Note e dibattiti 1997
(con nota di Antonio Smiroldo)
Tribunale di Roma - Sez. fallimentare - 14 giugno
1997 n. 11780 - Pres. Briasco - Est. Vitalone - Ugo d’Onofrio
(avv. D. Di Gravio, avv. G. Granzotto) c. fall. S.r.l. I.r.e.c. Consorzio
tra cooperative Interventi regionali nell’edilizia cooperativa (contumace)
e Montedison S.p.A. (avv. G. M. Ricci).
FALLIMENTO - ACCERTAMENTO DEL PASSIVO - CREDITORE
DEL TERZO - IPOTECA SUI BENI DEL FALLITO - INSINUAZIONE AL PASSIVO - EFFETTI.
(Artt. 52, 92 e segg. L.F.)
Quando i beni del fallito sono vincolati a
garanzia di debiti altrui, l’ammissione al passivo del creditore (di terzo)
titolare del diritto di garanzia, non rende lo stesso creditore concorsuale
ed ha il limitato effetto di consentire il concorso sul bene vincolato.
(omissis)
Con ricorso ritualmente notificato ex artt. 100
e 102 L.F. Ugo d’Onofrio, sul presupposto di essere creditore del fallimento
I.r.e.c. S.r.l. in quanto ammesso al passivo, proponeva opposizione all’ammissione
della Montedison S.p.A. riconosciuta, in via tardiva ex art. 101 L.F.,
creditrice ipotecaria per la somma di L. 2.000.000.000.
Esponeva l’opponente che la Montedison S.p.A.
risultava creditrice della società fallita nella qualità
di terzo datore di ipoteca gravante su un immobile sito in Napoli, P.zza
S. Maria degli Angeli n.1 e che pertanto non poteva essere riconosciuta,
sic et simpliciter, creditore concorsuale (non esistendo un debito dell’I.r.e.c.
se non nei limiti della garanzia ipotecaria), né tanto meno era
legittimata ad insinuarsi al passivo poiché, in tale sua qualità,
avrebbe avuto il diritto di partecipare non solo alla ripartizione del
ricavato sull’immobile de quo, ma anche, sussidiariamente, su tutti i beni
del fallimento nel caso di incapienza del bene su cui aveva la prelazione
ipotecaria e ciò ai sensi dell’art. 54, c.1°, L.F..
Si costituiva la Montedison S.p.A., contestando
la fondatezza dell’opposizione e riconfermando la conformità della
ammissione effettuata dal g.d. sulla scorta della documentazione e del
parere del curatore, sottolineando di non vantare alcuna pretesa creditoria
se non nei limiti del ricavato della liquidazione del bene oggetto della
garanzia ipotecaria.
Non si discute sulla fondatezza del credito vantato
dalla Montedison S.p.A. in virtù di ipoteca iscritta su un immobile
rientrante nell’attivo acquisito al fallimento I.r.e.c. S.r.l., bensì
se tale credito possa essere considerato tra quelli concorsuali, ovvero
secondo la proposizione dell’opponente escluso dallo stato passivo, in
quanto non afferente ad una obbligazione della società fallita qualificata
soltanto dall’essere terzo datore di ipoteca.
La questione appare mal posta dall’opponente,
poiché la ammissione allo stato passivo non muta la qualificazione
del creditore che ha chiesto ed ottenuto di essere riconosciuto tale soltanto
nei limiti della liquidazione del bene immobile su cui grava l’ipoteca.
L’ammissione, pertanto, ottenuta in sede di insinuazione
tardiva, è solo lo strumento formale per poter rientrare nel riparto
delle somme realizzate dalla liquidazione dell’attivo fallimentare secondo
il più che consolidato orientamento che impone a chiunque (v. in
particolare l’ipotesi del credito fondiario) che a vario titolo si affermi
creditore del fallimento, di insinuarsi al passivo. La Montedison S.p.A.
pertanto non si qualifica creditore concorsuale, nel senso richiamato dall’opponente,
né lo ha richiesto, ma soltanto creditore ipotecario sull’immobile
del fallimento e, stante la qualifica del suo credito, usufruirà
del solo riparto delle somme provenienti dalla vendita di esso, senza collocazioni
sussidiarie ai sensi dell’art. 54 L.F..
