g•i•u•r•i•s•p•r•u•d•e•n•z•a
r•o•m•a•n•a
 
Tribunale di Roma - Sez. fallimentare - decr. 21 agosto 1997 - Pres. - Giudice Delegato Norelli - Fallimento Alcea s.r.l. - Curatore avv. Giovambattista Sgromo

CURATORE - COMPENSO - LIQUIDAZIONE - DECRETO DEL TRIBUNALE - MODIFICA E REVOCA - AMMISSIBILITA’ - TERMINE FINO ALLA CHIUSURA FALLIMENTO - (art. 39 L.F., art. 742 cod. proc. civ.) 

Il decreto di liquidazione del compenso del curatore può essere modificato sino al momento della chiusura del fallimento. Trattasi di un provvedimento pronunciato in camera di consiglio che non si sottrae alla regola generale della revocabilità e modificabilità di cui all’art. 742 cod. proc. civ. applicabile a tutti i decreti camerali, fatte salve le deroghe espressamente previste.

(omissis)
Rilevato che con precedente decreto di questo Tribunale in data 7 luglio 1997, è stato liquidato il compenso dovuto al curatore istante (in complessive £ 120.000.000) e che il medesimo curatore, lamentando l’inadeguatezza di siffatta liquidazione in relazione alla complessità ed alla durata della procedura, alle difficoltà incontrate, all’impegno profuso ed ai risultati conseguiti, ha chiesto che essa sia modificata in aumento; considerato che la modifica del provvedimento di liquidazione del compenso al curatore è ammissibile, trattandosi di un decreto pronunciato in Camera di Consiglio, che non si sottrae alla regola generale della revocabilità e modificabilità ex art. 742 cod. proc. civ.(omissis) fin tanto che non sia dichiarata la chiusura del fallimento (art. 119 L.F.), con conseguente decadenza degli organi ad esso preposti (art. 120 L.F.) ed esaurimento, quindi, di ogni potere degli stessi di provvedere in ordine alla procedura fallimentare (omissis);
che il potere di revoca o modifica è esercitabile non solo in caso di mutamento della situazione di fatto, presa in esame ai fini dell’emanazione del primo provvedimento, ma anche sulla base di una nuova valutazione delle circostanze di fatto preesistenti, atteso che la norma non pone alcuna limitazione; ritenuto che, melius re perpensa, è giustificata la richiesta del curatore di liquidazione del compenso nella misura massima prevista dal d.m. 28 luglio 1992 (omissis) visti gli artt. 39 L.F., 737 e segg. cod. proc. civ., nonchè il d.m. 28 luglio1992 n. 570; a modificazione del precedente decreto di liquidazione in data 7 luglio 1997, liquida (omissis).

