IL PROCESSO
Di Franz Kafka
CAP VII° Avvocato - Industriale – Pittore. Nell’opera incompiuta di Franz
Kafka, pubblicata postuma
nel 1926, il pittore Titorelli prospetta |
Una mattina, al suo
risveglio, Josef K. riceve la notifica del suo
arresto "senza che abbia
fatto
niente di male". Tuttavia viene istruito un
processo durante le fasi del quale il reato
commesso
non sarà mai esplicitato.
Dopo l’arresto K. reagisce ancorandosi alla
certezza razionale della propria innocenza. Per
K. la colpa è solo
qualcosa di definibile in base ad un ordinamento normativo preciso, ma
nello
snodarsi della vicenda egli finirà col sentirsi effettivamente colpevole, e ciò
lo porterà
a
non opporsi alla ineluttabile condanna finale. Ma qual è dunque la colpa di K.?
Essa consiste proprio in questo assetto
razionale, nel voler comprende- re logicamente le
ragioni
del processo, avendo perso il senso profondo della vita e del mondo,
abbandonando,
con
il risveglio, i propri sogni.
Ne
"La metamorfosi" (1912) Kafka ci aveva
prospettato l’idea della trasformazione
mostruosa
cui un essere umano può andare incontro svegliandosi e separandosi da sogni
agitati. L’idea-chiave del racconto è che la
coscienza che compare con la veglia ci
trasforma
in enormi insetti immondi. E’ la ragione che, per avere la percezione esatta e il
pensiero
lucido dimentica, nega e abbandona nel nulla il pensiero inconscio del sonno.
La colpa di Gregor Samsa è di aver abbandonato l’inconscio e i sogni, la colpa
di Josef K. è
di
voler comprendere il mondo mediante le categorie della ragione cosciente,
anch’egli
trascurando
le intuizioni dell’inconscio.
La crisi che Kafka
rappresenta è il dramma dell’uomo contemporaneo schiavo del lavoro,
estraneo
a se stesso e ai propri sogni, condannato quindi all’isolamento e
all’incomunicabilità
nel momento in cui abbandoni la propria realtà interiore.
Il pittore aveva tirato la sua sedia più vicino al
letto e continuò a voce bassa: "Ho dimenticato di
chiederle
prima di tutto che tipo di liberazione lei preferisce. Ci sono tre possibilità,
e cioè la
assoluzione
reale, l’assoluzione apparente e la procrastinazione. L’assoluzione reale
naturalmente è
la
cosa migliore, solo che io non ho il minimo influsso su questo tipo di
soluzione. A mio parere
non
c’è una sola persona che abbia influsso sull’assoluzione reale. La cosa
decisiva in questo caso
è
probabilmente solo l’innocenza dell’imputato. Poiché lei è innocente, potrebbe veramente
affidarsi
soltanto alla sua innocenza. Allora però lei non ha bisogno né del mio aiuto né
di quello di
nessun’altro". Questa
esposizione ordinata dapprima stupì K., poi però disse
a voce bassa come il
pittore:
"Mi sembra che lei si contraddica". "E perché?", chiese il
pittore pazientemente,
appoggiandosi
all’indietro con un sorriso. Quel sorriso risvegliò in K. il sentimento che l’importante
ora
fosse non scoprire contraddizioni nelle parole del pittore, ma nello stesso
procedimento
giudiziario. Tuttavia non si tirò indietro e
disse: "Poco fa ha osservato che il tribunale è
inaccessibile
alle prove, poi ha limitato questo al tribunale pubblico, e adesso dice
addirittura che
chi
è innocente non ha bisogno di alcun aiuto davanti al tribunale. Già qui c’è una
contraddizione.
Inoltre però lei ha detto prima che si possono influenzare personalmente, ma ora nega che
l’assoluzione
reale, come lei le chiama, si possa ottenere atraverso
influenze personali. Qui sta la
seconda
contraddizione" . "Queste contraddizioni si possono spiegare
facilmente", disse il
pittore."Qui si parla di due cose diverse, di
quello che sta scritto nella legge e di quello che io ho
imparato
personalmente: lei non deve confondere. Nella legge, che del resto io non ho
letto, sta
scritto
naturalmente da una parte che l’innocente deve essere assolto, ma d’altra parte
non c’è
scritto
che i giudici possono essere influenzati. Ma io per esperienza ho imparato
proprio il
contrario. Non so di nessuna assoluzione
reale, ma conosco molte influenze esercitate. È
naturalmente
possibile che in tutti i casi che io ho conosciuto non ci fosse neanche un
innocente.
