L’•i•s•t•i•t•u•t•o • g•i•u•r•i•d•i•c•o
d•e•l • c•o•n•c•o•r•s•o 
d•e•i • c•r•e•d•i•t•o•r•i
n•e•l•l•a • R•e•p•u•b•b•l•i•c•a
d•i • S•a•n • M•a•r•i•n•o
 
Alcuni autori hanno sostenuto che il procedimento concorsuale, vigente 
nella Repubblica di San Marino, differisce dalla procedura fallimentare italiana, ma la giurisprudenza sammarinese individua una particolare corrispondenza sostanziale tra le due discipline, pur riconoscendo 
l’esistenza di alcune differenze.
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I due istituti hanno comune origine: per quanto riguarda la procedura collettiva sui beni del debitore nella “missio in possessionem” e nella “cessio bonorum” del diritto romano; per quanto attiene alle altre regole (moratoria, concordato, inventario, nomina del curatore, verifica dei crediti, presunzioni di frode, ecc.) nelle norme formulate dalle curie mercantili romane[1]. Inoltre, con la parola “fallimento” (derivata dell’espressione latina fallere ed adoperata dai commercialisti dell’ultimo periodo del diritto comune) si indica un fatto giuridico considerato nel suo aspetto esteriore, mentre con l’espressione “concorso dei creditori” si indica lo stesso fatto giuridico considerato nel suo contenuto.
Lo stesso art. 52 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, che reca il titolo “Disciplina del fallimento” dispone: “il fallimento apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito”; quindi il fallimento italiano ha la sua prima e diretta origine proprio nel procedimento concorsuale, come procedimento di esecuzione collettiva, diretto ad attuare ope iudicis e nel rispetto della par condicio la soddisfazione delle diverse categorie di creditori sul patrimonio del comune debitore insolvente. [2] 
È concorde la giurisprudenza italiana: “le regole fondamentali, cui ogni procedura concorsuale deve sottostare, sono quella della unità ed universalità della esecuzione sul patrimonio del debitore, nonché quella della par condicio creditorum e, nonostante la semplicità e la snellezza della procedura, è proprio su queste due regole che si basa la legge sul concorso della Repubblica di San Marino del 15 novembre 1917 n. 17. Infatti col decreto del Commissario della Legge con cui si dispone la liquidazione dei beni del debitore (provvedimento che equivale alla sentenza dichiarativa di fallimento dell’ordinamento italiano) si apre l’esecuzione collettiva la quale è indirizzata alla soddisfazione di tutti i creditori in eguale misura (tranne che per le cause legittime di prelazione) e con tutto il patrimonio del debitore. Come per la legge italiana, anche per quella di San Marino, le esigenze del concorso e l’attuazione della par condicio portano alle identiche conseguenze: sospensione del corso degli interessi, scadenza anticipata dei debiti, formazione delle masse attive e passive, eliminazione degli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori mediante alienazioni gratuite o onerose di beni”. 
Tesi contraria a quella appena enunciata è sostenuta dal Prof. Renzo Provinciali. Egli afferma che il concorso dei creditori, regolato dalla legge 15 novembre 1917 n. 17, è un istituto del diritto comune, ben diverso e distinto dal fallimento, ovvero che ha col fallimento non conciliabili contrasti. A sostegno di tale tesi vengono portati, sostanzialmente, tre argomenti:
1) l’interpretazione della relazione del provvedimento legislativo fa ritenere l’intendimento dell’estensore di creare un istituto diverso dal fallimento;
2) la finalità ultima dei due istituti;
3) la diversa realtà dello svolgimento storico.
In riferimento al primo punto l’autore sostiene: “La legge sammarinese n. 17 del 1917 non prevede l’istituto del fallimento, di cui (più o meno ostentatamente) non fa neppure parola, come non ne fa parola, e ancor qui il silenzio non può non essere intenzionale, la relazione illustrativa, stesa da un giurista competente in materia (…) il Prof. L. Bolaffio. È rilevante che nella relazione alla legge, in più passi, o espressamente si esclude, o si presuppone escluso il fallimento dagli istituti di diritto concorsuale sammarinese. Vi si parla ad esempio dei Paesi dove esiste il fallimento in chiara contrapposizione all’ordinamento sammarinese, dove, con ciò, si suppone che non esista e dove la legge introduce il concordato e una liquidazione generale dei beni del debitore, che rivela persino dalla nomenclatura la sua estraneità all’istituto fallimentare (...). Il proposito di sostituire al fallimento un altro procedimento di liquidazione forzata si evince dal capo II della relazione, che si intitola ‘la liquidazione generale dei beni del debitore’ ove, dopo aver richiamato che la cessione dei beni è l’unico processo concorsuale nella Repubblica, il legislatore dichiara che non ha inteso trapiantare nel piccolo Stato, che vive da secoli secondo proprie tra-dizioni giuridiche, norme radicalmente inno-vatrici, basandosi invece su norme processuali consuetudinarie accertate, integrandole e rinvigorendole con sanzioni; per tal modo l’esecuzione collettiva si innesta in istituti già legiferati i quali direttamente o indirettamente riflettono i trasferimenti in generale e le esecuzio-ni individuali, immobiliari e mobiliari. 