L’ammissione al passivo appare così elemento
a favore dei creditori concorsuali che sono in grado di conoscere della
presenza del creditore ipotecario “indiretto”, tenuto conto che l’alternativa
alla ammissione non potrebbe non essere che quella di riconoscere la prelazione
ipotecaria prescindendo dalla ammissione al passivo, comportando l’individuazione
di una categoria di creditori che possono partecipare al riparto dell’attivo
fallimentare senza dover preventivamente richiedere e ottenere l’ammissione
allo stato passivo.
Le osservazioni che precedono, consentono di
assorbire anche l’ulteriore proposizione della revocazione per la quale
comunque non è rinvenibile, nel caso in esame, nessuno degli elementi
tassativamente individuati dall’art.102 L.F. e legittimanti tale domanda.
(omissis)
"SULL’AMMISSIBILITÀ DELL’INSINUAZIONE
DEL CREDITORE IPOTECARIO AL PASSIVO DEL FALLIMENTO DEL TERZO DATORE DI
IPOTECA"
di Antonio Smiroldo
1] La soluzione della sentenza.
Nella fattispecie affrontata dal tribunale, emerge
come la società fallita non sia debitrice personale del creditore
ipotecario, ma solo terzo datore di ipoteca, rilasciata a garanzia di un
debito altrui; in altre parole, è un caso di “responsabilità
senza debito”, ravvisabile anche nell’ipotesi del fallimento dell’acquirente
di immobile gravato da ipoteca o nel caso dell’acquisizione al fallimento
di un bene, sempre gravato da ipoteca, a seguito di presunzione muciana.
La sentenza che si annota risolve in senso favorevole
il problema dell’ammissibilità dell’insinuazione del terzo, non
creditore del fallito, garantito da ipoteca sui beni dello stesso, attribuendo
una valenza esclusivamente formale alla stessa insinuazione.
L’esistenza di pronunce giurisprudenziali contrastanti
e di differenti opinioni dottrinali, non consente però di ritenere
risolta la questione.
Occorre rilevare in primo luogo che, nel caso
in esame, assume importanza il principio della concorrenza di tutti i crediti,
anche se muniti di diritto di prelazione, sancito in termini perentori
dall’art. 52 L.F..
L’onere di far accertare il proprio credito imposto
dalla norma citata ad ogni creditore, con rinvio alle forme degli artt.
93 e segg. L.F., sottolinea la centralità della fase della verifica
dei crediti nel seno dell’intera procedura fallimentare, con esclusione
di qualsiasi altra forma o sede alternativa (ad eccezione delle azioni
reali immobiliari ex art. 24 L.F.).
L’interrogativo che ci si deve porre a questo
punto, è se il terzo non creditore del fallito, titolare di ipoteca
sull’immobile acquisito dal fallimento, debba o meno sottostare al principio
del concorso.
Nel caso in esame, i giudici di merito hanno
sostenuto l’ammissibilità della domanda di insinuazione al passivo
proposta dal terzo ipotecariamente garantito, ritenendola uno strumento
necessario per poter partecipare alla distribuzione del ricavato.
Riconoscendo la praticabilità di una domanda
di insinuazione a contenuto parziale (v. in tal senso M. Fabiani “L’esclusività
del rito dell’accertamento del passivo”, Il fallimento, 1990, 913) e quindi
anche limitata al riparto delle somme provenienti dalla vendita dell’immobile
ipotecato, la sentenza sottintende l’essenzialità dell’immediata
verifica in sede fallimentare di tutte le pretese azionate, incluse quelle
relative a diritti di prelazione appartenenti a terzi non creditori del
fallito.
Il contraddittorio e la dialettica di tutte le
pretese in sede di verifica, anche di quelle non concorsuali (cfr. pure
Trib. Monza 30.6.1988, Il fallimento, 1989, 427), appaiono in linea con
gli effetti cristallizzanti della procedura fallimentare, a cui non sfuggono
neanche le sentenze passate in giudicato.
