CHI RISARCISCE I DANNI PROVOCATI DALL’INQUILINO IN UNA CASA AGGIUDICATA ALL’ASTA?
Tra i fattori
che maggiormente influiscono sulla convenienza del prezzo delle aste giudiziarie,
vi è l’incertezza delle condizioni nelle quali l’immobile subastato
verrà preso in consegna dall’aggiudicatario.
Non vi è
dubbio, infatti, che tutta la fase delle trattative e delle verifiche che
caratterizza un normale acquisto immobiliare, nel sistema delle aste giudiziarie
subisce un vero e proprio stravolgimento. Sia che si tratti di un’asta
bandita nel corso di un’esecuzione immobiliare individuale, sia che si
tratti di un’esecuzione concorsuale, come il fallimento, colui che voglia
candidarsi all’acquisto non si trova ad interloquire con un soggetto veramente
interessato alla vendita. Tanto la cancelleria del tribunale, quanto il
curatore fallimentare, sembrano molto più preoccupati del rispetto
delle formalità che la legge pone a loro carico per la regolarità
dell’asta, che non del concreto esito dell’asta stessa, cosicché
mai nelle esecuzioni immobiliari e quasi mai nelle esecuzioni concorsuali,
il candidato all’acquisto ha la possibilità di vedere l’immobile
subastato con la comodità con cui ciò avviene nelle normali
trattative tra privati.
Di regola,
per la verifica dello stato dell’immobile, l’aspirante partecipante alla
gara viene rinviato all’esame della perizia presso la cancelleria del giudice
che procede esecutivamente. Questo documento, se è molto affidabile
per la verifica della regolarità urbanistica del bene, provenendo
da un esperto nominato dal tribunale che viene incaricato soprattutto della
cura di quest’aspetto, assai poco utile si presenta per la verifica delle
condizioni in cui l’immobile effettivamente si troverà al momento
dell’asta e meno che mai di come sarà al momento della presa in
consegna da parte dell’aggiudicatario. Ciò, quanto meno, per il
fatto che la perizia risale, spesso, a molti anni prima del momento in
cui la gara viene svolta.
E’ comunque
escluso che, al momento della consegna dell’immobile aggiudicato, si proceda
alla redazione di un verbale che, nel contraddittorio tra l’ufficio giudiziario
procedente e l’aggiudicatario, attesti le condizioni, eventualmente difformi
e peggiorative, rispetto a come l’immobile è stato offerto all’asta
e controllabile solo tramite la perizia.
La spiegazione
della presenza di tante lacune nel sistema delle aste giudiziarie, rispetto
alle normali trattative immobiliari, è data dall’art. 2922 del codice
civile (c.c.) il quale testualmente recita: “1. - Nella vendita forzata
non ha luogo la garanzia per i vizi della cosa. 2. - Essa non può
essere impugnata per causa di lesione.”.
In altre parole,
in tutte le aste giudiziarie non trovano applicazione le normali tutele
di cui gode il compratore nelle vendite volontarie e, quindi, non sono
applicabili né la garanzia per i vizi, né la garanzia circa
l’effettivo valore del bene, né la garanzia circa l’esatto adempimento
del venditore.
L’unica garanzia
che trova applicazione nelle aste giudiziarie, è quella circa l’appartenenza
del bene al genere offerto in vendita, la cosiddetta garanzia per l’aliud
pro alio, che scatta quando la cosa oggetto di vendita risulta totalmente
diversa da quella sulla quale è caduta l’offerta dell’aggiudicatario.
Così, ad esempio, nell’ipotesi in cui venga offerto in vendita un
appartamento e poi si scopra che manca delle finestre, cosicché
risulti non abitabile e destinabile soltanto a semplice magazzino.
Ma allora,
a quale santo si può votare l’aggiudicatario che, venendo finalmente
in possesso dell’immobile aggiudicato, lo trovi devastato, magari dalla
furia vendicativa dell’inquilino che si senta vittima dell’ingiusta espropriazione?
Di sicuro
non sarà il santo protettore delle vendite forzate.
L’ufficio
giudiziario procedente, proprio per la chiarissima disposizione del citato
art. 2922 c.c., non potrà essere chiamato a rispondere dei vizi
dell’immobile.
Tuttavia almeno
un responsabile esiste e può essere facilmente smascherato, con
conseguenze assai più gravi di quelle puramente economiche.
Trattando,
qui, dell’esecuzione individuale, può ricordarsi che, quando si
procede al pignoramento di un bene immobile, l’art. 559 del codice di procedura
civile (c.p.c.) prevede che il debitore venga costituito custode dei beni
pignorati, nonché di tutti gli accessori, comprese le pertinenze
e i frutti, senza diritto a compenso. La stessa norma, al secondo comma,
prevede che, su istanza dei creditori, il giudice dell’esecuzione può
nominare custode una persona diversa dal debitore, ma questi avrà
diritto ad un compenso che, ai sensi dell’art. 65, 2° comma, c.p.c.,
sarà stabilito, con decreto, dal medesimo giudice dell’esecuzione.