[1]
La soluzione a cui perviene il Tribunale di Roma, in riferimento alla fattispecie commentata è fondata e correttamente motivata.
Il compenso del curatore è liquidato ad istanza del curatore con decreto pronunciato in Camera di Consiglio, dal Tribunale Fallimentare, non soggetto a reclamo ex art. 39 L.F.. La dottrina prevalente, assecondata peraltro dalla giurisprudenza di merito, si è pronunciata nel senso dell’ammissibilità della revoca e/o modifica dei decreti del Tribunale Fallimentare ivi compresi i decreti che liquidano il compenso del curatore. Il potere di revocare e/o modificare il decreto de quo, attribuito ex lege al Tribunale Fallimentare, trova la sua giustificazione sia nel fatto che allo stesso organo spetta il dovere di curare gli interessi del fallimento, alla cui tutela i decreti de quo sono indirizzati, sia nel fatto che tali decreti, per espressa previsione normativa, non sono soggetti a reclamo, in quanto promanano dall’organo supremo del fallimento. Con l’unico limite di carattere temporale segnato dalla data di chiusura del fallimento, da cui consegue la decadenza di tutti gli organi fallimentari ex art.120. L.F..
Orbene, sulla base di tali presupposti ben si comprende la “necessità” di accordare all’organo emanante la possibilità di modificare e/o revocare i decreti de quo.
Tale sistema tende ad evitare che la non impugnabilità dei decreti emanati in Camera di consiglio equivalga a intangibilità degli stessi ad esclusivo danno del fallimento.
Si pensi, per un’attimo, a fatti sopravvenuti nel corso della procedura fallimentare che mutano i presupposti su cui si è fondata la decisione del Tribunale, ovvero, ad una eventuale erronea valutazione di fatti già esistenti da parte dello stesso organo collegiale.
D’altronde, come precisa il Tribunale di Roma in merito alla decisione in commento, una più sicura base normativa che legittima tale interpretazione è offerta dal dettato dell’art. 742 cod. proc. civ., il quale sancisce il principio generale della revocabilità e modificabilità, dei decreti camerali (salvo specifiche norme derogatoria), ivi compresi, in quanto non espressamente derogati, i decreti con cui si determina il compenso del curatore fallimentare.
In generale sulla modificabilità ex art. 742 cod. proc. civ. dei decreti camerali cfr. Cass. Civ., I sez., 23 ottobre 1986, n. 6220, in Foro It., 1987, I, 3287; Cass. Civ., I, sez., 7 novembre1985, n. 5408, in Giust. Civ., 1985, I, 2700; Cass. Civ., I sez, 1 marzo 1983, n. 540, in Giust. Civ. Mass. 1983, fasc. III. Nello specifico e con riferimento ai decreti camerali afferenti al compenso del curatore cfr. Tribunale Civ. Roma, 3 giugno 1996, in Il Fallimento, 1997, 1, 109; Tribunale Civ. Cosenza, 14 novembre 1995, in Dir. Fall., 1996, II, 934; Tribunale Civ. Torino, 26 marzo 1954, in Riv. Dir. Commerciale, 1954, II, 307. In dottrina fra gli altri, si segnalano, Norelli E., Diritto fallimentare, Pirola 1994, I, 414; Ghia L., Diritto fallimentare, Pirola 1994, I, 546; P. Bajardi, Bocchiola, Gli organi del Processo fallimentare Giuffrè 1991, 563; Zaccaria A., Comm. breve alla legge fallimentare Cedam, 1991, 132; Bajardi, Codice del fallimento, Giuffrè 1991, 136; Caselli G. Enc. Giuridica Treccani, Vol. XIII, voce il fallimento; Bajardi, Bornani, Bocchiola, Il Curatore del fallimento Giuffrè 1988, 54. 
Unica voce contraria alla interpretazione prospettata è quella di Azzolina che nel lontano 1954 sosteneva che i decreti camerali non possono essere modificati e/o revocati ad istanza di parte o di ufficio. Per l’autore citato la regola della modificabilità dei decreti de quo deve essere espressamente sancita da una norma di legge. Nella materia fallimentare, invece, nessuna norma di legge stabilisce che il principio che i provvedimento del Tribunale siano modificabili e/o revocabili, (Azzolina, in Riv. Dir. Commerciale, 307, II 1954).
 
 

 
Tribunale di Roma - Sez. Fallimentare - sent. 2 luglio 1997 n.17469 - Pres. Briasco - Est. Vitalone - Coop. Idrici ed Affini Bologna S.r.l. (avv. B.Manzella) c. Fall. Nova cooperativa S.r.l. in Amministrazione Straordinaria (avv. G. Nervi, avv. M.T. Perazzoli).

FALLIMENTO - AZIONE REVOCATORIA FALLIMENTARE - EFFETTI DELLA REVOCAZIONE - PAGAMENTI RICEVUTI IN PERIODO SOSPETTO DAL FALLITO - DECLARATORIA DI INEFFICACIA - TRANSAZIONE - PAGAMENTO DI SOMMA A STRALCIO - AMMISSIONE AL PASSIVO EX ART. 71 L.F. (art. 67, 71 L.F.)

