Ma
è vero che il curatore non può stare personalmente in giudizio
nel processo tributario?
di Lodovico Zocca
La materia dell’assistenza tecnica nel processo tributario
dinanzi alle commissioni tributarie ha subito una radicale trasformazione
a partire dal 1.4.1996, data dalla quale ha avuto efficacia il D. Lgs.
31.12.1992, n. 546 che, all’art. 12, stabilisce l’obbligatorietà
per tutti i contribuenti di essere assistiti in giudizio da un difensore
abilitato.
Tale norma individua altresì i casi di
esonero, nonché quali siano i soggetti che possiedono i requisiti
per svolgere la funzione di difensore: soggetti che sono stati individuati,
al 2° comma di detto articolo, negli avvocati, dottori commercialisti,
ragionieri e periti commerciali, se iscritti nei relativi albi; ed inoltre
nei consulenti del lavoro, ingegneri, architetti, geometri, periti edili,
dottori agronomi, agrotecnici e periti agrari, sempre qualora iscritti
nei relativi albi professionali, limitatamente a specifiche materie di
loro competenza, espressamente indicate. Sono inoltre abilitati altri soggetti,
che - in considerazione della propria particolare preparazione - il legislatore
ha ritenuto in grado di difendere i contribuenti. Ora, poiché il
6° comma dell’articolo sopra citato dispone che possono stare in giudizio
personalmente, e cioè senza assistente tecnico, i soggetti che possiedono
i requisiti per svolgere la funzione di difensore, si è posta la
questione se il curatore, in possesso degli stessi requisiti, possa stare
in giudizio senza richiedere la nomina di un difensore abilitato.
Nulla di specifico la norma detta per le procedure
fallimentari, nelle quali, seppure il curatore sia normalmente in possesso
dei requisiti di cui sopra, sembrerebbe trovare un netto ostacolo a svolgere
l’assistenza tecnica nei giudizi tributari che investono il soggetto fallito
nel dettato dell’art. 31, 3° comma, R.D. 16 marzo 1947, n. 267, il
quale, trattando dei poteri del curatore fallimentare, dispone che lo stesso
non può assumere la veste di avvocato o di procuratore nei giudizi
che riguardano il fallimento. Così il Ministero delle Finanze, con
Risoluzione n. 483/E del 23 maggio 1996 (Dip. Entrate - Dir. Centr. Affari
giuridici e contenzioso), in considerazione del combinato disposto del
già citato art. 31 e dell’art. 25 L.F., che al 1° comma n. 6
prevede espressamente, tra i poteri del giudice delegato, la nomina degli
avvocati e dei procuratori, ha affermato che “stante il chiaro disposto
normativo sopracitato, si ritiene che anche nel giudizio tributario, il
curatore fallimentare non possa assumere la veste di difensore tecnico;
e ciò non soltanto nell’ipotesi in cui il suddetto curatore sia
un avvocato o un procuratore, ma altresì nelle ulteriori ipotesi
di appartenenza dello stesso ad altre categorie di soggetti abilitati all’assistenza
tecnica ai sensi del predetto articolo 12”.
Il divisamento ministeriale ha tuttavia subito
una parziale modificazione con la Circolare n. 291/E/II-3-5011 del 18.12.1996
(Min. Finanze, Dip. Entrate - Dir. Centr. Affari giuridici e contenzioso):
con tale pronuncia è infatti stato ribadito quanto appena esposto,
ma è stata anche fornita una diversa interpretazione relativamente
alle controversie tributarie concernenti il soggetto fallito, già
pendenti alla data del 1.4.1996 dinanzi alle preesistenti Commissioni tributarie
di primo e secondo grado. Per tali controversie, invero assai numerose,
il Ministero ha affermato che “il fallito può stare in giudizio
tramite il curatore fallimentare, in veste però solo di suo rappresentante
legale. Pertanto, relativamente a tali liti, qualora non sia stata disposta
l’assistenza tecnica con provvedimento del giudice tributario, il curatore
fallimentare potrà, per conto del fallito, svolgere tutte le attività
processuali connesse al giudizio (es. produzione di documenti, presentazione
di istanza di trattazione in pubblica udienza, discussione orale della
controversia).”
