DOTTRINA
LA PURGAZIONE IPOTECARIA
NELLE VENDITE IMMOBILIARI FALLIMENTARI
di A. Ferretti
Sommario: 1) Breve premessa sulla natura
delle vendite fallimentari. 2) L’effetto purgativo in generale. 3) Il decreto
di trasferimento ed il momento realizzativo della purgazione ipotecaria.
4) La cancellazione dell’ipoteca nell’ipotesi di trasferimento in assenza
di emissione di decreto.
Legislazione: Cod. civ. artt. 2882, 2884, 2888, 2912, 2919 e ss.;
Cod. proc. civ. artt. 498, 508, 581, 585, 586, 617, 164 disp. att.; R.D.
16 marzo 1942, n. 267, artt. 26, 44,105, 106, 108, 136; Legge 3 aprile
1979, n. 95, art. 6; Legge 3 agosto 1998, n. 302, art. 3; D.Lgs. 8 luglio
1999 n. 270, art. 64.
Bibliografia: ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile;
ANDRIOLI, Fallimento, in Enc. del diritto; APICE, Le vendite nelle procedure
concorsuali e gli effetti sostanziali e processuali sulle garanzie reali
concesse ai creditori; BONSIGNORI, Commentario SCIALOJA e BRANCA, Legge
fallimentare; BONSIGNORI, Il fallimento, in Trattato di diritto commerciale
e di diritto pubblico dell’economia; CARNELUTTI, Istituzioni del nuovo
processo civile; DE SEMO, Diritto fallimentare; MANDRIOLI, Corso di diritto
processuale civile; MAZZOCCA, Manuale di diritto fallimentare; NORELLI,
Il Tribunale fallimentare: l’attività interna, in Diritto
fallimentare; REDENTI, Diritto processuale civile; SATTA, Commentario al
codice di procedura civile; SATTA, Diritto fallimentare.
1) Breve premessa sulla natura delle vendite fallimentari.
Appare ormai pacifico, sia in dottrina che in giurisprudenza, che alle
vendite realizzate nell’ambito di una procedura fallimentare debba essere
riconosciuta in via generale la natura di vendite forzate, cioè
di trasferimenti coattivi giurisdizionali.
Tale riconoscimento è fondato su diverse argomentazioni, tra
le quali l’espresso rinvio, contenuto nell’art. 105 1. fall., per le vendite
di beni mobili od immobili del fallimento alle disposizioni del codice
di procedura civile relative al processo di esecuzione; inoltre in quanto
gli artt. 106 e 108 1. fall., disciplinanti rispettivamente le vendite
mobiliari e le vendite immobiliari, ipotizzano esclusivamente alienazioni
giudiziali. Ancora, poiché la struttura delle vendite fallimentari
prescinde in modo radicale da qualsiasi attività del debitore.
Da tali motivazioni consegue l’esclusione dell’applicabilità
delle norme sull’interpretazione dei contratti.
Da un diverso punto di vista e senza disconoscere la natura di trasferimenti
coattivi delle vendite fallimentari, si è autorevolmente prospettata
la non integrale applicabilità ai provvedimenti adottati dal giudice
fallimentare delle norme di cui agli artt. 2919 ss. c.c., inerenti gli
effetti della vendita forzata o dell’assegnazione, in quanto la maggior
ampiezza dei poteri del giudice delegato e del curatore rispetto al giudice
dell’esecuzione consentirebbe loro di usare forme contrattuali.
Questa impostazione di carattere generale appare in parte condivisibile,
ma deve per altro verso anche essere disattesa: accolta, perché
gli effetti delle vendite forzate subiscono un ovvio adattamento nella
loro applicazione alle vendite fallimentari, come a proposito dell’evizione,
in ordine alla quale si tralascia ogni trattazione nell’ambito del presente
contributo; disattesa, perché in nessuno degli artt. 105-108 1.
fall. è disciplinato un tipo di vendita coattiva con forme contrattuali,
salva la vendita a offerte private, peraltro con forme rigidamente predeterminate
per legge o dal giudice.