Sussiste il diritto del creditore ad insinuare al passivo del fallimento il proprio originario credito, la cui esistenza non è certo vanificata dall’aver subito la revocatoria che ha come unico scopo di ripristinare la piena parità tra crediti esistenti, anche quando abbia stipulato una transazione atta a dirimere una controversia avente ad oggetto un’azione revocatoria ed in essa non abbia espressamente rinunciato al diritto di cui all’art. 71 L.F.

(omissis)... Con ricorso ritualmente notificato la Coop. Idrici ed Affini Bologna s.r.l. chiedeva di essere ammessa al passivo della società convenuta in amministrazione straordinaria per la somma di £ 75.780.250 di cui £ 66.207.385 ai sensi dell’art. 71 L.F. avendo corrisposto tale importo in via transattiva a seguito della intrapresa azione revocatoria da parte della Nova e della somma ulteriore quale saldo per fatture rimaste impagate.
Si costituiva la convenuta contestando la fondatezza di entrambe le ragioni di credito così come diversamente prospettate dalla ricorrente, chiedendo il conseguente rigetto del ricorso.
La prima questione attiene alla ammissibilità della richiesta di insinuazione al passivo ex art. 71 L.F. da parte del creditore che, precedentemente convenuto in revocatoria, si sia limitato a corrispondere una somma al fallimento in via transattiva. La dizione della norma che gli stessi commentatori individuano come poco felice fa espresso riferimento al creditore che subisce gli effetti della revoca, potendo ciò far ritenere che l’unico atto idoneo a creare tali effetti sia una sentenza sfavorevole al creditore medesimo. Non pare pertanto nemmeno ipotizzata la circostanza che sull’ammontare delle somme da restituirsi al fallimento in virtù dell’applicazione dell’art. 67 L.F. possa essere raggiunta una transazione tra le parti sicché il creditore possa limitarsi a restituire importi inferiori al richiesto senza attendere la definizione del giudizio. Tale esclusione risulta ingiustificata poiché legittimerebbe l’irragionevole principio secondo cui il creditore convenuto in revocatoria, per far valere il suo credito in sede di ripartizione concorsuale, sia costretto ad attendere l’emissione della sentenza, unico titolo legittimante la successiva insinuazione ex art. 71 L.F., avendo così preclusa la possibilità di far proposte di accordo o transazioni con il fallimento in quanto tali titoli, diversi da una sentenza, lo priverebbero del diritto alla successiva insinuazione.
Appare del tutto conforme allora, in ossequio alla evidente finalità della norma di cui si tratta, riconoscere il diritto del creditore ad insinuare al passivo del fallimento il proprio originario credito, la cui esistenza non è certo vanificata dall’aver subito la revocatoria che ha come unico scopo di ripristinare la piena parità tra crediti esistenti, anche quando abbia stipulato una transazione atta a dirimere una controversia avente ad oggetto un’azione revocatoria ed in essa non abbia espressamente rinunciato al diritto di cui all’art. 71 L.F. 
Per quanto attiene alla collocazione del credito, che la ricorrente assume essere di natura privilegiata, stante la sua qualità di ente cooperativo, deve concludersi per la fondatezza di tale proposizione, proprio in virtù del fatto che il privilegio dedotto tutela la particolare condizione soggettiva del creditore, nella assoluta giuridica irrilevanza se esso abbia o meno subito gli esiti di una azione revocatoria. In tal senso deve evidentemente confermarsi quanto sopra esposto per cui tali esiti, meramente ripristinatori della par condicio, non incidono sulla esistenza del credito e sulle sue caratteristiche, avendo essi come unico scopo quello di vanificare il preventivo soddisfacimento di un creditore, nel periodo “sospetto”, a danno dell’intera massa.
Rimane da valutare l’ulteriore insinuazione della ricorrente per un credito scaturente dal mancato integrale soddisfacimento di fatture inviate alla società convenuta. Sul punto deve osservarsi che nessun atto istruttorio è stato compiuto e che nulla è rinvenibile nel fascicolo di parte sicché tale richiesta essendo sfornita di un pur minimo riscontro probatorio deve essere rigettata. (omissis)
 

