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Trib. Roma - 14 agosto 1998 (ord) - Pres.
Misiti - Est. Norelli - Sirocchi (avv. Giangualano) e Cordeschi
(avv. Stemere) c. fall. Edilizia Ma.Di. s.p.a. (avv. Marraffa)
FALLIMENTO - SOCIETÀ - IN GENERE - RESPONSABILITÀ
DEGLI AMMINISTRATORI - SEQUESTRO - COMPETENZA DEL GIUDICE DELEGATO (artt.
669 bis e ss. cod. proc. civ.; 146 R.D. 16 marzo 1942 n. 267)
L’entrata in vigore della disciplina delle
misure cautelari di cui agli articoli 669 bis e ss. cod. proc. civ., introdotta
con la novella legislativa del 26 novembre 1990 n. 353, non ha fatto venir
meno la competenza esclusiva del giudice delegato, ex art. 146, ultimo
comma L.F., a disporre le opportune misure cautelari nell’autorizzare il
curatore a proporre l’azione di responsabilità verso gli amministratori,
i direttori generali, i sindaci e i liquidatori ex artt. 2393 e 2394 cod.
civ..
Con atto depositato in data 7/05/1998, il curatore
fallimentare della Edilizia Ma.Di. s.p.a., rilevando l’emergere di responsabilità
degli amministratori e sindaci nella società fallita, ai sensi degli
artt. 2392 c.c. 2403, per gravi irregolarità nella gestione sociale
per i primi e per l’omessa dovuta vigilanza per i secondi, proponeva istanze
ex art. 146, 2° comma L.F..
Il giudice, rilevando la sussistenza dei presupposti
per l’azione di responsabilità, esercitabile dal curatore, previa
autorizzazione del giudice delegato, ai sensi dell’art. 146 L.F., autorizzava
il curatore ad esercitare l’indicata azione di responsabilità e,
nel contempo, nell’esercizio dei poteri attribuitigli dalla disposizione
ora richiamata, disponeva con decreto il sequestro conservativo di tutti
i beni degli amministratori e dei sindaci (immobili, mobili, titoli, crediti
e partecipazioni) fino alla concorrenza di lire 20.000.000.000=, indicata
quale presumibile differenza tra l’attivo e il passivo della società,
identificante il danno subito dai creditori e dai clienti.
A seguito della comparizione delle parti disposta
ai sensi dell’art. 669/sexies cod. proc. civ., con ordinanza dell’1/07/1998
il giudice confermava il decreto di sequestro conservativo.
Avverso l’ordinanza propongono ora reclamo (i
giudizi relativi sono stati riuniti all’udienza odierna) Cordeschi Giuseppe
e Sirocchi Francesco con ricorsi depositati, rispettivamente, il 18/07
e il 29/07/1998 in cui chiedono la revoca del sequestro.
Il primo ha contestato la competenza del giudice
che ha disposto il sequestro conservativo dei beni, affermando che, dopo
l’entrata in vigore delle nuove disposizioni sui procedimenti cautelari,
sarebbe venuta meno la competenza del giudice delegato prevista dall’art.
146 L.F.. Ha inoltre contestato il provvedimento, lamentando come in esso
non fosse contenuta specifica motivazione sulle ragioni di urgenza che
avevano determinato l’emissione del provvedimento con decreto. Nel merito
lamentava la genericità delle accuse e l’assenza di prove su specifici
fatti colposi, come richiesto dall’art. 2407 c.c. per l’utile esperimento
dell’azione di responsabilità, ed affermava che, all’epoca a cui
risalivano le irregolarità, individuate dal coadiutore contabile
del curatore nei bilanci degli anni 1994/1995, esso Cordeschi aveva rassegnato
le dimissioni dalla carica di sindaco. Contestava infine l’autenticità
della propria firma, apposta in calce al bilancio 1992, rappresentando
di aver depositato, alla Procura della Repubblica, querela per falso, affermando
la falsità della sottoscrizione e richiedendo l’individuazione dei
responsabili del reato.
