Tribunale di Roma - Sez. fallimentare
- sent. 10 novembre 1997 - Pres. Grimaldi - Est. Grimaldi - Rivera Andrea
(avv. R. Galli) c/ fall. FMN di Liliana Meschini & C. e altri (contumaci).
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DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO - PROCEDIMENTO
- COMPARIZIONE DELL’IMPRENDITORE - DIRITTO DI DIFESA - MORTE DEL LEGALE
RAPPRESENTANTE DI SOCIETÀ DI PERSONE - RILEVANZA - NECESSITÀ
NOMINA CURATORE SPECIALE - (art. 15 L.F., art. 78 cod. proc. civ.).
.
Qualora dopo la notifica dell’istanza
di fallimento e del pedissequo decreto di fissazione dell’udienza prefallimentare,
morisse il legale rappresentante della società debitrice, è
necessario promuovere la nomina di un curatore speciale ex art. 78 cod.
proc. civ. non potendosi in difetto dichiarare il fallimento della società.
[1]
.
(omissis)
Dall’esame degli atti del fascicolo
d’ufficio relativo alla fase dell’istruttoria prefallimentare, risulta
che, sebbene l’istanza di fallimento proposta dalla Ceramiche Musa ed il
pedissequo decreto di fissazione dell’udienza di comparizione delle parti
dinanzi al giudice designato fosse stata ritualmente notificata alla legale
rappresentante della società fallenda, Meschini Liliana, nell’udienza
del 21 aprile 1994, fissata per l’audizione la medesima non potè
comparire per esercitare il diritto di difesa, essendo nelle more deceduta,
come lo stesso procuratore della creditrice ebbe a rendere noto nell’udienza
anzidetta. In tale situazione, al fine di osservare il precetto di cui
all’art. 15 della L.F. come modificato dalla menzionata sentenza della
Corte Costituzionale, sarebbe stato necessario promuovere la nomina di
un curatore speciale ex art. 78 cod. proc. civ., onde consentire alla società
fallenda, rimasta priva di legale rappresentante a seguito del decesso
di Meschini Liliana, la quale in base a specifica clausola dell’atto costitutivo
della società (art.7: cfr. Doc. n.6 del fascicolo dell’opponente)
era l’unica socia alla quale era stata conferita l’amministrazione e la
legale rappresentanza della società, di comparire, appunto attraverso
il curatore speciale, nell’udienza e di esercitare ivi il diritto di difesa
in ordine alle istanze di fallimento nei suoi confronti proposte.
(omissis)
[1] Sulla morte del legale rappresentante
della società di persone in pendenza della convocazione in camera
di consiglio
Non risultano precedenti specifici
con riferimento alla morte del legale rappresentante di società
di persone. La tesi prospettata dall’organo giudicante nella situazione
di specie è da condividere in toto.
Infatti la impossibilità
di difendersi in sede prefallimentare è dipesa esclusivamente da
eventi naturali e non da comportamenti negligenti e/o dilatori tenuti dal
debitore. In più va aggiunto che le norme del cod. civ. che dettano
la disciplina per le società semplici non prevedono, a differenza
delle società di capitali, dei meccanismi che assicurino la continuazione
della rappresentanza giuridica della società, nei casi in cui viene
meno il rappresentante legale.
Rebus sic stantibus, nella situzione
di specie, per garantire il diritto di difesa della società fallenda
sarebbe stata necessaria la nomina di un curatore speciale ex art. 78 cod.
proc. civ..
Si segnala che per le società
di capitali la giurisprudenza è giunta a conclusioni opposte rispetto
a quella a cui è pervenuto l’organo giudicante nella fattipecie
commentata, stabilendo che la morte del legale rappresentante della società
non è causa di sospensione o di interruzione di istruttoria prefallimentare.
In tal senso cfr. Trib. Roma, 15
giugno 1985, in Dir. fall., 1986, II, 426; Trib. Roma, 18 febbraio 1984,
in Dir. fall., II, 619.
