Quesito: se volessi comprare una casa, ma mio padre ha una procedura fallimentare aperta da anni, correrei dei rischi quale futuro erede?
Risale alla
notte dei tempi la questione concernente il ricadere sui figli delle colpe
dei padri, ma già il diritto più antico ha fissato i meccanismi
per mantenere separati i due patrimoni: quello del figlio e quello del
genitore che passa a miglior vita. Il meccanismo per ottenere questa separazione,
però, richiede il rigoroso rispetto di uno speciale procedimento
che il codice civile disciplina a partire dall’art. 484. Per ottenere la
separazione del proprio patrimonio, infatti, l’erede deve formalmente dichiarare
di accettare l’eredità con il beneficio d’inventario ed attenersi
scrupolosamente alle regole che la legge prevede perché non solo
questa forma di accettazione venga inizialmente dichiarata, ma anche successivamente
mantenuta.
Prima di accennare
alle regole che presiedono all’istituto dell’accettazione dell’eredità
con il beneficio d’inventario, appare utile spendere alcune considerazioni
sulle correlazioni tra il fallimento e l’eredità.
L’art. 12
del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (cosiddetta Legge Fallimentare – L.F.),
stabilisce che: “1. Se l’imprenditore muore dopo la dichiarazione di fallimento,
la procedura prosegue nei confronti degli eredi, anche se hanno accettato
l’eredità con beneficio di inventario. / 2. Se ci sono più
eredi, la procedura prosegue in confronto di quello che è designato
come rappresentante. In mancanza di accordo nella designazione del rappresentante
entro quindici giorni dalla morte del fallito, la designazione è
fatta dal giudice delegato. / 3. Nel caso previsto dall’art. 528
del codice civile, la procedura segue in confronto del curatore dell’eredità
giacente e nel caso previsto dall’art. 641 del codice civile nei
confronti dell’amministratore nominato a norma dell’art. 642 dello
stesso codice.”.
Si tratta
di una norma molto chiara, di carattere puramente organizzativo nell’ambito
del processo fallimentare per raggiungere lo scopo della prosecuzione del
fallimento nei confronti di un sostituto monocratico, rappresentante del
fallito defunto. La giurisprudenza esclude che tale rappresentante possa
essere indicato, dagli eredi, in un soggetto estraneo al loro ambito, restando
invece tale facoltà riservata alla scelta del giudice delegato (Trib.
Roma 03.05.1996 in Giur. Merito 1996, I, 645).
La norma è
chiarissima anche nell’affermare che il fallimento prosegue nei confronti
degli eredi che abbiano accettato l’eredità, anche se l’abbiano
accettata con beneficio d’inventario. Gli eredi, tuttavia, non subentreranno
al posto del fallito quali responsabili di eventuali reati fallimentari,
perché, come è noto, la responsabilità penale è
personale e non si trasmette a nessun altro (art. 27 della Costituzione).
I modi di
accettazione dell’eredità previsti dal vigente codice civile, sono
due: pura e semplice o con beneficio di inventario (art. 470 c.c.).
A sua volta,
l’accettazione pura e semplice può essere di due tipi: espressa
(art. 475 c.c.) o tacita (art. 476 c.c.). E’ espressa l’accettazione dell’eredità
che risulti da atto pubblico o scrittura privata, oppure taluno, in questi
documenti, vi abbia assunto la qualifica di erede. In breve, se in una
lettera qualsiasi, un chiamato all’eredità si qualifica “erede”
del de cuius, si è in presenza di un’accettazione espressa dell’eredità.
E’ tacita, invece, l’accettazione dell’eredità che risulti dal compimento
di un atto che presupponga necessariamente la volontà di accettare
l’eredità e che non si avrebbe diritto di compiere se non in qualità
di erede. In breve, colui che vende, dona o cede beni compresi nell’eredità,
pone in essere atti che presuppongono la sua accettazione pura e semplice.
Non esiste
l’accettazione tacita dell’eredità con beneficio d’inventario. Quest’ultima
presuppone sempre una dichiarazione prestata in forma solenne.
