con nota
di M. Vittoria Ferroni
I
T.A.R. Lazio - Sez. III - sentenza 25 gennaio
1999 n. 162/99 - Pres. L. Cossu - Rel. B. Mollica - Cons. E. Speranza -
I.C.P. S.r.l. (Avv. Maurizio Calò) c. Ministero dei Lavori Pubblici
(Avv.ra Generale dello Stato) annullamento delibera del Comitato Centrale
per l'Albo Nazionale dei Costruttori, con la quale veniva respinta l’istanza
di recupero delle iscrizioni della C.P.P. S.p.A. per fallimento della cedente.
FALLIMENTO
- IMPRESA DI LAVORI PUBBLICI - ISCRIZIONE ALL'ALBO NAZIONALE COSTRUTTORI
- CESSIONE DELL'AZIENDA PRIMA DEL FALLIMENTO - DOMANDA DELLA CESSIONARIA
DI RECUPERO DELLE ISCRIZIONI A.N.C. ANTERIORE AL FALLIMENTO DELLA CEDENTE
- DINIEGO DEL RECUPERO PER FALLIMENTO DELLA CEDENTE - ILLEGITTIMITÀ.
(art. 21, n.3 - L. 57/62 - art. 8, comma 7°, L. 109/94)
È illegittimo il provvedimento del
Comitato Centrale dell'A.N.C. di diniego di recupero delle iscrizioni il
favore di impresa cessionaria di ramo d'azienda per fallimento della cedente
emesso successivamente alla cessione del ramo d'azienda ed alla presentazione
della domanda di recupero da parte della cessionaria. [1]
II
T.A.R Lazio - Sez. III - ord. 13 gennaio 1999
n 21/99 - Pres L. Cossu - Rel. A. Savo Amodio - Cons. B. Mollica
- IGOR s.r.l. (Avv. Maurizio Calò) c. Ministero dei Lavori Pubblici
(Avv.ra Generale dello Stato) annullamento previa sospensiva della delibera
del Comitato Centrale per l'Albo Nazionale dei Costruttori con la quale
veniva respinta l'istanza di recupero delle iscrizioni della DEGFER s.r.l.
per fallimento della cedente.
FALLIMENTO - IMPRESA DI LAVORI PUBBLICI - ISCRIZIONE
ALL'ALBO NAZIONALE COSTRUTTORI - CESSIONE DELL'AZIENDA PRIMA DEL FALLIMENTO
- DOMANDA DELLA CESSIONARIA DI RECUPERO DELLE ISCRIZIONI A.N.C. SUCCESSIVA
AL FALLIMENTO DELLA CEDENTE - DINIEGO DEL RECUPERO PER FALLIMENTO DELLA
CEDENTE - ILLEGITTIMITÀ (art. 21, n.3, L. 57/62 - art. 8, comma
7°, L. 109/94)
Deve essere sospesa l'esecutività
del provvedimento del Comitato Centrale dell'A.N.C. di diniego di recupero
delle iscrizioni in favore di impresa cessionaria di ramo d'azienda per
fallimento della cedente dichiarato successivamente alla cessione del ramo
d'azienda non rilevando che la domanda di recupero sia stata presentata
dalla cessionaria dopo il fallimento della cedente. [1]
III
TAR Lazio - Sez. III - ord. del 13 gennaio
1999 n. 25/99 - Pres. L. Cossu - Rel. A. Savo Amodio - Cons. B. Mollica
- FALL COGEI s.p.a. (Avv. Prof. Eugenio Picozza) c. Ministero dei Lavori
Pubblici (Avv.ra Generale dello Stato) annullamento previa sospensiva della
delibera adottata dal Comitato Regionale Albo Nazionale dei Costruttori
nell'adunanza del 02/07/98 con cui é stata disposta la cancellazione
dell'Albo dell'impresa COGEI s.p.a. per fallimento ai sensi della L. 57/62,
art. 21, n.3.
