LA LEZIONE DI ELOQUENZA DI ANTONIO
Dal “Giulio Cesare” – Atto III° Scena II°
Roma. Il Foro, gremito di cittadini che hanno appena ascoltato il discorso di Bruto. Entrano Antonio ed altri col corpo di Cesare.
Bruto: Ecco che giunge il suo corpo, pianto da Marc’Antonio, il quale, benché nessuna parte abbia avuto nella sua morte, ne riceverà il benefizio, un posto nella repubblica; e chi di voi non riceverà altrettanto? Con questo io parto, ché, come io uccisi il mio miglior amico per il bene di Roma, ho lo stesso pugnale per me stesso, quando piacerà alla mia patria di aver bisogno della mia morte.
Tutti: Vivi, Bruto! vivi, vivi!
1 ° citt. Portatelo in trionfo alla sua casa.
2° citt. Dategli una statua con i suoi antenati.
3 ° citt. Sia egli Cesare!
4° citt . Le migliori qualità di Cesare saranno coronate in Bruto… (omissis)
1 ° citt. …Fermi, oh! Udiamo Marc’Antonio.
2° citt. Che salga sulla pubblica cattedra, l’udremo. Nobile Antonio, sali… (omissis)
2° citt. …Silenzio! Udiamo ciò che Antonio può dire.
Antonio: O voi gentili Romani…
1 ° citt. Silenzio, oh! Udiamolo.
Antonio: Amici, Romani, compatrioti, prestatemi orecchio: io vengo a seppellire Cesare, non a lodarlo. Il male che gli uomini fanno sopravvive loro; il bene è spesso sepolto con le loro ossa e così sia di Cesare.
Il nobile Bruto v’ha detto che Cesare era ambizioso: se così era, fu un ben grave difetto: e gravemente Cesare ne ha pagato il fio. Qui, col permesso di Bruto e degli altri – ché Bruto è uomo d’onore; così sono tutti, tutti uomini d’onore – io vengo a parlare al funerale di Cesare. Egli fu mio amico, fedele e giusto verso di me: ma Bruto dice che fu ambizioso; e Bruto è uomo d’onore. Molti prigionieri egli ha riportato a Roma, il prezzo del cui riscatto ha riempito il pubblico tesoro: sembrò questo atto ambizioso in Cesare? Quando i poveri hanno pianto, Cesare ha lacrimato: l’ambizione dovrebbe essere fatta di più rude stoffa, eppure Bruto dice ch’egli fu ambizioso, e Bruto è uomo d’onore. Tutti vedeste come al Lupercale tre volte gli presentai una corona di re ch’egli tre volte rifiutò: fu questo atto di ambizione? Eppure Bruto dice ch’egli fu ambizioso; e, invero, Bruto è uomo d’onore. Non parlo, no, per smentire ciò che Bruto disse, ma qui io sono per dire ciò che io so. Tutti lo amaste una volta, né senza ragione: qual ragione vi trattiene dunque dal piangerlo? O senno, tu sei fuggito tra gli animali bruti e gli uomini hanno perduto la ragione. Scusatemi, il mio cuore giace là nella bara con Cesare e debbo tacere sinché non ritorni a me.
La tradizione vuole che sulla sommità del piramidion dell’obelisco Vaticano brillasse una sfera di bronzo, oggi conservata in Campidoglio, dove furono sacralmente riposte le ceneri di Giulio Cesare.
1 o citt. Mi pare che vi sia molta ragione nelle sue parole.
2° citt. Se tu consideri bene la cosa, a Cesare è stato fatto gran torto.
3 ° citt. Vi sembra, signori? Temo che uno peggiore di lui verrà al suo posto.
4° citt. Avete notato le sue parole? Non volle accettare la corona: è quindi certo che non era ambizioso… (omissis)
Antonio: Pur ieri la parola di Cesare avrebbe potuto opporsi al mondo intero: ora egli giace là, e non v’è alcuno, per quanto basso, che gli renda onore. O signori, se io fossi disposto ad eccitarvi il cuore e la mente alla ribellione ed al furore, farei un torto a Bruto e un torto a Cassio, i quali, lo sapete tutti, sono uomini d’onore: e non voglio far loro torto: preferisco piuttosto far torto al defunto, far torto a me stesso e a voi, che far torto a sì onorata gente. Ma qui c’è una pergamena col sigillo di Cesare – l’ho trovata nel suo studio -, è il suo testamento: che i popolani odano soltanto questo testamento, che, perdonatemi, io non intendo di leggere, e andrebbero a baciar le ferite del morto Cesare ed immergerebbero i loro lini nel sacro sangue di lui; anzi, chiederebbero un capello per ricordo e morendo, ne farebbero menzione nel loro testamento, lasciandolo, ricco legato, alla prole.
Antonio: Pazienza, gentili amici, non debbo leggerlo, non è bene che voi sappiate quanto Cesare vi amò. Non siete di legno, non siete di pietra, ma uomini, ed essendo uomini e udendo il testamento di Cesare, esso v’infiammerebbe, vi farebbe impazzire: è bene non sappiate che siete i suoi eredi; ché, se lo sapeste, oh, che ne seguirebbe!…
(omissis)
Antonio: M’obbligate dunque a leggere il testamento? E allora fate cerchio attorno al corpo di Cesare e lasciate che io vi mostri colui che fece il testamento. Debbo scendere? E me lo permettete?
(omissis)
Questo fu il più crudele colpo di tutti, perché quando il nobile Cesare lo vide che feriva, l’ingratitudine, più forte delle braccia dei traditori, completamente lo sopraffece: allora si spezzò il suo gran cuore e, nascondendo il volto nel mantello, proprio alla base della statua di Pompeo, che tutto il tempo s’irrorava di sangue, il gran Cesare cadde. Oh, qual caduta fu quella, miei compatrioti! Allora io e voi, e tutti noi cademmo, mentre il sanguinoso tradimento trionfava sopra di noi. Oh, ora voi piangete; e, m’accorgo, voi sentite il morso della pietà: queste son generose gocce. Anime gentili, come? piangete quando non vedete ferita che la veste di Cesare? Guardate qui, eccolo lui stesso, straziato, come vedete, dai traditori…
(omissis)
1 ° citt. Vendetta! Attorno! Cercate! Bruciate! Incendiate! Uccidete! Trucidate! Non lasciate vivo un solo traditore!
‘Bruceremo il suo corpo nel luogo santo…” dice ancora il primo zittadino alla fine dell’arringa di Antonio nel capolavoro di Shakespeare.
Nel “Libro Imperiale”, testo medioevale citato da Arturo Graf, nell’opera “Roma nel medioevo”, così si racconta a proposito della
cremazione di Cesare: “I pontefici de’ tenpii presono quello chorpo e posollo sopra gientilissime legne, fra quali missono pietre psetio-se et / sechondo costhume antico arsono quello nobJissitnó chorpo… fatto questo tolsono una gran palla di-glosso metallo nella quale missono quella chassett_a di.eteneri..’ si la puosono in sun una lunga pietra et alt4¢ht1tó¢ei si chiama la eullia di Santo Pietro…”
Nota: pubblicato su “La rivista dei Curatori Fallimentari” ottobre/dicembre 1966
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