L’accettazione
dell’eredità pura e semplice, sia tacita che espressa, non si può
fare parzialmente: l’eredità si accetta nella sua completezza. Quindi,
con l’accettazione pura e semplice, passano all’erede sia l’attivo che
il passivo ereditario ed è per questo che il tema qui affrontato
è così delicato. Esiste, infatti, un sottilissimo crinale
sul quale il chiamato all’eredità cammina e sono sufficienti semplici
comportamenti per determinare l’accettazione tacita di essa, che, essendo
sempre pura e semplice, comporta la conseguenza di mischiare il patrimonio
del defunto (magari pesantemente indebitato, se non addirittura gravato
dal fallimento), con quello del chiamato all’eredità (magari florido
e capace di far fronte a tutti i debiti del de cuius). Di qui l’interesse
dei creditori del trapassato (o del curatore, nel caso di fallimento del
de cuius) ad individuare, nel chiamato all’eredità, uno o più
comportamenti che valgano a farlo cadere nell’accettazione tacita dell’eredità,
permettendo, così, di aggredire il suo patrimonio per soddisfare
i debiti del de cuius.
Si deve aggiungere
che la marcia del chiamato all’eredità sul sottile crinale dell’accettazione
tacita, può anche essere molto lungo e, in caso di inerzia, potrebbe
anche premiare il creditore paziente: infatti, il diritto ad accettare
l’eredità, si prescrive in dieci anni dall’apertura della successione
(art. 480 c.c.). Il creditore impaziente, tuttavia, come qualunque altro
interessato, può anticipatamente chiedere al giudice di fissare
un termine entro il quale il chiamato debba dichiarare se accetta o rinunzia
all’eredità.
Il chiamato
all’eredità che nutra perplessità sull’ampiezza del passivo
di un’eredità, è sempre bene che l’accetti con beneficio
di inventario. In caso di rinunzia, infatti, la sua posizione passa ai
suoi eredi (generalmente ai suoi figli) e, quindi, il problema, in tal
modo, si ripropone per la prole.
Il rito dell’accettazione
dell’eredità con beneficio d’inventario è previsto a partire
dall’art. 484 c.c.. Si inizia con una dichiarazione ricevuta da un
notaio, o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è
aperta la successione, che viene inserita nel registro delle successioni
del medesimo tribunale nonché trascritta, entro un mese, nei pubblici
registri immobiliari (purtroppo tale termine non viene mai rispettato dalla
burocrazia). Detta dichiarazione deve essere preceduta o seguita dall’inventario
redatto nelle forme previste dal codice di procedura civile e, quindi,
con l’assistenza del cancelliere o di un notaio designato dal tribunale.
Una serie
di regole stabilisce quando, colui che ha accettato l’eredità con
beneficio d’inventario, decade da tale beneficio e viene quindi considerato
erede puro e semplice. Ricorre più frequentemente tale ipotesi:
quando il chiamato, che è a qualsiasi titolo nel possesso dei beni
ereditari, non completi l’inventario entro tre mesi dall’apertura della
successione (art. 485 c.c. - è prevista la possibilità di
una proroga non superiore a tre mesi concessa dall’autorità giudiziaria);
quando aliena, dà in pegno o ipoteca i beni compresi nell’eredità,
ovvero transige relativamente a questi beni senza autorizzazione giudiziaria
(art. 493 c.c.); quando omette, in mala fede, di denunziare nell’inventario
beni appartenenti all’eredità, ovvero vi immette passività
inesistenti (art. 494 c.c.).
L’effetto
dell’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario è,
a termini dell’art. 490 c.c., quello di tenere distinto il patrimonio del
defunto da quello dell’erede.
L’inventario
prevederà sia la descrizione dell’attivo (beni, diritti di credito,
etc.), sia la descrizione del passivo (elenco dei creditori) con l’indicazione
dei vari diritti di prelazione. Detto inventario verrà depositato
presso il registro delle successioni tenuto dal tribunale e, se nessuno
farà opposizione, si procederà alla liquidazione dell’attivo
ereditario, facendosi autorizzare dall’autorità giudiziaria le alienazioni
necessarie al soddisfacimento dei creditori (art. 499 c.c.).
Esaurito l’asse
ereditario, i creditori rimasti insoddisfatti avranno soltanto diritto
di regresso contro i legatari nei limiti del valore dei legati, ma tale
diritto si prescriverà in tre anni dal giorno dell’ultimo pagamento
avvenuto con la liquidazione dell’asse ereditario (art. 495 c.c.).