Sirocchi Francesco, a motivazione della richiesta
revoca, contestava la propria responsabilità, rilevando di essersi
limitato a ricoprire la carica di sindaco supplente e che, in tali funzioni,
non aveva alcun titolo per svolgere attività di vigilanza, mentre
per l’unico atto che risultava da lui compiuto, l’approvazione del bilancio
al 31/12/1992, aveva denunciato la falsità della firma con querela
depositata negli uffici di polizia il 10/06/1998. Rilevava ancora il Sirocchi
che, in ogni caso, il suo mandato doveva ritenersi scaduto l’11/03/1994
(essendosi compiuto in quella data il triennio d’incarico) e, poiché
le irregolarità contabili erano relative agli anni successivi, esso
reclamante non ne era in alcun modo responsabile.
Sulle questioni proposte nei reclami il Tribunale
ritiene quanto segue.
Priva di pregio l’eccezione d’incompetenza del
giudice adito.
Deve rilevarsi infatti, che in forza del disposto
di cui all’art. 669/quaterdecies cod. proc. civ., che prevede l’applicabilità
delle disposizioni sui provvedimenti cautelari, in quanto compatibili,
anche “agli altri provvedimenti cautelari previsti ... da leggi speciali”,
sulla base della ritenuta possibilità di applicare alle misure cautelari
c.d. extravagantes singole disposizioni comprese tra l’art. 669/bis e l’art.
669/terdecies cod. proc. civ. (in tal senso Cass. Sez. I, 17/02/1995 n.
1726) e per il necessario richiamo al principio di specialità, la
norma attributiva della competenza al giudice delegato è tutt’ora
in vigore (in tal senso moltissime pronunce dei giudici di merito; tra
le altre: Trib. Pistoia 11/01/1995, Trib. Bologna 22/04/1994, Trib. Modena,
4/03/1994, Trib. Torino 24/12/1992, Trib. Milano 19/03/1993). Sul punto
la Corte Costituzionale (sent. 8/05/1996 n. 148) ha inoltre ritenuto che
la normativa fallimentare (sulla cui vigenza la Corte non si è pronunciata
non essendo stata ad essa rimessa la relativa questione) non si pone in
contrasto con le norme costituzionali sull’eguaglianza, sul diritto di
difesa e sull’imparzialità del giudice, in considerazione delle
particolari connotazioni pubblicistiche delle procedure concorsuali
(da cui l’esigenza di assicurare il rapido svolgimento e il miglior rendimento
dell’attività giurisdizionale) ed essendo comunque previste, nell’ambito
del processo, adeguate garanzie per il diritto di difesa, quali la necessità
dell’autorizzazione del giudice delegato per l’esercizio dell’azione di
responsabilità, la successiva immediata convocazione delle parti
a seguito del decreto di sequestro per la valutazione sull’eventuale conferma,
la reclamabilità dell’ordinanza al Tribunale.
Ugualmente priva di rilevo appare la censura,
formulata dalla difesa di Cordeschi, circa la mancata specifica indicazione
delle ragioni di urgenza che giustificavano l’adozione della misura cautelare
con decreto. Indipendentemente dalla valutazione sulla dubbia applicabilità
diretta dei presupposti per l’adozione del decreto ai sensi dell’art. 669/sexies
cod. proc. civ., attesa l’utilizzazione, per la prima fase, sommaria, della
diversa procedura di cui all’art. 146 L.F., dalla lettura del provvedimento
risulta che il giudice ha tenuto conto, nell’adozione della misura, del
timore che gli amministratori e i sindaci potessero spogliarsi del patrimonio
tanto da far venire meno l’utile esperibilità dell’azione di responsabilità.
La circostanza individuata costituisce evidentemente, oltre che l’individuazione
del periculum in mora, anche un motivo di urgenza per l’adozione della
misura cautelare.
