Cass.
2/9/1998 n. 8703 - Pres. Carbone - Est. Bonomo - BNL s.p.a.
(avv. De Angelis e Caltabiano) c. Fall. Ferrara Soccorso di Brugnati Marco
e C. (avv. Brabdoli)
FALLIMENTO - EFFETTI SUGLI ATTI PREGIUDIZIEVOLI
AI CREDITORI- AZIONE REVOCATORIA FALLIMENTARE - MEZZI ANORMALI DI PAGAMENTO
-MANDATO IN REM PROPRIAM - REVOCABILITÀ - ANCHE IN RELAZIONE AD
ANTICIPAZIONI FUTURE - SUSSISTENZA
FALLIMENTO - EFFETTI SUGLI ATTI PREGIUDIZIEVOLI
AI CREDITORI- AZIONE REVOCATORIA FALLIMENTARE - PAGAMENTI - INTERESSI -
MAGGIOR DANNO - RICONOSCIMENTO - DECORRENZA
Il mandato all’incasso in rem propriam, ottenuto
sia per la restituzione di somme anticipate dal mandatario prima del rilascio
del mandato che per somme erogate successivamente, si configura come mezzo
anormale di pagamento ogni volta che, tenuto conto del fine perseguito
dai contraenti e della loro comune volontà, possa dedursi che il
mandato abbia avuto una funzione prevalentemente solutoria intendendo le
parti precostituire un modo atipico e non usuale di ottenere la soddisfazione
di ogni futuro credito (fattispecie nella quale il mandato era stato rilasciato
da una società in favore di una banca anche per anticipazioni che
la banca avrebbe accordato a brevissimo tempo di distanza dal rilascio
dei mandati, in forza dei quali la banca aveva riscosso i crediti da debitori
del mandante utilizzandoli immediatamente per ripianare le anticipazioni
concesse).[1]
Sulle somme dovute in base all’accoglimento
di una revocatoria fallimentare, avente per oggetto il pagamento di una
somma di denaro, spettano gli interessi dalla data della domanda giudiziale,
in conseguenza della natura costitutiva dell’azione, che tende a privare
di efficacia un atto perfettamente valido tra le parti; può inoltre
essere riconosciuto il maggior danno ex art. 1224, 2° comma, cod. civ.
ove ne ricorrano i presupposti, ugualmente a partire dalla domanda, data
di costituzione in mora.[2]
(omissis)
Motivi della decisione
1] Con il primo mezzo d’impugnazione la ricorrente
lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 67 L.F..
Avrebbe errato la Corte di merito nel ritenere
che il conferimento al creditore di un mandato a riscuotere crediti vantati
dal debitore verso terzi realizzasse un mezzo anormale di pagamento e che
fosse irrilevante distinguere se il mandato fosse stato conferito prima
o dopo il sorgere del credito del mandatario verso in mandante.
Il mandato non è di per sé un mezzo
satisfattorio e non può essere assimilato ad un pagamento, realizzandosi
il soddisfacimento del creditore-mandatario solo con l’eventuale
e successiva esecuzione del mandato.
L’eventuale revoca del mandato non toglie che
il terzo debitore si sarebbe liberato, avendo pagato nelle mani di che
appariva, sulla base del mandato, perfettamente legittimato a ricevere
il pagamento.
La revoca del mandato, dunque, non farebbe altro
che mutare il titolo del debito del mandatario che ha riscosso, prima riconducibile
allo stesso mandato e, dopo la revoca, alla ripetizione di indebito. In
entrambi i casi, l’istituto mediante il quale il mandatario consegue il
proprio soddisfacimento non è un “atto di riscossione” o un “pagamento”,
ma deve essere individuato nella compensazione, sicuramente ammissibile
in sede di fallimento, in quanto tra debiti sorti entrambi prima del fallimento.
L’attribuzione (indiretta) ricevuta dal mandatario
potrebbe essere (essa, non il mandato) sottoposta a revocatoria, ma ciò
costituirebbe altro problema, non sollevabile dal curatore, che non aveva
mai esercitato azione revocatoria contro pagamenti indiretti ricevuti dalla
banca.
