GIURISPRUDENZA DI LEGITTIMITA` – GENNAIO/MARZO 99 – PAG. 41
note e dibattiti 1999 |
Cass. 2/9/1998 n. 8703 - Pres. Carbone – Est. Bonomo – BNL s.p.a. (avv. De Angelis e Caltabiano) c. Fall. Ferrara Soccorso di Brugnati Marco e C. (avv. Brabdoli)FALLIMENTO – EFFETTI SUGLI ATTI PREGIUDIZIEVOLI AI CREDITORI- AZIONE REVOCATORIA FALLIMENTARE – MEZZI ANORMALI DI PAGAMENTO -MANDATO IN REM PROPRIAM – REVOCABILITÀ – ANCHE IN RELAZIONE AD ANTICIPAZIONI FUTURE – SUSSISTENZA
FALLIMENTO – EFFETTI SUGLI ATTI PREGIUDIZIEVOLI AI CREDITORI- AZIONE REVOCATORIA FALLIMENTARE – PAGAMENTI – INTERESSI – MAGGIOR DANNO – RICONOSCIMENTO – DECORRENZA Il mandato all’incasso in rem propriam, ottenuto sia per la restituzione di somme anticipate dal mandatario prima del rilascio del mandato che per somme erogate successivamente, si configura come mezzo anormale di pagamento ogni volta che, tenuto conto del fine perseguito dai contraenti e della loro comune volontà, possa dedursi che il mandato abbia avuto una funzione prevalentemente solutoria intendendo le parti precostituire un modo atipico e non usuale di ottenere la soddisfazione di ogni futuro credito (fattispecie nella quale il mandato era stato rilasciato da una società in favore di una banca anche per anticipazioni che la banca avrebbe accordato a brevissimo tempo di distanza dal rilascio dei mandati, in forza dei quali la banca aveva riscosso i crediti da debitori del mandante utilizzandoli immediatamente per ripianare le anticipazioni concesse).[1] Sulle somme dovute in base all’accoglimento di una revocatoria fallimentare, avente per oggetto il pagamento di una somma di denaro, spettano gli interessi dalla data della domanda giudiziale, in conseguenza della natura costitutiva dell’azione, che tende a privare di efficacia un atto perfettamente valido tra le parti; può inoltre essere riconosciuto il maggior danno ex art. 1224, 2° comma, cod. civ. ove ne ricorrano i presupposti, ugualmente a partire dalla domanda, data di costituzione in mora.[2] Sulla revoca del mandato all’incasso di Mariella Roberti Il caso posto all’attenzione della corte riguardava una società che, svolgendo, tra le altre attività, servizi di autoambulanza per conto di alcune Unità Sanitarie Locali, anteriormente al fallimento, aveva usufruito, presso istituto bancario, di affidamento su conto corrente ordinario e anticipazioni su crediti verso l’USL. Poco prima del fallimento (dichiarato con sentenza del 23-26/10/1988) la banca aveva ottenuto il rientro delle esposizioni attraverso la riscossione di crediti della società fallita verso una delle USL, utilizzando sei mandati all’incasso, rilasciati, per atto notarile, tra il marzo e il luglio del 1988. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano ritenuto, accogliendo la tesi del fallimento, che i mandati all’incasso, da ritenersi mandati in rem propriam, erano stati rilasciati in funzione solutoria e in quanto tali erano qualificabili come atti estintivi di debiti pecuniari effettuati con mezzi anormali di pagamento. Il Tribunale, in particolare, aveva rilevato che il meccanismo negoziale utilizzato aveva rappresentato la precostituzione di un mezzo sicuro del mandante-creditore di ottenere il pagamento mentre la Corte d’Appello, premettendo che tra i mezzi anormali di pagamento devono ricomprendersi anche quelli in cui il versamento del denaro non assolve ad una immediata funzione solutoria, ma entra in via mediata e indiretta quale effetto finale di altri negozi, aveva assimilato il conferimento al creditore di un mandato a riscuotere crediti vantati dal debitore verso terzi alla cessione di credito, dove il medesimo scopo solutorio viene perseguito attraverso il rilascio del mandato nella forma indicata. Il giudice d’appello, applicando i principi enunciati al caso concreto, valutando complessivamente ed unitariamente il rapporto e rilevando il dato, emergente dagli atti, che i crediti riscossi dalla banca erano sempre stati utilizzati ad immediata estinzione del credito dalla stessa vantato nei confronti del mandante, aveva concluso per 1’anormalità e, quindi, la revocabilità dell’intervenuto atto estintivo. Aveva inoltre ritenuto irrilevante la posteriorità delle anticipazioni rispetto al mandato, avendo le parti inteso precostituire un modo atipico e non usuale di ottenere la soddisfazione di ogni futuro credito dando così luogo ad una convenzione evidentemente solutoria. La tesi dei giudici di primo e secondo grado era stata contestata dall’istituto bancario, ricorrente in cassazione, che aveva evidenziato come il mandato, per sè, non fosse qualificabile come mezzo anormale di pagamento atteso che, essendo intervenuto il soddisfacimento del credito vantato dal mandatario solo con l’eventuale esecuzione del mandato, l’estinzione dell’obbligazione derivava non