La ratio di tale diversa soluzione,
è rinvenuta nel dettato dell’ art. 2386, 6° comma, cod. civ.,
che prevede, per il caso di cessazione dell’amministratore unico, l’obbligo
della convocazione dell’assemblea di urgenza da parte del collegio sindacale
il quale può compiere nel frattempo gli atti di ordinaria amministrazione
(cfr. Trib. Milano, 3 ottobre 1974, in Dir. Fall., 1975, II, 77; Trib.
Frosinone, 27 maggio 1968, in Giur. Mer., 1969, I, 314).
In sostanza per le società
di capitali è necessario convocare ritualmente la società
debitrice e, una volta assicurata e rispettata tale garanzia difensiva,
non va disposta una nuova convocazione, quale che sia la vicenda giuridica
della persona fisica del legale rappresentante, in quanto la vacanza dell’organo
della persona giuridica non può incidere sullo svolgimento del procedimento
in corso e, comunque, la rappresentanza della persona giuridica è
assicurata dai meccanismi disposti dall’ordinamento vigente.
Tribunale di Roma - Sez. Fallimentare
- sent. 27 settembre 1997 - Pres. Briasco - Est. Baccarini - CARIVIT Cassa
di Risparmio della Provincia di Viterbo S.p.a.
c/ Fall. GLS 89 S.r.l.
INTERESSI - INTERESSI ULTRALEGALI
- CONTRATTO DI CONTO CORRENTE BANCARIO - RIFERIMENTO ALLE CONDIZIONI DI
PIAZZA - INSUFFICIENZA. (art. 1284 cod. civ.)
Non può essere ritenuta valida,
per violazione dell’art. 1284, 3° comma, cod. civ., la clausola che
lasci la variazione del tasso d’interesse alla discrezionalità della
parte contraente dominante, anche se riferendola alle variazioni di mercato,
perché l’approvazione per iscritto di interessi superiori a quelli
legali non può prescindere dalla loro esatta individuazione, in
via oggettiva, con quantificazione precisa o riferimento a criteri ugualmente
precisi, verificabili da chiunque[1].
(omissis)
Motivi della decisione
La ricorrente censura, altresì,
la esclusione del credito relativo agli interessi di mora maturati sulle
somme relative al c/c ....
(omissis)
Come noto, la Cassazione con costante
giurisprudenza ha ritenuto necessario e sufficiente che nel contratto di
c/c siano indicati “criteri certi e oggettivi che consentano la concreta
quantificazione del tasso di interesse, ancorché ciò avvenga
per relationem, mediante il richiamo ad elementi estranei al documento
stesso”, ritenendo rispettoso di simili requisiti proprio il richiamo “alle
condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza”
(così, in termini, Sez. I, n. 1112 del 14/02/84, CED n. 433250).
Peraltro, questa giurisprudenza
poggia sul presupposto che le condizioni suindicate “vengano fissate su
scala nazionale con accordi di cartello per modo che il rinvio al tasso
usuale vale ad ancorare la misura degli interessi a fatti oggettivi, certi
e di agevole riscontro, non influenzabili dal singolo istituto bancario”
(come sempre in termini prosegue la citata sentenza n. 1112/84; si vedano
anche: Sez. I, n. 8335 del 12/11/87, CED 455906; Sez. I, n. 6554 del 3/12/88,
CED 460866; Sez. I, n. 2644 del 30/05/89, CED 462940; Sez. I, n. 2765 del
7/03/92, CED 476114; Sez. III, n. 1110 del 3/02/94, CED 485203; Sez. II,
n. 6113 del 25/06/94, CED 487196; Sez. I, n. 9227 del 01/09/95, CED 493852;
App. Milano del 11/04/86, in Banca Borsa e Titoli di Credito, 1987, 605,
che fa espresso e univoco collegamento tra il rinvio alle condizioni su
piazza e i tassi ABI; Trib. Milano del 11/01/90, in Diritto della Banca
e del mercato finanziario, 1991, 148). Solo così può parlarsi
di “elementi estrinseci, obiettivamente e sicuramente individuabili”, la
cui pubblicità è assicurata a mezzo di pubblicazione nei
bollettini delle banche e nei giornali quotidiani” (come dice Sez. I, n.