Ammissibilità dell’insinuazione al passivo del credito privilegiato successivamente alla transazione stipulata a seguito dell’azione    revocatoria del pagamento
1) La fattispecie
La Coop. Nova s.r.l. effettuava alcuni pagamenti a favore della Coop. Idrici ed Affini Bologna (C.I.A.B.) s.r.l., nel periodo immediatamente anteriore all’ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria. 
Il Commissario Giudiziale conveniva poi in giudizio la C.I.A.B. affinchè venissero revocati (art. 67, II° comma L.F.) tutti i pagamenti percepiti dalla stessa. La C.I.A.B., al fine di pervenire alla rapida definizione della controversia, inviava una proposta transattiva alla Coop. Nova s.r.l. e, a seguito dell’accordo transattivo, versava all’attrice un importo pari al 20% della somma richiesta.
Non avendo rinunciato in sede di transazione al diritto ex art. 71 L.F., la C.I.A.B. richiedeva successivamente, con apposita domanda di insinuazione tardiva, di essere ammessa al passivo della Coop. Nova s.r.l. in Amministrazione Straordinaria per le somme versate ed in collocazione privilegiata (ex art.2751 bis n.5 cod. civ.), vista la sua qualità di società cooperativa.
Resisteva in giudizio la Coop. Nova s.r.l. in amministrazione straordinaria, affermando che il credito ex art. 71 L.F. della ricorrente nasceva con la sentenza di revoca o con il pagamento spontaneo di quanto ricevuto, non essendo la transazione titolo idoneo a fondarne la relativa pretesa creditoria.
La Coop. Nova s.r.l. poi aggiungeva che, nell’ipotesi in cui fosse effettivamente applicabile la norma dell’art. 71 L.F. al caso in questione, il credito della ricorrente avrebbe dovuto essere ammesso al passivo in via chirografaria, e non in privilegio come richiesto, a seguito del mutamento del titolo da cui discendeva la pretesa creditoria della Soc. Coop. Idrici e Affini Bologna s.r.l.
La ricorrente C.I.A.B. sottolineava d’altra parte che il dato testuale dell’art. 71 L.F., condizionante il credito del soggetto revocato alla restituzione, consentiva l’immediata ammissione al passivo e la stessa natura del credito non veniva minimamente condizionata dal procedimento di accertamento del passivo, l’esame del Giudice Delegato riferendosi al credito originario, con tutti i suoi accessori, prerogative e diritti di prelazione.
Il Tribunale accoglieva il ricorso della Coop. Idrici ed Affini Bologna s.r.l., ammettendo al passivo il credito relativo alla somma pagata in sede di transazione e riconoscendo, altresì, alla stessa la piena validità di titolo legittimante, alternativo alla sentenza di revoca.
2) Le questioni di diritto:
a) L’art. 71 L.F.
Il caso deciso dal Tribunale riguarda una norma, l’art. 71 L.F., collocata dal legislatore a chiusura della sezione dedicata agli “effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori”.
Tale collocazione potrebbe indurre l’interprete a considerarla residuale nel sistema della legge fallimentare; la norma in realtà assume un’importanza fondamentale per i principi ad essa sottesi, a causa della correlazione con l’intera problematica dell’azione revocatoria.
Il legislatore, conscio della incisività del sistema della revocatoria fallimentare, ne attenua le conseguenze, consentendo in base all’art. 71 L.F. l’ammissione al passivo dell’eventuale credito di colui che per effetto della revoca ha dovuto restituire quanto aveva ricevuto. La sanzione della revoca viene in tal modo bilanciata con la possibilità per il revocato di insinuarsi al passivo fallimentare e di non perdere definitivamente quanto sotrattogli.
Il dettato normativo dell’art. 71 L.F., nel sancire la connessione della nascita del credito (eventuale) del revocato alla restituzione operata a favore del fallimento, stabilisce quando il terzo possa insinuarsi al passivo fallimentare. 
La norma sembrerebbe condizionare la domanda di insinuazione del terzo alla sentenza di revoca, escludendo altri titoli idonei a produrre l’obbligo restitutorio a carico del convenuto in revocatoria ex art. 67 L.F. e, quindi, la nascita del suo diritto di insinuazione. 