Ergo: il fallimento non c’era e non è stato introdotto”.
In merito al secondo punto il Provinciali ritiene che essendo, per la legge sul concorso, l’apertura del procedimento subordinata alla iniziativa del debitore, che offre la cessione dei beni, o quando, sottoposto ad esecuzioni individuali plurime, intenda pareggiare la condizione dei propri creditori ed aprirsi la via ad un eventuale concordato; o a quella di un creditore se il debitore insolvente ha altri creditori concorrenti nella esecuzione - allora, da un lato, non è ammessa l’apertura di esecuzioni collettive se non risulti una pluralità di creditori (ipoteticamente) concorrenti; dall’altro, non si ammette apertura d’ufficio - quindi si deve dedurre che il legislatore abbia concepito il procedimento quale anticamera d’un concordato; “preoccupazione del legislatore e suo proposito è di offrire ai debitori incolpevoli una tavola di salvezza che eviti la loro compiuta rovina economica; quindi per chi abbia nozione del fallimento nelle legislazioni statutarie e della sua ferrea strumentazione repressiva, conservatasi nelle legislazioni moderne, non può esservi dubbio che non solo vi si differenzia ma si è agli antipodi nella struttura con le finalità dell’istituto sammarinese”.
Infine sostiene ancora il Provinciali che altra importante differenza risiede nell’origine storica riconducibile ai due istituti: mentre il diritto sammarinese sul concorso si fonda sul diritto romano, l’istituto italiano del fallimento trova la sua origine nella legislazione statutaria italiana del medioevo, cosicché “l’istituto del fallimento non esiste nella legge sammarinese e tanto meno nel diritto comune”. 
La magistratura sammarinese ha costantemente deciso che nessuna incompatibilità essenziale e di struttura esiste fra i due ordinamenti, pur sussistendo differenze rilevanti:
1) la legge italiana ammette la dichiarazione di fallimento solo nel caso in cui il debitore sia un imprenditore (presupposto essenziale), mentre la legge sammarinese fa del concorso un istituto comune indistintamente a tutti i debitori;
2) la legge italiana contempla reati speciali in relazione al fallimento (i vari reati di bancarotta, ecc.), mentre la legge sammarinese sul concorso non prevede reati speciali, rimettendosi dapprima alle disposizioni previste per i misfatti contro il commercio pubblico, e successivamente, con l’approvazione del nuovo codice penale, agli articoli n. 211 - 214;[3] 
3) la legge sammarinese consente, di regola, al debitore di presentare una proposta di concordato ed è anzi questa la forma normale di apertura della procedura concorsuale, mentre nella legge italiana questa facoltà è condizionata al concorso di particolari requisiti di forma e di sostanza;
4) ogni provvedimento nella legislazione sammarinese in materia concorsuale, nel corso della procedura, è dato con decreto.[4] 
Soltanto il punto 1) merita un approfondimento.

A differenza del fallimento, il concorso è un istituto comune a tutti, indistintamente, i debitori insolventi e, proprio per questo, non è raro trovare nella giurisprudenza sammarinese, a seguito di una prima dichiarazione concorsuale, il susseguirsi di altre dichiarazioni, ovviamente con diversi destinatari, ma tutte strettamente collegate con la prima, che, quando è possibile, si uniscono e procedono alla stregua di un’unica procedura concorsuale.
La norma che, nella legislazione sammarinese, prevede il procedimento concorsuale a carico di un debitore non imprenditore non è contraria all’ordine pubblico italiano[5] ; infatti la circostanza che la legge italiana ammetta la dichiarazione di fallimento e l’apertura di altre procedure concorsuali solo nel caso in cui il debitore sia imprenditore commerciale (non piccolo), mentre la legge sammarinese fa di dette procedure un istituto comune indistintamente a tutti i debitori, non può fare ritenere che i provvedimenti emessi dai giudici sammarinesi siano contrari all’ordine pubblico italiano.