Ma
non le sembra inverosimile? In tutti i casi neanche un innocente! Già da
bambino ascoltavo
attentamente
mio padre quando a casa raccontava di processi, anche i giudici che venivano
nel suo
studio
parlavano del tribunale, nel nostro ambiente non si parla d’altro; appena ebbi
la possibilità
di
andare di persona in tribunale ne approfittai, ho alscoltato
innumerevoli processi in fasi
importanti,
li ho seguiti fin dove sono visibili e - lo devo ammettere, non ho mai visto un
solo caso
di
assoluzione reale". "Neanche un’assoluzione, dunque", disse K., come se parlasse a se stesso e
alle
sue speranze."Questo dunque conferma l’opinione che io già avevo del
tribunale. Anche da
questo
lato dunque è inutile. Un boia da solo potrebbe sostituire l’intero
tribunale". "Lei non deve
generalizzare",
disse il pittore scontento. "Mi sembra che questo basti",
disse K., "Oppure lei ha
sentito
di assoluzioni in tempi precedenti?" "Queste assoluzioni"
rispose il pittore "devono esserci
state
sicuramente. Tuttavia è molto difficile stabilirlo. Le
sentenze finali del tribunale non vengono
pubblicate,
non sono accessibili neppure ai giudici, per questo sugli antichi casi
giudiziari si sono
conservate
solo leggende. Queste contengono tuttavia, nella maggior parte dei casi, assoluzioni
reali:
ci si può credere, ma non offrono delle prove. Ciò nonostante non si possono
trascurare del
tutto,
certamente contengono una parte di verità, e sono anche molto belle: io stesso
ho dipinto
alcuni
quadri che hanno per argomento queste leggende". "Le semplici
leggende non cambiano la
mia
opinione", disse K., "davanti al tribunale non ci si può certo
richiamare a queste leggende,
vero?"
Il pittore rise. "No, non si può", disse. "Allora è inutile
parlarne", disse K.; per il momento
voleva
accogliere tutte le opinioni del pittore, anche quando le riteneva inverosimili
o in contrasto
con
altre notizie. Ora non aveva il tempo di verificare o di rifiutare tutto quello
che il pittore diceva,
aveva
già ottenuto il massimo se riusciva ad indurre il pittore ad aiutarlo in
qualche modo, anche
non
decisivo. Per questo disse: "A prescindere dunque dall’assoluzione reale,
lei prima però ha
parlato
di altre due possibilità". "L’assoluzione apparente e il rinvio. Può
trattarsi solo di queste."
(...)
"Sta a lei scegliere tra queste. Con il mio
aiuto può ottenere entrambe, naturalmente non senza
fatica;
la differenza al riguardo è che l’assoluzione apparente richiede uno sforzo
concentrato e
temporaneo,
la procrastinazione uno molto minore ma continuato. Iniziamo dall’assoluzione
apparente. Se lei sceglie questa, io scrivo su un
foglio di carta una attestazione della sua innocenza.
Il testo per una dichiarazione di questo genere mi
è stato tramandato da mio padre ed è del tutto
ineccepibile.
Con questa dichiarazione io farò un giro presso i giudici che conosco.
Comincerò, ad
esempio
a presentare la dichiarazione al giudice che dipingo adesso, questa sera, quando
viene per
la
seduta. Gli faccio vedere la dichiarazione, gli spiego che lei è innocente e
garantisco per la sua
innocenza. Non si tratta però di una garanzia
esteriore, ma reale e vincolante". Nello sguardo del
pittore
c’era come un rimprovero perché K. voleva imporgli il peso di una simile
garanzia. "Questo
sarebbe
molto gentile", disse K., "E il giudice le crederebbe e tuttavia non
mi assolverebbe del
tutto?"
"Gliel’ho già detto", rispose il pittore, "d’altra parte non è affatto
sicuro che chiunque mi
crederebbe,
alcuni giudici chiederanno ad esempio che io la porti là di persona. Allora
dovrebbe
venire
anche lei. In questo caso tuttavia la causa è già vinta per metà, specie perché
naturalmente
io
prima la istruirei con precisione su quale atteggiamento tenere davanti ad un
giudice simile. È più
difficile
con i giudici che mi respingono fin dal principio - succederà anche questo. A
questi, anche
se
io certamente non rinuncerò a fare molti tentativi, dovremo rinunciare, ma potremo
anche farlo,
perché
i singoli giudici non possono avere un peso decisivo. Quando
avrò raccolto sotto la mia
dichiarazione
un numero sufficiente di firme di giudici andrò dal giudice che conduce proprio
il suo
processo. È possibile che io abbia pure la sua
firma, e allora la cosa va avanti un po’ più veloce
che
in caso contrario. In generale però a questo punto non ci sono più molti
ostacoli: per
l’imputato
è il momento della maggiore fiducia. Strano ma vero, a questo punto la gente è più
fiduciosa
che dopo l’assoluzione.