Entrambi i reclamanti hanno inoltre eccepito
di essere ormai cessati dalla carica nell’epoca in cui sarebbero riferibili
le irregolarità, limitate, secondo la loro tesi, agli anni 1994/1995
affermando di aver rassegnato le dimissioni. Per il Cordeschi la circostanza
delle dimissioni non è neppure provata, atteso che la documentazione
depositata certamente non ne costituisce prova, mentre il Sirocchi
documenta effettivamente di aver inviato all’amministratore della società
(Dionisi Leucio), una lettera di dimissioni, ricevuta dal destinatario
il 15/03/1994.
L’eccezione, indipendentemente dalla prova in
fatto, va disattesa in diritto. I sindaci, scaduti o dimissionari dall’incarico,
rimangono in carica fino alla sostituzione che si determina al momento
dell’accettazione dell’incarico da parte dei nuovi nominati. Nel caso in
esame non è stata neppure allegata un’eventuale nuova nomina successivamente
intervenuta e deve quindi ritenersi che la carica indicata fosse da entrambi
ancora ricoperta, con i conseguenti obblighi di vigilanza, anche negli
anni 1994, 1995.
Con riferimento, inoltre, all’asserita genericità
delle accuse e degli elementi di responsabilità individuati nel
decreto e nell’ordinanza confermativa del sequestro conservativo, si rileva
che la sommarietà della fase cautelare, esplicitamente richiamata
dal giudice delegato, non richiede l’individuazione di specifici fatti
colposi (ovvero volontari), ma per la stessa è sufficiente individuare,
come correttamente è stato operato, il mantenimento di un comportamento
di violazione ai doveri previsti, per i sindaci, agli artt. 2403 e 2407
cod. civ., risultando riservata alla successiva fase di merito l’analitico
accertamento sugli specifici episodi.
Va invece presa in considerazione la contestazione
di responsabilità, avanzata dal reclamante Sirocchi, per avere egli
rivestito la carica di sindaco solo in supplenza e per non aver partecipato,
in tale veste, a concreti atti di gestione e di controllo, vista la querela,
per falsità della firma, proposta in relazione all’unico atto che
risulta da lui sottoscritto: il bilancio al 31/12/1992.
Il mancato compimento, da parte del sindaco supplente,
di atti di gestione e di controllo diversi dalla sottoscrizione dell’indicato
bilancio (per la quale vi è querela di falso), in assenza di dati
che indichino l’impedimento all’attività dei sindaci effettivi o
di alcuno di essi, e, quindi, il necessario subentro nelle funzioni del
sindaco supplente, ai sensi dell’art. 2401 cod. civ., induce ad escludere
che al Sirocchi possa addebitarsi, almeno nella sommarietà della
presente fase cautelare, la violazione dei doveri di cui all’art. 2403
cod. civ..
Il sequestro nei confronti del Sirocchi deve
quindi essere revocato.
Va invece confermata la misura cautelare nei
confronti del Cordeschi Giuseppe, per il quale hanno trovato conferma gli
elementi già evidenziati dal giudice delegato in ordine ai profili
di responsabilità per omissioni di vigilanza nella gestione e al
pericolo nel ritardo per il fondato timore che il reclamante compia atti
di disposizione del proprio patrimonio idonei a vanificare il diritto al
risarcimento dei danni di cui il fallimento richiede il riconoscimento
con l’azione di responsabilità.
Sulla
competenza del giudice delegato alle misure cautelari a carico degli amministratori
di Andrea
Pietrolucci
Sulla compatibilità tra l’art. 146, ultimo
comma L.F., il quale prevede una competenza esclusiva, ante causam, del
giudice delegato nell’applicazione delle opportune misure cautelari in
vista dell’azione di responsabilità contro gli amministratori e
la nuova disciplina delle misure cautelari, introdotta dalla legge n. 353/1990
e contenuta negli artt. 669-bis e ss. cod. proc. civ. si sono, a tutt’oggi,
delineati in dottrina e giurisprudenza tre diversi orientamenti.
