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Note e dibattiti 1997
(con nota di Lucia Fantozzi) Tribunale di Roma - Sez. fallimentare - 7 aprile 1997 - Pres. Briasco - Est. Baccarini Banca di Credito Cooperativo di Roma Soc. Coop. a r.l. c. fall.to S.n.c. Clermont di S. Lauciani e C. FALLIMENTO - ACCERTAMENTO DEL PASSIVO - INSINUAZIONE
TARDIVA DI CREDITO - MANCATA COSTITUZIONE DELL’ATTORE - RIPROPONIBILITÀ
DELLA DOMANDA - PRECLUSIONE. (Artt. 98 e 101 L.F., 310 cod. proc. civ.)
La mancata costituzione dell’attore, dopo la
presentazione del ricorso, importa che la domanda si reputi abbandonata
con la conseguenza non solamente che il giudizio sia estinto ma, altresì,
che ci sia decadenza dalla possibilità di riproporre la domanda.[1]
(omissis)
Sugli effetti della mancata costituzione nel procedimento di insinuazione tardiva dei crediti di Lucia Fantozzi
Il caso di specie richiama la nota questione della
possibilità di riproporre la domanda di tardiva ammissione del credito
nei casi di:
1] mancata notifica al curatore del ricorso ex art. 101 L.F. e del pedissequo decreto di fissazione di udienza, nel termine indicato dal giudice delegato; 2] mancata costituzione del creditore entro i cinque giorni antecedenti la data fissata per l’udienza di prima comparizione (art. 98, 3° comma, L.F.); 3] estinzione del procedimento ex art. 101 L.F. per inattività delle parti (art. 309 cod. proc. civ.). Secondo l’orientamento, ormai costante, della S.C., che peraltro appare confortato da due pronunce della Corte costituzionale (sent. 30.6.1994, n. 274, in Il fallimento, 1994, 995; sent. 30.11.1988, n. 1045, ivi, 1989, 259 e in Giust. civ., 1989, I, 261), diverse ragioni sussistono a sostegno dell’impossibilità di reiterare la domanda de qua: in primo luogo soccorrono motivi di carattere sistematico-letterale, atteso il rinvio espresso che l’art. 101 L.F. fa al precedente art. 98, 3° comma, L.F., al fine di regolare con gli stessi precetti e le medesime sanzioni opposizione allo stato passivo e procedimento di insinuazione tardiva del credito; il procedimento di tardiva ammissione, al pari degli altri giudizi di accertamento del passivo, ha carattere incidentale e si colloca all’interno della più ampia procedura concorsuale, caratterizzata dalle esigenze di snellezza e di speditezza che giustificano, sotto il profilo sanzionatorio, sia la decadenza dalla domanda, sia dall’azione; entrambe le procedure, opposizione allo stato passivo e insinuazione tardiva, sono volte a contestare e, comunque, a modificare lo stato passivo: l’identità della funzione, pertanto, ne giustifica l’identità di disciplina (sull’argomento cfr.: Cass. 14.6.1979, n. 3347, in Il fallimento, 1979, 938; Cass. 14.5.1975, in Giust. civ., I 1249 e in Foro it., 1976, I, 138, Cass. 10.3.1968, n. 1077, ivi, 1968, II, 495. In senso conforme alla Cassazione si è pronunciata la prevalente giurisprudenza di merito: Trib. Roma 12.2.1992, in Giur. di merito, 1992, 795, con nota di G. Granzotto; Trib. Genova 14.4.1992, in Il fallimento, 1992, 974; App. Bologna, 4.7.1992, ivi, 1992, 1081; Trib. Genova, 13.12.1991, ivi, 1992, 537; Trib. Milano, 17.4.1989, ivi, 1989, 952). Particolare attenzione merita, poi, una recente decisione della Cassazione che, oltre a ribadire e far proprie tutte le motivazioni sopra enunciate, ha rilevato la natura complessa del procedimento dettato dall’art. 101 L.F., atteso che lo stesso deve essere suddiviso in due fasi: la prima, strettamente interna al processo fallimentare, caratterizzata dalla cognizione sommaria del giudice delegato, si conclude con un decreto di ammissione o di rifiuto del credito; la seconda, del tutto