Ora non occorre più darsi molto da fare. Il
giudice, con la sua dichiarazione, ha la garanzia di un
certo
numero di giudici, la può rilasciare senza timore e lo farà senza dubbio, dopo
aver però
espletato
varie formalità, per fare un piacere a me e ad altri conoscenti. Ma lei allora esce dal
tribunale
ed è libero". "Quindi sono libero",
disse K. esitante. "Sí", disse il pittore,
"solo
apparentemente
libero, o per meglio dire, temporaneamente libero. Infatti
i giudici inferiori tra i
quali
appartengono le mie conoscenze, non hanno diritto di assolvere definitivamente,
questo
diritto
ce l’ha solo il tribunale supremo, irraggiungibile per lei, per me, per noi
tutti. Come sia fatto
non
lo sappiamo e, tra parentesi, non vogliamo neppure saperlo. Il grande diritto di liberare
dall’accusa
dunque i nostri giudici non ce l’hanno, ma hanno il diritto di sciogliere
dall’accusa; cioè,
quando
lei viene assolto in questo modo, per il momento è sottratto all’accusa, ma
questa continua
a
pendere sopra di lei e può rientrare in vigore non appena arriva un ordine
superiore. Poiché sono
in
così buoni rapporti con il tribunale, posso anche dirle che nei regolamenti
degli uffici del tribunale
la
differenza tra l’assoluzione reale e quella apparente è definita solo in modo
esteriore, in una
assoluzione
reale tutti gli atti del processo devono essere distrutti scompaiono tutti dal
procedimento:
non solo l’accusa, ma anche il processo e persino l’assoluzione vengono
distrutti,
tutto
viene distrutto. Per l’assoluzione apparente è diverso: con questo
atto non è avvenuto nessun
cambiamento,
esso è stato solo arricchito dalla dichiarazione di innocenza, dall’assoluzione
e dalla
motivazione
dell’assoluzione. Ma per il resto rimane attivo: come esige
il movimento ininterrotto
degli
uffici del tribunale, viene trasmesso ai tribunali superiori, ritorna a quelli
inferiori e continua ad
oscillare
con curve più o meno ampie, con pause più o meno lunghe. Queste strade sono
imprevedibili. Visto da fuori, si può avere
l’impressione che tutto sia stato dimenticato già da molto
tempo,
che l’atto sia perduto e l’assoluzione sia perfetta. Un iniziato però non lo
crederà. Nessun
atto
va perduto, il tribunale non dimentica nulla. Un giorno - nessuno se lo aspetta
- un giudice
qualsiasi
prende in mano l’atto con maggiore attenzione, si accorge che in quel caso
l’accusa è
ancora
valida e ordina l’arresto immediato. Qui ho supposto che tra l’assoluzione
apparente e il
nuovo
arresto trascorra molto tempo: questo è possibile, e personalmente so di questi
casi, ma è
anche
possibile che chi ha avuto un’assoluzione apparente torni a casa e trovi già
chi lo aspetta per
arrestarlo
di nuovo. Allora naturalmente, la vita libera è finita". "E il
processo ricomincia da
capo?",
chiese K. quasi incredulo. "Certo", disse il pittore, "il
processo ricomincia da capo, ma
c’è
di nuovo la possibilità, come prima, di ottenere un’assoluzione apparente.
Bisogna riunire di
nuovo
tutte le proprie forze e non darsi per vinti". Il pittore disse forse le
ultime parole per
l’impressione
che gli faceva K., che si era un poco abbattuto. "Ma
ottenere una seconda
assoluzione
apparente", chiese K. come per prevenire altre rivelazioni del pittore,
"non è ancora
più
difficile della prima?"
"A questo riguardo", rispose il pittore,"non si può dire nulla di preciso. Lei ritiene che il
secondo
arresto
influenzi l’opinione dei giudici ai danni dell’imputato? Non è così. Già
dall’assoluzione i
giudici
hanno previsto questo arresto. Questo fatto dunque non ha quasi nessuna influenza. Ma per
altre
innumerevoli ragioni può darsi che l’umore dei giudici e anche la valutazione
giuridica del caso
siano
cambiati, e i tentativi di ottenere la seconda assoluzione devono quindi
adeguarsi alle mutate
circostanze
e in generale essere altrettanto energici che quello per la prima
assoluzione". Ma
neanche
questa seconda assoluzione è definitiva", disse K. girando riluttante la
testa.
