"IL CREDITO PER IVA A RIMBORSO NELLE PROCEDURE
FALLIMENTARI: UN DIRITTO A CUI NON RINUNCIARE"
Una problematica tanto frequente, quanto difficile
di Lodovico Zocca
.
Frequente è il caso in cui il curatore
fallimentare si attivi per ottenere il rimborso dell’I.V.A., già
richiesto “in bonis” dall’impresa fallita oppure dallo stesso curatore,
ma sempre per crediti maturati anteriormente all’instaurarsi della procedura;
più infrequente, ma non impossibile, è la richiesta di rimborso
da parte del curatore per crediti maturati dalla stessa amministrazione
fallimentare.
Purtroppo,
il restrittivo orientamento dell’am-ministrazione finanziaria nell’applicazione
delle disposizioni normative relative ai rimborsi, forse non contrastato
con la dovuta fermezza da parte degli organi fallimentari, comporta spesso
l’abban-dono del credito, con la conseguente (a volte indebita) locupletazione
dello Stato di somme in realtà spettanti ai creditori. Solo in pochi
casi il curatore riesce ad incassare il credito, spesso dopo essersi impegnato
anche oltremisura sia sul piano professionale, sia per la prestazione di
garanzie il più delle volte - come si vedrà in prosieguo
- non dovute.
Va peraltro evidenziato che sovente la condotta degli
uffici finanziari trova facile giustificazione in errori tecnici compiuti
dai curatori nel richiedere i rimborsi, seppure - almeno in parte - giustificabili
da un’eccessiva complessità delle norme e delle prassi degli uffici.
Il presente lavoro ha lo scopo di offrire in
primo luogo una panoramica delle fattispecie di crediti d’imposta che autorizzino
la richiesta di rimborso e l’individuazione delle corrette modalità
di richiesta da parte della curatela; quindi, di esaminare la questione
delle garanzie richieste dagli uffici finanziari per l’erogazione dei rimborsi
e la loro legittimità in relazione alla vigente normativa.
1] Fattispecie in cui può essere richiesto
il rimborso e individuazione delle dichiarazioni con cui il curatore può
formulare la richiesta.
Sebbene, come sopra accennato, nella prevalenza
dei casi il curatore si trovi di fronte a richieste di rimborso già
presentate quando l’impresa era in bonis, frequenti sono anche le ipotesi
in cui le risultanze contabili evidenziano un credito d’imposta mai richiesto
a rimborso. In tal caso, il curatore potrà validamente chiederlo
solo in caso di sussistenza dei presupposti di cui all’art. 30 del D.P.R.
26 ottobre 1972, n. 633, avendo detta norma valenza generale e avendo conseguente
applicabilità anche alle procedure fallimentari.
Il suddetto articolo individua le fattispecie
in cui è possibile chiedere i rimborsi I.V.A. e, in primo luogo,
consente la richiesta di rimborso dell’eccedenza d’imposta a credito, qualora
superiore a lire cinque milioni, nei seguenti casi: quando il contribuente
eserciti esclusivamente o prevalentemente attività che comportino
l’effettuazione di operazioni soggette ad imposta con aliquote inferiori
a quelle dell’imposta relativa agli acquisti (esempio tipico: il settore
dell’edilizia abitativa non di lusso); quando effettua opera-zioni non
imponibili (esportazioni) per un ammontare superiore al 25% dell’ammontare
complessivo delle operazioni effettuate; limitatamente all’imposta relativa
all’acquisto di beni ammortizzabili, nonché di beni e servizi per
studi e ricerche.
La norma prevede poi altre fattispecie meno frequenti,
connesse all’effettuazione di operazioni prive del presupposto della territorialità
o riservate ai soggetti non residenti e senza stabile organizzazione in
Italia, che abbiano provveduto a nominarvi un rappresentante fiscale.
È inoltre prevista la possibilità
di richiedere il rimborso, senza il limite di importo minimo di cui sopra
ed anche al di fuori delle ipotesi già descritte, se dalle dichiarazioni
dei due anni precedenti risultino eccedenze detraibili: in tal caso, il
rimborso può essere richiesto per un ammontare comunque non superiore
al minore degli importi delle suddette eccedenze.
Qualora il credito d’imposta non rientri nelle
fattispecie sopra illustrate, è comunque sempre consentito richiedere
il rimborso in caso di cessazione dell’attività, senza limiti di
importo: ipotesi residuale, quest’ultima, molto utile per le procedure
fallimentari, ponendo il curatore in condizioni di chiedere il rimborso
dell’eccedenza a credito, indipendentemente dalle cause della sua insorgenza.