FALLIMENTO - IMPRESA DI LAVORI PUBBLICI - ISCRIZIONI
ALL'ALBO NAZIONALE COSTRUTTORI - CANCELLAZIONE DELL'IMPRESA FALLITA DALL'
A.N.C. - ILLEGITTIMITÀ (art. 21, n.3, L.57/62 - art. 8, comma
7°, L.109/94)
Deve essere sospesa l'esecutività
del provvedimento del Comitato dell'A.N.C. di cancellazione delle iscrizioni
per fallimento dell'impresa iscritta risultando sorretta da fumus boni
iuris la tesi di abrogazione dell'art. 21, n. 3, L.57/62 a seguito dell'entrata
in vigore dell'art.8 comma 7°, L.104/91. (2)
(omissis)
I
Il ricorso proposto dalla I.C.P. S.r.l. avverso il
diniego di recupero delle iscrizioni della C.P.P. S.p.a. - richiesto e
seguito di conferimento del ramo d'azienda relativo agli appalti pubblici
- è fondato.
Il recupero dell'iscrizione viene denegato dal
Comitato Centrale per l'Albo Nazionale dei Costruttori con riguardo all'avvenuta
dichiarazione di fallimento della cedente C.P.P. in data 5.8.97 e conseguente
cancellazione dall'Albo in applicazione dell'art. 21, n.3, L. 10.2.62 n.
57.
Non considera peraltro il Comitato che - alla
stregua dei documenti versati in causa - il conferimento del ramo d'azienda
di cui trattasi è avvenuto addirittura in data 11 aprile 1997 e
che la domanda I.C.P. di recupero dell'iscrizione risale al 30 luglio 1997:
a tali date la cedente C.P.P. non era ancora in stato di fallimento e,
quindi, non erano ancora configurabili i presupposti per la cancellazione
dall'Albo.
D'altro canto, è il conferimento del ramo
d'azienda a legittimare l'impresa alla richiesta di recupero dell'iscrizione:
si che la verifica del possesso dei requisiti necessari non può
essere spostata nel tempo ad libitum dell'amministrazione, con conseguente
incidenza di fatti sopravvenuti sulla posizione dell'impresa cessionaria.
L'acquisizione del ramo d'azienda e la richiesta
di recupero dell'iscrizione sono avvenute in momento anteriore alla dichiarazione
di fallimento della società cedente: allo stato di fatto e di diritto
esistente a tale momento l'amministrazione avrebbe dovuto quindi fare riferimento
in sede di adozione delle proprie determinazioni.
La cancellazione dall'albo della C.P.P. per fallimento
è evento successivo e non rileva ai fini per cui è causa.
(omissis)
Nota a sentenza.
[1-2].
La sentenza si segnala per le possibilità del fallimento di recupero
di una parte di liquidità del patrimonio del debitore con le cessioni
dei rami d’azienda includenti le iscrizioni.
Essa si inquadra nel rapporto generale tra interessi
economici attinenti al fallimento:
*
da un lato interessi delle imprese che sono sul mercato a rilevare rami
d’azienda dell’impresa fallita (interessi del fallimento ed in particolare
dei creditori i quali, in conseguenza alla cessione dei rami d’azienda
comprendenti le iscrizioni, avranno maggiori garanzie di recuperare i loro
crediti);
*
dall’altro,
invece, interesse della pubblica amministrazione a far rispettare il diritto
speciale amministrativo degli appalti, considerando che già l’iscrizione
all’Albo costituisce una particolare forma di legittimazione sottratta
alle regole generali dell’autonomia negoziale ed in particolare di quella
imprenditoriale dei privati.
Si è pertanto posto nella prassi, soprattutto
in un momento di crisi delle imprese, il problema della possibilità
di recupero delle iscrizioni.
Si premette che la legge istitutiva dell’Albo
Nazionale dei Costruttori (L. 10 febbraio 1962, n. 57) – nella sua versione
originaria - non prevede alcuna norma che consenta il trasferimento dell’iscrizione.
Tuttavia la prassi amministrativa e le circolari
ministeriali (circ. 12 luglio 1982, n. 4162; circ. 12 aprile 1984; circ.
2.8.1985, n. 382) hanno permesso la possibilità del trasferimento
dell’iscrizione da un impresa ad un'altra.
Con l’art. 25 del D.M. 9 marzo 1989 n. 172 il
“recupero d’iscrizione” viene espressamente disciplinato.
