Corte
di cassazione - Sezioni Unite Civili - sentenza 10 giugno 1998, n. 5761-
Pres.
V. Sgroi - Est. A. Finocchiaro - P.M. Morozzo Della Rocca (concl.
diff.); Vitalbi (Avv. Amenta, Pacillo) c. Fall. Soc. CIC (Avv. Alberi,
Grillo). Dichiara inammissibile ricorso avverso Trib. Bologna 30 settembre
1994.
FALLIMENTO - DECRETI SU RECLAMO EX ART. 26 L.F.
- IMPUGNAZIONE - TERMINE - DECORRENZA (Cost., art. 111; R.D. 16 marzo 1942,
n. 267, disciplina del fallimento, art. 26).
E’ inammissibile il ricorso per cassazione
avverso il decreto, avente contenuto decisorio e definitivo, del tribunale
fallimentare, emesso su reclamo contro decreto del giudice delegato, proposto
nel termine di sessanta giorni dalla notificazione dello stesso decreto
ad istanza di parte, quando tale notificazione è successiva al momento
in cui il ricorrente ha avuto piena conoscenza del decreto stesso. [1]
(omissis)
Motivi della decisione
Preliminare all’esame del ricorso si presenta
l’indagine sull’ammissibilità dello stesso che si risolve nella
risoluzione della questione relativa alla individuazione del dies a quo
del termine di sessanta giorni per la proposizione del ricorso per cassazione
ai sensi dell’art. 111 cost. contro il decreto pronunciato in camera di
consiglio dal tribunale fallimentare a norma dell’art. 26 L.F. a definizione
del reclamo proposto contro un decreto del giudice delegato avente natura
decisoria e definitiva.
In punto di fatto, come risulta dalla precedente
esposizione, è da tenere presente che, nella specie, il decreto
del tribunale fallimentare, emesso su reclamo di provvedimento del giudice
delegato, risulta depositato e comunicato per intero dalla cancelleria
il 30 settembre 1994 ed è stato notificato a cura della difesa della
curatela il 5 ottobre 1994, mentre il ricorso per cassazione è stato
notificato il 30 novembre 1994. La giurisprudenza di questa Corte
è rimasta orientata, per molto tempo, nel senso della decorrenza
del termine per il ricorso per cassazione dalla data stessa del deposito
in cancelleria del decreto collegiale sulla base del rilievo della mancata
previsione della notificazione di tale decreto, sostituita, quale mezzo
di legale conoscenza, dal deposito in cancelleria e dalla conseguente inserzione
nel fascicolo fallimentare (ex plurimis: Cass. 18 settembre
1993 n. 9595; Cass. 23 febbraio 1995 n. 2066; Cass. 2 maggio 1997 n. 3796).
Tale indirizzo è stato recentemente contestato
da Cass. 28 novembre 1997 n. 12047, la quale ha concluso nel senso che
il termine per il ricorso per cassazione avverso il decreto emesso in sede
di reclamo ex art. 26 L.F. decorre dalla comunicazione di tale provvedimento,
secondo le vigenti disposizioni in materia di procedimenti in camera di
consiglio.
A sostegno del mutamento di indirizzo la richiamata
decisione ha invocato:
la più recente giurisprudenza per
la quale il termine per il reclamo innanzi al tribunale avverso i decreti
del g.d. si è fatto decorrere dalla data della comunicazione del
provvedimento;
l’estensione in via interpretativa, e per
superare ulteriori sospetti di illegittimità costituzionale dell’intero
sistema delle impugnazioni nell’ambito delle procedure concorsuali, dei
principi costituzionali operanti per il procedimento di reclamo, con particolare
riferimento a Corte cost. 156/1986, che, sia pure con riferimento ai procedimenti
di amministrazione controllata, ha esteso la declaratoria di illegittimità
costituzionali agli artt. 739 e 741 cod. proc. civ., nella parte in cui,
disciplinando il reclamo avverso i decreti del giudice delegato ex art.