Il punto di partenza comune di tali diversi orientamenti
muove dalla necessità di svolgere un giudizio di compatibilità
tra la misura (certamente) cautelare contenuta nell’art. 146, 3° comma,
L.F. e la disciplina unitaria introdotta dalla novella legislativa del
‘90.
Appare, quindi, opportuno analizzare gli elementi
peculiari della fattispecie di cui all’art. 146, 3° comma, L.F.
Tale norma stabilisce: “...Il giudice delegato, nell’autorizzare il curatore
a proporre l’azione di responsabilità, può disporre le opportune
misure cautelari.”
Le misure cautelari opportune previste dall’art.
146, 3° comma, L.F., si sostanziano di fatto esclusivamente nel sequestro
conservativo, il quale mira a preservare il patrimonio di coloro nei cui
confronti è disposto, in vista dell’eventuale esito positivo dell’azione
di responsabilità.
Secondo la concorde esegesi gli elementi peculiari
della misura cautelare in oggetto sono:
la possibilità per il giudice delegato
di disporla d’ufficio, senza che sia necessaria un’istanza di parte, ma
essendo necessaria e sufficiente la sola richiesta di autorizzazione del
curatore a proporre l’azione di responsabilità nei confronti degli
amministratori e sindaci (quale condizione di procedibilità);
la competenza del giudice delegato sussiste
fino al momento della notificazione dell’atto di citazione in giudizio
degli amministratori e dei sindaci, momento in cui la competenza ad emettere
le misure cautelari si radica in capo al giudice del merito.
La ratio giustificatrice di tali previsioni risiede
da una parte nell’esigenza di valorizzare la speditezza della procedura,
dall’altra nell’esigenza di valorizzare la conoscenza specifica dei fatti
da parte del giudice delegato, prima dell’instaurazione del giudizio di
responsabilità.
Al fine di ritenere applicabile a tale misura
cautelare la nuova disciplina uniforme occorre verificare se da tale applicazione
possa derivare un pregiudizio, in termini di funzionalità, alla
misura cautelare in oggetto ed alle esigenze ad essa sottostanti. Ciò
in forza del disposto dell’art. 669 quaterdecies il quale stabilisce che:
“...le disposizioni della presente sezione si applicano....in quanto compatibili,
agli altri provvedimenti cautelari previsti dal codice civile e dalle leggi
speciali”.
Occorre, quindi, analizzare all’interno degli
artt. 669 bis e ss. cod. proc. civ., le disposizioni che appaiono incompatibili
con la misura cautelare di cui all’art. 146, 3 comma, L.F., per valutare,
poi, l’applicabilità o meno di tale disciplina uniforme.
Esse si sostanziano essenzialmente negli artt.
669 bis, ter e sexies cod. proc. civ..
L’art. 669 bis (Forma della domanda) stabilisce
che “la domanda si propone con ricorso nella cancelleria del giudice competente”.
Tale norma che presuppone un’istanza di parte potrebbe apparire in contrasto
con la possibilità dell’emissione officiosa del sequestro conservativo
di cui all’art. 146, comma 3, L.F. da parte del giudice delegato.
L’art. 669 ter (Competenza anteriore alla causa)
è, probabilmente, la disposizione che più delle altre sembra
porsi in contrasto con l’art. 146, comma 3, L.F. in quanto prescrive che
“la domanda prima dell’inizio della causa si propone al giudice competente
a conoscere del merito”. Essa, quindi, non solo presuppone un’istanza di
parte, ma contiene una deroga alla competenza funzionale ed esclusiva del
giudice delegato all’emissione del provvedimento cautelare.
