VENDITE GIUDIZIARIE E CONDONO EDILIZIO
In un recente
articolo apparso sul Corriere della Sera a firma di Roberto Bagnoli (ed.
03.10.2003, pag. 8), si è commentata la pubblicazione, sul quotidiano
Il Tirreno del precedente 20 settembre, dell’avviso di vendita all’asta,
per il successivo 25 novembre 2003, alle ore 11,00 da parte del Tribunale
di Livorno, di tre appartamenti edificati sull’Isola d’Elba in modo totalmente
abusivo e con l’avvertimento che: “… non possono essere nemmeno sanati
con l’articolo 40 entro 120 giorni dalla data del trasferimento”. La notizia
veniva definita come paradossale da parte dell’OICE, l’Associazione degli
ingegneri, architetti e progettisti italiani il cui vicepresidente Braccio
Oddi Baglioni veniva intervistato dall’articolista, mentre il notaio incaricato
dal Tribunale delle operazioni di vendita, aveva riferito di non ritenere
compromesso il meccanismo dell’asta dall’abusivismo edilizio che affliggeva
gli immobili che venivano offerti sul mercato su ordine del giudice dell’esecuzione,
ordine al quale egli non poteva sottrarsi. Dall’articolo si apprende, peraltro,
che la vendita avveniva sulla base di un valore di € 3.000,00 al metro
quadrato e nello scritto si deduceva che la vendita fosse stata bandita
contando sulle ipotesi di un prossimo nuovo condono edilizio annunciate
dalla stampa sin dal 27 giugno 2003.
La curiosa
notizia stimolerebbe, da una parte, una riflessione sul dovere di rispetto
della legalità da parte dei tribunali, templi della Giustizia istituzionalmente
preposti ad occuparsi delle vendite giudiziarie e, dall’altra parte, sui
meccanismi normativi che, ciclicamente, rendono legale ciò che prima
era considerato illegale fino al punto di essere sanzionato penalmente,
cosicché anche l’illiceità, in Italia, assume un valore positivo
e, precisamente, quello (nella specie: ben € 3.000,00 al mq.) pari
alla speranza di sanatoria, nonostante ogni avvertimento che, a sua volta,
perde di credibilità e serietà finendo col richiamare intensamente
alla memoria l’”all’lupo all’lupo” della nota storia.
Tuttavia,
se queste riflessioni esulano dai limiti di questa sede, si può
però provare, qui, a fare il punto sulle possibilità di sanatoria
degli abusi edilizi in relazione agli immobili venduti nelle aste giudiziarie.
Un’occupazione importante, specialmente alla luce dell’ipotesi di un nuovo
condono edilizio che dovrebbe essere adottato nell’ambito della legge finanziaria
per il 2004 e che andrà a stratificarsi sui due precedenti costituiti,
principalmente, dalle L. 47/1985 e 724/1994 .
Allo stato
della specifica legislazione vigente all’ottobre 2003, può riferirsi
quanto segue sull’argomento.
Con legge
28 febbraio 1985 n. 47, veniva varata la più importante sanatoria
edilizia dei decenni repubblicani. La materia, in precedenza, era regolata
da una serie di leggi tra cui meritano di essere ricordate la L. 17.08.1942
n. 1150; la L. 06.08.1967 n. 765, cosiddetta “Legge Ponte”, e la L. 28.01.1977
n. 10, cosiddetta “Legge Bucalossi”, la quale già aveva rivoluzionato
il sistema normativo sostituendo, con la “concessione”, la previgente “licenza”
edilizia e trasferendo, così, allo Stato - il quale, pertanto, poteva,
appunto, concederlo ampliando in tal modo, ex novo, la sfera giuridica
del destinatario - quel diritto ad edificare che, prima, si riteneva appartenente
al privato il quale, però, poteva esercitarlo solo dietro autorizzazione
permissiva dello Stato.
La tutela
urbanistica era sanzionata sia sul versante penale, con la previsione di
appositi reati, sia sul versante amministrativo, prevedendosi anche il
potere pubblico della demolizione delle costruzioni abusive, che, infine,
su quello civilistico, prevedendosi la nullità degli atti di trasferimento
di immobili privi di licenza. Tuttavia, al legislatore del 1985, quei meccanismi
apparivano bisognosi di una ulteriore messa a punto cui doveva correlarsi,
secondo una tecnica legislativa all’epoca ed ancor oggi sviluppatissima,
un colpo di spugna su tutti gli abusi in precedenza commessi; tecnica legislativa,
di tutta evidenza, ispirata al rito cattolico della confessione in base
al quale, con una serie di Pater, Ave e Gloria, si esce assolti con il
proposito di non peccare più, salvo ricadere in errore, ma con la
ripetibile facoltà di emendamento.