b) La soluzione della sentenza
Tale interpretazione non è apparsa ai giudici rispondente alle finalità della norma che, complessivamente considerata, assume a proprio fondamento pur sempre la tutela del creditore revocando. 
Il Tribunale ha ritenuto che l’obbligo restitutorio e la pretesa del creditore, convenuto in revocatoria, possano basarsi su altri titoli diversi dalla sentenza di revoca ed, in particolare, come nel caso concreto, su un atto di transazione stipulato con il commissario liquidatore.
La revocatoria, finalizzata alla distribuzione dei rischi dell’insolvenza dell’impresa nell’ambito di un’ampia collettività di soggetti creditori, non ha come suo presupposto fondamentale la totale eliminazione del danno subito dalla massa per l’atto dispositivo effettuato dal debitore prima del fallimento.
In sintonia con la ratio della revocatoria fallimentare, il Tribunale riconosce al terzo convenuto la possibilità di restituire alla curatela, in sede transattiva, somme minori rispetto a quanto originariamente a lui richiesto.
La finalità distributiva del rimedio ex art. 67 L.F. avente, secondo i giudici, quale unico scopo la realizzazione della piena parità tra crediti esistenti, consente che l’atto compiuto dal debitore mantenga la sua validità, limitatamente ai rapporti con il creditore preferito; d’altra parte, l’atto viene privato di ogni effetto nei confronti della massa dei creditori a causa dell’espansione retrogada della procedura fallimentare, resa possibile dall’azione revocatoria.
In altri termini, l’art. 71 L.F. non individua il momento della nascita di un nuovo diritto di credito a favore del creditore convenuto, ma costituisce la condizione espressamente prevista per esercitare il credito originario, la cui esistenza, non vanificata dalla revocatoria, viene diversamente definita dalla transazione stipulata tra la curatela ed il creditore convenuto.

c) La rilevanza della transazione
La natura e gli effetti dell’accordo transattivo, quale valido titolo idoneo a fondare la pretesa creditoria del terzo convenuto ex art. 71 L.F., assumono un’importanza fondamentale ai fini del mantenimento o meno della natura originaria della stessa pretesa.
L’efficacia minima della transazione, naturalmente inerente alla situazione che la precede, consiste nel modificare con effetto immediato la preesistente situazione litigiosa, rendendola non litigiosa, composta cioè di diritti certi e stabili (E. Del Prato, Enciclopedia del Diritto, XLIV, 828 ss, Giuffrè Ed. 1972).
Il rapporto controverso viene conformato dall’efficacia prettamente dispositiva della transazione, dalla sua attitudine ad innovare la realtà giuridica.
L’eliminazione della lite, ragion d’essere e risultato dell’accordo transattivo, può essere ottenuta dalle parti contraenti modificando in maniera più o meno intensa la res litigiosa. Per stabilire il grado dell’innovatività della transazione sulla realtà controversa o la misura delle reciproche concessioni, occorre “procedere al confronto tra i rapporti e le situazioni che hanno dato luogo al contrasto tra le parti e la disciplina ulteriore che tali rapporti o situazioni ricevono in conseguenza dell’esercizio del potere modificativo espresso nella transazione dalle parti contraenti” (Cass., 28.5.1980, n.3498, in Rep. Foro It., 1980, “Transazione”, n.4).
La natura originaria della pretesa ex art. 71 L.F. può sopravvivere agli effetti innovativi della transazione, nell’ipotesi che questa non raggiunga il risultato, eventuale, di sostituire del tutto la situazione giuridica preesistente, attraverso la mutazione del titolo o modifiche che comunque la rendano incompatibile con il nuovo regolamento di interessi.
È necessario, in altre parole, che le modifiche conseguenti alla transazione consentano al rapporto preesistente di mantenere sostanzialmente intatta la sua natura e la relativa fonte negoziale (cfr. Cass., 16.11.1978, n.5295, in Rep. Foro It., 1978, “ Transazione”, n.12); la transazione, in tal caso modifica la situazione antecedente, ponendo un comando complementare la cui efficienza dipende da quella della fonte del rapporto originario (E. Del Prato, op. cit, pag. 831).
Nel caso affrontato dal Tribunale, la transazione ha comportato una modificazione limitata della realtà oggetto di controversia, essendo stato definito esclusivamente l’importo spettante al Fallimento a causa della revocatoria.
Le parti non hanno inteso sostituire l’assetto di interessi originario con un nuovo rapporto, nè modificare la natura o la fonte negoziale della pretesa del creditore revocando.
La transazione stipulata dalle parti, pertanto, giustifica il diritto del creditore di insinuare al passivo il credito originario, a condizione che nella stessa transazione non abbia rinunciato esplicitamente al diritto concessogli dall’art. 71 L.F. (cfr. in tal senso, Trib. Bologna, 27.11.1990, Il Fallimento, 1991, 505, con nota adesiva di R. Danovi; Trib. Milano, 2.3.1981, Foro Pad., 1, 162).