D’altro canto, è da escludere una maggior ampiezza di poteri
del curatore, dato che egli svolge mere funzioni di impulso processuale,
o, tutt’al più, funzioni esecutive, mentre è vero che sussiste
una più vasta estensione di funzioni a favore del giudice delegato,
ma esclusivamente in relazione alla sospensione-cessazione della vendita;
ne discende che anche sotto questo profilo non sembra condivisibile l’ipotizzabilità
di forme contrattuali.
2) L’effetto purgativo in generale.
Ciò premesso e limitando l’indagine alle sole vendite immobiliari,
trattandosi, come detto, di vendite forzate, non v’è luogo per il
giudizio facoltativo di purgazione delle ipoteche da parte dell’acquirente,
poiché tale effetto purgativo deve seguire ipso iure.
Ma, più specificamente, quali sono le norme che sanciscono l’effetto
purgativo delle vendite forzate?
Le norme sono fondamentalmente quelle dell’art. 498 e quella dell’art.
586 codice procedura civile.
Con la prima norma si dispone che "debbano essere avvertiti dell’espropriazione
i creditori che sui beni pignorati hanno un diritto di prelazione risultante
dai pubblici registri". La legge istituisce questa specie di denuntiatio
ai creditori iscritti, perché vuole che con la vendita si arrivi
a liberare i beni da tutti i c.d. diritti reali di garanzia, da cui sono
gravati, in quanto sarebbe iniquo arrivare a liberare i beni senza aver
messo i creditori, che abbiano diritti di prelazione, in grado di farli
valere nel processo di espropriazione.
"A tal fine è notificato a ciascuno di essi, un avviso contenente
l’indicazione del creditore pignorante, del credito per il quale si procede,
del titolo e delle cose pignorate. In mancanza della prova di tale notificazione,
il giudice non può provvedere sull’istanza di assegnazione o di
vendita".
I creditori iscritti, perché i loro diritti possano essere adeguatamente
tutelati, devono essere posti in condizione di sapere che è stata
ordinata la vendita. Opportunamente, perciò, l’art. 108 1. fall.,
dispone che un estratto dell’ordinanza di vendita "è notificato
dal curatore a ciascuno dei creditori ammessi al passivo con diritto di
prelazione sull’immobile nonché ai creditori ipotecari iscritti".
La notifica è obbligatoria sia per la vendita con incanto sia per
la vendita senza incanto. Tuttavia, per potersi procedere alla vendita
senza incanto, è necessario anche l’assenso dei creditori iscritti
ammessi al passivo; ciò comporta che il dissenso di un creditore
impedisce che si possa procedere a una valida vendita senza incanto.
Bisogna aggiungere che, per fortuna, gli organi fallimentari ricorrono
raramente alla vendita senza incanto e che ancora più rare sono
le manifestazioni di dissenso da parte dei creditori iscritti.
L’effetto di liberazione delle iscrizioni ipotecarie a seguito delle
vendite giudiziarie risulta più chiaramente enunciato nell’art.
586 codice procedura civile: "Avvenuto il versamento del prezzo il giudice
dell’esecuzione pronuncia decreto col quale trasferisce all ‘aggiudicatario
il bene espropriato, ripetendo la descrizione contenuta nell’ordinanza
che dispone la vendita e ordinando che si cancellino le trascrizioni dei
pignoramenti e le iscrizioni ipotecarie …".
Quanto invece alla possibilità di accollo da parte dell’aggiudicatario,
si ricordi che l’acquirente, anziché versare in contanti tutto il
prezzo, si può accollare il debito ipotecario, conservando in vita,
insieme al debito accollato, anche il relativo diritto di prelazione. Fonte
di detto accollo è l’art. 508 codice procedura civile, secondo cui
l’aggiudicatario "può concordare col creditore pignoratizio o ipotecario
l’assunzione del debito con le garanzie ad esso inerenti". In tal caso,
come è evidente, la vendita non ha l’effetto purgativo solito, perché
il diritto di garanzia reale sul bene sopravvive.
3)Il decreto di trasferimento ed il momento realizzativo della
purgazione ipotecaria.
Il decreto di trasferimento, disciplinato dal già citato art.
