L'ORTO BOTANICO DI ROMA PIU` DI UN GIARDINO, PIU` DI UN'ISTITUZIONE SCIENTIFICA, 
VERO MUSEO DI PIANTE VIVE
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Nel quartiere di Trastevere, alle pendici del Gianicolo, a due passi da Regina Coeli si colloca uno degli angoli più straordinari della pulsante Città Eterna, in cui si abbracciano natura, storia, scienza ed architettura.  
È l’Orto Botanico che, sotto la direzione del Prof. Giancarlo Avena, sta per superare  
la mera funzione scientifica e didattica per intraprendere la strada della moderna  
“impresa di cultura” tracciata dalla legge Ronchey. 
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DI GABRIELLA BELISARIO E MAURIZIO CALO`
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Prima di tutto, professor Avena, ci spieghi che cos’è un Orto Botanico moderno. Quali sono le sue funzioni e che tipo di rapporto ha la città di Roma con questo riservato angolo verde che si nasconde dietro il poetico Largo Cristina di Svezia?
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“È difficile spiegare ai visitatori, più di centomila ogni anno che, varcati questi cancelli, l’aspetto esteriore del giardino contiene, in realtà, una istituzione universitaria, un luogo di ricerca e di studio. 
Questo perché nella nostra epoca il giardino ha perso le sue connotazioni filosofiche e teoriche, sulle quali sarebbe lungo dissertare in questa sede, per acquisire quelle più popolari di parco pubblico dove passeggiare e sostare al fresco. 
Nel tipico parco le piante e gli alberi sono quinte più o meno evocative di luoghi ameni e fanno parte del paesaggio. Invece, in un orto botanico, sono loro le protagoniste e noi gli intrusi. 
La concezione del giardino quale riflesso ordinato del caos naturale, quale intervento qualificato dell’uomo faber, ha una storia che, in Italia, parte dai romani che lo consideravano contemporaneamente fattore estetico e di raccordo tra la villa, la campagna, gli orti e il paesaggio, per arrivare all’estremo opposto durante il medioevo, con l’hortus conclusus e cioè uno spazio chiuso realizzato presso  conventi in cui venivano coltivate piante medicinali utili, orticole e alberi da frutto. A questo si contrapponeva l’hortus deliciarum, il giardino immaginario invitante ai piaceri della poesia e dell’amore, paradiso di frutta e fiori in una eterna  
primavera. 
È il Rinascimento che riesce a concepire una programmazione vasta e articolata degli spazi verdi. La natura si deve piegare al disegno dell’uomo, ampie geometrie di bossi disegnano i paesaggi lineari così come le potature innaturali degli alberi sono progettate in singolari misure e volumi. 
A questo punto della sua evoluzione la botanica si scinde dalla medicina assurgendo al rango di disciplina autonoma. 
Si cominciano così a concepire i primi orti botanici là dove le aiuole, dopo aver perduto il loro senso estetico, ne acquisiscono uno più profondo di studio. 
Gli orti botanici insomma, nascono all’ombra dei giardini all’Italiana, anche se, in un certo senso, poi ne prescindono. 
Ma per capire fino in fondo certi bizzarri andamenti (anche per le piante esistono le mode) bisogna considerare l’impulso che conferì all’arte del giardino la conoscenza dei nuovi territori, dal Nuovo Mondo all’Asia. Alla fine del 1600 molte varietà di piante furono portate in Europa da una serie di avventurosi scienziati-esploratori, cacciatori-dilettanti, che durante i loro viaggi, si misero a raccogliere fiori, piante ed alberi diversi e sconosciuti. 
A volte queste nuove piante potevano avere un reale valore economico e interessare addirittura i governi, come accadde per il tè, altre volte erano specie rare e introvabili ad esercitare un fascino irresistibile sui loro possessori, come avvenne per il tulipano. 
Era il momento del meraviglioso, dello strano, dell’esotico. La terra fu battuta palmo a palmo e, attualmente, tutti i nostri giardini, dal più piccolo balcone al più grande parco, sono figli di quelle spedizioni ardite”.
 