26 e 23, comma 1, in relazione all’art. 188 L.F., fanno decorrere il termine
per la relativa proposizione dal deposito del decreto in cancelleria, anziché
dalla comunicazione di esso nel rispetto delle vigenti disposizioni procedurali;
l’orientamento giurisprudenziale relativo
in genere ai ricorsi ex art. 111 cost. avverso provvedimenti camerali
(Cass. 11 marzo 1996 n.1952; Cass. 11471/1996).
E quest’ultimo indirizzo è stato seguito
anche da Cass. 28 gennaio 1998 n. 823, che ha ritenuto ammissibile il ricorso
proposto nel termine di sessanta giorni dalla notificazione del decreto
ad istanza di parte, in una fattispecie in cui il decreto non era stato
comunicato, ritenendo inidoneo a fare decorrere il termine breve il mero
deposito in cancelleria del provvedimento.
Ciò premesso, osserva il Collegio che
la questione, così come prospettata dall’ordinanza della I sezione
14 novembre 1997 n. 1017, non sorge nella specie in cui vi è coincidenza
della data di pubblicazione dell’ordinanza emessa su reclamo con quella
di comunicazione dell’ordinanza stessa - non contestandosi dallo stesso
ricorrente di avere avuto comunicazione del decreto del tribunale, anche
se ne contesta la ritualità per essere stata effettuata non nel
domicilio eletto ed a persona diversa dal procuratore costituito,- con
la conseguenza che - qualsiasi soluzione si adotti - il ricorso sarebbe
ugualmente inammissibile per essere, in ogni caso, tardivo il ricorso per
cassazione proposto, in riferimento sia alla data del deposito del decreto
che a quella della sua comunicazione, e ciò soprattutto ove si tenga
presente che sebbene le comunicazioni di cancelleria debbono avvenire,
di norma in una della forme previste dall’art. 136 cod. proc.
civ., esse possono essere validamente eseguite anche in altre forme equipollenti,
sempre che risulti la certezza per effetto dell’attività della cancelleria
dell’effettiva presa di conoscenza, da parte del destinatario, delle notizie
da comunicare e della data in cui la comunicazione è avvenuta (Cass.
27 maggio 1994 n. 5230; Cass.12 settembre 1992 n. 10422; Cass. 21 maggio
l982 n. 3130; Cass. 19 marzo 1979 n. 1606).
Né al fine di superare la rilevata inammissibilità
vale la difesa del ricorrente che invoca la tempestività del ricorso
per essere stato lo stesso proposto nel termine di sessanta giorni dal
momento in cui il decreto del tribunale è stato notificato, ad esso
ricorrente, ad istanza della curatela. Queste S.U., nel comporre, nel corso
dell’odierna
udienza, il contrasto di giurisprudenza sul dies a quo per la proposizione
del ricorso per cassazione avverso le ordinanze aventi contenuto decisorio
e definitivo emesse in materia diversa da quella disciplinata dalla legge
fallimentare hanno affermato il principio secondo cui avverso tali ordinanze
il termine breve per il ricorso per cassazione decorre solo a seguito della
loro notificazione ad istanza di parte - in difetto di ragioni connesse
alla particolarità del procedimento o alla qualità degli
interessi sottesi, che giustifichino la deroga all’enunciato principio
- mentre è irrilevante, al predetto fine, che le stesse siano pronunciate
fuori udienza o, se pronunciate fuori udienza, siano state comunicate dal
cancelliere, con la conseguenza che, in tali ipotesi, è applicabile
il termine lungo di cui all’art. 327 cod. proc. civ. (cfr. sentenza, in
corso di pubblicazione, emessa sui ricorsi riuniti 1708/95 e 3458/95 r.g.).
Ritiene il Collegio che la particolarità
della disciplina della procedura concorsuale non consenta l’applicabilità
di tale principio.