La necessaria
messa a punto riguardava, a titolo di esempio, il sistema delle nullità
civilistiche che, nella legislazione previgente, aveva carattere “relativo”,
potendo essere comminata solo ove, dagli atti giuridici interessanti terreni
abusivamente lottizzati, o unità abitative costruite in assenza
di licenza (fattispecie rispettivamente previste dagli artt. 31, comma
4, L. 1150/42 come modificato dall’art. 10 L. 765/67, e dall’art. 15, comma
7, L. 10/77), fosse risultato che l’acquirente era a conoscenza delle carenze
di legge.
La Legge 47/85,
dunque, per rimanere all’esempio appena citato, intervenne rendendo, con
gli artt. 18, comma 2, e 40, comma 2, la nullità, nei casi più
sopra descritti, “assoluta” e, quindi, rilevabile d’ufficio dal giudice
e deducibile da parte di chiunque vi avesse interesse. Detti articoli,
inoltre, imponevano, per la vendita dei terreni, l’obbligatoria allegazione
del certificato di destinazione urbanistica e, per la vendita degli edifici,
l'indicazione degli estremi della licenza o concessione all'edificazione
(rilasciata, eventualmente, in sanatoria, come tra breve si dirà),
ovvero, in mancanza, l’allegazione della domanda di sanatoria corredata
dalla prova dell’avvenuto versamento almeno delle prime due rate dell’oblazione
edilizia.
Su questo
versante, quindi, il legislatore del 1985, per rafforzare la lotta all’abusivismo
edilizio e per reprimerne il compimento, toglieva rilevanza allo stato
soggettivo di buona o mala fede dell’acquirente circa la conoscenza o meno
dell’abuso posto in essere dal venditore
La mutazione
della nullità degli atti di trasferimento di beni immobili affetti
da abusivismo, che da “relativa” diventava “assoluta”, era talmente straordinaria
da giustificare, foss’anche essa sola, l’offerta di una generalizzata sanatoria
edilizia e l’introduzione di un nuovo sistema sanzionatorio.
Quest’ultimo
è rinvenibile negli artt. 32, ultimo comma, 33, ultimo comma, e
40, 1° comma, solo con riferimento ad opere realizzate anteriormente
alla data del 1° ottobre 1983 in zone vincolate, ovvero in totale difformità
od in assenza di concessione edilizia, ovvero, ancora, con riferimento
a manufatti che avessero formato oggetto di una domanda di condono già
respinta perché dolosamente infedele. Per tutte le altre ipotesi,
invece, ivi incluso quello della difformità parziale dalla concessione
edilizia, continuavano a trovare applicazione le norme vigenti all’epoca
di realizzazione delle opere. Si deve segnalare che, per gli immobili costruiti
in epoca anteriore al 02.09.1967, era prevista la libera commerciabilità
a condizione che, nell’atto pubblico di trasferimento, risultasse inserita
la dichiarazione, sostitutiva dell’atto notorio, rilasciata dal proprietario
attestante l’inizio dell’opera in data anteriore alla citata scadenza del
02.09.1967.
Agli illeciti
rientranti nella disciplina dei menzionati artt. 32, 33 e 40, 1° comma,
L. 47/85 veniva attribuito carattere “permanente” ed erano costituititi
dall’omissione della spontanea demolizione da effettuare da parte del reo
per adeguare lo stato di fatto a quello di diritto.
La possibilità
di sanare, con l’oblazione del reato, gli abusi edilizi, era disciplinata
dagli artt. da 31 a 35 della L. 47/85. La competenza a decidere sulle domande
di condono era assegnata, in primo luogo, al sindaco e, successivamente,
alla giurisdizione amministrativa. Sempre al tribunale amministrativo veniva
affidata la risoluzione di tutte le contestazioni relative all’ammontare
dell’oblazione. Al giudice penale spettava soltanto l’accertamento che
il fatto-reato rientrasse nel termine temporale del 1° ottobre 1983
e che l’istanza di sanatoria-oblazione fosse stata proposta entro il 30
giugno 1987. Dopo l’eventuale concessione della sanatoria, competeva al
giudice penale la cognizione delle cause di invalidità della medesima,
vuoi perché la domanda era risultata tardiva o dolosamente infedele,
vuoi perché l’oblazione non era stata effettuata per intero.
