GIURISPRUDENZA ROMANA – GENNAIO/MARZO 99 – PAG. 58
Romana |
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Tribunale di Roma – Sez. Fallimentare – Decreto 22 ottobre 1997 – Pres. Grimaldi A. -Rel. Norelli E. – Giudice De Virgilis G.C.-Fall. n. 53919 della Nicar di Pirrone Carmela & C. s.a.s. – Pirrone CarmelaCURATORE – ATTIVO REALIZZATO – COMPENSO DEL CURATORE Per “attivo realizzato” deve intendersi la totalità delle somme incassate dal curatore, a qualunque titolo, che ne comporti la definitiva acquisizione al patrimonio fallimentare, senza che si possa, comunque, tener conto del valore dei beni inventariati e non liquidati (1). In caso di fallimento plurimo, ossia di fallimento di una società con soci a responsabilità illimitata e di fallimento dei soci illimitatamente responsabili, rimanendo il patrimonio della società e quello dei singoli soci distinti, il compenso del curatore deve essere llquidato, distintamente, in relazione a ciascuna massa attiva ed a ciascuna massa passiva. (2) 1] Il compenso del curatore va liquidato, ai sensi dell’art. 39 L.F., secondo le norme stabilite con decreto del Ministro di grazia e giustizia. Sulla nozione di attivo realizzato ai fini del compenso del curatore di Andrea Pietrolucci Secondo il Tribunale di Roma, “per attivo realizzato deve, infatti, intendersi la totalità delle somme incassate dal curatore, a qualunque titolo che ne comporti la definitiva acquisizione al patrimonio fallimentare … senza che si possa, comunque, tener conto del valore dei beni inventariati ma non liquidati”. Concorrerebbero, quindi, a formare l’attivo ricavato sia il denaro liquido rinvenuto nella disponibilità del fallito, sia gli interessi maturati sulle somme depositate dal curatore. Ne rimarrebbero, invece, escluse le somme ricevute dal curatore per un titolo che comporti un obbligo di restituzione. L’orientamento prevalente in dottrina e in giurisprudenza è conforme alla decisione presa nel decreto in commento. La tesi che raccoglie maggior credito è, infatti, quella in virtù della quale l’espressione “attivo realizzato” – cui devono essere rapportate le percentuali stabilite dal D.M. 28 luglio 1992, n. 570, ai fini della liquidazione del compenso al curatore – comprende la liquidità comunque acquisita dalla curatela: sia essa conseguita mediante la vendita di beni mobili ed immobili, sia in altro modo: come attraverso la riscossione di crediti e l’esperimento di azioni giudiziarie (cfr Cass. 2/12/1993, n. 11952; Cass. 11/9/1993, n. 1169; Cass. 3/7/1997, n. 5978; per la dottrina, cfr ABATE, Diritto fammentare, p. 433 ss). Un diverso orientamento, condiviso sia da alcuni autori, tra cui Pajardi, che dalla giurisprudenza meno recente, ricomprende, invece, nell’attivo realizzato ai fini della liquidazione del compenso al curatore, sia il ricavato delle operazioni di liquidazione sia il valore dei beni inventariati, dei crediti accertati e degli incassi conseguiti dal curatore durante la sua gestione (cfr Cass. 31 maggio 1969, n. 1953; Trib. Roma 26 maggio 1983, in Giust. Civ. 1983, I, 2483; Cass. 8 novembre 1973, n. 2935. In dottrina, cfr PAJARDI, Casi clinici di diritto fallimentare, pp. 129/130). Appare utile, per completezza, esaminare l’ipotesi di chiusura del fallimento per mancanza di passivo (pur non affrontata nel decreto esaminato), ai sensi dell’art. 118 n. 1 L. F., in quanto tutte le domande di ammissione siano state rinunciate dai creditori prima della emissione del decreto di cui all’art. 97 L. F.. Sorge, infatti, in questo caso il problema dell’individuazione dei criteri in base ai quali deve farsi luogo alla liquidazione del compenso al curatore, dal momento che l’assenza di passivo esclude l’applicabilità delle percentuali di cui al 2° comma dell’art. 1 del D.M. 28 luglio 1992, n. 570; e la mancanza dell’attivo rende