L’AGGIUDICAZIONE A SEGUITO DELL’AUMENTO DI SESTO
UN CASO NUOVO

L’asta pubblica si conclude, dopo che i vari partecipanti abbiano formulato le loro offerte superandosi reciprocamente, con l’aggiudicazione dell’immobile subastato in favore di colui che abbia lanciato un’offerta non superata da altre entro un determinato arco di tempo: tre minuti dice la legge (art. 581 c.p.c.); un minuto nella prassi.
Tale aggiudicazione, però, ha natura provvisoria perché: “ognuno, tranne il debitore…”  (art. 571 c.p.c.) è ammesso a presentare offerte entro il termine di dieci giorni da quello dell’asta. Queste ulteriori offerte avranno validità solo se il prezzo indicato supererà di un sesto quello raggiunto nell’incanto (art. 584 c.p.c.). Se pervengono offerte di questo livello, il cancelliere ne dà pubblico avviso e si procede ad una nuova gara. Circa i soggetti che possono partecipare a questa nuova gara, non vi è unanimità di vedute nella giurisprudenza: secondo una risalente giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, la gara dovrebbe essere ristretta all’aggiudicatario provvisorio ed a coloro che hanno presentato l’offerta in aumento di sesto; secondo la maggioranza della giurisprudenza di merito ed una più recente sentenza del Supremo Collegio (Cassazione civile sez. III, 26 febbraio 1998, n. 2122 in Nuova giur. civ. commentata 1998, I, 799 nota di Bellani), sono legittimati a parteciparvi l’aggiudicatario provvisorio, i soggetti intervenuti all’incanto senza aver superato il prezzo dell’aggiudicazione provvisoria ed  anche coloro che hanno formulato delle offerte quando ormai era decorso il termine dei dieci giorni previsto dall’art. 584 c.p.c..
Per vero, la legge, con le sue incertezze terminologiche, non disciplina in modo completo la gara in aumento di sesto ed anche taluni ondeggiamenti giurisprudenziali non aiutano certo ad un suo preciso inquadramento.
Un caso particolare riguarda la mancata comparizione dell’offerente in aumento di sesto alla gara bandita dagli organi giurisdizionali proprio a seguito della sua offerta migliorativa rispetto al prezzo dell’aggiudicazione provvisoria.
Nell’assenza di esplicite disposizioni di legge, ci si è domandati quale destino debba avere, in tal caso, l’offerta dell’aggiudicatario provvisorio e quale sanzione possa comminarsi a chi abbia presentato un’offerta senza poi darvi seguito, turbando, in tal modo, la più regolare e celere conclusione della procedura esecutiva, sia individuale, che fallimentare.
Un primo approccio al problema consiste nell’individuare la natura della gara in aumento di sesto. Infatti, se si trattasse di una nuova gara, si potrebbe avere una riposta che, però, cambierebbe se, invece, si trattasse di una prosecuzione della prima gara, quella conclusa con l’aggiudicazione provvisoria.
Da questo punto di vista, la giurisprudenza, alla quale occorre rivolgersi quando la legge sia assente, non aiuta.
Senza una significativa distinzione circa il tempo delle pronunce, la Corte Suprema ha, una prima volta, affermato che la gara in aumento di sesto è una nuova gara (Cassazione civile sez. I, 28 luglio 1999, n. 8181 in Giust. civ. Mass. 1999, 1738) ed una seconda volta ha affermato, invece,  che si tratta della continuazione del medesimo procedimento di espropriazione (Cassazione civile sez. III, 27 febbraio 1998, n. 2226 in Giust. civ. 1999, I, 1189 con nota di Todde).
Conviene, pertanto, modificare l’angolo di approccio e verificare quale sia la natura dell’offerta in aumento di sesto ed, in particolare, se essa possa essere revocata oppure no.
Sotto questo profilo, le pronunce giurisprudenziali hanno invece un indirizzo univoco, tanto in sede di legittimità, che di merito.