Occorre infatti considerare l’importanza dei
controlli in sede di verifica, sia da parte di tutti quei creditori meno
garantiti che hanno un evidente interesse alla contestazione delle garanzie
che gravano sul patrimonio del loro debitore (cfr. C. Proto, “L’inopponibilità
delle garanzie tra tutela del ceto creditorio ed esigenze dell’economia”,
Il fallimento, 1997, 454), sia da parte dell’ufficio che, in ipotesi, potrebbe
revocarle.
2] Le pretese dei terzi sui beni acquisiti
al fallimento: gli artt. 103 e 24 L.F..
Mentre manca nella legge fallimentare una norma
che esplicitamente regoli il caso del titolare di un diritto reale di garanzia
su immobile compreso nel fallimento del terzo datore di ipoteca, sono presenti
l’art. 103 che estende le regole dell’accertamento alle domande di rivendicazione,
restituzione e separazione di cose mobili possedute dal fallito, formulate
da terzi, e l’art. 24 L.F., che sottrae alla competenza generalizzata del
giudice fallimentare le azioni reali immobiliari.
La natura dell’interesse sotteso all’azione del
creditore ipotecario del fallito terzo datore non ne consente l’inquadrabilità
nella fattispecie dell’art. 24 L.F., riguardando tale norma, con riferimento
alle azioni reali immobiliari promosse dai terzi, le domande dirette a
sottrarre il bene al concorso e non, come nel caso in esame, dirette a
parteciparvi a fini satisfattivi (cfr. Trib. Monza 20.6.1988, Il fallimento,
1989, 433).
L’esistenza, poi, di una norma quale l’art.103
L.F. è stata interpretata diversamente dalla dottrina e dalla giurisprudenza,
sia per sostenere, sia per escludere la concorsualità dei terzi
ipotecariamente garantiti.
Proprio il carattere tipicamente anticoncorsuale
delle pretese previste dall’art. 103 L.F., dirette a sottrarre beni alla
procedura fallimentare, è stato richiamato per sostenere l’ammissibilità
al passivo dei terzi ipotecariamente garantiti (cfr. Trib. Monza 30.6.1988,
cit.); la natura delle azioni di tale ultima categoria, finalizzate non
alla sottrazione dei beni acquisiti dall’Ufficio fallimentare, ma al riconoscimento
dei diritti di prelazione, dovrebbe a maggior ragione consentirne l’ammissione
in sede di verifica, anche in via tardiva.
Il creditore ipotecario, pur non creditore diretto
del fallito terzo datore di ipoteca, non intende sottrarre il bene alla
liquidazione fallimentare ed al successivo riparto, ma solo ottenere il
riconoscimento del suo diritto secondo la funzione tipica della garanzia,
ovvero del diritto di liquidazione di una quota parte del realizzo del
bene, pari al credito garantito dalla prelazione.
La mancanza di una norma identica all’art.103
L.F. o la mancata previsione in esso per le analoghe pretese dei titolari
di diritti reali immobiliari, secondo la tesi contraria, confermerebbero
la volontà del sistema di escluderle dalle regole del concorso.
3] L’orientamento della Corte di cassazione.
La Corte di cassazione, con sent. 8 aprile 1965
n. 613 (in Dir. fall. 1965, II, 411), con riferimento all’intervento di
un creditore privilegiato (Amministrazione finanziaria) in sede di ripartizione
del prezzo, ha affermato che coloro i quali hanno, sugli immobili compresi
nel fallimento, diritti di prelazione, a garanzia di crediti vantati verso
debitori diversi dal fallimento, possono concorrere alla distribuzione
della somma ricavata dalla vendita di tali immobili insieme con i creditori
fallimentari, senza bisogno che i loro crediti siano assoggettati al procedimento
di verifica previsto dalla legge fallimentare.
Con tale sentenza la Cassazione ha, quindi, affermato
la possibilità per i creditori privilegiati di intervenire direttamente
in sede di riparto, senza la necessità di sottoporre il diritto
a preventiva verifica.
La Cassazione non ha affrontato esplicitamente
il tema della validità o meno del ricorso al sistema dell’insinuazione
al passivo, con le forme previste dall’art. 93 e segg.. In particolare,
ha motivato la decisione, osservando che l’art. 52 L.F. prevede la necessità
della verifica soltanto per i creditori del fallito e l’art. 108 L.F. prevede
la notifica dell’estratto dell’ordinanza di vendita sia ai creditori ammessi
al passivo con diritto di prelazione sull’immobile venduto, sia ai creditori
ipotecari iscritti: secondo la Corte, partecipano alla distribuzione del
prezzo anche i creditori con diritti di prelazione non ammessi al passivo
e cioè coloro che non sono creditori del fallito.