Nella specie, i patti contrattuali confermavano
che il mezzo estintivo posto a disposizione della banca era stato la compensazione:
immediata, se la banca avesse accreditato subito, come aveva fatto in concreto,
tutte le somme riscosse sui conti debitori della Ferrara Soccorso; differita,
sino a quanto fosse stata eccepita, se la banca avesse voluto tenere le
somme in pegno.
Doveva anche escludersi che le parti avessero
voluto nella specie una cessione di credito, comunque non prospettata dal
curatore.
In ogni caso doveva escludersi che gli atti avessero
natura solutoria, in quanto la cessione di credito in favore di chi sia
creditore verso il cedente può essere valutata come cessione in
pagamento soltanto se il cessionario fosse da prima creditore del cedente.
Se, viceversa, il cessionario fa credito al cedente contestualmente alla
cessione, come era indiscutibilmente avvenuto nella specie, la cessione
assolve esclusivamente una funzione di garanzia.
Di conseguenza, secondo la ricorrente, i mandati
della Ferrara Soccorso (se fossero stati revocabili) o le (ipotetiche)
cessioni erano sottratti al più grave regime revocatorio previsto
dal 1° comma dell’art. 67 L.F. e restavano revocabili ai sensi del
suo 2° comma, a condizione che il curatore fosse riuscito a provare
la conoscenza, da parte della banca, al tempo della loro stipulazione,
dello stato di insolvenza della Ferrara Soccorso.
[1.1] Il motivo non è fondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, allorquando
il denaro non è strumento di immediata e diretta soluzione, ma solo
un mezzo indiretto di adempimento in quanto effetto terminale di altri
negozi, deve ravvisarsi un’anormalità di pagamento presupposto per
la revoca di cui all’art. 67, 1° comma, n. 2 L.F.. É, perciò,
necessario, per escludere la revoca, non solo constatare che l’estinzione
del debito pecuniario scaduto ed esigibile si sia realizzata con danaro,
ma che questo non sia stato corrisposto al compimento di un processo satisfattorio
non usuale alla stregua delle ordinarie transazioni commerciali (Cass.
8 marzo 1995 n. 2706; 22 novembre 1996 n. 10347).
Ora, secondo quanto rilevato in fatto dalla sentenza
impugnata, i mandati all’incasso riguardavano quasi tutti - con le sole
eccezioni delle tre anticipazioni per lire 16.100.000, 23.500.000 e 24.000.000
effettuate rispettivamente, le prime due in data 22.1.1988, ed il giorno
8.2.1988 la terza - crediti sorti dopo il rilascio dei mandati stessi,
essendo le altre anticipazioni avvenute successivamente ai singoli mandati
sulla base delle richieste della società poi fallita, anch’esse
posteriori ai mandati.
Con la complessa operazione di cui trattasi,
attuata attraverso il rilascio dei mandati ed il successivo adempimento
da parte del terzo, la Banca ha sostanzialmente ottenuto la restituzione
sia di somme anticipate alla società Ferrara Soccorso prima del
rilascio dei mandati sia di somme erogate dalla banca alla società
successivamente ai mandati.
Già il fatto che l’operazione servisse
a restituire alla banca alcune somme già anticipate la qualificava
come un mezzo di pagamento non normale. Invero, questa Corte ha affermato
che, ai fini della revocatoria fallimentare ex art. 67, 1° comma ,
n. 2 L.F., lo scopo di estinguere una precedente passività, come
motivo ulteriore rispetto alla causa dei singoli negozi, conferisce all’intera
operazione, formata dai negozi collegati, carattere anormale e qualifica
anche l’atto terminale di estinzione del debito, comportando la presunzione
juris tantum di conoscenza dello stato di insolvenza (Cass. 13 luglio 1994
n. 6569; cfr. pure Cass. 5 luglio 1997 n. 6047 e 25 febbraio 1993 n. 2330).
Ma anche per le anticipazioni effettuate dalla
banca successivamente al rilascio dei mandati l’anormalità del mezzo
di pagamento emergeva dalla valutazione dell’operazione nella sua globalità,
secondo l’apprezzamento dal giudice di merito.