da una riscossione o da un pagamento, ma conseguiva ad una compensazione tra il credito del mandatario per l’eventuale anticipazione e il debito dello stesso, derivante dall’esecuzione del mandato. La circostanza che le anticipazioni fossero posteriori o contestuali al mandato acquistava inoltre rilievo determinante poichè, anche a voler assimilare i mandati alla riscossione alle cessioni di credito, la contestualità del credito del cessionario nei confronti del cedente era idonea ad attribuire alla cessione stessa un’esclusiva funzione di garanzia. La corte respinge queste obiezioni aderendo alla consolidata giurisprudenza di legittimità laddove afferma che “allorquando il denaro non è strumento di immediata e diretta soluzione, ma solo un mezzo indiretto di adempimento in quanto effetto terminale di altri negozi, deve ravvisarsi un’anormalità di pagamento presupposto per la revoca di cui all’art. 67, 1° comma, n. 2 L.F.”, con la conseguente necessità che per escludere la revoca va verificato non solo “che l’estinzione del debito pecuniario scaduto ed esigibile si sia realizzata con danaro, ma che questo non sia stato corriposto al compimento di un processo satisfattorio non usuale alla stregua delle ordinarie transazioni commerciali”[1] . In giurisprudenza, con riferimento al principio espresso, sono stati ritenuti mezzi normali di pagamento oltre, ovviamente, il denaro: gli assegni, le cambiali, i vaglia cambiari e i titoli a questi equiparati. Sono stati invece ritenuti mezzi anormali di pagamento: la restituzione al venditore di merci acquistate e non pagate, eseguita dal compratore al fine di estinguere ogni pregresso rapporto[2] ovvero di estinguere un residuo debito per una parte del prezzo[3] , la stipula, tra la banca e la società correntista che già godeva di affidamenti contestualmente revocati, di un mutuo ipotecario, incorporato in un buono infruttifero ed utilizzato per estinguere i saldi debitori dei conti revocati[4] , il rilascio di una procura a vendere a tacitazione di un debito del mandatario[5] , le anticipazioni su fattura in quanto in collegamento con mandato irrevocabile alla riscossione dei crediti con facoltà di compensazione del ricavato dalla riscossione[6] e, più in generale, la cessione di crediti verso terzi operata dal correntista in favore della banca contestualmente all’apertura di credito bancario, ma al fine di ridurre una pregressa esposizione passiva di conto corrente[7] . Nell’ambito del mandato in rem propriam, negli stessi termini della sentenza ora all’esame, era stato inoltre ritenuto che “l’attribuzione di un mandato in rem propriam all’incasso di crediti nei confronti di un terzo, con il conferimento della facoltà di utilizzare le somme incassate per l’estinzione, totale o parziale, di un debito verso il mandatario, benchè non ancora sorto, anche attraverso la compensazione delle rispettive ragioni creditorie, producendo effetti sostanzialmente analoghi alla cessione di crediti, ha, oltre uno scopo di garanzia, soprattutto funzione solutoria, risolvendosi nella precostituzione di un mezzo sicuro di pagamento per il mandatario in ordine ai finanziamenti da effettuare a favore del mandante”[8] , così escludendosi, diversamente da quanto sostenuto dalla banca ricorrente nel giudizio di cui alla sentenza in esame, che la compensazione operata tra il credito, preesistente o successivo, del mandatario e il debito da lui assunto per l’incasso del credito ceduto possa configurarsi come compensazione ammissibile in sede fallimentare ai sensi dell’art. 56 L.F.. Peraltro, nel mandato in rem propriam, appare dubbia l’esclusiva revocabilità dell’atto negoziale di conferimento del mandato atteso che, rilevandosi che il mandato si differenzia dalla cessione di credito perchè nella seconda si produce l’immediato trasferimento della posizione attiva del rapporto obbligatorio ad altro soggetto che diviene l’unico legittimato a pretendere la prestazione del debitore ceduto, mentre nel primo si conferisce al mandatario solo la legittimazione alla riscossione del credito di cui resta titolare il mandante e non integrando il mandato una cessione di credito con funzione di garanzia (poichè la garanzia si realizza in forma empirica, di fatto, come conseguenza della disponibilità del credito verso il terzo), risultano autonomamente revocabili gli atti solutori conseguiti all’esecuzione del mandato, indipendentemente dalla revocabilità o meno del mandato stesso[9] . La sentenza in esame opera un’ulteriore apertura sull’assoggettabilità a revocatoria, ammettendo la revocabilità del mandato in rem propriam anche ove lo stesso risulti concluso in vista di anticipazioni future che certamente non possono ricomprendersi tra i debiti pecuniari scaduti ed esigibili indicati all’art. 67, 1° comma, n. 2. La soluzione