586 c.p.c., rappresenta l’atto conclusivo della fase di vendita dell’immobile;
pertanto, solo successivamente all’aggiudicazione di cui all’art. 581 c.p.c.
ed al versamento del prezzo previsto dal successivo art. 585 c.p.c., il
giudice provvederà alla sua emanazione.
In relazione agli effetti di tale atto, si prospettano essenzialmente
due opposte correnti di pensiero: secondo la tesi prevalente, sia in dottrina
che in giurisprudenza, l’effetto traslativo del diritto sul bene si realizzerebbe
all’atto dell’emanazione di detto decreto e il vincolo d’indisponibilità
conseguente al pignoramento verrebbe meno solo nel momento in cui il giudice
delegato disponga la cancellazione delle trascrizioni.
Tale tesi si fonda sulla lettera della legge, la quale stabilisce che
il decreto "trasferisce all’aggiudicatario il bene espropriato". Cosicché,
anteriormente all’emanazione del decreto di trasferimento, l’aggiudicatario
godrebbe di una posizione di mera aspettativa, avendo l’aggiudicazione
il solo scopo di individuare il soggetto, a favore del quale sarà
disposta l’alienazione.
La seconda tesi ricollega l’effetto traslativo del diritto al momento
dell’emanazione dell’ordinanza di aggiudicazione, poiché il fenomeno
sarebbe da ricondurre a quello di una vendita contrattuale, con traslazione
del diritto per effetto del consenso, sia pure sotto la condizione legale
del pagamento del prezzo e dell’emanazione del decreto di trasferimento.
La prova dell’esattezza di tale tesi andrebbe ricercata nel fatto che tutti
i diritti e tutti gli obblighi in capo al compratore si determinerebbero
al momento dell’aggiudicazione; da ciò con seguirebbe l’applicazione
delle regole riguardanti la garanzia per vizi della cosa compravenduta,
così come delle disposizioni sulla risoluzione per inadempimento.
Non è il caso di soffermarsi su tale considerazione per non uscire
dal tema qui affrontato: è sufficiente ricordare quanto osservato
al principio della presente comunicazione e ribadire che tale tesi, ancorché
autorevole, appare oggi superata.
L’art. 586 c.p.c. stabilisce espressamente che il decreto ripeta la
descrizione contenuta nell’ordinanza che dispone la vendita, ai fini dell’esatta
individuazione del bene immobile oggetto del trasferimento.
Per superare eventuali incertezze, la giurisprudenza ritiene che, solo
in via sussidiaria, possa farsi riferimento a precedenti atti, come all’avviso
d’asta, al verbale di vendita o al provvedimento di aggiudicazione. Rilevanti
saranno comunque i confini del bene pignorato, ben potendo essere sbagliati
i dati catastali, per errore di frazionamento o altre ragioni.
Il trasferimento comprenderà comunque anche gli accessori, le
pertinenze e i frutti della cosa pignorata in base all’art. 2912 c.c.,
ancorché essi non siano menzionati nel decreto di trasferimento.
Come già rilevato, la norma in esame sancisce l’effetto purgativo
o liberatorio conseguente all’ordine di cancellazione contenuto nel decreto
di trasferimento, in conseguenza del quale verranno meno i pignoramenti,
le ipoteche e i privilegi speciali sull’immobile, di cui fossero stati
titolari i creditori, salvo le ipoteche a garanzia di obbligazioni assunte
dall’aggiudicatario ai sensi dell’art. 508.
L’art. 164 disp. att. dispone che debba essere il giudice dell’esecuzione
(il giudice delegato) a compiere gli atti necessari al trasferimento del
bene, ma nella pratica ciò avviene ad opera del curatore, il quale
provvederà alla trascrizione del decreto di trasferimento e al pagamento
delle relative imposte.
Non potrà essere disposta la cancellazione delle trascrizioni
e delle iscrizioni pregiudizievoli, se prima non avvenga la trascrizione
della vendita, poiché diversamente, il bene potrebbe apparire nella
libera disponibilità del debitore; ciò, peraltro,
non escluderebbe comunque l’inefficacia dell’eventuale atto posto in essere
dal fallito, ai sensi dell’art. 44 1. fall., a prescindere da responsabilità
da parte del curatore nei confronti del terzo per dolo o colpa grave.