Per giungere al principio enunciato il collegio
è partito da due rilievi e, precisamente, che il nostro ordinamento:
disciplina compiutamente l’impugnazione
delle sentenze, prevedendo come sistema normale - ai fini del decorso del
termine breve per l’impugnazione - la notificazione delle stesse ad istanza
di parte (art. 326 cod. proc. civ.), mentre, solo in via di eccezione,
non suscettibile di interpretazione analogica, ammette che tale termine
breve, per scelte non irragionevoli del legislatore, decorra dalla comunicazione
della sentenza effettuata dal cancelliere (cfr., in proposito,
art. 47, comma 2, cod. proc. civ., per la proposizione del ricorso per
regolamento di competenza; art.17, ultimo, comma, l. 4 maggio 1983 n. 184,
in tema di ricorso per cassazione avverso sentenza di appello sulla dichiarazione
di stato di adottabilità, così come interpretato dalla giurisprudenza
(Cass. S.U. 25 novembre 1992 n. 12547; Cass. 8 aprile 1993 n. 4293); nonchè
art. 202, ultimo comma, r.d. 11 dicembre 1933 n. 1775, in tema di ricorso
per cassazione avverso le sentenza del Tribunale Superiore delle Acque
pubbliche, ove è previsto che il termine per l’impugnazione decorre
dalla notificazione del dispositivo della sentenza a cura del cancelliere);
esclude, con il rimettere alla disponibilità
delle parti il potere acceleratorio del termine per l’impugnazione delle
sentenze, che l’ufficio - salve deroghe espressamente previste - abbia
un siffatto potere, tanto vero che la giurisprudenza è costante
nel ritenere che la conoscenza della sentenza acquisita aliunde, al di
fuori della notificazione ad istanza di parte, è inidonea a fare
decorrere il termine breve per l’impugnazione (ex plurimis: Cass. 17 giugno
1997 n.5241; Cass. 10 novembre 1983 n. 6677);
da ciò traendo la conclusione che anche
per le ordinanze con contenuto decisorio e definitivo, in difetto
di ragioni che impongano di dare rilievo acceleratorio alla comunicazione
a cura della cancelleria, si deve dare rilievo, per ragioni di coerenza
sistematica, alla notificazione ad istanza di parte.
Tali ragioni di deroga sussistono, invece, per
la materia regolata dalla legge fallimentare, che si pone, talvolta, come
eccentrica rispetto al sistema codicistico processuale e consente ricostruzioni
sistematiche che, pur ponendosi come eccezionali rispetto a quest’ultimo,
si giustificano, per la natura degli interessi tutelati: è sufficiente
richiamare in proposito la giurisprudenza che, in contrasto con il principio
di cui all’art. 45 cod. proc. civ., ha ritenuto ammissibile il regolamento
di competenza d’ufficio anche in difetto di riassunzione del processo in
relazione al quale altro giudice si era dichiarato incompetente (Cass.
S.U 1 agosto 1994 n. 7149); nonché l’altra sull’ammissibilità,
sempre in materia fallimentare, del regolamento di competenza d’ufficio
in ipotesi di conflitto positivo reale fra due tribunali con riconoscimento
del potere della Corte di cassazione nel regolare il conflitto, di cassare
senza rinvio la sentenza di fallimento resa dal tribunale incompetente,
ancorché passata in giudicato (Cass. 9 aprile 1988 n. 2808; Cass.
30 gennaio 1989 n. 550).
Non bisogna poi dimenticare che, in materia,
la Corte costituzionale ha, prima, dichiarato l’incostituzionalità
dell’art. 26 L.F. nella parte in cui fa decorrere il termine di tre giorni
per il reclamo al tribunale dalla data del decreto del giudice delegato
anziché dalla data della comunicazione ritualmente eseguita (Corte
cost. 303/1985) e, poi, con successivi interventi, ha dichiarato analoga
incostituzionalità, con riferimento ai reclami contro i decreti
del giudice delegato emanati nel corso di procedure di amministrazione
controllata e relativi a decorrenza del termine dalla data del decreto
invece che da quella della sua comunicazione (Corte cost. 55/1986 e 156/1986).