d) Il mantenimento del carattere privilegiato del credito ex art. 71 L.F
La sopravvivenza della natura originaria del credito, resa possibile dalla finalità meramente ripristinatoria della par condicio della revocatoria fallimentare, comporta il corollario, sottolineato dai giudici, della stessa sopravvivenza del privilegio ex art. 2451 bis n.5 cod.civ. dedotto dalla società cooperativa convenuta (la dottrina dominante è favorevole alla reviviscenza delle garanzie: Satta, Diritto Fallimentare, Padova, 1996, 264; Maffei Alberti, Il danno nella revocatoria, Padova, 1970, 224-225; in giurisprudenza, Trib. Milano 21.9.1989, in Giur. It., 1990, I, 2, 389; Trib. Firenze, 6.3.1978, D. Fall. 78, II, 314; contra Trib. Catania 27.12.1983, Banca, borsa, tit. cred. 1984, II, 229).
Tale parallelismo si spiega con la stessa funzione del privilegio, accordato dall’art.2745 c.c. in considerazione della causa del credito.
Il privilegio, in altre parole, è una qualità del credito, inerisce al credito stesso, presupponendo una valutazione di opportunità, meritevolezza o rilievo sociale da parte del legislatore (A. Borgioli, Revoca del privilegio legale o revoca della legge, nota a App. Bologna, 23.2.1979, in Giur. Comm., 1980, II, 610).
La giustificazione etico-economico della concessione dei privilegi da parte della legge, non suscettibili di estensione analogica, ne impedisce la scomparsa a seguito della revocatoria fallimentare; la sanzione dell’inefficacia che colpisce inevitabilmente l’atto revocato, reso inopponibile alla massa, non incrina la particolare tutela accordata inizialmente dalla legge al creditore preferito.
La revocatoria potrà comportare un effetto degradante delle qualità del credito solo nell’ipotesi in cui il privilegio sia stato pattuito tra le parti, ovvero sia frutto di una “convenzione”.
L’impossibilità, sottolineata dal Tribunale, di degradare il credito munito di privilegio legale a credito chirografario, basata sulla stessa necessità di tutelare la particolare condizione soggettiva del creditore è confermata dal sistema della legge fallimentare che non prevede la revocabilità del privilegio legale, a differenza degli atti, delle garanzie e delle ipoteche, volontarie e giudiziali (art. 67 L.F.).
La perdita del privilegio legale comporterebbe una contraddizione logica del sistema legislativo, con la smentita di tutte le considerazioni di meritevolezza, rilevanza socio-economica o altro valutate in via preventiva e generale, senza alcuna volontà di delegarle al giudice (A. Borgioli, Revoca del privilegio legale cit.).
Se di “degradazione” conseguente alla revocatoria vorrà parlarsi, essa non interessa le caratteristiche del credito, il quale mantiene il suo privilegio legale, ma la sua posizione satisfattiva, ormai subordinata agli esiti della ordinaria domanda di ammissione al passivo e alle regole dell’accertamento concorsuale dei crediti.