INTERVENTO AL CONVEGNO 14.07.2004 SU “TRUST E PROCEDURE CONCORSUALI
Quando ho saputo che si sarebbe tenuto un convengo su Trust e procedure concorsuali e che, nel suo ambito, avrei potuto intervenire, è diventata cogente l’esigenza di un approfondimento della materia ben oltre la lettura, sulle riviste specializzate, del provvedimento con il quale il Dr. Federico Bonato, Giudice Delegato a Roma del Fallimento Officine Romanazzi s.p.a., aveva autorizzato il curatore Avv. Vincenzo Greco all’istituzione di un Trust per la gestione dei crediti erariali ed, altresì, ben oltre l’informativa che di questa iniziativa mi aveva dato lo stesso Avv. Vincenzo Greco all’epoca in cui prestavo la mia attività professionale, in tutt’altro settore, in favore del medesimo Fallimento.
L’occasione era ghiotta proprio per svolgere, finalmente, un approfondimento dell’istituto del trust del quale, da alcuni anni in qua, compare ogni tanto, sulle riviste giuridiche, notizia di una sentenza di tribunale, ma mai della Suprema Corte di Cassazione. E tra noi giuristi, si sa: finché la Cassazione non si pronuncia, si naviga fuori delle colonne d’Ercole.
Ad un primo approccio, invero, ho scoperto di essermi aiutato un pochino da solo, avendo diligentemente raccolto, in un’apposita cartellina intitolata “Trust”, proprio le sentenze di merito che avevo stratificato inciampandovi durante il quotidiano aggiornamento professionale, ma su queste sentenze ho trovato, si, un certo favore per questo istituto ed anche la ferma volontà della magistratura di superarne tutte le difficoltà di impatto con la legislazione italiana, ma, in definitiva, esse costituivano, pur sempre, uno strumento indiretto e filtrante del trust nella sua concretezza e, dalla loro lettura, ho riportato la stessa sensazione di colui che cerchi di vedere e capire il mare attraverso una fotografia.
Ci voleva qualcos’altro: un approccio diretto, un incontro ravvicinato del terzo tipo. E se a Roma vuoi incontrare il Trust, l’indirizzo lo trovi sull’Albo degli Avvocati, in corrispondenza del nome del Prof. Avv. Maurizio Lupoi.
Sono andato a trovarlo e di tanta attenzione egli mi ha compensato con due regali: un pacco infinito di carteggi, tanto grande da dover essere raccolto in un cd-rom, ed un titolo: “I trust nel diritto civile” che è la sua summa in materia, almeno fino ad oggi.
Fortunatamente sono andato in pellegrinaggio da lui con qualche giorno d’anticipo rispetto a questo nostro convegno ed ho così avuto un po’ di tempo per studiare gli atti di costituzione di trust, a cominciare da quello del Fallimento Officine Romanazzi.
Da quanto ho capito, il trust funziona così.
Previa, sempre, un’opportuna visita al Prof. Maurizio Lupoi, si va da un notaio dove, in qualità di disponente, si stila, anche unilateralmente, se si vuole, uno strumento nel quale si può, in ipotesi, dichiarare di voler trasferire ad un soggetto, persona fisica o giuridica non importa, tutto il proprio patrimonio affinché questi, denominato trustee, costituendo in trust quanto ricevuto, mantenga lo stesso disponente sua vita natural durante. Il bello di tale strumento è che il disponente può dichiarare che, quanto costituito in trust, passi in proprietà del trustee, ma che esso costituisca patrimonio segregato dello stesso trustee e, come tale, non cada in successione, resti indenne da regimi patrimoniali familiari e rimanga inaggredibile da parte dei creditori di esso disponente, dei creditori del trustee e dei creditori del beneficiario che, nell’ipotesi in discorso, è lo stesso disponente. Inoltre, per controllare che il trustee lo mantenga bene, il disponente può erigersi a guardiano o tutore del trust arrogandosi il diritto di fornire al trustee istruzioni ed indicazioni su come meglio investire i beni costituiti in trust.
Mettiamo pure che si debba passare attraverso la fastidiosa complicazione di far comparire personalmente anche il trustee dinanzi al notaio affinché partecipi alla redazione dello strumento ed esprima l’accettazione dell’incarico, con ciò permettendo che il trasferimento in proprietà dei beni costituiti in trust avvenga in modo trascrivibile nei pubblici registri: certo è, però, che disporre di un istromento come il trust, costituisce una freccia formidabile nella faretra del giurista, qualcosa che evoca le micidiali lame rotanti del Grande Mazinga.
Le potenzialità del trust sono infinite: studiando le carte che mi ha fornito il Prof. Maurizio Lupoi, l’ho visto applicato da un gruppo che voleva finanziare l’istituzione di una cattedra universitaria di pedagogia adolescenziale fornendo all’Università la provvista necessaria al pagamento degli stipendi del docente per alcuni anni, però mantenendo riservato il nome dei donatori e con il vincolo del trustee di restituire quanto ricevuto dagli offerenti, ove lo scopo non si fosse raggiunto.
L’ho visto anche applicato da due soci che, istituendo il trust e conferendogli le loro partecipazioni in una società, hanno così realizzato, mediante l’espressione del voto in assemblea da parte del comune trustee, il loro patto di sindacato.
L’ho visto ancora applicato per far pervenire ai nipoti una quota ereditaria nella sua integrità con amministrazione temporanea da parte del trustee.
L’ho visto inoltre applicato per assicurare il mantenimento e l’assistenza di un figlio disabile per il tempo successivo alla capacità dei genitori di badargli.
L’ho visto pure applicato in sostituzione di un esecutore testamentario.
