I RIMEDI CONTRO I VIZI DEL DECRETO DI TRASFERIMENTO IN SEDE FALLIMENTARE
I rimedi esperibili
contro i vizi procedurali o di merito da cui può risultare affetto
il decreto di trasferimento sono costituiti, in sede di esecuzione individuale,
dall’opposizione agli atti esecutivi prevista dall’art. 617 del codice
di procedura civile (c.p.c.) esperibile, sotto pena di inammissibilità,
entro soli cinque giorni dalla comunicazione del provvedimento mentre,
in sede fallimentare, il rimedio previsto consiste nel reclamo al collegio
di cui dall’art. 26 del R.D. 16 marzo 1942 n. 267 (cosiddetta Legge Fallimentare
– L.F.) che è indicato come ammissibile solo entro tre giorni dalla
data del decreto per la maggiore speditezza che caratterizza la procedura
fallimentare rispetto a quella individuale.
Una simile
ristrettezza dei termini ha portato l’art. 26 L.F. a ripetuti interventi
da parte della Corte Costituzionale la quale, con una sentenza clamorosa,
(la n. 42 del 1981) sembrò aver cancellato definitivamente l'istituto
del reclamo al tribunale avverso i provvedimenti del giudice delegato.
Successivamente,
però, la Suprema corte di cassazione, con la sentenza a Sezioni
unite n. 2255 del 9 aprile 1984, ha precisato che, dopo la sentenza della
Corte Costituzionale n. 42/81, l’istituto del reclamo rimane diversamente
disciplinato e regolato secondo le norme generali dei procedimenti in camera
di consiglio (artt. 737-742 bis c.p.c.) con la conseguenza che, in primo
luogo, il termine per il reclamo è di dieci giorni decorrenti dal
deposito del decreto del giudice delegato (Cass. 22.02.1996 n. 1401 in
Fallimento 1996, 655). Inoltre si è pure stabilito che il tribunale
ha l’obbligo di sentire le parti in camera di consiglio e di motivare il
provvedimento che definisce il procedimento stesso (Cass. 26.11.1996 n.
10461). Successivamente ancora, la giurisprudenza della Suprema corte di
cassazione ha specificato che il termine per proporre il reclamo decorre,
non già dal semplice deposito in cancelleria del decreto da parte
del giudice delegato, bensì dalla sua rituale comunicazione alla
parte interessata.
Su tale punto,
però, si è assistito ad alcune oscillazioni. Ad esempio non
si è ritenuta necessaria la comunicazione quando il provvedimento
del giudice delegato sia stato assunto in udienza alla presenza delle parti;
altre volte è stato ritenuto che solo la comunicazione rituale di
cui all’art. 136 c.p.c. facesse decorrere il termine per il reclamo ed
altre volte ancora che fossero ammissibili forme equipollenti, quali la
richiesta di copia autentica in cancelleria od altre attività della
stessa cancelleria; altre volte, addirittura, si è ritenuto che
fosse sufficiente la notizia del deposito del provvedimento da impugnare
comunque ottenuta per altra via. In questo senso, ulteriore incertezza
si è determinata circa l’efficacia della comunicazione da parte
del curatore: per la negativa si è pronunciata la sentenza della
Suprema corte 14 aprile 1994 n. 3509; in senso favorevole si è,
invece, pronunciata la sentenza 15 febbraio 1996 n. 1140.
La sopravvivenza
del termine di tre giorni normativamente previsto, è stata però
ritenuta applicabile quando, ad essere impugnato, sia un provvedimento
del giudice delegato con valore meramente ordinatorio interno al processo
fallimentare, per tale intendendosi qualunque provvedimento incapace di
incidere sui diritti soggettivi perfetti delle parti (Cass. 12.02..1987
n. 1391 in Fallimento 1987, 491).
