ER GATTO AVVOCATO
di Trilussa, al secolo Carlo Alberto Salusri,
(Roma, 26.10.1871 – 21.12.1950)
La cosa annò così. La Tartaruga,
mentre cercava un posto più sicuro
pe’ magnasse una foja de lattuga,
j’amancò un piede e cascò giù dar muro:
e, quer ch’è peggio, ne la scivolata
rimase co’ la casa arivortata.
Allora chiese ajuto a la Cagnola;
dice: – Se me rimetti in posizzione
t’arigalo, in compenso, una braciola
che ciò riposa a casa der padrone.
Alccetti? – Alccetto. – E quella, in bona fede,
co’ du’ zampate l’arimise in piede.
–
Poi chiese: – E la braciola? – Dice : – Quale?
– Ah! – dice – mò te butti a Santa Nega!
T’ammascheri da tonta! È naturale!
Ma c’è bona giustizzia che te frega!
Mò chiamo er Gatto, j’aricconto tutto,
e te levo la sete cor presciutto! –
–
Er Gatto, che faceva l’avvocato,
intese er fatto e j’arispose: – Penso
che è un tasto un pochettino delicato,
perché c’è la questione der compenso:
e in certi casi, come dice Orazzio,
promissio boni viri est obbligazzio.
–
Ma prima ch’io decida, è necessario
che la bestia medesima sia messa
co’ la casa vortata a l’incontrario
Finché nun riconferma la promessa,
pe’ stabilì s’è un metodo ch’addopra
solo quanno se trova sottosopra. –
–
Così fu fatto. Er Micio disse : – Spero
che la braciola veramente esista… –
La Tartaruga je rispose : – E’ vero!
Sta accosto a la gratticola… L’ho vista.
– Va bene, – disse er Gatto – nu’ ne dubbito:
mò faccio un soprallogo e torno subbito. –
E ritornò, defatti, verso sera.
- Avemo vinto! – disse a la criente.
Dice – Davvero? E la braciola? – C’era…
ma m’è rimasto l’osso solamente,
perché la carne l’ho finita adesso
pe’ sostené le spese der processo.
Il Commento a
“ER GATTO AVVOCATO”
di Maurizio Calò e Fabrizio Ruggieri
Il caso in esame può essere riguardato sotto una serie di profili
Innanzi tutto si osserva che il contratto può dirsi sicuramente perfezionato tra la Tartaruga e la Cagnola, come si evidenzia nell’interrogativo “Accetti?” seguìto dalla risposta affermativa “Accetto”, che riecheggia la classica formula de iure civili: “Spondes?”, “Spondeo”, attualmente
riversata nell’art. 1326 cod. civ., secondo cui “il contratto è concluso nel momento in cui chi
ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte”.
Quello perfezionato tra le parti è un contratto tipico, consistente in un “do” (la braciola), “ut
facias” (se me rimetti in posizzione) ed a perfezionamento consensuale.
La prestazione richiesta dalla Tartaruga alla Cagnola è un “opus perfectum”, senza indicazione
alcuna circa le modalità della prestazione stessa. Appare quindi, quale più pertinente al caso che
intrattiene, la qualificazione dell’accordo raggiunto tra le parti quale “contratto d’opera”.
Nell’esecuzione del contratto, tuttavia, si inserisce un elemento patologico: completata l’esecuzione della prestazione (co’ du’ zampate l’arimise in piede), la Cagnola reclama il corrispettivo (Poi chiese: – E la braciola?) costituendo in mora, per vero irritualmente, ma non per questo meno efficacemente, la Tartaruga.
A tale legittima richiesta, perfettamente conforme a contratto, segue la risposta agnostica della
debitrice (Quale?), che evoca il comportamento di colui che, senza voler confessare il proprio
intento, mira, nondimeno, a sottrarsi all’adempimento, provocando il creditore alla prospettiva delle vie legali, nella speranza di scoraggiarlo.
Occorre purtuttavia indagare se nell’agnosia della Tartaruga sia ravvisabile l’esimente del contratto concluso in istato di pericolo, prevista dall’art. 1447 cod. civ., a tenore del quale “Il contratto con cui una parte ha assunto obbligazioni a condizioni inique per la necessità, nota alla
controparte, di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, può
essere rescisso sulla domanda della parte che si è obbligata”.