L’art. 25 consente il recupero totale o parziale
di iscrizioni nel caso: di decesso del titolare dell’impresa individuale;
fusione di società; incorporazione di una o più imprese
iscritte da parte di altra società commerciale (la società
risultante dalla fusione o la società incorporante viene iscritta
al posto della o delle società incorporate, di cui va disposta la
cancellazione); conferimento d’azienda (l’impresa conferitaria recupera
l’iscrizione di quella conferente che viene a sua volta cancellata); cessione
di azienda (l’impresa cessionaria viene iscritta in luogo dell’impresa
cedente della quale viene disposta la cancellazione).
La situazione normativa in materia di recupero
di iscrizioni ha subìto un intervento in senso restrittivo con il
D.L. 152/1991 convertito in legge 12 luglio 1991, n. 203 che ha modificato
l’art. 18, 2° comma, della L. 19 marzo 1990, n. 55 in materia di lotta
alla delinquenza mafiosa, nonché l’art. 339 della legge fondamentale
sui lavori pubblici (L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. F).
Per esattezza da un lato è stato modificato
l’art. 339 della legge fondamentale, rilevando solo quella parte della
disposizione in cui si prescrive: “E’ vietata qualunque cessione di credito
e qualunque procura le quali non siano riconosciute”; dall’altro, all’art.
18, 2° comma, della legge 19 marzo 1990, n. 55 (in materia di lotta
alla delinquenza mafiosa) è stata aggiunta la frase “Il contratto
non può essere ceduto a pena di nullità”.
Tale norma in un parere del Consiglio di Stato
del 1993 (Cons. Stato, Sez. II, 3 febbraio 1993, n. 53, in Rass. 1993,
I, 1450, concernente una cessione del complesso dei beni aziendali ai sensi
dell’art. 2558 cod. civ.) è stata interpretata come istitutiva di
un divieto assoluto di cessione.
Ossia il Consiglio di Stato ha ritenuto operante,
sulla base di un’interpretazione estensiva dell’art. 18, 2° comma,
L.55/90, il divieto anche nelle ipotesi in cui il trasferimento fosse da
ricollegare ad una cessione dell’intera azienda, secondo il meccanismo
di cui all’art. 2558 cod. civ. e non di un singolo contratto (art. 1406
cod. civ.).
In particolare il Consiglio di Stato, analizzando
una fattispecie concernente una cessione del complesso dei beni aziendali,
che secondo l’art. 2558 cod. civ. avrebbe comportato il subentro del nuovo
imprenditore nella titolarità del contratto di appalto, stabilì
che la comminatoria di nullità prevista per la cessione del contratto
di appalto dovesse valere anche per le ipotesi di cessione di azienda.
La tesi del Consiglio di Stato, criticata in
dottrina (v. A. BIAGINI, “Il trasferimento d’azienda e la successione nell’esecuzione
del contratto di appalto dall’impresa acquirente all’impresa alienante”,
in Contratti dello Stato e degli enti pubblici, 1994, p. 38 ss) non è
stata seguita da una parte della giurisprudenza, la quale ha evidenziato
la differenza tra il divieto assoluto di cessione del contratto di cui
all’art. 1406 cod. civ. e la cessione di azienda di cui all’art. 2558 cod.
civ. (secondo cui la cessione del contratto costituisce un negozio tipico
- in quanto tale voluto dalle parti -, mentre la successione nei contratti,
disposta dall’ art. 2558 cod. civ. è un effetto naturale del
trasferimento d’azienda).
In tale contesto di difficile soluzione interpretativa,
anche per la rilevanza penale degli interessi coinvolti, si è inserito
l’art. 35 della legge 109/94 e successive modifiche ed integrazioni che
ha legittimato la cessione del contratto quando è uno degli effetti
del conferimento d’azienda.
La giurisprudenza amministrativa è stata
in un primo tempo molto rigida sulla possibilità di subentro dell’impresa
e recupero d’iscrizioni a seguito di cessione di ramo d’azienda (v. parere
Cons. Stato sopra citato) temendo che vi fosse un mascheramento della cessione
di contratto o comunque di subentro dell’impresa acquirente in deroga al
principio di immodificabilità dell’appaltatore. Tuttavia, negli
ultimi anni, essa si è evoluta consentendo il recupero d’iscrizione,
anche parziale, (v. Tar Lazio, Sez. III, 1.12.1994, n. 2018) nel caso di
trasferimento parziale di azienda o di una singola unità produttiva.