In conclusione, la sentenza ha deciso in ordine
alla validità dell’intervento in sede di ripartizione; non ha preso
chiara posizione in ordine alla rilevanza di una domanda di insinuazione
al passivo eventualmente accolta; nella motivazione, per altro, appare
implicitamente affermare che il sistema dell’insinuazione al passivo, necessario
per i creditori del fallito, sia possibile anche per la categoria dei creditori
in esame.
Con altra sentenza, la Corte di cassazione (Cass.
8.1.1970, n. 46, Diritto fall., 1970, II, 754 e segg.) sembra aver assunto
una posizione più decisa, affermando che il creditore di persona
diversa dal fallito che vanti un diritto di prelazione su un immobile appreso
dal fallimento, può, ove la prelazione sia opponibile al fallimento,
intervenire nell’esecuzione e partecipare alla distribuzione del prezzo
ottenuto dalla vendita dell’immobile, ma non ha titolo per essere ammesso
al passivo; la Corte precisa “che il procedimento di verificazione è
stabilito per i creditori del fallito, anche se titolari di diritti di
prelazione, e per coloro che vantano diritti reali mobiliari su cose in
possesso del fallito (artt. 16, n. 4, 52, 92, 89, 103), mentre i creditori
ipotecari iscritti non sono inclusi nella categoria dei creditori ammessi
al passivo con diritto di prelazione sull’immobile (art.108)”.
Dalla lettura integrale della motivazione della
sentenza emerge, però, che la domanda di insinuazione non deve ritenersi
nulla o inesistente, con conseguente esclusione della pretesa, ma può
considerarsi come domanda di intervento nel riparto delle somme ricavate
dalla vendita dell’immobile e, quindi, essere accolta limitatamente a tale
significato, come è avvenuto nella fattispecie decisa dalla Cassazione.
4] Gli orientamenti della giurisprudenza
di merito.
Alcune sentenze di merito escludono la possibilità
per il creditore di persona diversa dal fallito, che vanti un diritto di
prelazione su un immobile appreso dal fallimento, di essere ammesso al
passivo (cfr. Corte app. Napoli, 29.12.1982, in Dir. fall., 1983, II, 152;
Trib. Milano 20.6.1983, in Banca, borsa, 1984, II, 240; Trib. Milano 30.3.1989,
ivi, 1990, II, 210, che ha confermato la esclusione dallo stato passivo).
Si evidenzierebbe quindi che le domande di ammissione
al passivo presentate da tali creditori debbano esser rigettate perché
provenienti da soggetti non legittimati.
Si può osservare che la decisione del
Trib. di Milano del 30 marzo 1989 cit., esplicitamente richiama e conferma
le sentenze di Cassazione sopra riportate, la cui esatta portata è
stata sopra illustrata, riconoscendo pienamente il diritto del creditore
ipotecario a veder rispettata la sua posizione in sede di riparto delle
somme ricavate dalla vendita dell’immobile.
Ed ancora, Trib. Milano 20 giugno 1983 cit.,
sulla linea di Cass. 8 gennaio 1970, n. 46 cit., ha ritenuto che “ben possa
essere interpretata la domanda proposta come domanda di intervento del
creditore ipotecario nella ripartizione delle somme ricavate dalla vendita
dell’immobile ipotecato”, tenuti presenti princìpi generali di economicità
dei giudizi e di conservazione degli atti processuali.
In tale sede si segnala anche Trib. Milano 8
giugno 1989 cit., che ammette solo la proposizione della domanda di intervento
da parte del creditore ipotecario nella distribuzione delle somme ricavate
dalla vendita, nella forma però del ricorso ex art. 93 L.F. (cfr.
in tal senso anche Cass. 8.1.1970 cit.).