In merito all’applicazione di tale ultima ipotesi
alle procedure fallimentari, è da segnalare che l’amministrazione
finanziaria si è più volte pronunciata, al fine di eliminare
una possibile discrasia applicativa della norma: poiché infatti
il fallimento non può essere chiuso anteriormente all’ottenimento
del rimborso del credito d’imposta richiesto, prevedendo la normativa fallimentare
che la cessazione della procedura possa avvenire solo quando tutto l’attivo
sia stato realizzato e ripartito, si erano in passato verificate numerose
situazioni di stallo, posto che da un lato i curatori non potevano chiudere
le procedure senza aver ottenuto il rimborso dell’imposta a credito e dall’altro
non potevano presentare la dichiarazione di cessazione dell’attività
ai fini I.V.A., prevista dall’art. 35 D.P.R. 633/1972 ed indispensabile
per poter poi richiedere il rimborso del credito per cessazione dell’attività
con la dichiarazione d’imposta finale, senza prima aver chiuso la procedura
concorsuale.
In proposito, il Ministero ha dunque ritenuto
che il curatore, al fine di chiedere il rimborso del credito d’imposta
per cessazione dell’attività, possa presentare la dichiarazione
ex art. 35 D.P.R. 633/1972 anche anteriormente alla chiusura della procedura
concorsuale, sempreché risultino ultimate tutte le operazioni rilevanti
ai fini I.V.A. strettamente inerenti all’impresa, seppure rimangano in
essere eventuali rapporti creditori o debitori (Circ. 3/446157 del 28.1.1992
Min. Fin., Dir. gen. tasse).
Tale interpretazione è stata più
volte confermata (Circ. 19-VI-12-1319 dell’11.8.1993, Ris. VI-12-2395 del
29.7.1994, Ris. 181/E/VI-12-522 del 12.7.1995, Ris. 1/E/VI-12-4339 del
4.1.1996, tutte diramate dal Min. Fin., Dip. Entrate, Dir. centr. Affari
giuridici e contenzioso), con l’importante precisazione che la presentazione
della dichiarazione di cessazione di attività da parte del curatore
può essere presentata ancorché la sua parcella non sia stata
ancora inclusa tra le operazioni passive rilevanti ai fini dell’I.V.A.,
non essendo ultimata la sua prestazione professionale nei confronti dell’impresa
fallita.
Ulteriore problematica connessa alla casistica
delle ipotesi di rimborsabilità delle eccedenze d’imposta a credito,
è quella della individuazione della dichiarazione d’imposta con
cui (correttamente) richiedere il rimborso ed in particolare se ciò
sia possibile anche in occasione della presentazione della dichiarazione
di cui all’art. 74 bis, 1° comma, D.P.R. 633/1972.
Va in proposito precisato che il primo comma
dell’art. 74 bis, nel disciplinare analiticamente gli adempimenti posti
a carico del curatore ai fini I.V.A. per il periodo anteriore alla dichiarazione
di fallimento, statuisce - tra l’altro - l’obbligo di presentare, entro
quattro mesi dalla nomina, apposita dichiarazione relativa alle operazioni
registrate nella parte dell’anno solare antecedente alla dichiarazione
di fallimento.
Secondo il pensiero dell’amministrazione finanziaria
(Circ. 19-VI-12-1319 dell’11.8.1993, Ris. 181/E/VI-12-522 del 12.7.1995
e Ris. 1/E/VI-12-4339 del 4.1.1996 cit.), tale dichiarazione trova il suo
presupposto nella dichiarazione di fallimento e, essendo ad essa strettamente
connessa, non è assimilabile alla dichiarazione annuale ex art.
28 D.P.R. 633/1972, pur essendo richiamata tale norma per definirne il
contenuto.
Detto richiamo, sempre secondo l’interpretazione
ministeriale, è peraltro strettamente strumentale alla finalità
della “apposita” dichiarazione resa dal curatore, che è quella di
“fotografare” la situazione contabile dell’impresa fallita alla data della
dichiarazione di fallimento, evidenziando l’esistenza di un eventuale saldo
a debito ovvero a credito. In tale ultimo caso, il curatore potrà
portare in detrazione tale eccedenza con l’imposta a debito relativa alle
successive cessioni di beni o prestazioni di servizi effettuate nel corso
della procedura.
La richiesta di rimborso del credito emergente
potrà invece essere effettuata, ai sensi ed alle già citate
condizioni di cui all’art. 30 D.P.R. 633/1972, solo in sede di dichiarazione
annuale.