Dunque gli orti botanici nascono dai giardini, ma se ne separano quando vengono associati alle strutture universitarie. È successo così anche a Roma? 
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“L’Orto Botanico di Roma sia per la sua storia complessa, che vedremo a parte, sia per la sua ubicazione nel cuore del tessuto urbano della città, sia per le croniche difficoltà dell’amministrazione statale e universitaria, si pone in una posizione del tutto eccentrica rispetto alle analoghe istituzioni europee ed agli orti botanici delle grandi capitali del mondo. 
Per definire i contorni di questa problematica cominciamo a vederlo da vicino. 
L’Orto Botanico di Roma si estende per circa 12 ettari tra il lungotevere della Lungara e il Colle Gianicolense (quello che gli antichi romani chiamavano Monte d’Oro, famoso per i giardini di Geta); ospita attualmente una popolazione che oscilla tra le 3000 e le 3500 specie di piante, a volte assemblate in aiuole, a volte ricoverate in serre. 
Ma oltre ad un patrimonio vivo di piante, l’Orto Botanico possiede anche un suo notevole patrimonio artistico. Vi è la Fontana dei Tritoni del Padda, recentemente restaurata suscitando grande interesse anche perché è contemporanea di quelle del Bernini a P.zza Navona e del Tritone, nonché del Maini a P.zza di Trevi. Vi è lo scalone monumentale con la fontana degli 11 zampilli, residuo dell’abitazione della Regina Cristina di Svezia che si trovava in alto, in una casa oggi demolita per far posto alla statua di Garibaldi. Vi sono la serra dei Corsini, poi le serre storiche, busti e statue di epoca romana. Infine vi è la famosa “prospettiva”, una balconata ad emiciclo in pietra con funzione di belvedere. 
Ecco quindi che l’istituzione dell’Orto Botanico va ad operare all’interno di una complessità e varietà di problematiche (artistiche - urbanistiche - storiche) che esulano dalle competenze meramente scientifiche e didattiche che competono oggi agli orti botanici. D’altronde Roma, se da una parte rende più complicato l’esplicarsi delle attività specialistiche, dall’altra proprio le sue peculiarità le valorizzano”.
 
I visitatori stranieri percepiscono questa diversità ambientale, questa aura che distingue il nostro dagli altri orti botanici?
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“A Roma vengono da tutto il mondo, ma all’Orto Botanico arrivano soprattutto tedeschi, inglesi e americani silenziosi, educati e con le loro guide sotto il braccio. 
La diversità tra la nostra “cultura delle piante” e la loro è enorme, come enorme è la differenza di mezzi e personale che altrove vengono dispiegati in questo settore. 
A Londra e New York gli orti botanici hanno circa 100/120 ettari di estensione con circa 400 addetti tra laureati e non. Bruxelles si estende in 93 ettari; Vienna in 80 ettari; Berlino in 42 ettari; Parigi in 20 ettari e, per ultima, viene Roma con i suoi 12 ettari e circa 20 addetti. 
Dunque una grande variabilità per grandezza ed organizzazione. 
C’è da dire che, però, dal punto di vista giuridico e amministrativo, quasi tutte queste istituzioni dipendono dallo Stato, due, Berlino e New York, sono municipali e quello di Filadelfia, il più grande, è privato e sembra sia in attivo. 
Certo c’è il peso della storia: l’orto Botanico di Roma è uno dei più antichi mentre tutti gli orti europei, ad eccezione di Parigi, non hanno più di 100 anni”.
 