L’onere della
custodia comporta responsabilità che trovano sanzioni sia civili
che penali.
Dispone, infatti,
l’art. 67, 1° comma, c.p.c. che il custode che non esegue l’incarico
assunto, può essere condannato dal giudice a una pena pecuniaria
mentre il 2° comma della stessa norma prevede che, se l’incarico non
viene esercitato con la diligenza del buon padre di famiglia, il custode
è tenuto al risarcimento dei danni cagionati alle parti.
A queste sanzioni
previste nel codice di rito civile, possono aggiungersi quelle previste
nel codice penale (c.p.).
L’art. 334,
2° comma, c.p. stabilisce che si applicano la reclusione da tre mesi
a due anni e la multa da lire sessantamila a lire seicentomila al proprietario,
cui sia affidata la custodia di una cosa, che la sottragga, sopprima, distrugga,
disperda o deteriori.
Peraltro,
nell’ipotesi in cui la custodia dell’immobile pignorato fosse affidata
ad un terzo, il proprietario che compisse, volontariamente, alcuno degli
atti emulativi sopra indicati, sarebbe comunque punibile ai sensi dell’art.
388 c.p., mentre se quel proprietario, quale custode, favorisse non con
dolo, ma semplicemente per colpa, il danneggiamento o la dispersione dell’immobile
pignorato, sarebbe punibile ai sensi del successivo art. 388 bis c.p..
Per quanto
invece attiene alle procedure concorsuali e, specificatamente, al fallimento,
deve dirsi che l’attività di liquidazione dei beni avviene secondo
le medesime forme del codice di procedura civile per l’espresso richiamo
che ad esso fa l’art. 105 del R.D. 16 marzo 1942 n. 267 (cosiddetta Legge
Fallimentare – L.F.). In questo caso, tuttavia, il ruolo del custode potrebbe
essere rivestito dal curatore.
Invero l’art.
31 L.F. non attribuisce espressamente al curatore la qualifica del custode
dei beni acquisiti all’attivo fallimentare: anzi, detta norma prevede solo
che egli abbia l’amministrazione del patrimonio del fallito. Tuttavia,
con la redazione dell’inventario, che costituisce uno dei primi doveri
del curatore, anche sotto il profilo temporale, egli diviene custode dei
beni stessi. Recita infatti l’art. 88 L.F.: “Il curatore prende in consegna
i beni di mano in mano che ne fa l’inventario…”.
Pertanto,
ove il curatore non si avvalga della possibilità di chiedere al
giudice delegato la specifica nomina di un custode, relativamente a beni
che non gli sia agevole tenere sotto diretto controllo, rivestirà
egli steso la qualifica di custode con tutte le conseguenze che più
sopra si sono esaminate in relazione alle esecuzioni individuali.
Da quanto
sopra esposto, può agevolmente comprendersi come, in relazione ai
danni riscontrati nell’immobile aggiudicato all’asta giudiziaria, possono
esservi un responsabile solo, oppure una pluralità di responsabili,
quando la custodia sia stata attribuita a persona diversa dal debitore.
Questi soggetti risponderanno, oltre che nell’eventuale sede penale, anche
nella sede civile dei danni che avevano l’obbligo di evitare o che non
hanno tempestivamente segnalato, così da permettere l’immediata
individuazione del colpevole: il tutto, quanto meno, secondo la regola
fondamentale di cui all’art. 2043 c.c. secondo cui qualunque fatto doloso
o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che lo
ha commesso a risarcirlo.
Un cenno deve
infine essere fatto al regime probatorio da rispettare per ottenere il
ristoro dei danni.
Indubbiamente
la perizia, redatta dall’esperto nominato dal giudice che procede all’esecuzione,
costituisce un punto fermo da cui partire per stabilire chi, dopo la data
del deposito dell’elaborato peritale in cancelleria, avesse il dovere di
evitare danneggiamenti all’immobile. Infatti, tanto la nomina quale custode
del debitore–proprietario, quanto quella di un terzo, derivano entrambe
da atti formali, dotati di data certa come tutti gli atti giurisdizionali.
Sarà quindi opportuno procurarsi un’attestazione altrettanto formale
delle condizioni in cui l’immobile verrà preso in consegna dall’aggiudicatario
ed a tal fine ci si potrà avvalere di una perizia giurata da un
professionista, di un gruppetto di testimoni, di fotografie che riproducano
anche il quotidiano in edicola il giorno dello scatto e di qualsiasi altro
mezzo che valga ad attestare lo stato dei luoghi in un determinato momento.
Nei casi più gravi, ci si potrà anche avvalere dello strumento
processuale di cui all’art. 696 c.p.c., in base al quale chi ha urgenza
di far verificare, prima del giudizio, lo stato dei luoghi o la condizione
di cose, può chiedere che sia disposto un accertamento tecnico preventivo
o un’ispezione giudiziale.