Infine, l’art. 669 sexies (Procedimento) nel
suo 1° comma, prescrive l’audizione delle parti prima di provvedere
con ordinanza all’accoglimento o al rigetto della domanda e, al 2°
comma, prevede la possibilità per il giudice, “..quando la convocazione
della controparte potrebbe pregiudicare l’attuazione del provvedimento..”
di adottare il provvedimento inaudita altera parte. Tale articolo sembrerebbe
porsi in contrasto con la disposizione dell’art. 146, comma 3, L.F., nella
parte in cui prescrive l’audizione preventiva delle parti come regola procedimentale.
Torniamo ora ai diversi orientamenti sviluppatisi
in dottrina e giurisprudenza.
Un primo orientamento, nettamente minoritario,
sostiene che l’entrata in vigore degli artt. 669 bis e ss. cod. proc. civ.,
avrebbe implicitamente abrogato la disposizione di cui all’art. 146, comma
3, L.F. con la conseguenza che, anche nell’ambito delle procedure concorsuali,
si dovrebbe ritenere integralmente applicabile la nuova disciplina uniforme
contenuta in tali articoli (c.d. tesi dell’applicabilità globale:
avendo la nuova disciplina regolato ex novo l’intera materia, ai sensi
dell’art. 15 “Disposizione sulla legge in generale” deve ritenersi avvenuta
la abrogazione di tutta la disciplina speciale antecedente, in deroga al
principio della non abrogazione della norma speciale anteriore da parte
della legge generale successiva).
I sostenitori di tale tesi, partendo dal dato
positivo dell’art. 669 quaterdecies, compiono il giudizio di compatibilità,
ivi previsto, tra l’art. 146, comma 3, L.F. e la disciplina unitaria contenuta
nel codice di rito e giungono alla conclusione che le esigenze sottese
alla norma in commento possono essere soddisfatte e garantite allo stesso
modo dalla disciplina codicistica.
Infatti, l’elemento di specialità che
costituisce il limite all’espansione della disciplina codicistica sussisterebbe
qualora la disciplina “particolare” contenesse aspetti non regolati da
quella “generale” e specialmente qualificanti la misura, in quanto concorrenti
ad assicurarne la funzionalità.
Come sopra evidenziato, le esigenze sottese alla
norma in commento, che caratterizzano la misura cautelare ivi prevista,
consistono nella valorizzazione della conoscenza particolare dei fatti
da parte del giudice delegato (che viene soddisfatta con la previsione
della competenza funzionale ed esclusiva di tale giudice ante causam) e
nella speditezza processuale (che viene soddisfatta dalla possibilità
per il g.d. di adottare la misura cautelare d’ufficio dal momento in cui
viene formulata la richiesta di autorizzazione alla proposizione dell’azione
di responsabilità verso gli amministratori da parte del curatore).
Per quanto riguarda l’esigenza di valorizzare
la conoscenza particolare conseguita dal g.d. in considerazione del suo
ufficio, i sostenitori di tale tesi sottolineano che essa debba necessariamente
essere desunta dagli atti del procedimento e non dalla scienza privata
e dalla conoscenza extraprocessuale che il giudice delegato possa avere
di determinate circostanze. Quindi, le circostanze che egli può
e deve utilizzare, sarebbero quelle stesse che possono e devono essere
valutate dal giudice della cautela e che a questi sono sottoponibili, dovendo
esse risultare dagli atti del procedimento.
Per quanto riguarda, invece, l’elemento della
speditezza processuale, coloro che aderiscono a tale impostazione hanno
posto in evidenza come esso potrebbe essere ugualmente garantito dalla
previsione, contenuta nell’art. 669-sexies cod. proc. civ., della possibilità
per il giudice della cautela di adottare il provvedimento inaudita altera
parte.
Infatti, l’urgenza che legittima il g.d. alla
pronuncia ex art. 146 L.F. ed il giudice della cautela ad adottarla con
decreto sarebbe fondata su ragioni oggettive, ossia sull’emergenza di elementi
che inducono a ritenere che il contraddittorio preventivo possa vulnerarne
la funzionalità: come tali apprezzabili non diversamente dall’uno
o dall’altro giudice, dovendo esse risultare dagli atti.