Il principio appare della massima importanza,
tenuto conto che, anteriormente all’entrata in vigore delle norme sul “nuovo
processo tributario”, era assai frequente che il giudice delegato autorizzasse
il curatore a proporre personalmente il ricorso tributario. Le argomentazioni
a sostegno di quanto sopra si fondano sul seguente ragionamento:
secondo la disciplina transitoria recata
dall’art. 79, 2° comma, del D. Lgs. n. 546/1992, per le predette controversie
la nomina di un difensore abilitato da parte del ricorrente non è
obbligatoria, bensì può essere discrezionalmente disposta
dal presidente della sezione o dal collegio sulla base di valutazioni di
opportunità;
ai sensi dell’art. 43 L.F. è stata
riconosciuta la legitimatio ad processum del curatore fallimentare nelle
controversie relative a rapporti giuridici del fallito, previa, tuttavia,
l’autorizzazione a stare in giudizio rilasciata dal giudice delegato ai
sensi dell’art. 31, 2° comma, L.F.. Fin qui il pensiero ministeriale,
dal quale tuttavia si differenzia parte della (peraltro scarsa) giurisprudenza
rivenuta, di cui si darà conto nelle righe seguenti.
In conformità all’interpretazione del
Ministro delle Finanze si è espressa la Commissione tributaria provinciale
di Salerno, Sez. XVIII, con sentenza in data 9.9.1997, n. 260, che ha dichiarato
l’inammissibilità del ricorso presentato da un curatore fallimentare,
argomentando anch’essa in base all’interpretazione degli artt. 12 D.Lgs.
546/1992 e 31 L.F.. Inoltre la Commissione ha escluso l’invocabilità
del 6° comma di detto articolo 12, che consente ai soggetti in
possesso dei requisiti di cui al 2° comma di stare in giudizio senza
assistenza, in quanto “la specialità e la forza della normativa
fallimentare prevalgono, comunque, su di ogni altra disposizione”.
Nel caso di specie, va precisato che non ricorreva
l’eccezione di cui al 5° comma dell’art. 12 in questione (che consente
la possibilità per il contribuente di stare in giudizio senza assistenza
tecnica, nel caso di controversie di valore inferiore a lire 5 milioni
o contro i ruoli emessi dal Centro di Servizio, con la speciale procedura
prevista dall’art. 10 del D.P.R. 28.11.1980, n. 787). Inoltre il giudice
fallimentare si era limitato ad autorizzare la proposizione del ricorso,
senza conferire espressamente il mandato al curatore, sottintendendo -
ad avviso della Commissione - il rispetto delle norme procedurali applicabili.
In senso diametralmente opposto ha invece deciso
la Commissione tributaria provinciale di Imperia, Sez. V, con sentenza
in data 20.6.1997, n. 232, che ha invece respinto la richiesta di inammissibilità
del ricorso non sottoscritto da difensore tecnico abilitato, formulata
dall’Ufficio impositore in sede di controdeduzioni, in quanto “destituita
di giuridico fondamento”.
Le motivazioni della sentenza in questione si
basano su tre argomenti:
il 6° comma dell’art. 12 D. Lgs. 546/1992
non può essere interpretato nel senso che il ragioniere commercialista
(come nel caso di specie) sia in possesso dei requisiti per stare in giudizio
di persona, se ricorre in proprio, ma improvvisamente li perda se ricorre
nella sua veste di curatore fallimentare, all’uopo autorizzato dal giudice
delegato: una simile discriminazione non si rinviene nella norma e quindi
non può essere introdotta dall’interprete;
la sottoscrizione del ricorso da parte
del curatore fallimentare che appartenga ad una delle categorie professionali
elencate nell’art. 12 sopra richiamato, anche se irregolare ai sensi della
legge fallimentare (per violazione del 3° comma dell’art. 31 L.F.),
non integra alcuna ipotesi di nullità per la legge processuale tributaria.
