privilegio speciale presuppone l’acquisizione al fallimento del bene in relazione al quale il privilegio stesso è sorto e sul quale questo deve esercitarsi.
Consegue che
il giudice, in sede di verifica dei crediti, deve negare l’ammissione (del credito)
in via privilegiata – e ciò per la inutilità del relativo provvedimento – se
già al momento della verifica stessa sia assolutamente certo che il bene, non
acquisito alla massa, non potrà esserlo nemmeno in futuro”.
1) cfr Cass. 1227/95 in Giust. Civ. Mass. 1995, 263; Fall. 1995, 1008 con osservazioni di Anni; Giust. Civ. 1995, I, 1192
2) cfr Cass. 8685/91 in Fall. 1992, 38; Dir. Fall. 1992, II, 365; Cass. 12207/92 in Giust. Civ. 1993, I, 959 con nota di LO CASCIO; Fall. 1993, 500, Dir e prat. Trib. 1993, II, con nota di BENVENUTI.