2521 del 9/04/83, CED 427385).
È significativo e chiarificatore
che la Cassazione abbia invece ritenuto non valido un generico riferimento
agli “usi bancari”, rilevando “che non esiste alcuna documentazione ufficiale
degli usi in tema di interessi e che non risulta che le banche pratichino
tassi di interesse uguali” per cui simile indicazione è invalida
in quanto non permetterebbe “la sicura determinabilità del tasso
di interesse” (Sez. I, n. 2262 del 9/04/84, CED 434310 e 434307; si veda
anche Trib. Roma del 27/06/87, in Nuovo Diritto, 1988, 64).
(omissis)
In altre parole, la S.C. ritiene
ammissibile il riferimento ad elementi oggettivi e certi, ancorché
esterni al contratto, noti o facilmente conoscibili e riscontrabili; simili
clausole infatti, per quanto onerose, sono consapevolmente accettate dal
correntista.
(omissis)
Quindi la Cassazione ha espressamente
ritenuto ammissibili formule come quella qui in esame unicamente per la
certezza che simile dizione indica che il saggio degli interessi viene
ancorato a condizioni fissate su scala nazionale, certe ed oggettive, riscontrabili
da chiunque, facilmente conoscibili.
(omissis)
Quanto sopra comporta la necessità
di verificare in concreto come il criterio di determinazione del saggio
di interesse indicato in contratto sia stato inteso e applicato dall’istituto.
Infatti è notorio come gli
istituti bancari applichino saggi di interesse estremamente differenziati,
tra istituto e istituto e persino nell’ambito della stessa banca in relazione
al singolo cliente. Come pure lo è che varino il saggio di interesse
in base a plurimi criteri, tra cui il tasso nazionale indicato è
solamente uno dei tanti.
(omissis)
Infatti, è significativo
che quella parte della giurisprudenza di merito che perviene alla dichiarazione
di nullità delle clausole che approvano interessi ultralegali con
riferimento alle condizioni usualmente praticate su piazza, non contesta
i principi di diritto sanciti dalla Suprema Corte, ma si basa su una differente
constatazione della realtà creditizia. Secondo questi giudici di
merito, infatti, non esiste alcuna pubblicazione ufficiale che certifichi
tali condizioni “usuali”, ne sussiste un unico tasso uniformemente applicato
dagli istituti per tutta la clientela (così in termini, Trib. Napoli
del 25/03/94, in Giur. Comm., 1995, 446; identiche conclusioni per Trib.
Genova del 09/5/89, in Giur. Civ. Comm., 1990, 62; Trib. Macerata del 17/08/89,
in Diritto della banca e del mercato finanziario, 1991, 148; App. Milano
del 31/01/92, in Banca Borsa e Titoli, 1992, 550; Trib. Milano del 24/02/92,
in Banca Borsa e Titoli, 1992, 550; Trib. Pavia dell’1/10/93 in Giur. Comm.,
1995, 446).
(omissis)
In definitiva, tanto secondo la
Cassazione che secondo la giurisprudenza di merito, la formula che indica
il saggio di interesse con riferimento a criteri esterni avrà valore
solo se ed in quanto lo stesso venga determinato con precisa applicazione
di condizioni generali, indicate in sede nazionale, non influenzabili dal
singolo istituto e facilmente conoscibili da chiunque così da consentire
al correntista di verificare le variazioni (in termini, si rimanda ancora
a Sez. I, n. 2644 del 30.05.89, CED 462940). Ove questo non risulti verificato,
non sarà dimostrata la ammissibilità della clausola e, quindi,
gli interessi saranno dovuti nella minor misura di legge.