Un altro orientamento della giurisprudenza di
merito ha ritenuto invece di non accogliere le conclusioni sopra evidenziate,
riconoscendo la centralità del principio del concorso formale sancito
dall’art. 52 L.F., estensibile a tutte le pretese vantate dai terzi nei
confronti del fallito, anche se non creditori dello stesso.
Per la chiarezza delle argomentazioni, in tal
senso si segnalano le decisioni del Trib. di Monza del 20 e 30 giugno 1988
cit., che hanno affermato l’obbligatorietà
della proposizione della domanda di insinuazione
ai sensi degli artt. 92 e segg.
L.F. anche per i terzi che vantino un diritto
di prelazione sui beni immobili del fallito e che non siano allo stesso
tempo suoi creditori personali diretti; le due pronunce poi hanno escluso
la ritualità e la compatibilità dell’intervento in sede di
ripartizione dell’attivo (negli stessi termini, cfr. anche Trib. Roma 11.12.1989,
in Fall. 1990, 744).
5] L’art.108 L.F.: considerazioni conclusive.
Nel dibattito dottrinale e giurisprudenziale
sulla necessità o meno del ricorso alla formale domanda di insinuazione
al passivo anche da parte di chi non sia creditore diretto del fallito,
ma vanti comunque una qualche pretesa nei suoi confronti, si è fatto
più volte riferimento all’art.108 L.F. che prevede la notifica di
un estratto dell’ordinanza di vendita non solo ai creditori ammessi al
passivo con diritto di prelazione, ma anche ai creditori ipotecari iscritti.
La differente interpretabilità della categoria
dei creditori ipotecari iscritti - ravvisabili secondo una tesi nei creditori
che non siano stati ancora ammessi al passivo (cfr. Trib. Monza 30.6.1988
cit., 430; Trib. Roma 11.12.1989 cit., 745; in dottrina Bonsignori, “Liquidazione
dell’attivo”, in Commentario alla legge fallim. Scialoja Branca, 1976,
199) e secondo un’altra tesi proprio in coloro che, non essendo creditori
diretti del fallito ma avendo una prelazione sul suo immobile non sono
stati ammessi al passivo (cfr. in giurisprudenza Cass. 8.1.1970 n. 46 cit.;
Cass. 8.4.1965 n. 613 cit.; in dottrina Ferrara, F. Jr., Il fallimento,
Milano, 1995, 540; Ragusa Maggiore, Enc. giur., XIII, Roma, 1988, 3.2)
- ha consentito di trarre ulteriori argomentazioni per sostenere o meno
l’onere della domanda ex artt. 93 e segg. L.F. a carico di questi ultimi.
Per i sostenitori dell’ultima tesi, la notifica
dell’ordinanza di vendita avrebbe la funzione di informare, consentendo
solo l’intervento alla fase di distribuzione del ricavato ai terzi non
creditori diretti, ma con prelazione sull’immobile del fallito.
Da parte di chi ha sostenuto la tesi della obbligatorietà
dell’insinuazione al passivo per tale categoria di terzi non creditori,
si è affermato invece che l’intervento nella fase della distribuzione
delle somme ricavate dalla vendita dell’immobile ipotecato non sembra trovare
alcuna giustificazione, se si considera la natura della procedura fallimentare,
strutturata in forme tipiche e sottratta all’impulso di parte (cfr. Marchetti,
Il fallimento, 1990, p. 746; M. Fabiani, cit.; in giurisprudenza cfr. Trib.
Monza 20.6.1988, Il fallimento, 1989, 432); coerentemente, la notifica
dell’ordinanza ai sensi dell’art.108 ultimo comma L.F., avrebbe la funzione
di rimediare l’eventuale carenza di conoscenza anteriore, consentendo dunque
di effettuare quell’insinuazione che produca l’ammissione al passivo ancora
non realizzatasi.
D’altra parte, la proposizione di una semplice
istanza di intervento o di partecipazione al piano di riparto non garantirebbe,
come accennato, quel contraddittorio con gli altri creditori che solo la
fase della verifica può consentire.
Escludendo la possibilità di partecipare
alla sola distribuzione delle somme con l’intervento, si riconosce l’importanza
dell’accertamento di tutte le pretese in sede di verifica, sia da parte
di tutti i concorrenti, non necessariamente identificabili con i creditori
diretti del fallito, sia da parte del giudice delegato e del curatore.