Insomma l’ho visto applicato in numerosi quanto fantasiosi casi, ma non poi così numerosi come avrebbero dovuto essere in considerazione della straordinaria flessibilità dell’istituto.
Come mai, allora, mi sono domandato, il trust è ancora così poco frequentato ?
La risposta mi sembra puramente ed esclusivamente culturale.
Il trust nasce nel diritto anglosassone e, particolarmente, in quello inglese come esigenza di una gestione fiduciaria dei patrimoni di quei monarchi e di quei cavalieri dell’Isola di Albione che se ne allontanavano per aggregarsi alle crociate e, quindi, sembra un istituto tipico della legge comune, di una tradizione molto lontana dall’elaborazione del nostro diritto latino.
In realtà non è così.
Il diritto comune inglese, infatti, è diretta emanazione del diritto romano classico ed il trust non è che l’espressione della fiducia che i latini conoscevano perfettamente, ma di cui si sono persi i più intrinseci fondamenti nell’elaborazione dottrinale del diritto durante il medioevo italiano.
Lo sviluppo delle istituzioni europee ci ha consentito di recuperare quell’antico istituto: l’Italia ha aderito alla convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985 che consente l’estensione del trust a tutti i Paesi aderenti ed ha ratificato tale convenzione con la legge 16 ottobre 1989 n. 364 entrata in vigore sin dall’ormai lontano 1° gennaio 1992. Eppure, nonostante l’ascendenza del trust dal nostro diritto romano ed una legge che lo rende da tempo applicabile nel territorio della Repubblica, i casi del suo impiego sono ancora troppo scarsi rispetto alle sue potenzialità.
Intorno a questo istituto, diciamolo francamente, permane un’aura di diffidenza, anche morale: il trust sembra riservato a ricconi desiderosi di aggirare la legge. Il che è, in un certo senso, vero perché, per accedere al trust, occorre di sicuro avere un patrimonio in esubero, rispetto alle esigenze della sopravvivenza, e si deve aver bisogno di uno strumento che, seppure è ammesso nella legislazione italiana, deve necessariamente prevedere, nel suo atto istitutivo, una legge regolatrice straniera che, di solito, è quella di Paesi esotici come le Isole del Canale (Jersey), l’Isola di Man, l’Isola di Cipro, le Isole Cayman, Hong Kong … insomma, la legge regolatrice più scamuffa alla quale richiamarsi finisce con l’essere proprio la legge inglese. Questo, in un Paese come il nostro, permeato dal concetto che è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago piuttosto che un ricco entri nel regno dei cieli, non assicura certo la fortuna del trust in Italia.
Io credo, però, che si debba riprendere confidenza con questo nostro antico istituto, senza diffidare della sua, tutto sommato, recente adozione anglosassone. Del resto, anche il Commissario liquidatore del concordato preventivo, in fondo, si comporta come un trustee e quando penso alle possibili applicazioni del trust alla nostra vita economica e giuridica, mi vengono le vertigini.
Più sopra ho formulato un’ipotesi – quella del debitore che intesta tutti i suoi beni ad un trustee dal quale si farà mantenere a vita senza pagare alcun creditore – che sento intimamente come paradossale, la sento letteralmente stridere con il nostro ordinamento. Eppure, se qualcuno mi chiedesse di impugnarla … beh, io troverei molta difficoltà a trovarle il manico.
Certo ritengo che l’azione revocatoria di cui all’art. 2901 c.c. costituisce, comunque, un rimedio alla costituzione in trust di patrimoni sottratti ai creditori, ma non sarei così sicuro che una simile operazione si possa qualificare come avvenuta a titolo gratuito, come invece è stato unanimemente ritenuto per la costituzione del fondo patrimoniale. Quindi, le difficoltà per i creditori non sarebbero poche sul versante dell’onere della prova della scientia damni e del consilium fraudis, specialmente quando il trustee fosse un soggetto straniero. E poi: l’azione revocatoria si prescrive in cinque anni (art. 2903 c.c.), cosicché è pur sempre un rimedio temporaneo e da utilizzare in fretta.
Penso, allora, alle tante applicazioni che questo istituto potrebbe avere nel settore delle crisi d’impresa e a questo proposito mi viene in mente quanto il trust potrebbe giovare alla loro soluzione stragiudiziale. Ad esempio: si potrebbero rassicurare i creditori istituzionali trasferendo i proventi dell’impresa in crisi ad un trustee con l’incarico di ripartirli periodicamente fra tutti i creditori, cosicché quei fondi resterebbero insensibili all’aggressione esecutiva dei più facinorosi tra i creditori stessi, realizzandosi, così, uno dei tipici effetti del fallimento consacrati nell’art. 51 L.F., avendo, peraltro, la destinazione del trust quella del riparto tipica degli artt. 110 e segg. L.F..
Oppure penso all’istituzione di un trust i cui beni siano destinati alla garanzia dei creditori con eventuale trasferimento a loro favore in caso di mancato adempimento dell’obbligazione principale con mezzi normali, con ciò riuscendosi ad aggirare il divieto di patto commissorio.
Penso anche al trust in funzione di protezione di quei patrimoni della famiglia di fatto che non possono attingere sicurezza all’istituto del fondo patrimoniale per mancanza del coniugio e, quindi, di un certificato di matrimonio su cui trascriverlo.
Ma quali e quanti casi si possono risolvere se il giuseconomista recupererà, o meglio, acquisirà confidenza con il trust ?!
La fantasia deve cominciare a sbizzarrirsi e, se considero che il Fallimento Officine Romanazzi ha applicato il trust addirittura al recupero dei crediti tributari, delegando il trustee al relativo riparto se e quando quei crediti verranno recuperati, devo dire che abbiamo dei professionisti che, quanto a fantasia, non hanno nulla da invidiare a Walt Disney.
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