La nozione di ordine pubblico, secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale[6] e quella più recente della Corte di Cassazione[7], “va individuata in quel complesso di precetti e principi la cui essenzialità per la regolamentazione della comunità nazionale è connaturata alla ragione stessa della loro posizione nella Costituzione, sia nelle norme cosiddette precettive, sia in quelle di carattere programmatico, integrate da quelle (sole) leggi ordinarie che regolano gli istituti giuridici tutelati nella Costituzione, i principi fondamentali se ed in quanto da essa necessariamente presupposti”.[8] 
La regola della assoggettabilità alla procedura fallimentare italiana solo di soggetti aventi la qualifica di imprenditori commerciali (non piccoli), è una regola imperativa, cioè non derogabile dalle parti, ma, tacendo in proposito la Costituzione, non può qualificarsi come un cardine irrinunciabile della civiltà italiana, tale da resistere alle esigenze di una moderna e sempre più compenetrante convivenza internazionale.
Si consideri infine che in molte nazioni di civiltà affine a quella italiana, ed anzi nella maggior parte di esse (tutte le nazioni europee escluse la Francia, la Spagna e il Portogallo), i relativi ordinamenti giuridici assoggettano al fallimento ed alle altre procedure concorsuali tutti i debitori insolventi, anche se privi della qualità di imprenditore commerciale.

L’articolo 1 della legge n. 17 del 1917 dispone: “Il debitore, che vuol fare la cessione dei propri beni ai creditori, può, con ricorso al Tribunale, dichiarare che intende premettere la proposta ai medesimi di un concordato all’effetto di evitare, se i creditori vi aderiscono, la cessione”; il successivo art. 9 stabilisce: “Mancando le maggioranze per numero e per somma, è dichiarato dal Commissario aperto il giudizio di liquidazione dei beni, conseguente alla cessione fattane dal debitore”, infine l’art. 10 prescrive: “La liquidazione dei beni del debitore può ordinarsi altresì “a richiesta di qualche creditore che dimostri lo stato di insolvenza del proprio debitore avente altri creditori; o dello stesso debitore, il quale si trovi sottoposto ad esecuzioni individuali e intenda, mediante il concorso o contributo, di pareggiare la condizione dei propri creditori”.
Già nel citato Regolamento Legislativo e Giudiziario, emanato da Papa Gregorio XVI, con Motu Proprio del 10 novembre 1834, si regolava la cessione dei beni, in funzione dell’apertura del concorso:
Ҥ 1487: Al debitore infelice e di buona fede viene pure accordato il beneficio della cessione dei beni.
L’effetto di questo beneficio consiste nell’esime-re il debitore dell’arresto personale, e liberarlo 
dal carcere quando l’arresto fosse eseguito, mediante l’abbandono ch’egli fa di tutti i suoi beni ai creditori, non ostante qualunque contraria stipulazione.
§ 1492: La cessione non attribuisce ai creditori la proprietà; ma soltanto il diritto di essere soddisfatti dei loro crediti sul patrimonio del debitore.
La cessione (...) non reca infamia al cedente”.
I medesimi principi sono recepiti dall’estensore della legge sul concorso, Prof. Leone Bolaffio, nel punto della relazione illustrativa in cui afferma che la cessione dei beni è l’unico procedimento concorsuale esistente nella Repubblica.
La cessione dei beni può collocarsi, inoltre, all’interno della procedura di concordato, ed il pa-
trimonio così ceduto, nell’ipotesi in cui la liquidazione possa essere evitata da una offerta 
di denaro contante, può costituire la garanzia del corretto adempimento del concordato, oppure può rappresentare l’oggetto da cui ricavare, attraverso la vendita, le disponibilità liquide necessarie al pagamento percentuale dei creditori. 
Quindi, la cessione dei beni può assimilarsi ad un concordato con cessione dei beni, nel quale i beni stessi non costituiscono strumento di pagamento in natura, ma attività da liquidarsi a cura del procuratore; inoltre, rispetto ai creditori, non si produce l’effetto traslativo della proprietà e neppure si trasmette in loro il possesso giuridico dei beni, ma il diritto di conservarli e di venderli, salva facoltà del cedente di pagare la percentuale offerta e riavere i beni ceduti prima dell’esecuzione della vendita.[9] 
Nella causa civile n. 384 del 1988 il procuratore della parte convenuta sostenne che “cessione dei beni” e “concorso dei creditori” sono due procedure concorsuali separate e distinte, produttive, quindi, di diversi effetti giuridici.[10] Ma il magistrato chiamato a decidere respinse l’eccezione sollevata, ritenendola destituita di qualsiasi fondamento giuridico, in quanto, per il diritto sammarinese, il giudiziale concorso dei creditori consegue alla liquidazione generale dei beni del comune debitore, sia quando essa sia volontaria, per la spontanea cessione fattane dallo stesso debitore, sia quando la chieda un creditore, se il debitore insolvente ha altri creditori con-
correnti nella esecuzione, sia quando il debitore, sottoposto ad esecuzioni individuali, la domandi per pareggiare la condizione dei propri creditori ed aprirsi la via ad una eventuale concordato.