Infatti, a norma dell’art. 156 cod. proc. civ., la nullità di un
atto processuale per inosservanza di forme può essere dichiarata
soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge, fra i quali non si
rinviene l’ipotesi di sottoscrizione del ricorso da parte del curatore,
che oltretutto possiede anche i requisiti del difensore;
la sottoscrizione del ricorso da parte
del difensore tecnico non è mai richiesta a pena di inammissibilità,
come emerge da un esame comparato degli artt. 12 e 18 del D. Lgs. 546/1992.
Quest’ultimo, infatti, al 3° comma contiene un inciso (“salvo che il
ricorso non sia sottoscritto personalmente”) che, correlato con la frase
che segue (“nel qual caso vale quanto disposto dall’art. 12, 5° comma”),
può voler significare soltanto che se il ricorso è sottoscritto
personalmente dalla parte, il Presidente può assegnare alla parte
stessa un termine entro cui munirsi di difensore. Inoltre, il 3° comma
dell’art. 12 stabilisce che “ai difensori di cui al 2° comma deve essere
conferito l’incarico con atto pubblico o con scrittura privata autenticata
od anche in calce o a margine di un atto del processo...; all’udienza pubblica
l’incarico può essere conferito verbalmente e se ne dà atto
a verbale”. Poiché il legislatore non ha ristretto l’applicabilità
di questa norma alle sole controversie di valore inferiore a lire 5 milioni,
si tratterebbe di una norma inutile ed inapplicabile, se fosse vero che
il ricorso debba essere necessariamente sottoscritto da un difensore tecnico
quando il valore della controversia superi detto importo. E’ infatti logico
porsi il seguente quesito: quando mai sarebbe consentito alla parte conferire
l’incarico con un atto del processo diverso dal ricorso introduttivo o,
addirittura, all’udienza?
Seppure con argomentazioni assai diverse, va
segnalata la conforme ordinanza emessa dal giudice delegato Dott. Zanichelli
del Tribunale di Parma in data 18.9.1996 che, respingendo l’istanza con
cui il curatore del fallimento P. Srl aveva richiesto la nomina di un difensore
per l’assistenza tecnica avanti il giudice tributario, ha disposto che
il curatore stesse in giudizio personalmente. Qui il giudice parte,
così come la Commissione tributaria nella sentenza precedentemente
esaminata, dall’esclusione di un’interpretazione restrittiva dell’art.
12, 6° comma , del D. Lgs. 546/1992, limitata cioè al solo caso
in cui il soggetto in possesso dei prescritti requisiti agisca in quanto
interessato personalmente alla controversia, dovendosi invece applicare
il principio generale sancito dall’art. 1, 2° comma del suddetto decreto,
secondo cui “i giudici tributari applicano le norme del presente decreto
e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del
codice di procedura civile”.
Ne consegue che soccorre, nel caso di specie
(in via diretta o comunque in via di analogia), il disposto dell’art. 86
c.p.c. che consente, secondo la giurisprudenza, al professionista legale
di “assumere personalmente il patrocinio tanto se agisca o sia convenuto
nel giudizio in proprio, quanto se sia costituito in nome altrui, in forza
di rappresentanza organica o quale procuratore generale ad negotia” (Cass.
16.10.1956, n. 3647 e, per il caso analogo di amministratore di condominio,
Cass., Sez. II, 5.6.1992).
Pertanto, anche secondo l’ordinanza in esame,
il curatore - che ha certamente la rappresentanza della procedura - rientra
nella previsione dell’art. 86 cod. proc. civ., e può quindi stare
in giudizio personalmente nel processo tributario, essendo in possesso
dei requisiti per l’abilitazione all’assistenza tecnica.
Seppure notevoli risultino gli sforzi esegetici
sia della Commissione tributaria provinciale di Imperia che del Giudice
Delegato di Parma, la questione lascia adito a non poche perplessità.
Non tanto per le controversie già pendenti
all’1.4.1996, per le quali la norma transitoria di cui all’art. 79 del
D. Lgs. 546/1992 non sembra destare problemi applicativi, quanto per i
giudizi da intraprendere successivamente alla predetta data, per i quali
il netto e contrario pensiero ministeriale comporterà, fino al momento
in cui interverrà una auspicabile interpretazione definitiva in
ordine alla questione, una costante richiesta di inammissibilità
dei ricorsi da parte degli Uffici.
|