(omissis)
Ancora sulla illeggittimità
della pattuizione di interssi ultralegali con riferimento alle condizioni
bancarie su piazza.
È noto, in materia di interessi
bancari, l’alternarsi in giurisprudenza di pronunce che, numericamente,
propendono per la validità dei tassi ultralegali stabiliti con rinvio
agli usi uniformi.
La sentenza in esame[1] emessa
in fattispecie relativa a contratto anteriore alla entrata in vigore della
l. 7 febbraio 1992. 4. 154, è da segnalarsi perchè evidenzia
l’accentuarsi di una tendenza che, propendendo per la massima chiarezza
dei rapporti bancari, tanto diffusi quanto assai spesso confusi, giudica
radicalmente nulla la clausola in discorso e conferma una singolare frattura
tra giurisprudenza di merito e giurisprudenza di legittimità.
La tesi abitualmente sostenuta
dagli istituti di credito si richiama ad una giuris-prudenza del Supremo
Collegio che, a partire dalla sentenza n. 3028 del 30/06/78, ha ripetutamente
riconosciuto la congruità della motivazione dei giudici di merito
che avevano ritenuto il mero riferimento alle condizioni “di piazza” sufficiente
a determinare, in modo non equivoco, l’ammontare del tasso degli interessi
ultra-legali.
Tale tesi può essere esaustivamente
rappresentata dalla seguente massima: “In tema di pattuizioni di interessi
superiori alla misura legale, per i quali l’art. 1284, 3° comma cod.
civ. richiede la forma scritta ad substantiam sono valide, in base ai principi
generali sulla determinazione o determinabilità dell’oggetto del
contratto, le clausole negoziali che fissino gli interessi dei conti correnti
di corrispondenza con riferimento alle condizioni praticate usualmente
dalle aziende di credito sulla piazza, trattandosi di un criterio di determinabilità
oggettivo, certo e di agevole riscontro. Infatti, i tassi attivi praticati
dalle aziende di credito sono fissati su scala nazionale con accordi di
cartello, non influenzabili dal singolo istituto bancario, ed il correntista
è in grado di sapere, usando l’ordinaria diligenza, che gli interessi
sono variabili nel tempo, nonchè di verificarne l’andamento”.[2]
In tale contesto giurisprudenziale
è tuttavia presto affiorato il problema, d’ordine pratico e reale,
consistente nella capacità del riferimento contrattuale alle norme
bancarie uniformi di ottemperare, sia pure per relationem, al disposto
dell’art. 1284, 3° comma cod. civ.
La dottrina prima e la giurisprudenza
di merito successivamente, sembrano uniformemente orientarsi, con argomentazioni
sempre più convincenti, nel senso della soluzione negativa.[3]
Si è infatti prepotentemente
e sempre più frequentemente posto il quesito se esista e -nel caso
sia possibile rispondere affermativamente- quale sia in Italia il tasso
effettivo di interesse sugli scoperti di conto corrente “praticato usualmente
dalle aziende di credito sulla piazza” ai propri clienti a norma dell’art.
7, 3° comma, Norme Uniforme Bancarie.
La risposta, per certi versi sbalorditiva,
è che, in realtà, nessuno lo sa ...!
Nessuno sa, in effetti, né
quale sia l’esatto ammontare del tasso degli interessi bancari, né,
tantomeno, il criterio della sua determinazione.