Da quanto precede si può quindi trarre
la conclusione - avvalorata dagli interventi demolitori del
giudice delle leggi - che il sistema delineato dalla legge fallimentare
è coerente con i principi costituzionali, qualora i termini
per i reclami avverso i provvedimenti decisori degli organi della procedura
siano fatti decorrere dalla comunicazione dei provvedimenti stessi a cura
della cancelleria.
E’ bensi vero che le anzidette pronunce hanno
avuto ad oggetto la decorrenza del termine per il reclamo al tribunale
fallimentare, senza in alcun modo incidere sul problema della decorrenza
del termine per il ricorso per cassazione avverso il decreto emesso su
reclamo, con la conseguenza della apparente legittimità di un eventuale
trapianto, per quanto riguarda quest’ultimo, del principio adottato da
queste S.U. in tema di dies a quo per l’impugnazione per cassazione delle
ordinanze di contenuto decisorio.
Ritiene però il Collegio che all’estensibilità
alla materia fallimentare di questi principi si oppone l’espresso riferimento
da parte della Corte costituzionale alla comunicazione del decreto del
giudice delegato per la decorrenza del termine per il reclamo, la cui ratio
appare identificabile - rispetto ad un alternativo riferimento alla notificazione
ad istanza di parte - nelle esigenze di una celere definizione delle procedure
fallimentari, cui si fa cenno nella sentenza n. 303/1985 e
che sono presenti anche per quanto riguarda il ricorso per cassazione,
senza che sia ravvisabile alcuna incoerenza o incostituzionalità
per la diversità di soluzione adottata, giustificata dalla particolarità
della materia, rispetto al ricorso per cassazione avverso provvedimenti
decisori e definitivi non ricompresi nella disciplina concorsuale.
Né bisogna dimenticare che queste S.U.,
nel comporre altro contrasto di giurisprudenza, in tema di ricorso per
cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello in tema di dichiarazione
di adottabilità e, pure nel silenzio del dato normativo costituito
dall’art. 17, ultimo comma, legge 4 maggio 1983 n. 184, hanno ritenuto
che il termine breve per tale ricorso decorresse dalla notificazione d’ufficio
della sentenza, pure se espressamente dettata per la pronuncia di primo
grado, dovendosi la disposizione ritenersi riferibile anche alla pronuncia
di appello, in ragione, fra l’altro, delle peculiari esigenze di celerità
alle quali viene conformato l’ intero giudizio (Cass. S.U. 25 novembre
1992
n. 12547, cit.).
Conclusivamente si deve ritenere che è
inammissibile il ricorso per cassazione avverso decreto, avente contenuto
decisorio e definitivo, del tribunale fallimentare, emesso su reclamo contro
decreto del giudice delegato proposto nel termine di sessanta giorni dalla
notificazione dello stesso decreto ad istanza di parte quando tale notificazione
è successiva al momento in cui il ricorrente ha avuto piena conoscenza
del decreto stesso.
(omissis)
Il
sistema generale delle impugnazioni e la specialità della disciplina
concorsuale nella decorrenza del termine per il ricorso avverso i provvedimenti
collegiali emessi in sede di reclamo ex art. 26 L.F.