In realtà, le motivazioni che stanno alla
base di tale orientamento dell’amministrazione appaiono, ad avviso di chi
scrive, alquanto deboli sotto il profilo giuridico, non ravvisandosi il
motivo per il quale il curatore non possa chiedere il rimborso già
in sede di dichiarazione ex art. 74 bis D.P.R. 633/1972, qualora siano
rispettate le ormai note condizioni di cui all’art. 30 dello stesso decreto.
Ma tant’è! Sarà quindi opportuno
che il curatore, per non incorrere in un altrimenti inevitabile contenzioso
con l’amministrazione finanziaria (anche se di presumibile esito favorevole),
richieda il rimborso dell’eccedenza a credito, emergente dalla dichiarazione
ex art. 74 bis, in sede di successiva dichiarazione annuale.
2] Inquadramento delle procedure fallimentari
fra le situazioni irregolari ai fini dei rimborsi I.V.A.
Prima ancora di esaminare la problematica connessa
alla questione delle garanzie previste dalla legge per l’ottenimento dei
rimborsi d’imposta, appare utile segnalare che la prassi ministeriale,
esplicitata nella citata circolare 19-VI-12-1319 dell’11.8.1993, include,
al punto 2.3, le richieste di rimborso in presenza di procedure concorsuali
fra le situazioni oggettivamente irregolari, al pari delle verifiche in
corso, della presenza di carichi pendenti, dell’utilizzo di fatture per
operazioni inesistenti, ecc..
Ad avviso dello scrivente, la prassi non sembra
invero scorretta, tenuto conto del fatto che spesso - in connessione a
reati di bancarotta fraudolenta - il curatore non entra in possesso dei
libri e dei documenti contabili, per cui non può essere in grado
di far fronte a richieste di documentazione degli uffici fiscali, che in
tal caso ovviamente non provvederanno mai ad erogare il rimborso: del resto,
se il credito non risulta documentabile, l’esistenza di una semplice richiesta
di rimborso (formulata talvolta diversi anni prima) non appare oggettivamente
sufficiente ad ottenerne l’erogazione.
In ogni caso, la catalogazione delle procedure
fallimentari fra le situazioni oggettivamente irregolari, fa sì
che le richieste di rimborso non siano immediatamente liquidabili e la
liquidazione - come esplicitamente sancito dalla predetta circolare ministeriale
- sarà preceduta da controlli, quali questionari, richieste di documentazione,
avvisi di convocazione e - nei casi più gravi - potrà essere
effettuata una verifica con accesso diretto.
Da tali controlli potrà scaturire un avviso
di rettifica, con conseguente rideterminazione (riduzione o, al limite,
annullamento) dell’importo da rimborsare; ovvero l’erogazione del rimborso.
3] Le garanzie richieste alle procedure fallimentari
per l’effettuazione del rimborso e la loro legittimità in alcuni
casi.
Ai sensi del vigente art. 38 bis D.P.R. 633/1972
il rimborso I.V.A. è eseguito entro tre mesi dalla scadenza del
termine di presentazione della dichiarazione, purché il contribuente
presenti, prima dell’esecuzione dello stesso e per la durata di due anni
dall’erogazione, cauzione in titoli di Stato o da questo garantiti, ovvero
fideiussione rilasciata da un istituto di credito o da un’impresa di assicurazione,
oppure da un’impresa commerciale che, a giudizio dell’Amministrazione finanziaria,
offra adeguate garanzie di solvibilità.
Le previste garanzie, cui non possono sottrarsi
le procedure concorsuali, hanno la funzione di assicurare che l’Amministrazione
finanziaria non subisca pregiudizi per l’aver erogato rimborsi d’imposta
in tempi rapidi, anteriormente al termine previsto dalla normativa fiscale
per l’effettuazione dell’eventuale accertamento.
La normativa previgente distingueva invece tra
rimborsi con procedura “normale”, di regola non assistiti dalla prestazione
di garanzie, ed “accelerata”, subordinata invece alla prestazione delle
stesse, secondo modalità simili a quelle attuali.
Sotto il profilo pratico, spesso il curatore
fallimentare si trova di fronte a crediti d’imposta già richiesti
a rimborso in annualità anteriori alla dichiarazione di fallimento,
per i quali i termini di un possibile accertamento fiscale ai fini I.V.A.
sono già ampiamente prescritti: ciò nonostante, gli uffici
spesso insistono nel richiedere le garanzie sopra descritte, non provvedendo
ad erogare i rimborsi nel caso in cui il curatore non ottemperi a quanto
richiesto.
Questa prassi, tuttora seguita dal II Ufficio
provinciale I.V.A. di Roma, fatto salvo il caso in cui la garanzia venga
richiesta a fronte di accertamenti già notificati al contribuente
ai sensi dell’art. 38 bis, ultimo comma, D.P.R. 633/1972, non risulta affatto
conforme né alla normativa, né allo stesso orientamento ministeriale.