adottata appare certamente innovativa, considerando che, precedentemente, era invece stato ritenuto che la cessione di credito effettuata in funzione solutoria è revocabile per l’anormalità del pagamento salvo che sia stata prevista come mezzo di estinzione contestuale al sorgere del debito con essa estinto[10] . La corte peraltro, pur non offrendo una specifica spiegazione sulla possibilità di sussumere le anticipazioni future nella categoria dei debiti pecuniari scaduti ed esigibili ovvero non evidenziando l’estensione dell’inefficacia rispetto al tenore letterale della disposizione, aderendo alla tesi che aveva sostenuto la corte d’appello, mette in rilievo la necessità di esaminare l’operazione nel suo complesso, rilevando che la banca avendo ottenuto, attraverso il rilascio dei mandati, la restituzione sia di somme anticipate alla società prima del rilascio dei mandati che di somme erogate dalla banca successivamente ai mandati, afferma che “lo scopo di estinguere una precedente passività come motivo ulteriore rispetto alla causa dei singoli negozi, conferisce all’intera operazione, formata dai negozi collegati, carattere anormale e qualifica anche l’atto terminale di estinzione del debito, comportando la presunzione iuris tantum di conoscenza dello stato di insolvenza”. L’affermazione viene confortata dalla corte con il richiamo a una precedente giurisprudenza[11] dove, per la verità, si avanzavano affermazioni parzialmente diverse ma dove, soprattutto, si escludeva[12] la revocabilità della cessione di credito in funzione solutoria ove fosse prevista come mezzo di estinzione contestuale al sorgere del credito. 2] La corte accoglie invece il ricorso con riferimento alle censure riguardanti l’accordata rivalutazione della somma e la decorrenza degli interessi dalla data delle singole riscossioni. La corte, sul punto, evidenzia che, attesa la natura costitutiva dell’azione revocatoria, ove la dichiarazione di inefficacia abbia per oggetto un pagamento, sono dovuti gli interessi dalla domanda giudiziale, senza esclusione del maggior danno di cui all’art. 1224, 2° comma, cod. civ. ove ne ricorrano presupposti, qualificando la domanda giudiziale come atto di costituzione in mora. La soluzione adottata che richiama, a conferma, una precedente giurisprudenza della stessa corte,[13] pur ponendosi in linea con essa nell’assegnare natura costitutiva all’azione, assimila, con una scelta che suscita perplessità, gli effetti della domanda giudiziale a quelli della costituzione in mora. Infatti, la più recente giurisprudenza di legittimità[14], nel ribadire che l’azione revocatoria va qualificata come una tipica azione costitutiva e rilevando, conseguentemente, che il diritto di credito alla restituzione di quanto versato dal fallito sorge solo per effetto della sentenza, ha affermato che l’atto, che nasce come efficace, diviene inefficace solo a seguito della verifica delle condizioni di cui all’art. 67 L.F.[15] . Nel passato non erano mancate pronunce contrarie[16] che avevano sostenuto la natura dichiarativa della sentenza e, comunque, più larga parte della giurisprudenza[17] ha ritenuto che l’obbligazione pecuniaria conseguente all’accoglimento dell’azione revocatoria fallimentare abbia natura di debito di valore, in quanto derivante da illecito, anche ove il suo oggetto sia il pagamento di una somma di denaro. Il debito che ne deriva, secondo tale tesi, sarebbe quindi soggetto alla rivalutazione monetaria, dovuta non a titolo di maggior danno ex art. 1224 cod. civ., come avviene per le obbligazioni pecuniarie, ma per assicurare la rispondenza tra valore sottratto e valore restituito nelle obbligazioni da fatto illecito. Note [1] Nello stesso senso, Cass. 8.3.1995 n. 2706 e 22.11.1996 n. 10347 citate da quella in esame, nonchè Cass. 22.11.1996 n. 10347; [2] Cosi Cass. Sez. I, 8 maggio 1992 n. 5512 [3] In tal senso Cass. Sez. I, 25.3.1994 N. 2912 [4] In tal senso Cass. Sez. I 22 novembre1996 n.10347 cit. [5] Trib. Torino 25 ottobre 1995 fall. soc. M. C. Stura c. soc. Arca [6] Trib. Pordenone 31 gennaio 1996 fall. soc. Silce c. Banca pop. Friuladria [7] Cass. Sez. I, 25.2.1993 n. 2330 [8] Cass. Sez. III, 25.7.1987 n. 6467 [9] Cass. Sez. I, 23.7.1997 n. 6882 [10]Cass. Sez. I 5.7.1997 n. 6047 [11] Cass. 13.7.1994 n. 6569; Cass. 5.7.1997 n. 6047 e 25.2.1993 n. 2330 [12]Cass. 5.7.1997 cit. [13]Cass. 23.1.1997 n. 699 [14]Cass. Sez. I, 32.1.1997 cit.; Cass. Sez. Un., 13.6.1966 n. 5443 e, precedentemente, Cass. Sez. I, 17.1.1995 n. 481; Cass. Sez. I, 15.3.1994 n. 2468; Cass. Sez. I, 4.2.1987 n. 1001 [15] In tal senso Cass. Sez. Un. cit. [16] Ad es. Cass. Sez. I, 8.3.1995 n. 2706 [17] Cass. Sez. I, 4.4.1997 n. 2936; Cass. Sez. I, 10.11.1992 n. 12091; Cass. Sez. I, 3.4.1987 n. 3227
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