Il problema appare, ictu oculi,
notevolmente rilevante, dato che incide sulla validità o meno della
- nota - clausola contenuta nei contratti di conto corrente bancario, che
determina gli interessi dovuti dal correntista. L’oggetto di questa pattuizione
potrà infatti considerarsi determinato o determinabile, ai sensi
dell’art. 1346 cod. civ., in quanto il tasso di riferimento possa essere
stabilito in modo univoco e come frutto di una valutazione oggettiva capace
di consentire alle parti, ed in particolare al cliente, di conoscere, già
al momento della stipulazione del contratto e, successivamente, nel corso
del rapporto, l’esatto ammontare della propria obbligazione, così
come richiesto dalla giurisprudenza più sopra citata.
In proposito il Tribunale di Genova,[4]
ha ritenuto nozione di comune esperienza, esplicitamente ammessa dalla
stessa banca in quel giudizio, che: “I tassi applicati sono variabili in
relazione a logiche di mercato, le quali comportano diversità di
comportamento tra i diversi istituti di credito ed in relazione alla qualità
soggettiva dei debitori” giungendo quindi a negare l’esistenza di un “uso
bancario idoneo a integrare validamente la pattuizione degli interessi
ultralegali”.
Il Tribunale di Roma[5], già
chiamato a decidere sulla medesima questione, ha a suo tempo ritenuto necessario
rivolgersi alla Banca d’Italia per ottenerne informazioni in ordine “ai
tassi attivi sugli scoperti di conto corrente applicati dagli istituti
di credito nel periodo 1 gennaio 1976 - 31 dicembre 1984”. Ebbene a tale
richiesta, si narra in motivazione: “ ... la Banca d’Italia ha risposto
trasmettendo alcune tabelle, desunte dal Bollettino del suo servizio studi,
relative ai tassi medi, i quali, com’è ovvio, sono ben diversi dai
tassi più frequentemente praticati. Peraltro, la stessa rilevazione
dei tassi medi mostra chiaramente l’inesistenza di un attendibile tasso
d’uso, diverso da un tasso rimesso alla discrezionalità degli istituti
di credito, pur nell’ambito di elastici parametri offerti dal mercato.
In tali condizioni è evidente che non esiste affatto un tasso d’uso
(e non medio) rilevabile ex post, ma solo una fascia di tassi, compresi
probabilmente tra il prime rate ed il top rate, nella quale gli istituti
di credito si muovono con assoluta discrezionalità” inducendo così
il Tribunale capitolino a dichiarare la nullità della clausola del
contratto di conto corrente che fa riferimento, per la determinazione degli
interessi dovuti dal correntista alla banca, “alle condizioni usualmente
praticate dalle aziende sulla piazza”.
Appare evidente, pertanto, che
se esistono due limiti di interessi ultralegali (uno favorevole ed uno
sfavorevole al correntista) ogni rapporto può collocarsi, a discrezione
della banca, nell’ambito di quest’arco, ed è proprio l’impossibilità
di individuare a priori l’esatto tasso di volta in volta praticato a rendere
indeterminato l’oggetto della pattuizione sul saggio degli interessi.
L’inattendibilità della
giurisprudenza dominante è desumibile dalle indicazioni che lo stesso
sistema bancario, tramite l’ABI (Associazione Bancaria Italiana) ha fornito
alla Commissione delle Comunità Europee nel corso di una procedura
a norma dell’art. 85 del trattato CEE[6] e così sinteticamente riassumibile:
1) quanto ai tassi attivi, dal 1970 le banche non sono state più
vincolate dagli accordi di cartello interbancario; 2) dal 01/05/75 il comitato
esecutivo dell’ABI provvede a dichiarare il prime rate, ma tale indicazione
non vincola le banche che mantengono la facoltà di scaglionare i
livelli dei loro tassi; 3) dal febbraio 1983 il carattere indicativo del
prime rate è stato formalmente confermato nel senso che la determinazione
dei tassi attivi è competenza delle banche e l’ABI si limita a dare
le indicazioni statistiche sul prime rate medio nel sistema bancario.