La natura “reale” dell’ipoteca che accede al
bene su cui è iscritta, esclude poi che essa possa consentire al
creditore privilegiato di trovare soddisfazione in misura ulteriore rispetto
ai risultati della esecuzione o, come nel caso in esame, al ricavato della
vendita dell’immobile: ne deriva l’impossibilità, evidenziata dai
giudici, per il terzo non creditore del fallito, che vanti tale diritto
di prelazione, di concorrere ai sensi dell’art. 54 L.F. con tutti gli altri
creditori sugli altri beni dell’attivo fallimentare.
Per l’ammissibilità, in dottrina:
Semiani Bignardi, “Espropriazione
contro il terzo proprietario e fallimento”, in Foro it. 1962, I, 2186;
id.; “Esecuzione individuale e fallimentare. Bilancio della legge fallimentare”,
intervento al Convegno di Pisa, 1961, 38 e segg.; Oliva, “Vendite immobiliari
e fallimento del terzo proprietario”, intervento al convegno su “La liquidazione
dell’attivo nella procedura concorsuale”, in Il fallimento 1987, 245; Libertino
Russo, “La posizione dei non creditori del fallito aventi titolo a partecipare
all’esecuzione sui beni acquisiti al fallimento”, in nota a Trib. Monza
20-30.6.1988, in Il fallimento 1989, 436; id., “L’accertamento del passivo
nel fallimento”, Milano 1988, 141 e segg.; Remo Danovi, nota a Trib. Milano
8.6.1989, in Il fallimento 1990, 61; Massimo Fabiani, “L’esclusività
del rito dell’accertamento del passivo”, in Il fallimento 1990, 913; Stefano
Marchetti, “Ammissione al passivo dei “non creditori” del terzo datore
di ipoteca”, ivi 1990, 745.
Per l’ammissibilità, in giurisprudenza:
Trib. Venezia 28 giugno 1962, in
Dir. fall. 1963, 359 e segg.; Trib. Napoli 29 aprile 1968, Dir. e giur.
1969, 156 e segg.; Trib. Modena 7 marzo 1985, Il fallimento 1985, 765 e
segg.; Trib. Monza, 20 giugno 1988, ivi, 1989, 427; Trib. Monza 30 giugno
1988 (decr.), ivi 1989, 427; Trib. Roma 31 gennaio 1989, ivi 1989, 765
e segg.; Trib. Roma 11 dicembre 1989 (decr.), ivi 1990, 744; Trib. Roma
21 ottobre 1996, ivi 1997, 541.
Per la non ammissibilità, in dottrina:
Salvatore Satta, Diritto fallimentare,
Padova 1974, 235; Bonsignori, “Liquidazione dell’attivo”, in Commentario
Scialoja-Branca, Legge fallimentare, Bologna-Roma 1976, 199 e segg.; Pajardi,
Manuale di diritto fallimentare, Milano 1986, 328; Ragusa Maggiore, voce
“Fallimento”, in Enc. giur. XIII, Roma 1988, 3.4; Ferrara, Il fallimento,
Milano 1988, 540.
Per la non ammissibilità, in giurisprudenza:
Cass. 8 aprile 1965, n. 613, in
Dir. fallimentare 1965, II, 411 e in Giust. civ. 1965, I, 1111; Cass. civ.
8 gennaio 1970, n. 46, in Diritto fallimentare 1970, II, 754 e in Giur.
it. 1970, I, 1, 1458; Trib. Milano 7 maggio 1981, in Il fallimento, 1982,
800; Corte d’App. Napoli, 29 dicembre 1982, in Diritto fallimentare, II,
152; Trib. Milano 20 giugno 1983, in Banca, borsa 1984, II, 240; Trib.
Milano 17 febbraio 1986, ivi 1987, 404; Trib. Milano 30 marzo 1989, in
Diritto fallimentare 1990, II, 210; Trib. Milano 8 giugno 1989, in Il fallimento
1990, 60; Trib. Torino 9 maggio 1990, in Il fallimento 1991, 284 e in Giur.
it. 1991, I, 434; Trib. Napoli 31 gennaio 1996, in Il Fallimento 1996,
817. |