L' ACQUISTO DI CASA IN COOPERATIVA
Quesito:
Un mio amico ha recentemente acquistato
un alloggio in cooperativa con assegnazione definiva al socio. Nell’atto di
parla di trasferimento di proprietà superficiaria. Domanda: è possibile
trasferire il bene prima dei cinque anni dall’assegnazione previsti dalla
legge? Se si, il terzo acquirente subentra nella qualità di socio assumendone
diritti e obblighi nei confronti della cooperativa?
La
risposta al quesito impone il richiamo della specifica normativa sull’edilizia
pubblica che si realizza, spesso, attraverso le cooperative ed in particolare
della fondamentale Legge 22.10.1971 n. 865 dedicata ai programmi ed al
coordinamento dell’edilizia residenziale pubblica ed alle norme
sull’espropriazione per pubblica utilità per dare seguito ed attuazione al favor
costituzionale accordato al diritto all’abitazione.
Gli
elementi fondamentali di tale legge riguardano i problemi di pianificazione del
territorio con l’ampliamento delle possibilità di intervento dei Comuni
consentendo l’espropriazione delle aree – edificate e non – per la
formazione dei “piani di edificazione economica e popolare” (PEEP) e dei
“piani per gli insediamenti produttivi” (PIP). La caratteristica di detta
legge era quella di prevedere un’innovativa ed estesa introduzione del diritto
di superficie previsto dal codice civile nel senso di permettere, in tal modo,
la proprietà del fabbricato edificato su un fondo ad un titolare mantenendo la
proprietà del terreno all’ente pubblico espropriante. In tal modo si mirava
ad aumentare lo spazio a disposizione dell’edilizia pubblica nell’intento di
ridurre il peso della speculazione fondiaria.
L’indennità
di espropriazione veniva riferita non più al valore di mercato delle aree, ma
al loro valore intrinseco che, nelle aree esterne ai centri edificati, veniva
rapportato al valore agricolo medio corrispondente alle colture in atto
nell’area da espropriare con un raddoppio solo a favore del proprietario
coltivare diretto. Invece, nelle aree comprese nei contri edificati e nelle zone
delimitate come centri storici, veniva assunto come base il valore agricolo
medio della coltura più redditizia fra quelle praticate nell’intera regione
agraria con un moltiplicatore da 1 a 5 per tenere conto dell’andamento di
mercato delle aree stesse.
In
breve: la nuova legge 865/1971 permetteva agli enti pubblici territoriali, ed in
particolare ai Comuni, di espropriare a prezzi modici, perché rapportati al
valore agricolo, aree da destinare all’edilizia economica e popolare previa
adozione di specifici piani edilizi. Il diritto di superficie dei terreni così
acquisiti al patrimonio indisponibile dei Comuni poteva poi essere concesso sia
ad enti pubblici (per un tempo indeterminato) sia a privati (per un periodo
compreso tra i 60 ed i 99 anni) a privati, normalmente aggregati in cooperative,
affinché costruissero case di tipo economico e popolare da assegnare ai soci.
A
fronte di così ampie agevolazioni, la legge, al fine di prevenire possibili
speculazioni, prevedeva all’art. 35, commi 15 e 19, il divieto temporaneo,
sotto pena di nullità, di alienazione degli alloggi costruiti su aree comprese
nei PEEP e cedute in proprietà ai Comuni. Tale divieto era ritenuto dalla
giurisprudenza una prescrizione di ordine pubblico generale che non poteva
essere derogato dal Comune, neppure nel caso in cui per la costruzione degli
alloggi non fossero stati concessi contributi pubblici. Il divieto di
alienazione temporaneo era esteso per dieci anni dal rilascio del certificato di
abitabilità e non poteva essere aggirato neppure con un contratto preliminare
perché considerato norma di ordine pubblico. Era consentito solo, dal comma 18
dell’art. 35 in esame, dare l’immobile in locazione a soggetti che avessero
avuto i requisiti per essere assegnatari, a loro volta, di un alloggio di
edilizia economica e popolare.
Tale
assetto, però, si è radicalmente modificato con una successione di leggi
successive le quali, per un verso, hanno consentito ai Comuni di cedere in
proprietà le aree comprese nei PEEP già concesse in diritto di superficie ai
sensi dell’art. 35 della L. 865/71 e, per altro verso, specialmente con
l’art. 23 della L. 179/92, hanno eliminato i divieti di vendita connessi agli
alloggi acquistati in proprietà nei piani di edilizia economica e popolare.
L’abrogazione
dei commi da 15 a 19 dell’art. 35 della L. 865/1971, tuttavia, non ha affatto
liberalizzato il mercato. Infatti, a quel regime di assoluto divieto, si è
sostituito quello dettato dall’art. 20 della legge 179/1992 (così come
modificato dal comma 1 dell’art. 3 L. 85/1994) il quale ha dettato una nuova e
meno rigorosa disciplina consentendo all’interessato, sussistendo gravi,
sopravvenuti e documentati motivi, di ottenere l’autorizzazione alla vendita
dell’alloggio assegnato entro i primi cinque anni dall’assegnazione.
Allo
stato dell’attuale legislazione, pertanto, l’alienazione entro i primi
cinque anni dall’assegnazione un di alloggio di edilizia economica e popolare
realizzato da una cooperativa può essere autorizzata dalla regione di
competenza esclusivamente a seguito della rigorosa dimostrazione di gravi e
sopravvenuti motivi.
Invece,
una volta decorsi cinque anni dall’assegnazione, la commerciabilità
dell’alloggio è libera.