Il fenomeno è ancor più
evidente se si prendono in considerazione gli stessi dati della Banca d’Italia
disaggregati su base regionale. In tal modo emerge che per la medesima
operazione vengono applicati tassi d’interesse, anche qui in media, che
variano di diversi punti percentuali in più o in meno a seconda
della collocazione geografica della piazza nella quale l’operazione viene
realizzata.
Si aggiunga, come di comune esperienza,
la differenza dei tassi che nascono e si spiegano in ragione delle condizioni
soggettive del cliente e delle caratteristiche dell’operazione di finanziamento
di volta in volta presa in considerazione, per rendere ancor più
manifesta l’impossibilità di ricavare nel modo esatto richiesto
dall’art. 1284, 3° comma, cod. civ., la misura degli interessi “praticati
usualmente dalle aziende di credito sulla piazza”.
Appurato che l’ammontare del saggio
degli interessi rientra in una fascia di valori costituito, al livello
inferiore, dal miglior prime rate, ed a quello superiore dal top rate o
più alto, si deve quindi rilevare non solo che non è dato
di conoscere esattamente il valore minimo ed il valore massimo di questa
scala, essendo noti solo i valori medi, ma, soprattutto, che manca ogni
criterio oggettivo che consenta di definire, all’interno di questa fascia,
il tasso in concreto applicato in modo aprioristico.
In definitiva è da escludersi
che l’obbligo della forma ad substantiam sia assolto dal rinvio meramente
generico all’insieme di disposizioni contenute in un altro testo predisposto
unilateralmente, in cui si fa rinvio a sua volta non ad una misura quantitativa
fissata con precisione, ma alle contingenti e mutevoli pratiche “usualmente”
coniazioni dalle aziende di credito.
L’elemento de relato verrebbe dunque,
in questo caso, determinato attraverso una clausola di relatio ad un’altra
clausola di relatio, entrambe per lo più generiche nel precetto
e non direttamente determinanti la misura concreta degli interessi dovuti.
Deve concludersi, pertanto, che
non esiste un uso bancario idoneo ad integrare validamente la clausola
di pattuizione degli interessi ultralegali nel suo aspetto formale, sicché
appare ancora estremamente attuale l’osservazione di chi (Bruno Inzitari,
in nota 3), con certa ironia, rammentava il seguente “brano di un remoto
ma significativo legislatore ...: L’obbligo imposto al mutuante, che stipula
gli interessi, di consegnare la pattuizione in un atto scritto, equivale
a un appello alla pubblica opinione ed esercita la più efficace
influenza sul pudore del mutuante, il quale non oserebbe sfidare con cinico
coraggio la pubblica riprovazione che colpisce l’usuriere”.
Col riportare alla memoria tale
sbiadito monito, contenuto nella relazione ministeriale dal codice civile
del 1865, l’Autore efficacemente evidenziava come, ad oltre un secolo di
distanza, la cruda realtà economica contemporanea sembra avere del
tutto dimenticato i moralistici ammonimenti del legislatore ottocentesco,
ed il richiamo al controllo della pubblica opinione sul pudore del mutuante
che contratta una misura ultralegale degli interessi, appare certamente
come un obsoleto ed assai ingenuo appello a favore di colui che, nel linguaggio
giuridico odierno, viene eufemisticamente definito contraente debole.
[1] V. recentemente, stesso Giudice:
Trib. Roma, Sez. Fall., 07/04/97. Pres. Briasco, Est. Baccarini, Cassa
di Risparmio Provincia delle Provincie Lombarde S.p.a. c./ Fall. Siderurgico
Flaminio.
[2] Cass. 30/05/89, n.2644, in Giust.
Civ., 1989, I, p. 2034, con nota di Maria Costanza; conf.; Cass. 20/06/78,
n.3028 cit.; Cass. 09/04/83, n.2521; Cass. 14/02/84, n.1112; Cass. 28/05/84,
n.3252; Cass. 12/11/87, n. 8335; Cass. 03/12/80, n.6554; Cass. 20/08/92,
n.9719, in Foro It., 1993, 2714.