di Francesco Macario
Nota a sentenza
[1] Le sezioni unite della Cassazione intervengono
a dirimere il conflitto di giuriprudenza relativo alla decorrenza del termine
per l’impugnazione avverso il provvedimento del collegio adottato sul reclamo
contro le decisioni del giudice delegato ai sensi dell’art. 26 L.F.. Se
il merito della vicenda dalla quale la controversia ha avuto origine rimane,
dunque, definitivamente superato dalla pronuncia di inammissibilità
del ricorso (che si trova a fare il punto, in tal modo, su una delle più
delicate questioni processuali attinenti alla materia fallimentare), può
essere interessante ricordare che, nel caso di specie, avverso il decreto
del tribunale, pubblicato e comunicato in data 30 settembre 1994, mediante
consegna di copia “uso notifica” alla collaboratrice del difensore del
ricorrente e successivamente notificato dalla difesa del fallimento in
data 5 ottobre 1994 - così dalla narrativa dello svolgimento del
processo che abbiamo ritenuto superfluo pubblicare -, quest’ultimo aveva
notificato il ricorso in data 30 novembre 1994 (ovvero entro i sessanta
giorni dalla notifica ma un giorno dopo il decorso dello stesso termine
dalla comunicazione “uso notifica”). L’iter argomentativo della decisione
si presenta lineare. La sentenza dà atto, innanzitutto, dell’orientamento
della Corte di legittimità nel senso della decorrenza del termine
del ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. avverso il decreto emesso
in sede di reclamo dalla data del deposito in cancelleria dello stesso
decreto collegiale, in considerazione della mancata previsione della notificazione,
che avrebbe dovuto ritenersi sostituita dal deposito del decreto in cancelleria,
con la conseguente inserzione nel fascicolo fallimentare. Riferendosi al
“precedente” e perdurante indirizzo, la decisione richiama, perciò,
Cass. 18 settembre 1993, n. 9595, in Foro it., Rep. 1993, voce Fallimento,
n. 216, cui può aggiungersi Cass. 19 ottobre 1993, n. 10354, in
Fallimento, 1994, 280 e in Dir. fallim., 1994, II, 187; 23 febbraio 1995,
n. 2066, in Fallimento, 1995, 1029 (ove è riportata anche Cass.
3 marzo 1995, n. 2455); ma anche la recente 2 maggio 1997, n. 3796, id.,
1997, 1184, come la pecedente in materia di liquidazione dell’attivo fallimentare
ovvero di autorizzazione alla vendita, ai sensi dell’art. 104, 2° comma,
L.F. (nella specie, si stabiliva che il termine non è soggetto alla
sospensione feriale, a norma dell’art. 3, l. 7 ottobre 1969 n. 742, in
relazione all’art. 92 dell’ordinamento giudiziario, in quanto il reclamo
suddetto ha, nella procedura concorsuale, funzione sostitutiva delle opposizioni
previste dagli art. 615 e 617 cod. proc. civ. per il procedimento esecutivo
individuale). Risalendo un po’ nel tempo, si ricordano nello stesso senso:
Cass. 16 luglio 1992, n. 8665, in Arch. civ., 1993, 43, in Fallimento,
1993, 139 e in Giur. it., 1993, I, 1, 1752; 24 maggio 1984, n. 3187, in
Fallimento, 1984, 1375 e in Dir. fallim., 1985, II, 705; 15 novembre 1984,
n. 5775, in Dir. fallim., 1985, II, 32.
La Corte segnala, quindi, che l’indirizzo appena
indicato è stato contestato da Cass. 28 novembre 1997, n. 12047,
id., Rep. 1997, voce cit., n. 348, la quale ha affermato la decorrenza
del termine dalla comunicazione del provvedimento, in linea con le disposizioni
vigenti in tema di procedimenti in camera di consiglio, e non trascura
di far menzione dell’ancora più recente Cass. 28 gennaio 1998, n.
823, in Foro it., Mass., col. 89, che ha ritenuto ammissibile il
ricorso proposto nel termine di sessanta giorni dalla notificazione del
decreto ad istanza di parte, in quanto il decreto non era stato comunicato
e la Corte ha ribadito l’irrilevanza, ai fini della decorrenza del termine
per l’impugnazione, del mero deposito in cancelleria. A ben vedere, tuttavia,
la Cassazione aveva già posto le basi per giungere alla prospettazione
delle due decisioni appena richiamate con Cass. 12 aprile 1994, n. 3405,
in Fallimento, 1994, 1043, in materia di termine (di sessanta giorni) per
impugnare per cassazione il decreto del tribunale che liquida il compenso
al curatore del fallimento (ex art. 39, L.F.) decorrente, non già
dalla pubblicazione del decreto, ma dalla comunicazione che ne è
fatta alla parte, ovvero dalla incontestabile conoscenza da questa comunque
acquisita del provvedimento; nonché con Cass. 10 marzo 1994, n.