Per ciò che concerne il momento in cui tale cancellazione verrà
eseguita, occorre rilevare che essa avverrà quando il decreto di
trasferimento che la dispone abbia carattere definitivo, essendo trascorso
il termine per proporre il reclamo ex art. 26 1. fall., che, secondo l’ormai
consolidata giurisprudenza, nell’ambito fallimentare sostituisce il rimedio
dell’opposizione agli atti esecutivi, previsto dall’art. 617 c.p.c..
Fermo restando che da un punto di vista puramente accademico la soluzione
adottata in giurisprudenza non appare convidisibile, atteso che il rimedio
più corretto avverso il decreto di trasferimento sembrerebbe quello
disciplinato dal richiamato art. 617 c.p.c, resta da aggiungere che, preso
comunque atto dell’attuale prassi giudiziaria, il termine per proporre
reclamo sembra essere quello più breve di tre giorni, non avendo
il decreto di trasferimento un contenuto decisorio.
Successivamente al decreto di trasferimento, attuandosi con questo il
passaggio definitivo della proprietà all’acquirente e la purgazione
delle garanzie iscritte, al creditore, che non sia stato messo nella condizione
di esercitare il proprio diritto mediante la notifica prevista dall’art.
108 1. fall., non resta altro che accettare la vendita avvenuta, salvo,
ove ne ricorrano le condizioni di responsabilità, agire contro il
curatore fallimentare per i danni subiti.
4) La cancellazione dell’ipoteca nell’ipotesi di trasferimento
In assenza di emissione di decreto.
Resta da affrontare la problematica relativa alla realizzazione dell’effetto
purgativo in quelle ipotesi in cui il trasferimento si attui non attraverso
l’emissione di apposito decreto.
Sul punto è opportuno ribadire che l’effetto purgativo è
connaturale ad ogni trasferimento coattivo legittimamente posto in essere
e che quindi, per escluderne la valenza, è necessario invalidare
l’atto, dal quale la purgazione stessa discende. In altre parole, il terzo
acquirente all’incanto acquista bene o non acquista per nulla. Non è
data insomma una terza alternativa, di acquistare cioè un bene gravato
da privilegio senza un’apposita accettazione e senza espressa autorizzazione
del giudice delegato, come si può facilmente desumere dal disposto
del citato art. 508, comma i", c.p.c., applicabile, perché espressamente
richiamato daJl’art. 105 1. fall., anche al fallimento.
Pertanto, anche nella rara ipotesi della vendita senza incanto prevista
dal F comma dell’art. 108 1. fall., l’effetto purgativo opera sempre, finché
non sia dichiarata la nullità della vendita.
Ciò doverosamente premesso e tornando, quindi, all’ultima questione
posta, è noto che il provvedimento del giudice che rimetta le parti
dinanzi ad un notaio per la stipulazione di un normale atto notarile di
compravendita immobiliare è illegittimo; ipotesi, quest’ultima,
ovviamente del tutto diversa da quella della delega al notaio delle operazioni
di vendita con incanto, disciplinata dall’art. 3 Legge 3 agosto 1998 n.
302.
Ma, a titolo di eccezione, la giurisprudenza ammette la possibilità
di inserire il trasferimento di un immobile in un accordo transattivo di
più vasta portata; conseguentemente, il curatore, munito delle prescritte
autorizzazioni, può concludere una transazione in relazione alla
vendita, stipulata dal fallito prima della dichiarazione del fallimento,
di un immobile sottoposto a pignoramento ad iniziativa di un creditore.
Il ricorso alla speciale procedura di vendita del bene e di conseguente
purgazione delle ipoteche presuppone che il bene da vendere sia incontestabilmente
di proprietà del fallito; ove manchi tale presupposto nulla vieta
che si addivenga alla vendita, che resterà pur sempre una vendita
forzata attraverso una composizione transattiva.