"Naturalmente no", disse
il pittore, "alla seconda assoluzione segue il terzo arresto e così
via. Tutto
ciò
è insito nel concetto di assoluzione apparente". K. taceva.
"Evidentemente l’assoluzione
apparente
non le sembra vantaggiosa", disse il pittore, "Forse la
procrastinazione le si adatta
meglio. Devo spiegare la natura della
procrastinazione?" K. annuì. Il pittore si era buttato
all’indietro
sulla sedia: la camicia da notte era aperta, aveva infilato dentro una mano e
si
accarezzava
il petto e i fianchi. "La procrastinazione", disse il pittore
guardando un momento
davanti
a sé, come cercando una spiegazione assolutamente giusta, "la
procrastinazione consiste
nel
fatto che si continua a tenere il processo nel suo stadio più basso. Per
ottenere questo è
necessario
che l’accusato e il suo aiutante, ma soprattutto l’aiutante, rimangano senza
interruzione
in
contatto personale col tribunale. In questo caso, lo ripeto, non è necessario
un dispendio di
forze
come per l’assoluzione apparente, ma è necessaria un’attenzione molto maggiore.
Non
bisogna
mai perdere di vista il processo, bisogna andare dal giudice competente ad
intervalli
regolari
ed anche in occasioni particolari, e cercare in questo modo di mantenerselo
favorevole; se
non
si conosce personalmente il giudice, bisogna farlo influenzare da giudici
conosciuti, senza
tuttavia
rinunciare per questo ai colloqui diretti. Se non si trascura nulla da questo
punto di vista, si
potrà
supporre con sufficiente certezza che il processo non supererà il suo primo
stadio. Il
processo
in realtà non finisce, ma l’imputato è sicuro di non essere condannato, quasi
come se
fosse
in libertà. Rispetto all’assoluzione apparente la procrastinazione ha il
vantaggio che il futuro
dell’imputato
è meno incerto, è posto al riparo dal timore di arresti improvvisi e non deve
temere
di
addossarsi le fatiche e le emozioni che sono legate al raggiungimento
dell’assoluzione apparente,
soprattutto
in momenti in cui le altre circostanze sono meno favorevoli per questo.
Tuttavia anche
la
procrastinazione ha alcuni svantaggi per l’imputato, che non bisogna
sottovalutare. Non mi
riferisco
al fatto che in questo caso l’imputato non è mai libero, neanche con
l’assoluzione
apparente
lo è propriamente mai. Lo svantaggio è un’altro. Il processo non può
arrestarsi, senza
che
ci siano per questo motivi almeno apparenti. Quindi
nel processo, esteriormente, deve
succedere
qualcosa. Di tanto in tanto, quindi, devono essere presi certi provvedimenti,
l’imputato
deve
essere interrogato, devono essere fatte indagini e così via. Il processo deve
continuare a
girare
nella piccola cerchia alla quale è stato di proposito limitato. Questo
naturalmente porta con
sé
dei fastidi per l’imputato, ma non bisogna immaginarseli troppo gravi. Tutto è
solo esteriore, gli
interrogatori
per esempio sono brevissimi, se uno non ha voglia o tempo di andarci si può
addurre
una
giustificazione; con certi giudici si possono perfino stabilire insieme le
deposizioni con grande
anticipo:
in sostanza si tratta soltanto di presentarsi di tanto in tanto dal proprio
giudice, visto che si
è
imputati". Già durante le ultime parole K. si era messo la giacca sul
braccio e si era alzato. (...)
"Vuole già andare via?", chiese il
pittore, che si era alzato a sua volta. "È certo l’aria a cacciarla di
qui. Mi dispiace molto. Avrei ancora qualcosa da
dirle. Ho dovuto essere molto breve. Spero
però
di essere stato chiaro". "Oh, sí",
disse K. che aveva mal di testa per lo sforzo che aveva
compiuto
per ascoltare. Nonostante questa conferma il pittore disse, riassumendo ancora una
volta
tutto come se volesse consolare K. sul cammino verso casa: "Entrambi i
metodi hanno in
comune
il fatto che impediscono la condanna dell’imputato". "Però impediscono anche
l’assoluzione
reale", disse K. piano come se si vergognasse di averlo scoperto.
"Lei ha colto il
nocciolo
della questione", disse in fretta il pittore. K.
posò la mano sul cappotto, ma non riuscì
neppure
a decidersi a indossare la giacca. Avrebbe preferito fare un fagotto di tutto e
correre con
quello all’aria aperta.
Nota: pubblicato su "La rivista dei Curatori Fallimentari" ottobre/dicembre 1997