2337, in Fallimento, 1994, 997, che, prendendo le mosse dalla declaratoria
di illegittimità costituzionale dell’art. 26 L.F. (ad opera di Corte
Cost. 23 marzo 1981, n. 42, in Foro it., 1981, I, 1228) ricordava come
il giudice delle leggi non avesse affatto espunto dall’ordinamento giuridico
delle procedure concorsuali l’istituto del reclamo endofallimentare contro
i provvedimenti decisori del giudice delegato, imponendo soltanto l’adattamento
e l’integrazione della relativa disciplina per conformarla ai precetti
costituzionali con i quali contrastava, nel senso che devono trovare applicazione
le regole generali del procedimento camerale dettate dal codice di rito
(art. 739-742 bis cod. proc. civ.) concernenti il termine di dieci
giorni per la proposizione dell’impugnazione, il dies a quo di decorrenza
del termine stesso dalla data di comunicazione o notificazione del provvedimento,
la garanzia del contraddittorio e l’obbligo della motivazione della decisione;
e quest’ultima argomentazione è ribadita, successivamente, da Cass.
22 febbraio 1996, n. 1401, in Fallimento, 1996, 655 e in Dir. fallim.,
1996, II, 630.
Poiché i due orientamenti appena esposti
non avrebbero potuto offrire alcun appiglio utile al ricorrente - si è
detto che, nel caso di specie, il ricorso sarebbe risultato comunque tardivo
in quanto proposto dopo che erano decorsi i sessanta giorni sia dal deposito
che dalla comunicazione (avvenuta lo stesso giorno del deposito, benché
non nelle forme previste dall’art. 136 cod. proc. civ.) del provvedimento
collegiale -, l’unica ancora di salvezza, per così dire, sarebbe
consistita nella decorrenza del termine (i sessanta giorni) dalla notificazione
avvenuta ad istanza della curatela. Sul punto, tuttavia, la Corte ha modo
di prendere le distanze dalla decisione (emessa sempre a sezioni unite
ed a firma del medesimo estensore), pubblicata appena due giorni prima,
in data 8 giugno 1998, n. 5615 (in Foro it., 1998, I, 2837), con la quale
si è stabilito che il termine breve per il ricorso straordinario
in Cassazione ex art. 111 Cost. avverso ordinanze aventi contenuto decisorio
e definitivo decorre solo a seguito della loro notificazione ad istanza
di parte, restando irrilevante, a tal fine, la pronuncia in udienza o,
se pronunciate fuori udienza, la comunicazione del cancelliere, con la
conseguenza che, in difetto di notificazione, è applicabile il termine
lungo di cui all’art. 327 cod. proc. civ..
La ratio decidendi della pronuncia riportata
si coglie, così, nella rilevanza attribuita dalla Cassazione alla
particolarità della disciplina della procedura concorsuale, che
non consente l’applicabilità della regola giurisprudenziale appena
esposta e, più in generale, l’estensione del principio processuale,
pur ribadito dalla Corte, secondo cui “in difetto di ragioni che impongano
di dare rilievo acceleratorio alla comunicazione a cura della cancelleria,
si deve dare rilievo, per ragioni di coerenza sistematica, alla notificazione
ad istanza di parte” (così testualmente la sentenza riportata).
In tal senso, si afferma che la materia fallimentare si pone, talvolta,
come eccentrica rispetto al sistema codicistico processuale e consente
ricostruzioni sistematiche che, pur ponendosi come eccezionali rispetto
a quest’ultimo, si giustificano, per la natura degli interessi tutelati
(sono sempre espressioni delle sezioni unite).