Quali sono le funzioni di un orto botanico moderno?
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“La prima è quella di essere un museo vivo, museo scientifico di piante vive. Ma questa funzione è in continuo divenire. 
Gli orti botanici, fin dal loro primo apparire, hanno sempre aggiunto nuove finalità e si sono evoluti: dalla primitiva raccolta di “semplici”, piante officinali ad uso dei medici e dei cerusici, alla collezione di piante rare e preziose che hanno arricchito la nostra flora. Le nuove piante introdotte a seguito delle grandi esplorazioni, avevano bisogno di essere acclimatate per potersi riprodurre ed essere classificate; sono state così riscoperte (perché già usate dagli antichi romani) le serre riscaldate e umidificate e gli esperimenti per selezionare le varietà più resistenti e più belle. 
Infine, per molto tempo, negli orti si sono studiati gli aspetti sistematici evolutivi e gli studenti hanno potuto agevolmente esercitarsi tra le aiuole. 
Non bisogna poi dimenticare, oltre all’aspetto didattico, quello della ricerca. 
Ultimamente negli orti botanici sta avvenendo quello che avviene negli zoo. 
Diventano zone selettive di ripopolamento. 
Si è scoperto infatti che l’azione dell’uomo tende a massificare, ad uniformare tutto, a far sparire razze più difficili da coltivare. La monocoltura fa il resto: si scelgono poche cose e sempre quelle. 
Ne deriva che gli orti botanici diventano una sorta di sacrario, un campo di ricerca per la conservazione della specie e della biodiversità. 
Così quando, dopo attenti studi, si sceglie di ripopolare delle aeree con le specie che erano endemiche e ora sono localmente estinte, si ricorre al serbatoio degli orti botanici, alle loro banche di semi, per recuperare e mantenere la diversità originaria. Ormai la ricerca sugli ecosistemi, le simulazioni per individuare quelli fragili o instabili, l’ampliamento della scelta delle specie tra di loro biocompatibili, ci porta ad affermare che l’orto botanico è un luogo insostituibile di ricerca e un vasto ed enorme laboratorio all’aperto, offerto alla sperimentazione del nuovo ed alla conservazione dell’antico. A questo va aggiunto il senso più ampliato della didattica che è quello dello scambio con i cittadini attraverso la promozione della cultura del verde, anche a tutti i livelli scolastici. 
Qui dovremmo parlare di due diversi utenti: da una parte le visite didattiche guidate, quelle delle scuole medie, degli istituti superiori ed i seminari per gli insegnanti di scienze. Dall’altra, quelli che usano l’orto botanico non per il suo valore cognitivo, ma come parco: le famiglie. Le mamme, i bambini, le tate ... 
L’apertura a tutti nei giorni feriali e il modico prezzo di ingresso rendono appetibile questo spazio che viene quindi anche utilizzato come giardino pubblico “sicuro”, in cui non girano pedofili e dove la sorveglianza tecnica diventa una garanzia di protezione: un luogo pulito dove portare i bambini sebbene, a volte, siano maldestri e non capiscano quanto sia grave calpestare un prato appena seminato o cogliere fiori e foglie. 
Questa non è la tipica destinazione dell’orto botanico, anche perché l’apertura al pubblico significa l’ingresso di una forte pressione antropica con gravi conseguenze fitosanitarie sulle presenze vegetali, già tanto provate dall’inquinamento urbano e dalla forte umidità che staziona in questo territorio alle pendici del Gianicolo. Tuttavia anche questa serve, nonostante le controindicazioni, a sviluppare l’interesse del pubblico per il mondo verde e gli scienziati non devono dispiacersene più di tanto mirando a diffondere sempre più il rispetto per le piante ed il loro ambiente”.
 
Vi è dunque una specifica attenzione per il pubblico che viene a visitare l’Orto Botanico?
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“Certo: il verde è un patrimonio culturale e sociale. 
Abbiamo pensato anche ai disabili che possono passeggiare comodamente in carrozzine e motorette (ne abbiamo anche ottenute in dotazione) su viali appositamente piastrellati. 
In più, recentemente, è stato dimostrato che alcuni disagi psichici di ragazzi caratteriali vengono leniti dal sostare in spazi molto equilibrati, armonici e silenziosi. 
Abbiamo anche costruito un giardino per i non vedenti. Nelle zone a misura d’uomo ci sono molte specie che, sia per la loro diversità morfologica e aromatica, che per i loro peculiari adattamenti, hanno raggiunto caratteristiche apprezzabili al tatto ed all’olfatto. Riceviamo anche aiuto e collaborazione da alcune istituzioni private, come il Giardino Romano, la Società Italiana Orchidee e l’Associazione Amici dell’Orto Botanico. Sono legami culturali forti con gli appassionati di piante che contribuiscono con entusiasmo e apporti di estremo interesse ad un rapporto sempre più intenso dell’Orto Botanico con il pubblico”.
 
Qual è la stagione migliore per visitare l’orto botanico?
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“Sempre quando esplodono i colori. Quelli dell’autunno, quando gli aceri assumono le loro variegate sfumature dal giallo all’arancio al rosso; oppure in occasione delle fioriture tardive di fine estate, con lo scintillio intenso del giardino dei rododendri. A maggio si può ammirare il roseto, una collezione con circa 60 specie di rose, dalle tradizionali alle ultime creazioni, che dimostrano l’evoluzione del genere Rosa negli ultimi 2000 anni. E poi la serra delle orchidee con circa 400 specie, dalla comune Cattleya fino alle orchidee “falena” o alla stranissima “vanda”, orchidea del sud-est asiatico, dal fusto lunghissimo. 
Comunque passeggiate naturali, piene di spunti e di suggestioni si possono compiere in ogni epoca dell’anno.  
Ognuno può trovare spazio per i suoi gusti. Attualmente suscitano molto interesse le “succulente” e le “carnivore” che noi ospitiamo nella serra Corsini. Questa vera e propria moda ci ha creato alcune preoccupazioni perché i visitatori tentano di prelevare pezzi di piante o vanno a toccare i delicati meccanismi della Drosera per provare un “brivido vegetale”. Abbiamo quindi dovuto aumentare la sorveglianza. 
Recentemente abbiamo ripristinato anche il giardino dei “semplici”, con una bella collezione di 220 specie di piante medicinali, e il giardino roccioso che ospita flora alpina rupicola italiana, asiatica e americana, molto apprezzate sono le serre per le piante tropicali. Poi c’è il giardino zen, tipico per l’essenzialità e la calibratura degli elementi che favoriscono la meditazione. Suscitano meraviglia gli alberi monumentali, come i 2 platani dell’ingresso che sembra risalgano al 1600 e la collezione di palme creata dal Pirotta che è unica in Europa”.
 