eventuale e successiva al decreto di rifiuto di ammissione con il quale si instaura il rito ordinario di cognizione (nel senso di configurare il procedimento iniziato ex art. 101 L.F. quale rito ordinario di cognizione, v.: Cass., 21.4.1993, in Il fallimento, 1993, 1117; Cass. 16.6.1990, n. 6090, in Il fallimento, 1991, 31). La decadenza dall’azione in sede fallimentare, si precisa, sussiste sia che l’abbandono avvenga durante la prima fase, in virtù della natura endofallimentare e dell’espresso rinvio all’art. 98 L.F., sia che l’abbandono medesimo avvenga nelle more del giudizio ordinario, atteso che, diversamente, con la ripresentazione del ricorso al giudice delegato, si conferirebbe indebitamente a quest’ultimo la possibilità di decidere una seconda volta sulla stessa domanda e, magari, ammetterla nonostante l’esistenza di un precedente provvedimento di rifiuto, il tutto in violazione del generale principio del ne bis in idem (Cass. 9.4.1994, n. 3344, in Il fallimento, 1994, 1133). Di diversa opinione è parte della giurisprudenza di merito che ritiene, invece, ammissibile la possibilità di reiterare la domanda tardiva di credito in quanto: l’art. 101 L.F. richiama espressamente soltanto il 3° comma dell’art. 98 L.F.,che si limita a stabilire che, in difetto di tempestiva costituzione del creditore istante, la domanda deve reputarsi abbandonata. La presunzione iuris et de iure della decadenza dalla domanda tardiva di credito, è già di per sé una sanzione, laddove l’estinzione dell’azione dà luogo ad una ulteriore conseguenza sanzionatoria non prevista dal legislatore; la disciplina legislativa, inoltre, non prevede espressamente né la diversa ipotesi di omessa o ritardata notifica del ricorso, né le conseguenze che ne deriverebbero, sicché, in assenza di un esplicito dettato normativo, dovrebbe ritenersi applicabile il principio generale di cui all’art. 310 cod. proc. civ., in virtù del quale l’abbandono della domanda estingue il processo ma non l’azione; pur riconoscendo una notevole affinità tra il procedimento di pposizione allo stato passivo e quello di tardiva insinuazione del credito, in quanto entrambi si collocano all’interno del processo fallimentare, sussiste una notevole diversità strutturale, atteso che: il primo è un gravame in senso tecnico, che mira a contestare lo stato passivo, con conseguente applicazione, in caso di abbandono della domanda, dell’art. 338 cod. proc. civ. e perciò dell’immodificabilità del provvedimento impugnato; il secondo procedimento, invece, incardina un giudizio di primo grado, a cognizione piena, da istruirsi a norma degli artt. 175 e segg. cod. proc. civ. e rispetto al quale vige il principio enunciato dall’art. 310 cod. proc. civ.; la differenza, infine, tra i due procedimenti è, altresì, accentuata laddove si osservi che, sebbene entrambi mirino a modificare lo stato passivo, la dichiarazione tardiva di credito è lo strumento necessario per partecipare, in concorso con gli altri creditori, alla ripartizione dell’attivo, sia pure nei limiti stabiliti dall’art. 112 L.F.; l’opposizione mira a contestare lo stato passivo, in precedenza formato (sull’argomento v.: Trib. Pescara 30.3.1995, in Dir. fall., 1995, II, 1092 con nota di D. Di Gravio; Trib. Torino 25.7.1990, in Il fallimento, 1991, 398 con nota di V. Candele, Tardività della notifica al curatore ex art. 101 legge fallimentare e riproponibilità della domanda; App. Roma 27.3.1990, in Giust. civ., 1990, I, 1871; Trib. Torino, 23.4.1990, in Giur. it., 1991, I, 2, 18; Trib. Foggia, 8.3.1983, in Il fallimento, 1983, 1144; App. Catania, 27.7. 1981, in Dir. fall., 1981, II, 520 e Giur. comm., 1982, II, 337). |