problematica l’applicabilità delle percentuali di cui al 1° comma dell’art. 1 dello stesso decreto. Secondo il Tribunale di Velletri 28/4/1993 (decreto), in questa ipotesi troverebbe applicazione, in via analogica, il criterio stabilito dal 2° comma dell’art. 2 del D.M. citato, il quale, con riferimento al caso in cui il fallimento si chiuda con concordato, prevede che il compenso dovuto al curatore deve essere liquidato in proporzione all’opera prestata, in modo però “da non eccedere in nessun caso le percentuali sull’ammontare dell’attivo previste dall’art. 1, 1° comma”, calcolate sull’ammontare complessivo di quanto col concordato viene attribuito ai creditori. Conclude il Tribunale che, in tale ipotesi di chiusura del fallimento (per mancanza di passivo), debbono necessariamente comprendersi nell’attivo, ai fini della liquidazione del compenso al curatore, anche i beni per i quali sia mancata “l’attività liquidativa”. Ma che, al tempo stesso, “il risultato numerico che si ottiene applicando al relativo valore le percentuali a scaglioni di cui all’art. 1, 1° comma, costituisce soltanto il limite massimo della liquidazione stessa, al di sotto del quale il compenso deve essere correttamente determinato tenendo conto dell’attività effettivamente svolta dal curatore”. L’orientamento giurisprudenziale e dottrinale prevalente non aderisce a tale impostazione ma, al contrario, come ha avuto modo di sottolineare il Tribunale di Roma in una recente pronuncia (Trib. di Roma, 23/9/1996 – decreto), abbraccia la tesi secondo la quale, anche nel caso di revoca del fallimento, ai fini della liquidazione del compenso del curatore, per attivo realizzato, si deve intendere la totalità delle somme incassate da tale organo a qualunque titolo che ne comporti la definitiva acquisizione al patrimonio fallimentare, senza che si possa, comunque, tener conto del valore dei beni inventariati e non liquidati.
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Tribunale di Roma – Sez. Fallimentare – Decreto 22 ottobre 1997 – Pres. Grimaldi A. -Rel. Norelli E. – Giudice De Virgilis G.C.-Fall. n. 53919 della Nicar di Pirrone Carmela & C. s.a.s. – Pirrone CarmelaCURATORE – ATTIVO REALIZZATO – COMPENSO DEL CURATORE Per “attivo realizzato” deve intendersi la totalità delle somme incassate dal curatore, a qualunque titolo, che ne comporti la definitiva acquisizione al patrimonio fallimentare, senza che si possa, comunque, tener conto del valore dei beni inventariati e non liquidati (1). In caso di fallimento plurimo, ossia di fallimento di una società con soci a responsabilità illimitata e di fallimento dei soci illimitatamente responsabili, rimanendo il patrimonio della società e quello dei singoli soci distinti, il compenso del curatore deve essere llquidato, distintamente, in relazione a ciascuna massa attiva ed a ciascuna massa passiva. (2) 1] Il compenso del curatore va liquidato, ai sensi dell’art. 39 L.F., secondo le norme stabilite con decreto del Ministro di grazia e giustizia. Sulla nozione di attivo realizzato ai fini del compenso del curatore di Andrea Pietrolucci Secondo il Tribunale di Roma, “per attivo realizzato deve, infatti, intendersi la totalità delle somme incassate dal curatore, a qualunque titolo che ne comporti la definitiva acquisizione al patrimonio fallimentare … senza che si possa, comunque, tener conto del valore dei beni inventariati ma non liquidati”. Concorrerebbero, quindi, a formare l’attivo ricavato sia il denaro liquido rinvenuto nella disponibilità del fallito, sia gli interessi maturati sulle somme depositate dal curatore. Ne rimarrebbero, invece, escluse le somme ricevute dal curatore per un titolo che comporti un obbligo di restituzione. L’orientamento prevalente in dottrina e in giurisprudenza è conforme alla decisione presa nel decreto in commento. La