Una corretta ed equa interpretazione logica dell’art.
38 bis D.P.R. 633/1972 porta al seguente sillogismo: se è vero che
le garanzie sono richieste in relazione al fatto che il rimborso deve essere
eseguito entro il termine perentorio di tre mesi dalla scadenza del termine
di presentazione della dichiarazione; se quindi è vero che la loro
finalità è quella di evitare qualsiasi pregiudizio all’Amministra-zione
per l’esecuzione del rimborso in tempi brevissimi, inferiori a quelli per
l’accertamento, non può non conseguirne che, nel caso in cui il
rimborso - per qualsiasi motivo - avvenga oltre i termini di legge per
l’accertamento (31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui
la dichiarazione viene presentata, ai sensi dell’art. 57 1° comma D.P.R.
633/1972), l’Ufficio deve provvedere - senza ulteriori indugi - all’erogazione
del rimborso.
Il fatto che alcuni uffici si ostinino a non
erogare al curatore i rimborsi in dette circostanze, appare gravissimo,
foriero di danni spesso ingenti alla massa dei creditori fallimentari,
che potrebbero al contrario vedere aumentare la percentuale di realizzo
del proprio credito. Tanto più che lo stesso Ministero delle Finanze,
Direzione centrale per gli affari giuridici e contenzioso, con la già
citata circolare 19-VI-12-1319 dell’11.8.1993, ha espressamente stabilito
al punto 2.4, intitolato “Richieste di rimborso relative ad annualità
non più accertabili”, che “le richieste di rimborso, che rientrano
in tale tipologia, devono essere liquidate senza presentazione delle garanzie
previste”.
È peraltro chiaro, come espressamente
aggiunge il Ministero, che l’Ufficio verificherà che non sussistano
ragioni di credito che comportino una totale o parziale riduzione dell’importo
richiesto, anche mediante accesso ai dati dell’anagrafe tributaria; detti
controlli, sempre ai sensi di detta circolare, sono quelli che non danno
luogo a rettifica (essendo scaduti i termini di accertamento), bensì
a provvedimenti di diniego, per fattispecie penalmente rilevanti o per
evidenti impedimenti emergenti dalla stessa dichiarazione. La circolare
cita, ad esempio, il caso in cui risulti l’utilizzo di fatture per operazioni
inesistenti (caso peraltro espressamente previsto al comma 3 dell’art.
38 bis D.P.R. 633/1972), ovvero in cui vi siano mancanza dell’esercizio
dell’impresa, mancanza dei presupposti, errori materiali o di calcolo o
elementi comunque già in possesso dell’Ufficio.
Detti provvedimenti di diniego non soggiacerebbero,
secondo il pensiero ministeriale, al termine di decadenza di cui al citato
1° comma dell’art. 57 D.P.R. 633/1972, non essendo paragonabili a quelli
di rettifica, come desumibile dall’autonoma disciplina prevista dall’art.
16 D.P.R. 633/1972.
Qualora peraltro non emergessero elementi sufficienti
a consentire all’Ufficio l’emissione di un provvedimento di diniego del
rimborso, l’Ufficio non potrebbe e non dovrebbe insistere nella richiesta
delle garanzie (che, comunque, ove il credito I.V.A. rappresentasse l’unica
possibile attività fallimentare, non potrebbero materialmente essere
prestate).
Nel caso contrario, escludendo in questa sede
ogni questione relativa all’emergere di responsabilità anche gravi
per il dirigente dell’Ufficio I.V.A. competente sia sotto il profilo amministrativo-contabile
(censurabile dalla Corte dei conti), sia sotto il profilo penale (sembrerebbe
profilarsi il reato di abuso d’ufficio, anche nella sua più tipicizzata
inquadratura di recente introdotta dall’art. 1 della legge 16 luglio 1997,
n. 234), l’unico rimedio concretamente esperibile è quello del contenzioso
tributario, per l’ottenimento di una condanna, eventualmente provvisoriamente
esecutiva, dell’amministrazione al rimborso.
In questi casi sembrerebbero, però, auspicabili
incontri chiarificatori tra gli organi fallimentari e l’amministrazione
finanziaria, volti a facilitare “il buon andamento della P.A.”, voluto
anche dall’art. 97 della Costituzione, sotto il profilo dello svolgimento
dell’azione amministrativa in modo efficiente, appropriato, adeguato, spedito
e sostanzialmente “giusto” e rispettoso dei diritti - anche tributari -
dei cittadini.
Didascalie
Lukas Cranach (1472 - 1553),
Adamo ed Eva (1531 - cm 51 x 35),
Staatliche Museum, Berlino
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