Il magistrato concluse sostenendo che, se così non fosse, e se le cose stessero come sosteneva il procuratore, sarebbe possibile al debitore perpetrare una magistrale truffa: alienare, anche fittiziamente, ovvero occultare, i beni di maggior pregio e valore, proporre la cessione di quanto resta, illudere i creditori con una inaccettabile proposta di concordato, procrastinandola fino a far trascorrere il periodo sospetto e, quindi, provocare la dichiarazione di concorso, escludendo così la proponibilità di azioni revocatorie.
“Ma la legge, saggiamente, non può consentire che il truffatore ed i suoi complici godano impunemente dei frutti di un misfatto”.[11] 
Il concordato preventivo viene dalla legge sammarinese regolato minutamente e considerato quasi una “premessa” necessaria alla procedura concorsuale. Al concordato proponibile in fase concorsuale viene fatto un accenno solamente nell’articolo 18: “In qualunque stadio della procedura di liquidazione, il debitore è autorizzato a fare ai propri creditori una proposta di concordato (...)”; per il procedimento si fa rinvio alle norme sul concordato preventivo in quanto siano applicabili.
È probabilmente in materia di concordato preventivo che le differenze fra la legislazione fallimentare italiana e quella sammarinese, si fanno più pregnanti.
Il legislatore italiano regola i due istituti in maniera opposta a quella sammarinese, disciplinando dapprima il concordato fallimentare (articoli 124-141, 152-154 L.F.) e poi quello preventivo (articoli 160 e seguenti).[12] 
L’articolo 20 della legge disponeva: “ogni ente di pubblica ragione, il quale possa giustificare che, per avvenimenti straordinari, impreveduti o altrimenti scusabili, non è al momento in condizione di fare fronte ai propri impegni, e può dimostrare, con documenti o con prestazioni di idonee garanzie, che l’attivo del suo patrimonio supera il passivo, ha la facoltà di chiedere al Tribunale Commissariale che sia sospeso ogni atto di cognizione e di esecuzione in suo confronto per il termine che il Tribunale riterrà di fissare secondo le circostanze, e che potrà prorogarsi. Il provvedimento del Tribunale è senz’altro esecutivo, ma è appellabile (...)”.
L’articolo 21 della legge stessa prevedeva: “L’ente di pubblica ragione che ha ottenuto la moratoria, ha facoltà di procedere durante la medesima ad un componimento amichevole coi propri creditori a mezzo di concordato o di altro provvedimento che riterrà del caso (...)”.
Il Prof. L. Bolaffio commenta così detti articoli: “Dacché la legge disciplina il concordato preventivo, si è ristretta l’applicazione della moratoria agli enti di pubblica ragione: Stato, Comune, istituti di beneficenza e previdenza, società ed associazioni civilmente riconosciute. Il provvedimento dilatorio, la tregua cioè di ogni giudizio di cognizione ed esecuzione per il periodo che il giudice libe-ramente determina secondo le circostanze e può prorogare, consentirà a quegli enti di riordinare le proprie finanze, liberarsi di momentanei imbarazzi ed organizzare la propria attività così da poterla proseguire nel pubblico interesse. A tale scopo, adotterà quelle misure richieste dal caso speciale, ma principalmente il concordato preventivo, per riparare il passato, sistemare il presente ed avviarsi, in più tranquillante situazione, ad una benefica attività avvenire (...)”.
L’articolo 44 della legge 21 dicembre 1942, n. 45, che modificava l’articolo 20 della legge concorsuale, regolava la moratoria per le società legalmente riconosciute.
Esso disponeva: “La liquidazione coattiva della società viene pure disposta dal Tribunale a richiesta di un Amministratore, di un Sindaco o di un creditore sociale od anche d’ufficio, quando essa versi manifestamente in istato di insolvenza. Se la liquidazione coattiva è dichiarata a richiesta di un creditore o d’ufficio, la società che sia regolarmente riconosciuta, pur essendo momentanea-mente insolvente, può chiedere la moratoria a ter-mini dell’art. 20 della legge 15 novembre 1917 sui concorsi ed il Tribunale può consentirla per un anno, prorogabile per non oltre un anno per giustificati motivi”.
Attualmente gli articoli 92 e 93 della legge 13 giugno 1990 n. 68, novellando la precedente normativa in materia societaria, pongono una serie di problemi che verranno analizzati in una prossima trattazione.