Nelle more
dell’attuazione della L. 47/85, i procedimenti penali già in corso
per abusi edilizi restavano sospesi ai sensi dell’art. 38 della stessa
legge perché l’estinzione dei reati ascritti poteva derivare solo
dall’attestazione del sindaco circa l’avvenuto pagamento dell’intera oblazione
correttamente determinata, dall’accertamento di assenza di infedeli dichiarazioni
nella domanda di sanatoria tempestivamente presentata e dall’accertamento
che l’abuso fosse stato commesso in data anteriore al 1° ottobre 1983.
L’art. 35
L. 47/85, prevedeva l’istituto del silenzio-assenso decorsi ventiquattro
mesi (per comuni con oltre 500.000 abitanti) dalla presentazione delle
domande di sanatoria, senza, però, prevedere l’automatismo dell’emissione
del provvedimento concessorio con conseguente estinzione del reato. La
domanda di concessione, pertanto, si intendeva accolta quando il silenzio
della Pubblica Amministrazione fosse risultato integrato dalla prova della
sussistenza delle seguenti condizioni: a) – la presentazione della domanda
di oblazione nei termini con il versamento integrale degli importi autodeterminati;
b) – la legittimazione dell’istante; c) – l’individuabilità delle
opere per le quali la concessione veniva richiesta; d) – la presentazione
della documentazione prescritta a corredo della domanda, salvo quella ulteriore
richiesta dall’Amministrazione; e) – l’inesistenza di situazioni ostative
previste dalla legge (cfr. i citati artt. 32, 33 e 40, 1° comma); f)
– la mancanza di dichiarazioni fraudolentemente infedeli; g) – il versamento,
oltre che delle somme autoliquidate per l’oblazione, anche di quelle dovute
a conguaglio su richiesta del comune e per oneri concessori.
In difetto
della presentazione della domanda per la sanatoria degli abusi edilizi,
come più sopra riferito, si era prevista, per il combinato disposto
degli artt. 17 e 40, comma 2°, la nullità degli atti di trasferimento.
Si trattava di una nullità di carattere formale, derivante dall’omessa
dichiarazione degli estremi della concessione edilizia dell’immobile oggetto
della compravendita, ovvero degli estremi della domanda di concessione
in sanatoria assistita dalla prova di avvenuto pagamento della relativa
oblazione: una nullità, quindi, rientrante nel paradigma di cui
all’art. 1418 cod. civ. in quanto la violazione avveniva in contrasto con
norme imperative di legge.
Questo impianto
originario della L. 28 febbraio 1985 n. 47, aveva omesso qualsiasi norma
con riferimento alle vendite giudiziarie. La lacuna emerse ben presto cosicché,
con l’art. 8 del D.L. 23 aprile 1985 n. 146, convertito nella L. 21 giugno
1985 n. 298, si è modificato il regime delle nullità di cui
all’art. 17, comma 5, poco più sopra citato, prevedendosi, all’art.
40, la sua inapplicabilità agli atti di trasferimento relativi ad
edifici abusivi e privi di sanatoria messi all’asta, con assegnazione del
termine di 120 dall’aggiudicazione dell’immobile per la presentazione della
domanda di sanatoria da parte dell’aggiudicatario. Vi è stata, in
proposito, una sentenza (attenzione: le sentenze non sono leggi ! ! !)
che ha fatto decorrere il termine di 120 giorni non dalla data di adozione
del decreto di trasferimento della proprietà da parte del giudice
dell’esecuzione, bensì dalla data della sua notificazione (Trib.
