Dal contratto di apertura di credito quale disciplinato
dal cod. civ. discendono l’obbligo della banca di tenere la somma, predeterminata
nell’ammontare e per il periodo stabilito, a disposizione del cliente e
il diritto di questi di disporre della stessa, in più volte e secondo
le forme di uso se non è stato convenuto altrimenti, come previsto
dall’art. 1843, ovvero in qualsiasi momento, salva l’osservanza del termine
di preavviso eventualmente pattuito, se l’apertura è regolata in
conto corrente, a norma dell’art. 1852. Non concretano diversamente l’apertura
di credito i contratti i quali, pur prevedendo la concessione di un fido
al cliente, non determinano con immediatezza l’insorgenza dell’obbligazione
della banca e del corrispondente diritto del cliente, ma prevedono che
il fido sarà completamente operante al momento del compimento di
determinati atti e del realizzarsi di determinate condizioni o circostanze
e solo nell’ammontare corrispondente alla concreta operazione correlata
a quell’atto, a quella condizione o a quella circostanza. Consegue che,
relativamente a tali contratti diversi dall’apertura di credito, i versamenti
effettuati dal cliente sul conto corrente non possono essere considerati
atti di natura ripristinatoria della provvista correlata al fido e, come
tali sono revocabili ai sensi dell’art. 67, 2° comma, L.F. (nel caso
di specie la banca aveva concesso alla società successivamente fallita
due fidi, uno per sconto di portafoglio commerciale e uno per anticipazioni
su divisa export) (Massima ufficiale)[1].
(omissis)
L’art. 1842 cod. civ. dispone che “l’apertura di credito
bancario è il contratto con il quale la banca si obbliga a tenere
a disposizione dell’altra parte una somma di danaro per un dato periodo
di tempo o a tempo indeterminato”: dal contratto quindi discendono l’obbligo
della banca di tenere la somma (predeterminata nell’ammontare e per il
periodo stabilito) a disposizione del cliente e il (correlato) diritto
di costui di disporre della stessa (in più volte e secondo le forme
di uso se non è stato convenuto altrimenti - art. 1843 cod. civ.
- oppure in qualsiasi momento, salvo l’osservanza del termine di preavviso
eventualmente pattuito, se l’apertura è regolata in conto corrente
- art. 1852 cod. civ. -).
Il connotato fondamentale dell’apertura di credito come
disciplinata dal cod. civ. pertanto è che gli effetti che essa produce,
e che sono stati più sopra individuati, derivano direttamente e
immediatamente dal contratto, nel quale trovano la loro unica fonte non
solo nel senso - ovvio - che la stipulazione è sufficiente senza
che occorra che - pur sempre rimanendo il contratto la fonte degli stessi
- debbano verificarsi ulteriori circostanze o realizzarsi ulteriori condizioni.
Consegue che non concretano l’apertura di credito prevista
dal cod. civ., e come più sopra individuata, i contratti i quali,
pur prevedendo la concessione di fido, non determinano con carattere di
immediatezza la insorgenza dell’obbligazione della banca e del corrispondente
diritto di credito del cliente.
Non si vuol cioè prendere posizione sul se anche
a detti altri contratti competa la qualifica di apertura di credito, con
tale espressione intendendosi che (anche) con essi la banca concede fido
al cliente né sul se a tali contratti si applichi la stessa disciplina
che il cod. civ. prevede per l’apertura di credito da esso regolata; si
vuol solo affermare che da detti contratti non scaturiscono quegli effetti
tipici del contratto disciplinato dal cod. civ., effetti sulla base dei
quali occorre risolvere la questione che l’attuale controversia pone, e
cioè se, al fine della revocatoria fallimentare, costituiscono o
no atti solutori i versamenti effettuati dalla società sul conto
corrente bancario. Ora negli altri contratti l’obbligo della banca e il
diritto del cliente non sorgono nella loro concretezza con la stipulazione
del contratto ma abbisognano, per la loro insorgenza, della mediazione
di una circostanza esterna al contratto, ulteriore e futura rispetto a
questo.
