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Note e dibattiti 1997
(con nota di Lucia Fantozzi) Tribunale di Roma - Sez. fallimentare - 15 gennaio 1997 - Pres. Grimaldi - Est. Marvasi - Giorgio Nigi e Maria Teresa Cortesi (avv. G. De Arcangelis) c. Fall.to della società di fatto tra Maria Teresa Cortesi e Giorgio Nigi (avv. C. Borromeo). FALLIMENTO - SOCIETÀ DI FATTO - FIDEUSSIONI E FINANZIAMENTI DI UN CONIUGE A FAVORE DELL’ALTRO - SOCIETÀ TRA CONIUGI - ESCLUSIONE (Artt. 18 e 147 l.F.) Ai
fini dell’esistenza di una società di fatto occorre la prova del
vincolo sociale, che presuppone la sussistenza di un fondo comune, di un’alea
comune nei guadagni e nelle perdite, nonché dell’affectio societatis;
le fideiussioni ed i finanziamenti in favore dell’imprenditore non sono,
di per sé, sufficienti a fornire tale prova, ma possono costituire
soltanto indici rivelatori del rapporto stesso, allorquando per la loro
sistematicità e per ogni altro elemento concreto siano ricollegabili
ad una costante opera di sostegno dell’attività d’impresa, qualificabile
come collaborazione del socio al raggiungimento degli scopi sociali.
(omissis)
di Lucia Fantozzi
La questione è oggetto di orientamento ormai
consolidato in giurisprudenza, che ritiene sussistere una società
di fatto qualora - in difetto di un espresso accordo scritto o verbale
- due o più persone agiscano, attraverso un comportamento concludente,
uti socii. In tal caso, la prova del vincolo societario può essere
diretta oppure raggiunta presuntivamente attraverso manifestazioni esteriori
del rapporto medesimo.
La prova è diretta quando, in ordine ai rapporti interni fra soci, si dimostri la sussistenza di: 1) conferimento di beni e/o di servizi per la formazione di un fondo comune; 2) partecipazione agli utili e alle perdite; 3) volontà di collaborare e di vincolarsi al fine di raggiungere un risultato comune (c.d. affectio societatis) (Cass. 26.3.1994, n. 2985, in Il fallimento, 1994, 845; Cass. 8.1.1991, n. 84, ivi, 1991, 239; Cass, 10.8.1990, n. 8154, ivi, 1991, 473; Trib. Napoli, 17.7.1996, ivi, 1997, 103, con nota di V. Rinaldi; Trib. Cassino, 14.6.1995, ivi, 1996, 293, con nota di L. Gaffuri. In generale, sulla nozione della società di fatto, v.: Sacco, “Sulla società di fatto”, in Riv. dir. civ., 1995, 59; Di Sabato, Manuale della società, Torino, 1992, 69 e segg.; Galgano - Bonsignori, “Il fallimento delle società”, in Tratt. dir. comm., diretto da Galgano, Padova, 1988, 56). In assenza di prova diretta, suppliscono le manifestazioni esteriori del rapporto sociale, dimostrative dell’esistenza del vincolo attraverso il c.d. processo induttivo; tra queste, particolare rilievo viene riconosciuto alle operazioni di finanziamento e di garanzia, qualora per la loro “sistematicità e concludenza”, alla stregua di un conferimento sociale, costituiscano lo strumento per apprestare, in maniera costante, la propria opera di sostegno nell’attività d’impresa, nonché evidenzino uno spiccato interesse nella gestione societaria, del tutto incompatibile con il diritto di regresso e con l’assunzione della posizione di terzo creditore dell’ente garantito (Cass. 26.7.1996, in Il fallimento, 1997, 162; Cass. 4.8.1988, n. 4827, ivi, 1989, 15, Giur. it., 1989, I, 1, 463, Dir. fall., 1989, II, 372). Oltre alle menzionate operazioni di finanziamento e/o di garanzia, si potrà e dovrà, altresì, tener conto di tutti quei comportamenti che, valutati nel concreto e complessivamente, sotto un profilo economico-cronologico, denotino un’unità di intenti nella conduzione aziendale e nel perseguimento dei medesimi risultati patrimoniali (ad es.: riscossione di importi, pagamenti di fatture per conto della società). Infine, si possono verificare dei casi in cui le esteriorizzazioni del vincolo sociale non siano sufficienti, di per sé, a dimostrare l’esistenza di una società di fatto. In tale eventualità, allora, detti atti e comportamenti acquisteranno rilievo giuridico nella misura in cui siano stati idonei ad ingenerare nei terzi l’incolpevole e ragionevole convincimento dell’esistenza di un rapporto societario (c.d. società apparente). In altri termini ed ai fini dell’assoggettabilità al fallimento, la giurisprudenza tende ad equiparare la società di fatto (effettivamente sussistente) a quella apparente, in virtù dell’esigenza primaria di tutelare e garantire la buona fede di quei terzi che abbiano fatto affidamento sulla presenza del patto interno. (In tal senso v.: Cass. 9.9.1996, n. 8168, in Il fallimento, 1997, 503; Cass. 11.3.1992, n. 2914, ivi, 1992, 696 e Cass. 8.1.1991, n. 84, cit.; Cass., 7.6.1985, n. 3398, ivi, 1986, 152; Trib. Torino 26.11.1992, in Giur. it., 1993, 2, 399 con nota di G. Benessia). La società di fatto o la società apparente può, peraltro, sussistere tra coniugi e/o tra parenti stretti (individuati questi ultimi tra quelli elencati dall’art. 433 cod. civ.: v. Trib. Catania, 15.7.1992, in Giur. it., 1993, I, 2, 52). In tali casi, maggior rigore viene posto nella valutazione della prova del vincolo sociale e delle sue manifestazioni esteriori, attesa la sostanziale coincidenza degli elementi tipici del vincolo coniugale e/o familiare con gli elementi strutturali del rapporto societario. E difatti, la S.C. è costante nel ritenere che le operazioni di finanziamento e/o di garanzia, poste in essere dal coniuge o familiare, costituiscano atti neutri, spiegabili sia in chiave di solidarietà familiare che in ragione del vincolo sociale e che soltanto nel secondo caso vi sarà spazio per una responsabilità illimitata e solidale in sede fallimentare. Sarà, pertanto, necessario individuare la sottile linea di confine tra l’affectio familiaris e l’affectio societatis, al fine di dimostrare, attraverso indizi gravi, precisi e concordanti, la prevalenza dell’affectio societatis, intesa quale volontà del coniuge e/o parente di compartecipare nell’attività commerciale nell’ambito di una contitolarità gestionale, a prescindere dal legame affettivo-familiare (Cass. 26.7.1996, n. 6770, cit.; Trib. Catania, 28.2.1991, in Foro it., 1991, I, 2914 e Dir. fall., 1991 I, 2914; Trib. 17.7.1996, cit.; App. Napoli, 22.12.1980, in Il fallimento, 1981, 521, Foro Napoli, 1981, I, 8). |