Si ricorda in particolare la massima della
sent. Tar Abruzzo L’Aquila n. 563 del 25.09.1996, in Rass. TAR, 1996, n.
4604 ss.: “Nel caso di cessione d’azienda, è ammesso il recupero
dell’iscrizione all’ANC in favore dell’impresa avente causa, la quale nelle
more dell’apposita procedura è anche legittimata ad eseguire i contratti
già stipulati sotto la condizione risolutiva della deliberazione
negativa sulla sua domanda di recupero.
L’art. 2558 cod. civ. secondo cui l’acquirente
dell’azienda subentra nei contratti stipulati salvo recesso del terzo entro
tre mesi dalla notizia di trasferimento, è applicabile anche ai
contratti di appalto con la pubblica amministrazione”.
In tale contesto si inserisce la sentenza in
oggetto che è la prima sentenza di merito che consente il recupero
parziale d’iscrizione anche dove la società cedente sia stata dichiarata
fallita. In precedenza, infatti, la giurisprudenza amministrativa si era
espressa in senso conforme ma solo in fase cautelare di primo e di secondo
grado (Tar Lombardia, Sez. III, ord. N. 596 del 7.02.1997 e n. 2591 del
24.07.1997; Cons. Stato, Sez. IV, ord. N. 1365 del 15.07.1997).
Di particolare interesse è proprio l’ordinanza
del Cons. Stato n. 1365 appena citata in cui si osserva con precisione:
“che l’acquisto da parte di azienda non equivale a subingresso di un impresa
ad altra impresa; che pertanto lo stesso acquisto non può essere
identificato come prosieguo dell’impresa fallita”; “che d’altra parte la
vendita di beni aziendali è possibile nel corso delle procedure
concorsuali e che tale alienazione permette il subingresso nel rapporto
contrattuale di appalto di opera pubblica, già stipulato dall’impresa
sottoposta a procedura concorsuale e già titolare dei beni alienati
(sia pure nei limiti stabiliti dall’art.36 l.11.2.1994, n.109); “che il
recupero d’iscrizione, a seguito di acquisto di ramo d’azienda da impresa
sottoposta a procedura concorsuale, non è un modo per eludere la
norma sulla sospensione dell’iscrizione (art. 8, 7° comma, l.11
febbraio 1994, n. 109) attesa l’eterogeneità tra l’acquisto indicato
e la successione ad impresa preesistente”.
La sentenza in esame, non affrontando il problema
della cancellazione dall’ANC., ha ritenuto fondato il ricorso già
considerando scontata la possibilità del conferimento d’azienda
(quindi ritenendo implicitamente superati i precedenti dubbi sull’equiparazione
o meno del divieto di cessione del contratto alla cessione d’azienda o
di un ramo della medesima), ed anzi precisando che è proprio il
conferimento a legittimare l’impresa alla richiesta di recupero dell’iscrizione.
Da tale collegamento il Tar ritiene anche che discenda l’individuazione
del momento temporale di verifica dei requisiti necessari per il conferimento
di ramo d’azienda. Pertanto “la verifica del possesso dei requisiti non
può essere spostata nel tempo ad libitum dell’Amministrazione, con
conseguente incidenza di fatti sopravvenuti sulla posizione dell’impresa
cessionaria”.
Ossia il Tar ha ritenuto non applicabile l’art.
21 della legge 57/62 sulla cancellazione dell’imprenditore fallito
dall’ANC perché il conferimento del ramo d’azienda ed anche la richiesta
di recupero dell’iscrizione era avvenuta in epoca anteriore alla dichiarazione
di fallimento della società cedente. Quindi, in applicazione del
principio tempus regit actum il Tar ha evidenziato che la cancellazione
non possa svolgere efficacia retroattiva su fattispecie perfezionatesi
prima della medesima.
[2].
A questo punto, dal discorso applicativo, occorre passare a quello generale,
cioè quale sia lo status complessivo dell’impresa fallita.