In breve anche in detti contratti, al pari che nella
tipica apertura di credito, la banca concede un fido al cliente, ma in
essi si conviene non - come invece si pattuisce nella tipica apertura di
credito - che con carattere di immediatezza la banca ponga una somma determinata
a disposizione del cliente e costui abbia il diritto di credito di tale
somma, ma che il fido sarà concretamente operante con la produzione
di detti effetti non immediatamente ma: a) solo al momento del compimento
di determinati atti o del realizzarsi di determinate condizioni o circostanze
e; b) solo nell’ammontare corrispondente (e nel limite dell’intero ammontare
del fido) alla concreta operazione correlata a quell’atto, a quella condizione
o a quella circostanza.
In detti contratti quindi sia l’obbligo della banca che
il diritto di credito del cliente sorgono condizionati sia nella loro esistenza
che nel loro concreto ammontare: prima del verificarsi della condizione,
pertanto, il cliente non può disporre di alcuna somma e ciò
comporta che un eventuale versamento, da parte del cliente stesso, di somme
sul suo conto corrente intrattenuto presso la banca, non potrebbe concretare
atto di natura ripristinatoria della provvista correlata al fido.
Nel senso indicato peraltro è l’orientamento di
questa Corte (da ultimo: Cass., n. 1083/1997).
Il motivo è pertanto infondato perché con
esso si pone la questione astratta della equiparabilità di tutte
le concessioni del fido - o se più piace di tutte le aperture di
credito - all’apertura di credito quale specificamente prevista dal cod.
civ., e cioè con gli effetti dei quali si è detto, e non
anche la questione “concreta” che i fidi specifici che la Corte d’appello
ha ritenuto concessi avessero prodotto i (medesimi) ripetuti effetti per
determinate somme corrispondenti a determinate operazioni poste in essere.
(omissis)
[1] Concessione di fido senza apertura di credito e
natura della rimessa
(di Andrea Pietrolucci)
La sentenza in commento segue il recente orientamento
della Suprema Corte che differenzia, ai fini dell’azione revocatoria fallimentare,
il contratto bancario di apertura di credito, di cui all’art. 1842 e ss.
cod. civ., rispetto alle differenti operazioni bancarie relative alla concessione
di credito, variamente denominate, in senso giuridicamente atecnico, come
“sconto di portafoglio commerciale”; “anticipazioni su divisa export”;
“anticipi fronte portafoglio appunti commerciali”; “castelletto di sconto”;
ecc. [1]
In particolare, nella sentenza in commento la Suprema
Corte, confermando il decisum della Corte di Appello di Torino, ha premesso:
che, ai sensi dell’art. 1842 cod.civ., l’apertura
di credito bancario è il contratto con il quale la banca si obbliga
a tenere a disposizione dell’altra parte una somma di denaro per un dato
periodo di tempo o a tempo indeterminato;
che da tale contratto discendono, quindi, l’obbligo
della banca di tenere la somma (predeterminata nell’ammontare e per il
periodo stabilito) a disposizione del cliente ed il (correlato) diritto
di costui a disporre della stessa durante tutto il periodo di disponibilità;
che, pertanto, il connotato fondamentale di tale
contratto è che gli effetti che esso produce, sopra indicati, derivano
direttamente e immediatamente dal contratto stesso, nel quale trovano la
loro unica e sufficiente fonte; non solo nel senso ovvio - che la stipulazione
del contratto determina la loro insorgenza, ma anche nel senso che detta
stipulazione del contratto è sufficiente a tale prodursi di effetti,
senza che occorra che debbano verificarsi ulteriori circostanze o realizzarsi
ulteriori condizioni;
che diversamente, non concretano un’apertura di
credito, così come disciplinata dal cod.civ., quelle operazioni
bancarie che, pur prevedendo la concessione di un affidamento, non determinano
con carattere di immediatezza l’insorgenza dell’obbligazione della banca
di porre a disposizione del cliente una somma determinata ed il corrispondente
diritto del cliente ad utilizzare tale provvista (eventualmente ripristinandola)
per tutta la durata del contratto;
che la banca aveva concesso alla società
poi fallita due fidi, uno per sconto di portafoglio commerciale ed uno
per anticipazioni su divisa export, entrambi entro un limite predeterminato;
che occorreva, pertanto, stabilire se dalle operazioni
bancarie in oggetto scaturissero o meno quegli effetti tipici del contratto
di apertura di credito di cui agli artt. 1842 e ss. cod.civ., sulla base
dei quali risolvere la questione concreta, relativa al fatto se le rimesse
via via effettuate dalla società costituissero o meno atti solutori.