Invero, gli elementi costitutivi indicati dalla norma possono dirsi in gran parte integrati dalla
fattispecie de qua. Non v’è dubbio che la Tartaruga, la quale “ne la scivolata rimase co’ la casa
arivortata”, si trovasse in quello stato di pericolo attuale e personale, e non semplicemente
patrimoniale, all’atto d’instaurare la trattativa con la Cagnola. Questa, peraltro, nelle circostanze di tempo e di luogo descritte, era perfettamente in grado di percepire direttamente la necessità in cui versava la proponente per sottrarsi al pericolo di danno grave.
Appare invece carente il requisito oggettivo dell’iniquità delle condizioni, atteso che la Tartaruga
prometteva corrispettivo a propria scelta e di modesto valore. In proposito deve peraltro essere
sottolineato che trattavasi di bene estraneo alla sua sfera giuridica, rientrante, invece, in quella “der padrone”. Nella descrizione del corrispettivo promesso, peraltro, la Tartaruga induce in errore la Cagnola, prospettandole l’immediata e diretta disponibilità della braciola, come si evidenzia nella frase: “T’arigalo, in compenso, una braciola che ciò riposta a casa der padrone”: sopraffina malizia del contraente!
Come poi si seppe, non solo la casa era “der padrone”, ma financo la braciola che, invece,
veniva promessa come propria. Non può quindi dirsi che la Tartaruga abbia rispettato il disposto di cui all’art. 1337 cod. civ. sul comportamento secondo buona fede che le parti devono osservare durante le trattative.
Legittima pertanto a questo punto appare la scelta della Cagnola di rivolgersi al Gatto-Avvocato
per ottenere la “bona giusitzzia che te frega”: alla stregua di colui che, umiliato dal torto sofferto,
confida tuttavia nel superiore ordine della Legge.
Occorre rimarcare l’elegante comportamento dell’Avvocato che, testimone delle glorie dell’antica Iurisprudentia consulente del tardo diritto romano, applica l’incrollabile broccardo “Da mihi facum, dabo tibi ius”. Mirabile altresì l’intuito del giurista consumato! Coglie fulmineo il nodo centrale della controversia, costituito dalla delicata questione dell’equità del compenso promesso alla Cagnola, che risolve accostandovi la massima giuridica pertinente, sebbene attribuita erroneamente ad Orazzio con deprecabile caduta di stile, che solo l’esigenza della rima può giustificare. In effetti, l’evocazione “promissio boni viri est obbligazzio”, proverbio medievale di ignoto saggio e non di epoca classica, sottolinea come una promessa fatta da persona proba ed onesta, quand’anche formulata in istato di pericolo, sia comunque vincolante per il promittente che la propria onorabilità voglia preservare.
Ineccepibile appare la scelta dell’Avvocato di tentare l’esperimento giudiziale consistente nella
ricostruzione della medesima situazione in cui le parti ebbero a stipulare il contratto, onde poterle quindi liberamente interrogare. In effetti la Tartaruga, “messa co’ la casa vortata a
l’incontrario”, “…riconferma la promessa”. Da sempre una certa misura di coercizione
produce il risultato di avvicinare gli inquirenti alla verità: una collaudata esperienza tuttora praticata con successo, come anche recenti vicende giudiziarie, hanno ampiamente confermato.
A tanto sottoposta, la Tartaruga, in formidine tormentorum, non solo conferma l’obbligazione
assunta, ma estende le proprie dichiarazioni all’assenza di diritti sulla braciola, di cui però conferma esistenza ed ubicazione. Nonostante la piena confessione resa, grande è la prudenza del legale che non trascura l’ispezione diretta dei luoghi a termini di procedura (art. 259 cod. proc. civ.), un mezzo di prova oggi troppo spesso delegato ai consulenti tecnici d’ufficio, con perdita di quell’immediatezza che non è invece sfuggita al giurista de quo, nonostante l’assenza del
contraddittorio.
Come tutti i responsi giuridici, anche tale mezzo di istruzione richiede del tempo durante il quale è palpabile, nella narrazione, l’ansia delle contendenti.
“Avemo vinto!” esclama il Gatto al suo ritorno, dando ulteriore prova di professionalità per il fatto di dichiarare il successo solo a risultato ottenuto e senza millantare, prima, alcuna sicurezza.
Quanto all’esito conclusivo, non vi è dubbio che all’Avvocato, sino a questo punto del racconto
antistatario, non possa che spettare l’immediata distrazione del suo onorario, nel perfetto rispetto di quel privilegio che l’art. 2751-bis, n° 2, cod. civ. assicura alle retribuzioni dei professionisti.
Nota: pubblicato su “La rivista dei Curatori Fallimentari” luglio/settembre 1997
Comments are closed
Sorry, but you cannot leave a comment for this post.