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Tribunale di Roma - Sez. Fallimentare - Decreto 22
ottobre 1997 - Pres. Grimaldi A. -Rel. Norelli E. - Giudice
De Virgilis G.C.-Fall. n. 53919 della Nicar di Pirrone Carmela & C.
s.a.s. - Pirrone Carmela
CURATORE - ATTIVO REALIZZATO - COMPENSO DEL CURATORE
Per “attivo realizzato” deve intendersi la
totalità delle somme incassate dal curatore, a qualunque titolo,
che ne comporti la definitiva acquisizione al patrimonio fallimentare,
senza che si possa, comunque, tener conto del valore dei beni inventariati
e non liquidati (1).
In caso di fallimento plurimo, ossia di fallimento
di una società con soci a responsabilità illimitata e di
fallimento dei soci illimitatamente responsabili, rimanendo il patrimonio
della società e quello dei singoli soci distinti, il compenso del
curatore deve essere llquidato, distintamente, in relazione a ciascuna
massa attiva ed a ciascuna massa passiva. (2)
1] Il compenso del curatore va liquidato, ai sensi
dell’art. 39 L.F., secondo le norme stabilite con decreto del Ministro
di grazia e giustizia.
Il decreto ministeriale 28 luglio 1992, n. 570,
attualmente vigente, prevede, all’art. 1, comma 1, che detto compenso “deve
consistere in una percentuale sull’ammontare dell’attivo realizzato” non
superiore alle misure stabilite dalla stessa norma; e, al comma 2, che
“al curatore è, inoltre, corrisposto, sull’ammontare del passivo
del fallimento, un compenso supplementare”.
2] Per “attivo realizzato” deve intendersi la
totalità delle somme incassate dal curatore a qualunque titolo che
ne comporti la definitiva acquisizione al patrimonio fallimentare, ossia
l’assoggettamento all’esecuzione concorsuale, senza che si possa, comunque,
tener conto del valore dei beni inventariati, ma non liquidati (cfr. Cass.
2/12/1993, n. 11952, Fallimento, 1994, 567; Cass. 29/1/1993, n. 1169, Fallimento,
1993, 809: Cass. 17/11/1979, n. 5976, Dir Fall., 1980. II, 34,. Trib. Roma
(decr.) 23/9/1996, Fall. Panificio Setteville di Valentini Rossella e C.
s.n.c. - Valentini Rossella e altri; Trib. L’Aquila 19/5/1964, Giur. it.,
1965, I, 2, 198). In esso vanno compresi, dunque, il danaro liquido rinvenuto
nella disponibilità del fallito e gli interessi maturati sulle somme
depositate dal curatore (art. 34 L.F.), ma da esso vanno escluse le somme
ricevute dal curatore per un titolo che comporti un obbligo di restituzione:
cosi, le somme ricevute a titolo di deposito, cauzione o mutuo.
3] In caso di fallimento plurimo, ossia di fallimento
di una società con soci a responsabilità illimitata e di
fallimento dei soci illimitatamente responsabili (art. 147 L.F.), poiché
il patrimonio della società e quello dei singoli soci devono essere
tenuti distinti (art. 148, comma 2, L.F.), il compenso del curatore dev’essere
liquidato, distintamente, in relazione a ciascuna massa attiva ed a ciascuna
massa passiva, non già sull’ammontare globale dell’attivo e sull’ammontare
globale del passivo (risultanti, rispettivamente, dalla sommatoria delle
attività realizzate e da quella delle passività accertate
in ciascun fallimento) (Trib. Roma 23/9/1996, cit.). Né può
ritenersi che i debiti della società debbano essere computati, ai
fini della liquidazione del compenso sul passivo, una sola volta, dovendo
essi essere ammessi sia nel fallimento della società sia in quello
del socio illimitatamente responsabile, poiché: a) l’ammissione
dei crediti verso la società al passivo del fallimento del socio
non è automatica (l’art. 148, comma 3, L.F. stabilisce che il credito
dichiarato dai creditori sociali nel fallimento della società si
intende dichiarato, non già ammesso, per l’intero anche nel fallimento
dei singoli soci, ed è ben possibile che di un debito sociale un
socio non debba rispondere ovvero che un creditore sociale sia privilegiato
verso la società e chirografario verso il socio o viceversa); b)
le ripartizioni dell’attivo vanno fatte distintamente a favore dei creditori
ammessi al passivo del fallimento dei singoli soci.
4] Nel caso di specie, nel fallimento della società
Nicar di Pirrone Carmela & C. s.a.s., l’attivo realizzato ammonta a
L. 505.700= ed il passivo accertato è pari a L. 65.407.849=; nel
fallimento del socio illimitatamente responsabile Pirrone Carmela l’attivo
realizzato ammonta a L. 237.385.470= ed il passivo accertato è pari
a L. 360.710.109=.
5] Tenuto conto dell’opera prestata, dei risultati
ottenuti e dell’importanza della procedura, nonché della sollecitudine
con cui sono state condotte le relative operazioni, il collegio ritiene
equo liquidare il compenso sull’attivo e sul passivo, sia del fallimento
della società sia di quello del socio illimitatamente responsabile,
nella misura massima risultante dall’applicazione delle percentuali di
cui al su richiamato decreto ministeriale.
6] Il compenso sull’attivo, va, dunque, determinato,
quanto al fallimento della società, in L. 70.798= e, quanto al fallimento
del socio, in L. 18.830.055=, e così complessivamente in L. 18.900.853=.