La Corte di appello - dopo aver riportato letteralmente
i termini nei quali una delle anticipazioni si era verificata (“In relazione
agli accordi vi rimettiamo, accluse alla presente, le sotto elencate copie-fatt.
per il complessivo importo di lire 79.158.500 e Vi preghiamo di volerci
accordare su di esse un anticipo di lire 64.000.000...”) ed aver sottolineato
che lo stesso sistema era stato seguito per le altre anticipazioni - è
pervenuta alla conclusione, tenuto conto del fine perseguito dai contraenti
e la loro comune volontà, che i mandati irrevocabili conferiti non
avessero una mera funzione di garanzia, bensì una funzione prevalentemente
solutoria, e che le parti avessero precostituito un modo atipico e non
usuale di ottenere la soddisfazione di ogni futuro credito. In tale prospettiva,
il giudice di appello ha evidenziato come i mandati erano stati rilasciati
in funzione esclusiva di tutte le anticipazioni che la banca avrebbe
accordato a brevissimo tempo di distanza ed in considerazione dell’ammontare
di queste, senza che fosse mai accaduto che una parte dei crediti, riscossi
dalla banca, anch’essi in tempi assai vicini al conferimento dei mandati
ed in epoca a ridosso del fallimento, non fosse stata utilizzata ad immediata
estinzione del credito della banca (la costituzione di pegno pure prevista
da due contratti non era stata di fatto mai utilizzata). L’accertato carattere
anormale del mezzo di pagamento comportava, quindi, l’applicazione dell’art.
67, 1° comma, n. 2 L.F..
(omissis)
4] Con il quarto motivo la ricorrente lamenta
violazione dell’art. 67 L.F. per avere la sentenza impugnata accordato
al curatore la rivalutazione della somma e fatto decorrere gli interessi
dalla data delle singole riscossioni.
In caso di revocatoria fallimeantare di pagamenti,
il soccombente deve restituire la somma effettivamente ricevuta, senza
alcuna rivalutazione della medesima, e gli interessi da lui dovuti possono
decorrere soltanto dalla notificazione della domanda.
[4.1] Il motivo è fondato.
Questa Corte, con una decisione condivisa dal
Collegio, ha recentemente affermato che sulle somme dovute in base all’accoglimento
di un’azione revocatoria fallimentare (avente per oggetto un pagamento)
spettano gli interessi dalla data della domanda giudiziale, data la natura
costitutiva dell’azione, senza esclusione, ove ne sussistano i presupposti,
del maggior danno di cui all’art. 1224, 2° comma, cod. civ., ugualmente
a partire da tale costituzione in mora (Cass. 23 gennaio 1997 n. 699, che
in motivazione, sul punto della natura costitutiva della pronunzia, sottolinea
come la pronunzia di accoglimento della revocatoria fallimentare sia diretta
a privare di efficacia, con riguardo alle finalità di ricostruire
la garanzia patrimoniale del debitore, un atto perfettamente valido. tra
le parti; sulla natura costitutiva della sentenza che accoglie la domanda
di revocatoria fallimentare vedi Cass. Sez. Un. 13 giugno 1996 n. 5443).
La sentenza impugnata va pertanto cassata con
rinvio della causa ad altra sezione della Corte di appello di Bologna che
la riesaminerà alla luce dei principi enunciati in relazione al
quarto motivo di ricorso.
Sulla
revoca del mandato all’incasso
di Mariella Roberti
[1-2] La sentenza che si annota, nell’affrontare
il problema della revocatoria fallimentare degli atti estintivi di debiti
pecuniari con mezzi anormali di pagamento, con riferimento al mandato in
rem propriam, esamina la particolare ipotesi del mandato rilasciato ad
una banca per anticipazioni future per ricomprenderlo, nel ricorrere di
certi presupposti, tra i mezzi anormali di pagamento. Tratta inoltre l’argomento
degli interessi e del maggior danno (anche da svalutazione monetaria) sulle
somme da restituire in conseguenza della dichiarazione di inefficacia.