[3] Per la tesi dell’invalidità
si sono espressi: Librando “In tema di interessi bancari convenzionali,
in Foro Padano, 1978, I, 203; Inzitari “Limiti all’ammissibilità
della relatio nella determinazione per iscritto degli interessi ultralegali”
in Giur. it., 1984, II, pag. 501 ss.; Quadri, “Le obbligazioni pecuniarie”
in Tratt. Dir. Priv. diretto da Rescigno, 9° Ed. Torino, 1984, pag.
566; Perlingieri, “Forma dei negozi e formalismo degli interpreti”, Napoli,
1987, p. 71 ss; A. Nigro “Inte-ressi ultralegali e condizioni praticate
usualmente dalle aziende di credito sulla piazza” in Dir. banca, 1988,
I, p. 528 ss; Costanza, “Norme bancarie uniformi e derogabilità
degli artt. 1283 e 1284”, in Giust. Civ. 1989, I, p. 2037 ss.. In giurisprudenza:
App. Na-poli, 10/03/82, in Banca Borsa e Titoli di Credito, 1983, II, p.
187; Trib. Roma 27/06/87, in Giust. Civ., I°, 2994 (v. anche nota 5);
Trib. Roma, 15/05/89, inedita ma massimata in Fallimento, 1989, p. 1279;
Cass. 09/04/84, n.2262, confermativa della citata App. Napoli 10/03/82,
la quale, pur ammettendo la possibilità di determinare per relationem
un tasso ultralegale di interessi, ha ritenuto esauriente la motivazione
del giudice di merito che aveva appunto affermato l’insufficienza, al riguardo,
del riferimento agli usi bancari, rilevando che non esiste alcuna documentazione
ufficiale degli usi bancari in tema di interessi e che non risulta che
le banche pratichino tassi di interessi uguali); ed ancora Cass. 21/12/87,
n. 9518 che ha cassato la decisione dei giudici del merito che avevano
ritenuto sufficiente l’espressione “tasso bancario” adoperato nelle pattuizioni
tra le parti senza considerare che la sua genericità non consentiva
la concreta individuazione o determinabilità del tasso di interesse
pattuito. Da ultimo, Cass. 09/12/97 n.12456 - che sembra determinare una
inversione di tendenza della giurisprudenza di legittimità, propendendo,
infine, verso la nullità della clausola de qua- secondo la quale:
“Il riferimento contenuto in un contratto bancario alle “condizioni praticate
normalmente dalle aziende di credito su piazza” è da considerarsi
sufficiente solo ove esistano vincolanti discipline del saggio fissate
su scala nazionale con accordi di cartello e non già ove quegli
accordi contengano diverse tipologie di tassi o, addirittura, non costituiscano
più un parametro centralizzato e vincolante, im-ponendosi, in quest’ultimo
caso, l’accertamento in concreto del grado di univocità della fonte
richiamata, per stabilire a quale previsione le parti abbiano potuto effettivamente
riferirsi”.
[4] Trib. Genova, 09/05/89, in Banca
Borsa etc., 1991, II, p. 198 e ss., con nota di Gustavo Olivieri.
[5] Trib. Roma, 27/06/87, B.N.L.
c./ Fall. OR.VEND., Pres. Castaldi, rel. Di Amato, in Temi Romana, con
nota dell’Avv. Maurizio Calò, pubblicata anche -con data 05/03/87-
in Giust. Civ. 1988, I, p. 534, con nota di Santosuosso: “Clausola determinativa
degli interessi nei contratti di conto corrente bancario”, e in Riv. Dir.
Comm. 1988, II, p. 270, nonchè -con data 22/06/87- in Foro It.,
1988, I, c.1720.
[6] In Banca Borsa etc., 1988, II,
p. 190, con osservazioni di Olivieri.
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