Chi era il Pirotta, come e perché impostò questa straordinaria foresta subtropicale?
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“Pietro Romualdo Pirotta fu il primo direttore dell’Orto che fuse le due figure, quella di professore di Botanica (titolare in antichi tempi della Lectura Simplicium) e quella del vero e proprio direttore (l’antico Ostensio Simplicium in horto). Dinamico e intraprendente, il giovane professore di Modena ebbe il “grave incarico di creare da uno sterpaio un orto botanico”. Infatti nel 1883 il neostato italiano (giovane di pochi anni) aveva acquistato la Villa Corsini e il giardino da Don Tommaso Corsini, duca di Castigliano, ed affidò questo spazio al Pirotta. 
Questi, prima di tutto, trasportò qui le collezioni di piante allora dislocate a Via Panisperna. 
Poi costruì la serra storica ed infine sistemò il Viale delle palme, comprese quelle del genere Washingtonia, veri giganti vegetali originari dell’Arizona. Le palme a quel tempo erano il fiore all’occhiello degli orti botanici europei che le custodivano addirittura protette da serre. Da noi il clima permise di ambientarle all’aperto. 
Funzionalmente molto utili, permettevano notevoli effetti paesaggistici in tempi relativamente brevi e distribuivano intorno ombre generose. 
Per la sua storia particolare d’altronde, il giardino non ebbe mai una adeguata struttura arborea, se escludiamo la parte più alta, relitto di bosco mediterraneo sempreverde, ancora oggi ben conservata, mentre il parterre ospitò sia giardini all’italiana più o meno curati, sia un grande vigneto acquistato dal cardinale Raffaele Riario. 
I Riario cedettero la proprietà ai Corsini che diedero incarico di ristrutturare il giardino ed il palazzo al famoso architetto Ferdinando Fuga. 
Le vicende di queste propaggini del Gianicolo si intersecano con le fortune e le mode dei giardini in Italia. 
L’inizio dell’avventura della scienza delle piante a Roma, era cominciata con Nicolò III° che, all’inizio del 1300, volle, all’interno delle mura vaticane, il pomerion, capostipite dei vari giardini vaticani composti da viridarium (alberi), pratellum (piante erbacee) e fontes (acque).  
Così nacque il primo Orto Botanico di Roma”.
 
Dunque quale scenario futuro si profila per lo sviluppo dell’Orto Botanico?
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“Abbiamo visto come in centocinque anni questa istituzione sia riuscita non solo a mantenere una sua ragion d’essere, ma anche ad acquisire, oltre alla ricerca universitaria ed alla conservazione del patrimonio vegetale del Paese, una funzione di pubblica utilità nella vita della città. 
Certo la sua struttura amministrativa e la sua eccessiva burocratizzazione, ostacola il suo sviluppo. Se l’Orto Botanico, in quanto museo di piante vive, riuscirà a rientrare nell’ambito della legge Ronchey (regolamento di attuazione della legge sui musei), che dota i musei di statuti propri, si potranno stipulare sponsorizzazioni, convenzioni, appalti e l’attività scientifica potrà godere anche di quei margini di azione autonoma che la renderebbero più viva e vitale. 
Possiamo aggiungere che, avvicinandosi il Giubileo, l’Orto Botanico viene a trovarsi in una posizione privilegiata. I suoi spazi sarebbero utilissimi alla nostra città quali sedi privilegiate di conferenze, seminari e convegni con annessi bar, ristoranti e bookshop. 
Non dimentichiamoci che, oltre alla funzione conservativa, l’Orto Botanico deve assolvere il ruolo di promotore di nuove idee sul fronte della biodiversità, sulla ridefinizione di una politica ambientale coerente, sullo studio del territorio e del suo ripopolamento arboreo. 
Ecco che l’orto botanico di una città come Roma, potrebbe essere cenacolo di scienziati e studiosi, affratellati dalla comune passione per le piante e per la loro vita misteriosa”.