E’ stato, infatti, deciso che, una volta formalizzata attraverso l’adempimento dei relativi  oneri, l’offerta in aumento di sesto è irrevocabile, con la conseguenza che diviene inefficace la precedente offerta proveniente dall’aggiudicatario provvisorio (Cassazione civile sez. I, 7 dicembre 2000, n. 15543 in Giust. civ. Mass. 2000, 2570). In tal senso si è anche pronunciato, nel merito, il Tribunale di Torino con la sentenza in data 13 ottobre 1998 in Dir. fall. 1999, II, 126 (con nota di Di Gravio).
Per vero non si tratta di una conclusione ineccepibile.
L’art. 584, comma 2, c.p.c., nel disciplinare la gara in aumento di sesto, richiama il precedente art. 571 che, in tema di vendita senza incanto, prevede espressamente la revocabilità dell’offerta. La Corte Suprema, nel porsi tale questione nella sentenza sopra citata, ha spiegato che il richiamo all’art. 571 c.p.c. fatto dal successivo art. 584, non significa la trasposizione integrale della disciplina dettata per la vendita senza incanto alla gara in aumento di sesto, ma tale affermazione, come appare evidente, potrebbe essere agevolmente ribaltata, addirittura facendo perno sul tenore letterale della legge.
Fatta questa precisazione circa la portata della giurisprudenza dalla quale si muove, può procedersi nell’analisi che intrattiene.
Dando per ammesso che l’offerta in aumento di sesto abbia il carattere dell’irrevocabilità, le conseguenze che se ne possono trarre sono le seguenti.
Innanzi tutto, deve dirsi che l’aggiudicazione provvisoria rimane travolta dall’offerta in aumento di sesto ed al titolare di tale posizione giuridica può essere restituita la cauzione prestata in occasione dl pubblico incanto (in tal senso entrambe le sentenze appena più sopra citate).
In secondo luogo, alla mancata comparizione dell’offerente in aumento di sesto alla gara bandita proprio a motivo della sua offerta, seguono le conseguenze previste dall’art. 587 c.p.c. circa l’inadempienza dell’aggiudicatario: il giudice che procede alla vendita, dichiara la decadenza dell’aggiudicatario, pronuncia la perdita della cauzione a titolo di multa e quindi dispone un nuovo incanto.
Le sanzioni, però, non finiscono qui per l’incauto che si sia presentato con un’offerta in aumento di sesto alla quale non abbia dato seguito.
Prosegue, infatti, l’art. 587 c.p.c. stabilendo che, se, a seguito del nuovo incanto, il prezzo che se ne ricava, unito alla cauzione confiscata, risulta inferiore a quello offerto dall’aggiudicatario provvisorio, l’aggiudicatario in aumento di sesto inadempiente è tenuto al pagamento della differenza.
Circa le modalità attraverso le quali si procede al recupero di tale differenza, l’art. 177 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile (disp. att. c.p.c.) prevede l’emissione di un decreto di condanna da parte del giudice dell’esecuzione. Detto provvedimento costituisce titolo esecutivo, proporzionalmente, in favore dei creditori ammessi alla distribuzione della somma ricavata dalla vendita.
Queste conseguenze, tuttavia, non possono dirsi unanimemente ed uniformemente accettabili. Taluno, fondandosi sull’altra giurisprudenza della Corte Suprema (Cass. n. 2226/1998 sopra citata), secondo cui la gara in aumento di sesto costituirebbe una semplice continuazione del precedente incanto, potrebbe ritenere che, rimanendo inadempiente l’offerente in aumento di sesto, si consoliderebbe la vendita in capo all’aggiudicatario provvisorio.
A tale alternativa conclusione può obiettarsi che, in tal modo, potrebbero sollecitarsi alcune forme di turbativa d’asta.
Infatti, se all’inadempimento dell’offerente in aumento di sesto, seguisse automaticamente la definitività dell’aggiudicazione provvisoria al prezzo più basso, l’aggiudicatario provvisorio potrebbe essere tentato di condurre trattative proprio per ottenere l’assenza alla gara dell’offerente in aumento di sesto.
Già questa prospettiva, certo del tutto eventuale e maliziosa (mentre al buona fede è sempre presunta !), dovrebbe far propendere per l’abbandono della tesi in esame, ma, come si vede, laddove la legge è lacunosa, l’interpretazione può espandersi liberamente.
Il vero problema delle interpretazioni giurisprudenziali, consiste nelle conseguenze che a ciascuna tesi possono riconnettersi.