Il caso posto all’attenzione della corte riguardava
una società che, svolgendo, tra le altre attività, servizi
di autoambulanza per conto di alcune Unità Sanitarie Locali, anteriormente
al fallimento, aveva usufruito, presso istituto bancario, di affidamento
su conto corrente ordinario e anticipazioni su crediti verso l’USL. Poco
prima del fallimento (dichiarato con sentenza del 23-26/10/1988) la banca
aveva ottenuto il rientro delle esposizioni attraverso la riscossione di
crediti della società fallita verso una delle USL, utilizzando sei
mandati all’incasso, rilasciati, per atto notarile, tra il marzo e il luglio
del 1988. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano ritenuto, accogliendo
la tesi del fallimento, che i mandati all’incasso, da ritenersi mandati
in rem propriam, erano stati rilasciati in funzione solutoria e in quanto
tali erano qualificabili come atti estintivi di debiti pecuniari effettuati
con mezzi anormali di pagamento. Il Tribunale, in particolare, aveva rilevato
che il meccanismo negoziale utilizzato aveva rappresentato la precostituzione
di un mezzo sicuro del mandante-creditore di ottenere il pagamento mentre
la Corte d’Appello, premettendo che tra i mezzi anormali di pagamento devono
ricomprendersi anche quelli in cui il versamento del denaro non assolve
ad una immediata funzione solutoria, ma entra in via mediata e indiretta
quale effetto finale di altri negozi, aveva assimilato il conferimento
al creditore di un mandato a riscuotere crediti vantati dal debitore verso
terzi alla cessione di credito, dove il medesimo scopo solutorio viene
perseguito attraverso il rilascio del mandato nella forma indicata. Il
giudice d’appello, applicando i principi enunciati al caso concreto, valutando
complessivamente ed unitariamente il rapporto e rilevando il dato, emergente
dagli atti, che i crediti riscossi dalla banca erano sempre stati utilizzati
ad immediata estinzione del credito dalla stessa vantato nei confronti
del mandante, aveva concluso per 1’anormalità e, quindi, la revocabilità
dell’intervenuto atto estintivo. Aveva inoltre ritenuto irrilevante la
posteriorità delle anticipazioni rispetto al mandato, avendo le
parti inteso precostituire un modo atipico e non usuale di ottenere la
soddisfazione di ogni futuro credito dando così luogo ad una convenzione
evidentemente solutoria.
La tesi dei giudici di primo e secondo grado
era stata contestata dall’istituto bancario, ricorrente in cassazione,
che aveva evidenziato come il mandato, per sè, non fosse qualificabile
come mezzo anormale di pagamento atteso che, essendo intervenuto il soddisfacimento
del credito vantato dal mandatario solo con l’eventuale esecuzione del
mandato, l’estinzione dell’obbligazione derivava non da una riscossione
o da un pagamento, ma conseguiva ad una compensazione tra il credito del
mandatario per l’eventuale anticipazione e il debito dello stesso, derivante
dall’esecuzione del mandato. La circostanza che le anticipazioni fossero
posteriori o contestuali al mandato acquistava inoltre rilievo determinante
poichè, anche a voler assimilare i mandati alla riscossione alle
cessioni di credito, la contestualità del credito del cessionario
nei confronti del cedente era idonea ad attribuire alla cessione stessa
un’esclusiva funzione di garanzia. La corte respinge queste obiezioni aderendo
alla consolidata giurisprudenza di legittimità laddove afferma che
“allorquando il denaro non è strumento di immediata e diretta soluzione,
ma solo un mezzo indiretto di adempimento in quanto effetto terminale di
altri negozi, deve ravvisarsi un’anormalità di pagamento presupposto
per la revoca di cui all’art. 67, 1° comma, n. 2 L.F.”, con la conseguente
necessità che per escludere la revoca va verificato non solo “che
l’estinzione del debito pecuniario scaduto ed esigibile si sia realizzata
con danaro, ma che questo non sia stato corriposto al compimento di un
processo satisfattorio non usuale alla stregua delle ordinarie transazioni
commerciali”[1] .