Sulla base di tali premesse la Corte, quindi, ha osservato:
a] che nei contratti in oggetto era stato pattuito che
il fido sarebbe stato concretamente operante solo al compimento di determinati
atti o al realizzarsi di determinate condizioni o circostanze e solo nell’ammontare
corrispondente alla concreta operazione correlata a quell’atto, a quella
condizione o a quella circostanza;
b] che in detti contratti, a differenza che nell’apertura
di credito, sia l’obbligo della banca che il diritto di credito del cliente
erano sorti condizionati, sia nella loro esistenza che nel loro concreto
ammontare;
c] che, non potendo il cliente disporre di alcuna somma
prima del verificarsi della condizione, i versamenti effettuati dallo stesso
sul proprio conto corrente non concretavano atti di natura ripristinatoria
della provvista correlata al fido;
d] che, parimenti, al verificarsi del termine di scadenza
del credito scontato, la banca diventava creditrice della somma anticipata,
con il suo conseguente diritto a trattenere immediatamente le somme versate
dal terzo debitore o dal cliente.
La questione della natura giuridica dei contratti bancari
e dell’ambito di applicazione della disciplina normativa per essi dettata
è stata particolarmente dibattuta, sia in dottrina che in giurisprudenza,
proprio per quanto riguarda il rapporto di omogeneità od autonomia
sussistente tra il contratto di apertura di credito ed il contratto c.d.
di “castelletto di sconto”.[2]
Di contro, nella sentenza in esame, la Suprema Corte
non ha preso (volutamente) posizione sul se competa anche al contratto
di sconto di portafoglio clienti la qualifica di contratto di apertura
di credito né sul se a tale contratto si applichi la relativa disciplina
codicistica (artt. 1842 e seg.)[3], limitandosi ad affermare che da tali
contratti di sconto (e/o anticipazione su divisa export) non scaturiscono
gli effetti tipici del contratto di apertura di credito. Effetti sulla
base dei quali è stato ritenuto possibile risolvere la questione
concreta se, al fine della revocatoria fallimentare, i versamenti in conto
corrente effettuati dal cliente affidato costituiscano o meno atti solutori.
Tale ristretta e rigorosa osservazione della Suprema
Corte sembra cogliere nel segno.
Le rimesse effettuate dal cliente sul conto corrente
d’appoggio, a fronte ed in costanza di un contratto di apertura di credito
(qualora non siano destinate a coprire uno scoperto rispetto al limite
di fido concesso), sono, infatti, ritenute dalla giurisprudenza ripristinatorie
del credito messo dalla banca a disposizione del cliente.[4]
Questo, come intende la sentenza in esame, proprio in
virtù degli effetti tipici del contratto di apertura di credito,
cioè a fronte della messa a disposizione a favore del cliente, con
carattere di immediatezza dalla stipulazione del contratto, di un credito
predeterminato nell’ammontare e per un periodo stabilito;
eventualmente anche con la facoltà per il cliente di ripristinare
la provvista.
Di contro, gli effetti scaturenti dalle operazioni bancarie
quali il castelletto di sconto o, come nel caso de quo, lo sconto di portafoglio
commerciale, a prescindere dalla loro natura giuridica e dalla loro autonomia
o collegamento rispetto ad altri contratti bancari, non sembrano possedere
i medesimi caratteri.
Da tali operazioni, infatti, non deriva l’immediata messa
a disposizione del cliente di una risorsa finanziaria, poiché questa
è differita alle singole operazioni di sconto di effetti o di altri
titoli scontabili ed a condizione che questi presentino i requisiti richiesti
dalla banca.[5]
Ne consegue che le rimesse effettuate dal cliente prima
del verificarsi di tali condizioni (come nel caso della sentenza in esame),
non destinate a ripristinare alcun credito, non ancora sussistente, non
possono ritenersi ripristinatorie.