I sostenitori di tale orientamento concludono
affermando che, visto che l’applicazione della nuova disciplina delle misure
cautelari al sequestro conservativo di cui all’art. 146 L.F. non inficia
affatto l’effettività della cautela ed, anzi, risulta compatibile
con tale misura cautelare, l’ultimo comma dell’art. 146 L.F. dovrebbe ritenersi
implicitamente abrogato dall’entrata in vigore degli artt. 669-bis e ss
cod. proc. civ.
(T. Milano 11.11.93, F.I. 1994, 603; T. Napoli
21.10.1993, F.I. 1994, 1918, nt. Mariani Mazzotta).
L’impostazione largamente prevalente, invece,
partendo sempre dall’analisi degli effetti del giudizio di compatibilità
di cui all’art. 669 quaterdiecies cod. proc. civ. e della ivi presente
clausola di compatibilità, è giunta a risultati diversi.
Secondo tale tesi la nuova disciplina dei provvedimenti
cautelari non avrebbe, infatti, sostituito integralmente la disciplina
speciale. Ciò per due ordini di motivi. Il primo rinvenibile dall’interpretazione
dell’art. 669 quaterdiecies cod. proc. civ., dalla quale si dovrebbe evincere
che la valutazione di compatibilità, richiesta dalla norma al fine
della sua applicazione ai procedimenti cautelari contenuti in leggi speciali,
non deve avvenire rispetto al corpo unitario delle disposizioni contenute
nella novella del ’90, ma tra le singole disposizioni in essa contenute
e le singole disposizioni dettate dal codice civile e da leggi speciali
(c.d. tesi della compatibilità parziale della disciplina unitaria).
Il secondo derivante dall’applicazione del noto principio secondo il quale
lex posterior generalis non derogat priori speciali.
In base a tale ragionamento sarebbe, quindi,
possibile rinvenire, all’interno delle singole disposizioni dettate dalla
novella del ’90, norme compatibili con la misura cautelare ex art. 146,
comma 3, L.F. e norme incompatibili.
In particolare, risulterebbero incompatibili
con la competenza funzionale ed esclusiva del giudice delegato e con l’esigenza
della celerità processuale solo la previsione dell’art. 669 bis
(la domanda si propone con ricorso al giudice competente) e quella dell’art.
669 ter (competenza ante causam del giudice competente a conoscere nel
merito) nonché quella dell’art. 669 sexies, comma 1.
I sostenitori di tale tesi insistono, infatti,
sul rilievo che la competenza funzionale del g.d. trae origine dalla necessità
di utilizzare con la massima celerità le conoscenze da questi acquisite
in “virtù del suo ufficio di direzione della procedura concorsuale”,
tale dato è confermato anche dalla non necessarietà della
istanza del curatore al fine dell’applicazione della misura cautelare (c.d.
potere officioso del giudice delegato), il quale potrebbe decidere l’applicazione
di dette misure anche sulla base di canali informativi diversi dalla relazione
del curatore, quali ad esempio le segnalazioni della Guardia di Finanza,
ma sempre previa richiesta di autorizzazione da parte del curatore all’esercizio
dell’azione di responsabilità.
Per quanto riguarda, invece, le esigenze di celerità
processuale, viene sottolineato che l’art. 146 ultimo comma, L.F., individua
il primissimo momento temporale in cui può essere concesso il sequestro,
nell’atto stesso della autorizzazione a proporre l’azione di responsabilità,
momento caratterizzato dalla assenza di un giudice designato ex art. 669
ter cod. proc. civ. e che la previsione, contenuta nell’art. 669 sexies,
della possibilità del giudice della cautela di emettere il decreto
inaudita altera parte, non sarebbe idonea a garantire le esigenze di celerità
processuale che caratterizzano la misura cautelare di cui all’art. 146,
ultimo comma, L.F..