Reg.le Amm.vo Basilicata 19 giugno 2001, n. 604 in Urbanistica e appalti
2001, pag. 785). Vi è stata, poi, un’altra sentenza che ha stabilito
che, per il combinato disposto degli artt. 40 e 44 L. 47/85, può
desumersi che, nell’ipotesi di esecuzione su un immobile, il termine di
120 giorni per la presentazione della domanda di sanatoria, da parte del
futuro aggiudicatario, costituisce un “termine aperto” per espressa voluntas
legis cosicché è precluso alla Pubblica Amministrazione procedere
in via sanzionatoria, nelle more del procedimento esecutivo, per reprimere
gli abusi edilizi (Trib. Reg.le Amm.vo Campania, Sez. V, Napoli, 16 giugno
1992, n. 150 in Foro Amm.vo 1993, 246): insomma, se su un immobile pende
un pignoramento, lo Stato non potrebbe reprimere, secondo il giudice amministrativo
della Campania, gli eventuali abusi edilizi che lo affliggono, perché,
per giungere a tanto, occorrerebbe attendere l’aggiudicazione e l’inutile
decorso dei 120 giorni concessi all’aggiudicatario per chiedere quella
sanatoria che il debitore esecutato non ha curato di domandare tempestivamente.
Dopo circa
dieci anni da questa prima sanatoria urbanistica, ne veniva varata una
seconda con la L. 23 dicembre 1994 n. 739 (Misure di razionalizzazione
della finanza pubblica) la quale, all’art. 39, con una serie lunghissima
di commi, sostanzialmente, ha riaperto i termini della precedente L. 47/85,
che erano ormai scaduti, estendendoli ad abusi commessi sino alla data
del 31.12.1993. Veniva, in tal modo, consentito, ad esempio, al privato
che non aveva pagato interamente l’oblazione di cui alla precedente L.
47/85, di completare quell’itinerario procedimentale (art. 39, comma 6);
a tal fine, il termine ultimo per presentare la domanda di concessione
in sanatoria e per eseguire i versamenti delle oblazioni, era fissato al
31.12.1995. Per le oblazioni, tuttavia, gli importi stabiliti dalla L.
47/85 venivano sensibilmente maggiorati, mentre inalterati, se non modificati
dai comuni di competenza, restavano gli importi degli oneri concessori
ordinariamente previsti per nuove costruzioni, ampliamenti ed interventi
di ristrutturazione edilizia o per modifiche di destinazione d’uso. Veniva
introdotta la possibilità di sostituire la documentazione da presentare
ai sensi dell’art. 35 L. 47/85 con autocertificazioni rese ai sensi dell’art.
4 L. 15/68, fermo restando l’obbligo di documentazione fotografica degli
abusi e, ove prescritta, l’allegazione di perizia giurata nonché
l’eventuale presentazione del progetto di adeguamento statico. Restava
fermo l’istituto del silenzio-assenso decorsi 24 mesi (nei comuni con oltre
500.000 abitanti) dalla presentazione della domanda completa in ogni sua
parte e di ogni allegato. Ferma, altresì, restava la necessità
di apposita autorizzazione delle Amministrazioni competenti per gli abusi
commessi in zone vincolate
Ancora dopo
è intervenuta la L. 23 dicembre 1996 n. 662 (legge finanziaria per
il 1997) che, all’art. 2, comma 57, ha disposto la validità di diritto
degli atti di disposizione tra vivi di costruzioni difformi dalla concessione
edilizia, ovvero trasformate senza autorizzazione, se, successivamente
agli atti di compravendita, per un verso, fosse stata rilasciata la concessione
in sanatoria ai sensi dell’art. 39 L. 23.12.1994 n. 724, come integrato
nei commi da 37 a 59, e, per altro verso, non fosse stata ancora dichiarata,
con sentenza passata in giudicato, la nullità dell’atto comminata
dagli artt. 17, comma 5, e 40, comma 2, L. 28 febbraio 1985 n. 47.
Degna di particolare
nota e, infine, la L. 06.06.2001 n. 380 (testo unico in materia di edilizia)
che ha assorbito, riordinandole, gran parte delle norme più sopra
citate.
In ogni caso,
per quanto attiene al tema specifico trattato in questa sede, giova segnalare
che è sempre rimasto fermo il termine di 120 giorni dall’aggiudicazione
degli immobili oggetto di vendita giudiziaria coattiva, per la presentazione,
da parte dell’aggiudicatario, della domanda di concessione in sanatoria
degli abusi edilizi ai sensi dell’art. 40, comma 2, L. 47/85.
Questo è
il sistema normativo contro l’abusivismo edilizio alla vigilia dell’adozione,
che sembra inevitabile, di un nuovo condono edilizio collegato alla legge
finanziaria per l’anno 2004.