Insomma: quanto
previsto dal legislatore del fallimento nel 1942 in relazione al reclamo
al collegio avverso i provvedimenti del giudice delegato, è risultato
in gran parte insufficiente ad assicurare l’esercizio del diritto di difesa
delle parti, cosicché si è aperta la strada ad ampi interventi
della giurisprudenza che, esercitandosi nell’attività interpretativa,
ha portato, a volte, a pronunce oscillanti sia in ordine al termine dell’impugnazione,
che in ordine alla sua decorrenza.
Con particolare
riguardo al decreto di trasferimento, però, già da diversi
anni si assiste ad una certa stabilizzazione delle pronunce, nel senso
di ritenerlo capace di incidere su posizioni di diritto soggettivo e, quindi,
reclamabile dinanzi al collegio nel termine di dieci giorni dalla comunicazione
della cancelleria suscettibile di essere sostituita da mezzi alternativi,
purché equipollenti in ordine alla certezza della conoscenza. E’
tuttavia necessaria l’avvertenza che questa stabilità ha natura
relativa, cosicché i giuristi più avveduti cercano di promuovere
il reclamo al collegio nel termine di tre giorni dalla pronuncia del provvedimento
che intendono impugnare ed a tal fine presidiano la cancelleria fallimentare
proprio al fine di evitare di far trovare il loro cliente coinvolto in
sottili disquisizioni procedurali.
Non è
consentita, in sede fallimentare, la sostituzione del reclamo al collegio
con l’opposizione agli atti esecutivi prevista per l’esecuzione individuale
dal citato art. 617 c.p.c.. Infatti, è vero che l’art. 105 L.F.
richiama espressamente, per la liquidazione dell’attivo in sede fallimentare,
le disposizioni del codice di rito, ma lo stesso art. 105 L.F. precisa
che il richiamo può avvenire solo in quanto compatibile con la speciale
legislazione fallimentare. Posto che in questa è previsto, all’art.
26, lo specifico rimedio del reclamo al collegio, l’opposizione agli atti
esecutivi di cui all’art. 617 c.p.c. non è ritenuta ammissibile
(Cass. 1994/9886).
Proprio perché
ritenuto suscettibile di incidere su diritti soggettivi perfetti, il decreto
di trasferimento, dopo essere stato impugnato con il reclamo al collegio
di cui all’art. 26 L.F., può essere ulteriormente impugnato dinanzi
alla Suprema corte di cassazione con il ricorso straordinario previsto
dall’art. 111 Cost. per la sola violazione di legge.
Tale rimedio
è consentito avverso i provvedimenti dotati di decisorietà
e di difinitività e come tale viene ritenuto il decreto di trasferimento
perché suscettibile, se non adeguatamente impugnato, di rendere
consolidata la situazione di passaggio della proprietà, dal patrimonio
del fallito, a quello dell’acquirente.
Quali sono
i vizi del decreto di trasferimento reclamabili al collegio e, successivamente,
alla Suprema corte di cassazione?
Occorre premettere
che la liquidazione dell’attivo fallimentare, specialmente di quello immobiliare,
avviene con carattere eminentemente pubblicistico e, pertanto, la vendita
non ha carattere contrattuale ed avverso di essa non sono esperibili gli
istituti propri della vendita negoziale, come la risoluzione del contratto
per inadempimento o le garanzie per vizi, o mancanza di qualità
promesse. Anzi, la vendita coattiva giudiziaria avviene senza alcuna garanzia
come espressamente prevede l’art. 2922 cod. civ..
Pertanto sono
reclamabili al collegio (e successivamente in Cassazione) solo il vizio
di evizione (perdita totale o parziale del bene per pretese di terzi non
denunciate nel bando di gara) e per le nullità di ordine sostanziale
della vendita, le quali impediscono la produzione dei suoi effetti tipici,
come l’inesistenza della manifestazione di volontà di acquistare
dell’aggiudicatario, ovvero la inesistenza dell’oggetto: casi in cui vengono
meno il nucleo essenziale della vendita e la possibilità del decreto
di trasferimento di produrre l’effetto traslativo.