In giurisprudenza, con riferimento al principio
espresso, sono stati ritenuti mezzi normali di pagamento oltre, ovviamente,
il denaro: gli assegni, le cambiali, i vaglia cambiari e i titoli a questi
equiparati. Sono stati invece ritenuti mezzi anormali di pagamento: la
restituzione al venditore di merci acquistate e non pagate, eseguita dal
compratore al fine di estinguere ogni pregresso rapporto[2] ovvero
di estinguere un residuo debito per una parte del prezzo[3] , la stipula,
tra la banca e la società correntista che già godeva di affidamenti
contestualmente revocati, di un mutuo ipotecario, incorporato in un buono
infruttifero ed utilizzato per estinguere i saldi debitori dei conti revocati[4]
, il rilascio di una procura a vendere a tacitazione di un debito del mandatario[5]
, le anticipazioni su fattura in quanto in collegamento con mandato irrevocabile
alla riscossione dei crediti con facoltà di compensazione del ricavato
dalla riscossione[6] e, più in generale, la cessione di crediti
verso terzi operata dal correntista in favore della banca contestualmente
all’apertura di credito bancario, ma al fine di ridurre una pregressa esposizione
passiva di conto corrente[7] . Nell’ambito del mandato in rem propriam,
negli stessi termini della sentenza ora all’esame, era stato inoltre ritenuto
che “l’attribuzione di un mandato in rem propriam all’incasso di crediti
nei confronti di un terzo, con il conferimento della facoltà di
utilizzare le somme incassate per l’estinzione, totale o parziale, di un
debito verso il mandatario, benchè non ancora sorto, anche attraverso
la compensazione delle rispettive ragioni creditorie, producendo effetti
sostanzialmente analoghi alla cessione di crediti, ha, oltre uno scopo
di garanzia, soprattutto funzione solutoria, risolvendosi nella precostituzione
di un mezzo sicuro di pagamento per il mandatario in ordine ai finanziamenti
da effettuare a favore del mandante”[8] , così escludendosi, diversamente
da quanto sostenuto dalla banca ricorrente nel giudizio di cui alla sentenza
in esame, che la compensazione operata tra il credito, preesistente o successivo,
del mandatario e il debito da lui assunto per l’incasso del credito ceduto
possa configurarsi come compensazione ammissibile in sede fallimentare
ai sensi dell’art. 56 L.F.. Peraltro, nel mandato in rem propriam, appare
dubbia l’esclusiva revocabilità dell’atto negoziale di conferimento
del mandato atteso che, rilevandosi che il mandato si differenzia
dalla cessione di credito perchè nella seconda si produce l’immediato
trasferimento della posizione attiva del rapporto obbligatorio ad altro
soggetto che diviene l’unico legittimato a pretendere la prestazione del
debitore ceduto, mentre nel primo si conferisce al mandatario solo la legittimazione
alla riscossione del credito di cui resta titolare il mandante e non integrando
il mandato una cessione di credito con funzione di garanzia (poichè
la garanzia si realizza in forma empirica, di fatto, come conseguenza della
disponibilità del credito verso il terzo), risultano autonomamente
revocabili gli atti solutori conseguiti all’esecuzione del mandato, indipendentemente
dalla revocabilità o meno del mandato stesso[9] .
La sentenza in esame opera un’ulteriore apertura
sull’assoggettabilità a revocatoria, ammettendo la revocabilità
del mandato in rem propriam anche ove lo stesso risulti concluso in vista
di anticipazioni future che certamente non possono ricomprendersi tra i
debiti pecuniari scaduti ed esigibili indicati all’art. 67, 1° comma,
n. 2. La soluzione adottata appare certamente innovativa, considerando
che, precedentemente, era invece stato ritenuto che la cessione di credito
effettuata in funzione solutoria è revocabile per l’anormalità
del pagamento salvo che sia stata prevista come mezzo di estinzione contestuale
al sorgere del debito con essa estinto[10] . La corte peraltro, pur non
offrendo una specifica spiegazione sulla possibilità di sussumere
le anticipazioni future nella categoria dei debiti pecuniari scaduti ed
esigibili ovvero non evidenziando l’estensione dell’inefficacia rispetto
al tenore letterale della disposizione, aderendo alla tesi che aveva sostenuto
la corte d’appello, mette in rilievo la necessità di esaminare l’operazione
nel suo complesso, rilevando che la banca avendo ottenuto, attraverso il
rilascio dei mandati, la restituzione sia di somme anticipate alla società
prima del rilascio dei mandati che di somme erogate dalla banca successivamente
ai mandati, afferma che “lo scopo di estinguere una precedente passività
come motivo ulteriore rispetto alla causa dei singoli negozi, conferisce
all’intera operazione, formata dai negozi collegati, carattere anormale
e qualifica anche l’atto terminale di estinzione del debito, comportando
la presunzione iuris tantum di conoscenza dello stato di insolvenza”. L’affermazione
viene confortata dalla corte con il richiamo a una precedente giurisprudenza[11]
dove, per la verità, si avanzavano affermazioni parzialmente diverse
ma dove, soprattutto, si escludeva[12] la revocabilità della
cessione di credito in funzione solutoria ove fosse prevista come mezzo
di estinzione contestuale al sorgere del
credito.