Ad eguale conclusione si giunge, inoltre, anche per il
pagamento da parte del terzo del titolo scontato o per le eventuali rimesse
in conto corrente effettuate dal cliente a seguito del ritorno insoluto
del titolo scontato.
Tali rimesse, infatti, devono ritenersi solutorie del
diritto di credito sorto a favore della banca e nei confronti del cliente
(credito immediatamente inserito dalla banca quale posta passiva del conto
corrente d’appoggio) a seguito del mancato adempimento del creditore ceduto.
In altri termini, mentre con un’apertura di credito per
una determinata somma, quale contratto consensuale con effetti obbligatori
immediati, il cliente assume subito il diritto di utilizzare la provvista,
in tutto o in parte (ed, eventualmente, ripristinandola) e non ha obbligo
di restituzione se non alla scadenza, con la concessione di un castelletto
di sconto di portafoglio commerciale di pari importo, il cliente non assume
alcun diritto di credito, ma il ben diverso diritto di ottenere dalla banca
singoli negozi di sconto di titoli, entro l’impegno complessivo predeterminato
(il c.d. castelletto). Singoli negozi di sconto la cui accettazione da
parte della banca rappresenta una condizione per il sorgere del credito
a favore del cliente e rispetto ai quali la scadenza del titolo, con il
conseguente diritto della banca all’incasso, rappresenta, di contro, il
termine ultimo di restituzione per ciascuna somma accreditata.
La ricostruzione sopra esaminata trova sostanziale conferma
sia in dottrina che in giurisprudenza, pur in presenza di differenti interpretazioni
dei contratti in esame. Infatti, la dottrina ha ritenuto che:
1] il castelletto di sconto consiste in un contratto
normativo la cui funzione è soltanto quella di fissare il contenuto
dei contratti di sconto che verranno stipulati con il cliente e di determinare
il limite massimo di fido oltre il quale la banca stessa non prenderà
in considerazione altre proposte di sconto;[6]
2] il castelletto di sconto non ha alcun contenuto obbligatorio,
consistendo esclusivamente nel limite massimo di credito che un istituto
bancario ritiene di poter accordare ad uno stesso cliente;[7]
3] il castelletto di sconto è il contratto - atipico
ed incoercibile ex art. 2932 per mancanza di individuazione delle cambiali
oggetto dei futuri sconti - con il quale la banca si impegna a scontare,
per un determinato massimo ammontare, le c.d. cambiali bancabili che il
cliente le presenterà, prefissando il tasso di sconto.[8]
A fonte di tale palese diversità dell’obbligazione
assunta dalla banca con un contratto di sconto rispetto ad un’apertura
di credito, dopo una datata giurisprudenza di merito che affermò
che la causa dello sconto resterebbe assorbita nella più ampia fattispecie
costituita dall’apertura di credito in conto corrente, con una sostanziale
identità tra i due contratti,[9] l’interpretazione più recente,
anche della Suprema Corte, tra cui, anche se limitatamente agli effetti
del contratto, può includersi la sentenza in esame, ha costantemente
affermato che tra il contratto di apertura di credito ed il contratto di
sconto vi è una diversità causale che comporta l’autonomia
dei due negozi a prescindere dal loro possibile analogo collegamento ad
un contratto di conto corrente.[10]
Ai fini della revocatoria fallimentare, quindi, secondo
tale corretta interpretazione, qualora su di un medesimo conto corrente
la banca ed il cliente intrattengano più rapporti di credito, quali,
ad esempio, di apertura di credito e di sconto portafoglio commerciale,
per la revocabilità delle singole rimesse (quindi, per la valutazione
della natura ripristinatoria o solutoria delle stesse) si deve avere riguardo
a quale dei singoli rapporti debbano essere riferite, non potendo essere
le stesse considerate quali atti di un unico rapporto di apertura di credito
genericamente considerato. |