Il compenso supplementare sul passivo va determinato
in L. 490.558=, quanto al fallimento della società, ed in L. 1.714.627=,
quanto al fallimento del socio, e così complessivamente in L. 2.205.185=.
7] Al curatore spetta, inoltre, un rimborso forfettario
delle spese generali in ragione del 5% sull’importo del compenso liquidato
(art. 4, 20 comma, d.m. citato).
Sulla
nozione di attivo realizzato ai fini del compenso del curatore
di Andrea
Pietrolucci
(1 e 2) Il decreto in commento svolge una importante
puntualizzazione di cosa debba intendersi per attivo realizzato ai fini
della determinazione del compenso del curatore fallimentare.
Secondo il Tribunale di Roma, “per attivo realizzato
deve, infatti, intendersi la totalità delle somme incassate dal
curatore, a qualunque titolo che ne comporti la definitiva acquisizione
al patrimonio fallimentare ... senza che si possa, comunque, tener conto
del valore dei beni inventariati ma non liquidati”.
Concorrerebbero, quindi, a formare l’attivo ricavato
sia il denaro liquido rinvenuto nella disponibilità del fallito,
sia gli interessi maturati sulle somme depositate dal curatore. Ne rimarrebbero,
invece, escluse le somme ricevute dal curatore per un titolo che comporti
un obbligo di restituzione.
L’orientamento prevalente in dottrina e in giurisprudenza
è conforme alla decisione presa nel decreto in commento.
La tesi che raccoglie maggior credito è,
infatti, quella in virtù della quale l’espressione “attivo realizzato”
- cui devono essere rapportate le percentuali stabilite dal D.M. 28 luglio
1992, n. 570, ai fini della liquidazione del compenso al curatore - comprende
la liquidità comunque acquisita dalla curatela: sia essa conseguita
mediante la vendita di beni mobili ed immobili, sia in altro modo: come
attraverso la riscossione di crediti e l’esperimento di azioni giudiziarie
(cfr Cass. 2/12/1993, n. 11952; Cass. 11/9/1993, n. 1169; Cass. 3/7/1997,
n. 5978; per la dottrina, cfr ABATE, Diritto fammentare, p. 433 ss).
Un diverso orientamento, condiviso sia da alcuni
autori, tra cui Pajardi, che dalla giurisprudenza meno recente, ricomprende,
invece, nell’attivo realizzato ai fini della liquidazione del compenso
al curatore, sia il ricavato delle operazioni di liquidazione sia il valore
dei beni inventariati, dei crediti accertati e degli incassi conseguiti
dal curatore durante la sua gestione (cfr Cass. 31 maggio 1969, n. 1953;
Trib. Roma 26 maggio 1983, in Giust. Civ. 1983, I, 2483; Cass. 8 novembre
1973, n. 2935. In dottrina, cfr PAJARDI, Casi clinici di diritto fallimentare,
pp. 129/130).
Appare utile, per completezza, esaminare l’ipotesi
di chiusura del fallimento per mancanza di passivo (pur non affrontata
nel decreto esaminato), ai sensi dell’art. 118 n. 1 L. F., in quanto tutte
le domande di ammissione siano state rinunciate dai creditori prima della
emissione del decreto di cui all’art. 97 L. F.. Sorge, infatti, in questo
caso il problema dell’individuazione dei criteri in base ai quali deve
farsi luogo alla liquidazione del compenso al curatore, dal momento che
l’assenza di passivo esclude l’applicabilità delle percentuali di
cui al 2° comma dell’art. 1 del D.M. 28 luglio 1992, n. 570; e la mancanza
dell’attivo rende problematica l’applicabilità delle percentuali
di cui al 1° comma dell’art. 1 dello stesso decreto.
Secondo il Tribunale di Velletri 28/4/1993 (decreto),
in questa ipotesi troverebbe applicazione, in via analogica, il criterio
stabilito dal 2° comma dell’art. 2 del D.M. citato, il quale, con riferimento
al caso in cui il fallimento si chiuda con concordato, prevede che il compenso
dovuto al curatore deve essere liquidato in proporzione all’opera prestata,
in modo però “da non eccedere in nessun caso le percentuali sull’ammontare
dell’attivo previste dall’art. 1, 1° comma”, calcolate sull’ammontare
complessivo di quanto col concordato viene attribuito ai creditori.
Conclude il Tribunale che, in tale ipotesi di
chiusura del fallimento (per mancanza di passivo), debbono necessariamente
comprendersi nell’attivo, ai fini della liquidazione del compenso al curatore,
anche i beni per i quali sia mancata “l’attività liquidativa”. Ma
che, al tempo stesso, “il risultato numerico che si ottiene applicando
al relativo valore le percentuali a scaglioni di cui all’art. 1, 1°
comma, costituisce soltanto il limite massimo della liquidazione stessa,
al di sotto del quale il compenso deve essere correttamente determinato
tenendo conto dell’attività effettivamente svolta dal
curatore”.
L’orientamento giurisprudenziale e dottrinale
prevalente non aderisce a tale impostazione ma, al contrario, come ha avuto
modo di sottolineare il Tribunale di Roma in una recente pronuncia (Trib.
di Roma, 23/9/1996 - decreto), abbraccia la tesi secondo la quale, anche
nel caso di revoca del fallimento, ai fini della liquidazione del compenso
del curatore, per attivo realizzato, si deve intendere la totalità
delle somme incassate da tale organo a qualunque titolo che ne comporti
la definitiva acquisizione al patrimonio fallimentare, senza che si possa,
comunque, tener conto del valore dei beni inventariati e non liquidati.
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