2] La corte accoglie invece il ricorso con riferimento
alle censure riguardanti l’accordata rivalutazione della somma e la decorrenza
degli interessi dalla data delle singole riscossioni.
La corte, sul punto, evidenzia che, attesa la
natura costitutiva dell’azione revocatoria, ove la dichiarazione di inefficacia
abbia per oggetto un pagamento, sono dovuti gli interessi dalla domanda
giudiziale, senza esclusione del maggior danno di cui all’art. 1224, 2°
comma, cod. civ. ove ne ricorrano presupposti, qualificando la domanda
giudiziale come atto di costituzione in mora.
La soluzione adottata che richiama, a conferma,
una precedente giurisprudenza della stessa corte,[13] pur ponendosi in
linea con essa nell’assegnare natura costitutiva all’azione, assimila,
con una scelta che suscita perplessità, gli effetti della domanda
giudiziale a quelli della costituzione in mora. Infatti, la più
recente giurisprudenza di legittimità[14], nel ribadire che l’azione
revocatoria va qualificata come una tipica azione costitutiva e rilevando,
conseguentemente, che il diritto di credito alla restituzione di quanto
versato dal fallito sorge solo per effetto della sentenza, ha affermato
che l’atto, che nasce come efficace, diviene inefficace solo a seguito
della verifica delle condizioni di cui all’art. 67 L.F.[15] . Nel passato
non erano mancate pronunce contrarie[16] che avevano sostenuto la
natura dichiarativa della sentenza e, comunque, più larga parte
della giurisprudenza[17] ha ritenuto che l’obbligazione
pecuniaria conseguente all’accoglimento dell’azione revocatoria fallimentare
abbia natura di debito di valore, in quanto derivante da illecito, anche
ove il suo oggetto sia il pagamento di una somma di denaro. Il debito che
ne deriva, secondo tale tesi, sarebbe quindi soggetto alla rivalutazione
monetaria, dovuta non a titolo di maggior danno ex art. 1224 cod. civ.,
come avviene per le obbligazioni pecuniarie, ma per assicurare la rispondenza
tra valore sottratto e valore restituito nelle obbligazioni da fatto illecito.
Note
[1] Nello stesso senso, Cass. 8.3.1995 n. 2706
e 22.11.1996 n. 10347 citate da quella in esame, nonchè Cass. 22.11.1996
n. 10347;
[2] Cosi Cass. Sez. I, 8 maggio 1992 n. 5512
[3] In tal senso Cass. Sez. I, 25.3.1994 N. 2912
[4] In tal senso Cass. Sez. I 22 novembre1996
n.10347 cit.
[5] Trib. Torino 25 ottobre 1995 fall. soc. M.
C. Stura c. soc. Arca
[6] Trib. Pordenone 31 gennaio 1996 fall. soc.
Silce c. Banca pop. Friuladria
[7] Cass. Sez. I, 25.2.1993 n. 2330
[8] Cass. Sez. III, 25.7.1987 n. 6467
[9] Cass. Sez. I, 23.7.1997 n. 6882
[10]Cass. Sez. I 5.7.1997 n. 6047
[11] Cass. 13.7.1994 n. 6569; Cass. 5.7.1997 n.
6047 e 25.2.1993 n. 2330
[12]Cass. 5.7.1997 cit.
[13]Cass. 23.1.1997 n. 699
[14]Cass. Sez. I, 32.1.1997 cit.; Cass. Sez. Un.,
13.6.1966 n. 5443 e, precedentemente, Cass. Sez. I, 17.1.1995 n. 481; Cass.
Sez. I, 15.3.1994 n. 2468; Cass. Sez. I, 4.2.1987 n. 1001
[15] In tal senso Cass. Sez. Un. cit.
[16] Ad es. Cass. Sez. I, 8.3.1995 n. 2706
[17] Cass. Sez. I, 4.4.1997 n. 2936; Cass. Sez.
I, 10.11.1992 n. 12091; Cass. Sez. I, 3.4.1987 n. 3227
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