Nel tentativo della Corte di dare sistematicità
alla soluzione della questione, particolarmente significativo appare il
richiamo a Corte cost. 22 novembre 1985, n. 303, in Foro it., 1985, I,
3066, la quale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 26 L.F.
nella parte in cui fa decorrere il termine di tre giorni per il reclamo
al tribunale dalla data della comunicazione ritualmente eseguita; senza
dimenticare le immediatamente successive pronunce di Corte cost. 24 marzo
1986, n. 55, id., 1986, I, 1169, e 27 giugno 1986, n. 156, ibid., 2099,
cui andrebbero aggiunte le sentenze della Corte di legittimità in
data 22 febbraio 1996, n. 1401, id., Rep. 1996, voce Fallimento, n. 313,
e 14 aprile 1994, n. 3509, id., 1994, I, 3057, con nota di richiami cui
si rinvia per i precedenti.
Il riferimento ai menzionati interventi “demolitori”
- questa la definizione della sentenza - dei giudici della Consulta consente
al Supremo Collegio di valutare il sistema delineato dalla legge fallimentare
coerente con i principi costituzionali, ove la decorrenza del termine per
il reclamo avverso i provvedimenti decisori degli organi della procedura
dalla comunicazione dei provvedimenti a cura della cancelleria venga estesa
al caso del ricorso per cassazione avverso il decreto emesso sul reclamo
(in forza di un ragionamento che potrebbe definirsi lato sensu analogico).
In altri termini, la Corte ritiene che la disciplina dei procedimenti di
impugnazione dei provvedimenti decisori adottati in materia fallimentare
sia segnato da una sua logica interna, diversa da quella sottesa al sistema
generale delle impugnazioni - da cui il deciso distacco rispetto alla coeva
Cass. 5615/1998, cit. - rinvenibile nelle esigenze di una celere definizione
delle procedure fallimentari (così la sentenza riportata).
L’affermazione del carattere speciale della disciplina
processuale concorsuale non costituisce, del resto, né una novità,
né una caratteristica della questione in esame - relativa al ricorso
ex art. 111 Cost. avverso i provvedimenti sul reclamo -, se si considera
la recente giurisprudenza delle stesse sezioni unite in materia di decorrenza
del termine per proporre opposizione avverso la sentenza dichiarativa di
fallimento (seguita alle decisioni della Corte costituzionale, rispettivamente,
27 novembre 1980, n. 151 in Foro it., 1981, I, 2 e 16 luglio 1987, n. 273,
id., 1988, I, 30, relativamente all’incostituzionalità dell’art.
18 L.F.) espressa da Cass. 3 giugno 1996, n. 5104, id., 1996, I, 2361,
con ampia nota di richiami ed osservazioni di FABIANI, ove il termine breve
vien fatto decorrere dalla comunicazione dell’estratto della sentenza ad
opera della cancelleria.
Come notazione conclusiva può dirsi che
la cristallina linearità della motivazione non riesce, tuttavia,
a dissolvere completamente il dubbio su quale sia il più corretto
“sistema” di riferimento, quello speciale fallimentare o quello generale
delle impugnazioni civili. Ciò soprattutto nel momento in cui si
pone la decisione riportata a confronto proprio con la coeva Cass. 5615/98,
cit., nonché con l’orientamento della stessa Corte di legittimità
(espresso di recente da Cass. 4 novembre 1997, n. 10782, in Foro it., Rep.
1997, voce Fallimento, n. 611 e 23 aprile 1996, n. 3844, id., 1996, I,
3146) che fa decorrere i termini per la proposizione dell’appello e del
ricorso per cassazione avverso la sentenza che decide le cause di opposizione
allo stato passivo dalla notificazione della sentenza, facendo riferimento
al carattere di lex generalis delle norme del cod. proc. civ. rispetto
a quelle che disciplinano il procedimento di opposizione allo stato passivo
(segnatamente, l’art. 99 L.F.) e lasciando, in tal modo, aperta la porta
per un’evoluzione - giurisprudenziale o legislativa - verso un sistema
unitario della disciplina delle impugnazioni.
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