In particolare l’ordinanza del Tar Lazio, Sez. III del 13 gennaio 1999,
n. 25 che ha sospeso il provvedimento di cancellazione dall’Albo della
COGEI s.p.a. da parte del Comitato Regionale dell’ANC, offre lo spunto
per approfondire la possibilità di cancellazione dell’impresa dall’ANC
da parte del Comitato Centrale dell’ANC di cui all’art. 21, n.3, L. 10
febbraio 1962, secondo cui : “Sono cancellati dall’Albo, con provvedimento
del Comitato Centrale, i costruttori per i quali si verifichi uno dei seguenti
casi:… 3) - Fallimento, liquidazione o cessazione di attività.
Secondo il diritto comunitario, il principio
di libera prestazione dei servizi di cui all’art. 59 del Trattato di Maastricht
(art. 49 Trattato di Amsterdam) trova applicazione in materia di
appalti pubblici sia nella fase di svolgimento della procedura di gara
che in quella dell’esecuzione.
In particolare, con riferimento alle trasformazioni
dell’impresa, il diritto comunitario ritiene che esse rientrino nella dinamica
dei fatti economici e sono pertanto consentite salvi i limiti stabiliti
dal diritto penale e dalle norme di polizia.
Ciò significa legittimare il recupero
delle iscrizioni all’ANC; ovvero le procedure di vendita d’azienda, affitto
ed esercizio provvisorio durante il processo fallimentare.
In conseguenza della diretta applicabilità
dei principi del Trattato la diretta applicazione del principio di libera
prestazione dei servizi obbliga il giudice dello Stato membro alla disapplicazione
di quelle disposizioni dell’ordinamento interno che impediscano le modificazioni
oggettive dell’impresa e dell’azienda compatibili con il diritto comunitario.
Inoltre si osserva che, se il diritto comunitario
consente agli Stati membri la libertà di dare al fallimento
regole proprie e quindi anche di impedire qualsiasi contrattazione; tuttavia
questa libertà non è ammessa nelle procedure di armonizzazione
delle gare pubbliche. In tal caso, invece, le direttive europee vogliono
enfatizzare la discrezionalità negoziale e non amministrativa delle
amministrazioni aggiudicatrici.
Ciò comporta la piena libertà di
ammettere o escludere le imprese fallite o in stato di procedura fallimentare.
Tale è la previsione dell’art. 24 della direttiva 93/37/CEE secondo
la quale spetta alle amministrazioni aggiudicatrici, e soltanto ad esse,
il potere di valutare se ammettere o meno alle gare pubbliche le imprese
fallite o che si trovino nel corso di una procedura fallimentare.
Né è possibile obiettare che, trattandosi
di mere norme di armonizzazione ed esistendo tuttora in Italia la distinzione
tra diritti ed interessi legittimi, lo Stato membro potrebbe legittimamente
assegnare all’ANC tale funzione discrezionale.
A tale possibilità è di ostacolo
sia la considerazione che l’art. 21 l.57/62, terzo caso, costruisce la
cancellazione dell’impresa, di cui sia fallito l’imprenditore, come atto
dovuto: quindi la scelta è stata già compiuta dal legislatore
nazionale; sia la previsione contenuta nella sentenza della Corte di Giustizia
del 17/09/1997 sul caso Dorsch n. 54/96, la quale, benché ammetta
che, in materia dove non vi sia competenza comunitaria esclusiva spetta
all’ordinamento interno qualificare la situazione giuridica soggettiva
(corrispondente al diritto soggettivo comunitario) meritevole di tutela
– ribadisce che tale tutela deve essere effettiva e cioè tale da
assicurare la completa soddisfazione dei diritti comunitari (nel caso di
specie la libera prestazione dei servizi realizzabile quale società)
attraverso la tutela giurisdizionale del giudice amministrativo.
Conseguenza di questo ragionamento è la
necessità di disapplicare l’art. 21 della legge 57/62 (su disapplicazione
v. Corte di Giustizia, sent. 19 giugno 1990, in C-213/89, Factortame, in
Racc.1990 p. 2433).
Infatti l’art. 21 della legge 57/62, cancellando
ipso iure dall’ANC un’impresa – nell’ordinanza in oggetto la COGEI s.p.a.-
contrasta con il diritto comunitario perché impedisce la libera
acquisizione delle aziende fallite da parte di altre imprese in tutte le
forme consentite; ossia costituisce un obiettivo ostacolo alla libera circolazione
dei servizi.