tesi che raccoglie maggior credito è, infatti, quella in virtù della quale l’espressione “attivo realizzato” – cui devono essere rapportate le percentuali stabilite dal D.M. 28 luglio 1992, n. 570, ai fini della liquidazione del compenso al curatore – comprende la liquidità comunque acquisita dalla curatela: sia essa conseguita mediante la vendita di beni mobili ed immobili, sia in altro modo: come attraverso la riscossione di crediti e l’esperimento di azioni giudiziarie (cfr Cass. 2/12/1993, n. 11952; Cass. 11/9/1993, n. 1169; Cass. 3/7/1997, n. 5978; per la dottrina, cfr ABATE, Diritto fammentare, p. 433 ss). Un diverso orientamento, condiviso sia da alcuni autori, tra cui Pajardi, che dalla giurisprudenza meno recente, ricomprende, invece, nell’attivo realizzato ai fini della liquidazione del compenso al curatore, sia il ricavato delle operazioni di liquidazione sia il valore dei beni inventariati, dei crediti accertati e degli incassi conseguiti dal curatore durante la sua gestione (cfr Cass. 31 maggio 1969, n. 1953; Trib. Roma 26 maggio 1983, in Giust. Civ. 1983, I, 2483; Cass. 8 novembre 1973, n. 2935. In dottrina, cfr PAJARDI, Casi clinici di diritto fallimentare, pp. 129/130). Appare utile, per completezza, esaminare l’ipotesi di chiusura del fallimento per mancanza di passivo (pur non affrontata nel decreto esaminato), ai sensi dell’art. 118 n. 1 L. F., in quanto tutte le domande di ammissione siano state rinunciate dai creditori prima della emissione del decreto di cui all’art. 97 L. F.. Sorge, infatti, in questo caso il problema dell’individuazione dei criteri in base ai quali deve farsi luogo alla liquidazione del compenso al curatore, dal momento che l’assenza di passivo esclude l’applicabilità delle percentuali di cui al 2° comma dell’art. 1 del D.M. 28 luglio 1992, n. 570; e la mancanza dell’attivo rende problematica l’applicabilità delle percentuali di cui al 1° comma dell’art. 1 dello stesso decreto. Secondo il Tribunale di Velletri 28/4/1993 (decreto), in questa ipotesi troverebbe applicazione, in via analogica, il criterio stabilito dal 2° comma dell’art. 2 del D.M. citato, il quale, con riferimento al caso in cui il fallimento si chiuda con concordato, prevede che il compenso dovuto al curatore deve essere liquidato in proporzione all’opera prestata, in modo però “da non eccedere in nessun caso le percentuali sull’ammontare dell’attivo previste dall’art. 1, 1° comma”, calcolate sull’ammontare complessivo di quanto col concordato viene attribuito ai creditori. Conclude il Tribunale che, in tale ipotesi di chiusura del fallimento (per mancanza di passivo), debbono necessariamente comprendersi nell’attivo, ai fini della liquidazione del compenso al curatore, anche i beni per i quali sia mancata “l’attività liquidativa”. Ma che, al tempo stesso, “il risultato numerico che si ottiene applicando al relativo valore le percentuali a scaglioni di cui all’art. 1, 1° comma, costituisce soltanto il limite massimo della liquidazione stessa, al di sotto del quale il compenso deve essere correttamente determinato tenendo conto dell’attività effettivamente svolta dal curatore”. L’orientamento giurisprudenziale e dottrinale prevalente non aderisce a tale impostazione ma, al contrario, come ha avuto modo di sottolineare il Tribunale di Roma in una recente pronuncia (Trib. di Roma, 23/9/1996 – decreto), abbraccia la tesi secondo la quale, anche nel caso di revoca del fallimento, ai fini della liquidazione del compenso del curatore, per attivo realizzato, si deve intendere la totalità delle somme incassate da tale organo a qualunque titolo che ne comporti la definitiva acquisizione al patrimonio fallimentare, senza che si possa, comunque, tener conto del valore dei beni inventariati e non liquidati.
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