Infatti, il giudice designato dal Presidente
del Tribunale ex art. 669 ter, qualora gli fosse richiesto dal curatore
di provvedere con decreto inaudita altera parte, si troverebbe di fronte
alla necessità, in quanto totalmente all’oscuro dei fatti, di posticipare
nel tempo la decisione per visionare la copiosa documentazione che il curatore
necessariamente sarebbe costretto a produrre (trovandosi di fronte ad un
giudice “ignorante”), a scapito di interessi di rilevanza pubblicistica.
Per concludere, secondo questa impostazione le
nuove norme sono ritenute applicabili anche nel procedimento di sequestro
ex art. 146 L.F., ma con salvezza dei profili di spiccata peculiarità
di questa cautela; con la conseguenza che gli artt. 669 bis-ter-sexies,
comma 1 e 2, non saranno applicabili alla misura cautelare de quo e che
solo dopo la concessione del decreto di sequestro, e dunque, solo in questa
seconda fase, riprenderanno vigore le regole del nuovo processo cautelare
uniforme, e così troveranno applicazione gli artt. 669sexies, comma
2, 669 septies-octies-novies-decies-undecies-duodecies-terdecies cod. proc.
civ. (Cass. 17.2.95 n. 1726, CG 1995, 563, nt. TOMMASEO; T. Monza 5.4.94,
FI 1994, I, 3222; T. Verbania 9.2.94, Fa 1994, 757; T. Treviso 16.2.94,
FI 1994, I, 1918; VERDE (22), 447; COSTANTINO (8), 412; PANZANI (17), 217).
Infine, si è sviluppato un terzo orientamento,
minoritario come il primo, che, aderendo all’impostazione di maggioranza,
ne propone una variante, al fine di tentare di conciliare le esigenze di
garanzia sottese all’adozione della nuova disciplina cautelare uniforme
con le esigenze di tipo pubblicistico che caratterizzano il procedimento
concorsuale.
I sostenitori di questo orientamento muovono
dall’affermazione che, in base al principio secondo il quale le norme di
carattere generale possono essere applicate ove non derogate da una disciplina
specifica e, tenuto conto del carattere generale della nuova normativa
sui procedimenti cautelari, v’è da ritenere che ogni singola norma
disciplinante il procedimento cautelare in genere sia applicabile se non
incompatibile, ai provvedimenti cautelari “speciali” (c.d. tesi della compatibilità
parziale, cui aderiscono anche i sostenitori dell’impostazione maggioritaria).
Quindi, tenuto conto dell’impossibilità
per il giudice delegato di divenire, dopo la concessione del decreto di
sequestro, giudice imparziale del procedimento cautelare, la vera tutela
della parte resistente non potrebbe attuarsi con la instaurazione del contraddittorio
avanti il medesimo giudice delegato ex art. 669 sexies, comma 2, cod. proc.
civ. (come sostenuto dalla già esaminata esegesi maggioritaria),
bensì con la proposizione contro il decreto del reclamo ex art.
669 terdecies avanti al Tribunale in composizione collegiale di cui il
giudice delegato non farà parte, rendendo così più
sollecita l’instaurazione del contraddittorio in una sede effettivamente
del tutto neutrale.
I sostenitori di tale ultimo orientamento concludono
affermando che “...si avrà così qui un decreto di sequestro
inaudita altera parte del tutto sui generis: non solo infatti non si applicherà
il comma 1 dell’art. 669 sexies, ma neppure il comma 2, ammettendosi invece
subito in modo del tutto eccezionale, per le peculiarità del procedimento,
il reclamo cautelare, omisso medio” (T. Genova 11.3.93, FI 1994,
I, 1919 ; T. Torino 24.12.93, DF 1994, 520, nt. contr. MONTANARI).
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