In tale caso, posto che il sistema adottato non può cambiare
la natura della vendita che rimane una vendita giudiziaria, è indubbia
la liberazione automatica dell’immobile dai diritti reali iscritti. Ma,
non avvenendo il trasferimento dell’immobile con un provvedimento ad hoc
del giudice (il decreto di trasferimento), si è sostenuto che il
giudice stesso, successivamente all’avvenuto pagamento del prezzo, sia
tenuto ad emettere uno specifico provvedimento, in virtù del quale
si ordina al conservatore la cancellazione dai diritti reali di garanzia
iscritti.
Orbene, tale prassi non appare condivisibile, poiché in contrasto
con i dettami previsti dal codice civile.
Infatti, al di fuori dell’ipotesi prevista dall’art. 2884 Cod. civ.,
che obbliga il conservatore ad eseguire la cancellazione quando questa
sia ordinata con sentenza passata in giudicato o altro provvedimento definitivo
emesso dalle autorità competenti (tra cui il decreto di trasferimento
ex art. 586 c.p.c., nonché il decreto ex art. 136, 3° comma,
1. fall.), la cancellazione stessa può avvenire solo in presenza
del consenso espresso da parte degli aventi diritto, come disciplinato
dal precedente art. 2882 Cod. civ.; l’assenza di tale requisito obbliga
parimenti il conservatore a rifiutare la cancellazione, così come
previsto dall’art. 2888 Cod. civ.. Ancora, il conservatore dovrà
rifiutare la trascrizione di un provvedimento, che contenga l’ordine di
cancellazione, emesso al di fuori dei casi previsti dalla legge.
Consegue che l’illegittimo diniego del consenso alla cancellazione,
sia per volontà espressa sia per inerzia, da parte del creditore,
obbligherà il terzo acquirente a promuovere il giudizio di purgazione,
sulla cui regolamentazione si soprassiede in questa sede, che porterà
alla pronuncia dell’ordine di cancellazione; il diniego stesso non potrà,
pertanto, legittimare il giudice delegato all’emissione di un provvedimento
ad hoc, non essendo le norme previste dagli art. 586 c.p.c. e 2884 Cod.
civ. suscettibili di interpretazione analogica o estensiva, per di più
avendo il legislatore previsto l’istituto del giudizio autonomo di purgazione.
Un’ultima considerazione.
Come noto, il D.Lgs. 8 luglio 1999 n. 270 ha introdotto la nuova disciplina
dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza;
secondo i primi interpreti, la novella costituisce una vera e propria miniriforma
dell’intera disciplina concorsuale, attesa l’ampiezza dell’ambito di applicazione
della nuova normativa.
L’art. 64 del citato D.Lgs., sostitutivo dell’art. 6 della legge 3 aprile
1979 n. 95, prevede espressamente che la cancellazione delle iscrizioni
relative a diritti di prelazione e delle trascrizioni dei pignoramenti
e dei sequestri conservativi sui beni trasferiti è ordinata dal
Ministero dell’Industria con decreto nei 15 giorni successivi al trasferimento.
Tale disposizione, ancorché non suscettibile di applicazione in
sede fallimentare e quindi non certo innovativa nell’ambito del fallimento
stesso, sembra, sia pure indirettamente, rafforzare la prassi e l’opinione
di chi, come in precedenza detto, ritiene ammissibile il potere in capo
al giudice delegato di emettere un provvedimento ad hoc, con cui si ordini
al conservatore la cancellazione delle iscrizioni e delle trascrizioni
pregiudizievoli gravanti sull’immobile alienato.
Invero, non appare che la norma in esame possa portare al superamento
delle argomentazioni sin qui sostenute; piuttosto, dalla stessa sembra
emergere l’esigenza, de iure condendo, dell’introduzione di apposita previsione
legislativa che, allo scopo di attribuire maggiore speditezza alle formalità
conseguenti alla vendita di immobili in sede fallimentare con modalità
diverse rispetto al decreto di trasferimento, riconosca al giudice delegato
il potere di emanare un provvedimento analogo, nel proprio contenuto, all’ordine
di cancellazione espressamente previsto dall’art. 586 c.p.c.