Né appare più sostenibile la considerazione
che la legge 57/62 costituisca un’ipotesi di discriminazione alla rovescia,
legittimando un trattamento più sfavorevole per le imprese italiane.
Tale tesi sembra infatti superata con l’unificazione,
nel Trattato di Maastricht, dei diritti e doveri comunitari nello “status”
di cittadino europeo (art. 8) e codificata nella sentenza della Corte di
Giustizia 25 aprile 1996 in C-87/94, in Racc. 1996, I, 2043 la quale ha
sottolineato che l’applicabilità del diritto comunitario non risulta
soggetta ad alcuna condizione relativa alla nazionalità o al luogo
di stabilimento e quindi si applica anche ad una situazione meramente interna.
La previsione contenuta nell’art. 24, 1°
comma, della direttiva 93/37/CEE risulta recepita nell’art. 8, 7° comma,
della legge 109/94.
Il primo capoverso dell’art. 8, 7° comma,
rinvia espressamente, ai fini della sospensione dalla partecipazione alle
procedure di affidamento dei lavori pubblici da tre a sei mesi (e non quindi
della cancellazione), ai casi previsti dall’art. 24, 1° comma, dir.
93/37/CEE che prevede: “Può essere escluso dalla partecipazione
all’appalto ogni imprenditore: che sia in stato di fallimento, di liquidazione,
di cessazione di attività, di regolamento giudiziario o di concordato
preventivo o in ogni altra analoga situazione risultante da una procedura
della stessa natura prevista dalle legislazioni o regolamentazioni nazionali;
relativamente al quale sia in corso una procedura di dichiarazione di fallimento,
di amministrazione controllata, di concordato preventivo oppure ogni altra
procedura della stessa natura prevista dalle legislazioni e regolamentazioni
nazionali”.
L’art. 8, 7° comma, dispone inoltre l’abrogazione
delle norme incompatibili relative alla sospensione ed alla cancellazione
dall’Albo di cui alla legge 10 febbraio 1962, n. 57.
Se si leggono in combinato disposto l’art. 8,
7° comma, della L. 109/94 e l’art. 24, 1° comma, della direttiva
93/37/CEE, in forza della previsione di abrogazione delle norme incompatibili
relative alla sospensione ed alla cancellazione di cui alla legge 57/62,
deve quindi ritenersi che un imprenditore che sia già stato dichiarato
fallito, non può essere cancellato dall’Albo, ma solo sospeso, in
quanto lo stato di fallimento o di concordato, che era previsto nel punto
3 dell’art. 21 l.57/62 come autonoma causa di cancellazione, è stato
incorporato tra le cause di sospensione.
Questa interpretazione appare del resto la sola
compatibile con l’obbligo di interpretazione conforme al diritto comunitario
(v. Corte di Giustizia, sent. 13 maggio 1981, in C-66/80, in Racc., 1981,
p. 1191 ss.).
Nell’ipotesi di impossibilità di interpretazione
conforme al diritto comunitario il giudice amministrativo sarebbe tenuto,
ai fini di garantire il rispetto del principio di libera prestazione di
servizi, a disapplicare la norma nazionale incompatibile, ossia l’art.
21 della L. 57/62.
In conclusione si ritiene che il Comitato Centrale
dell’Albo Nazionale dei Costruttori (per inciso si rileva tra l’altro che
nell’ordinanza in oggetto il provvedimento di cancellazione era stato adottato
dal Comitato regionale dell’Anc, laddove l’art. 8, comma 7, della L.109/94
attribuisce espressamente la competenza al Comitato Centrale dell’ANC)
non possa più cancellare l’impresa fallita, ma solo sospenderne
la partecipazione alle gare per un periodo di tempo limitato.
Non solo. L’art. 8, 7° comma ritiene che
il Comitato Centrale dell’ANC sia transitoriamente competente fino al 31
gennaio 1999; dal 1 gennaio 2000 all’esclusione dalla partecipazione alle
procedure di affidamento provvederanno direttamente le stazioni appaltanti
sulla base dei medesimi criteri.
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